In questi ultimi anni, con l’esplosione della crisi finanziaria nel mondo, che dal 2009 ha colpito, fra gli altri stati, la Grecia, il cui Stato su imposizione delle organizzazioni finanziarie internazionali, quali l’FMI, la BCE e l’UE, ha adottato una politica finalizzata a salvare il sistema capitalistico. A ciò, contemporaneamente, sono seguiti una maggiore repressione e un ulteriore irrigidimento delle Stato nei confronti di chi lotta per il rovesciamento del capitalismo e dello Stato, contro chi ha scelto l’azione rivoluzionaria armata, sfidando il monopolio dello Stato sull’uso della violenza e del potere, contro quelli che con ogni mezzo resistono a questa politica di salvataggio del sistema.
Malgrado la repressione fosse aumentata in Grecia all’inizio del decennio del 2000 con l’istituzione di due leggi contro il terrorismo, nel 2004 e nel 2004, è stata ancor più intensificata dopo il primo memorandum del 2010, quando il regime ha perso il consenso sociale pre-crisi a causa dell’attacco eccezionale del Capitale e dello Stato contro la maggioranza del popolo.
E quindi, non è un caso che il rafforzarsi della repressione dello Stato in tutti questi anni sia di pari passo con la violenza dell’attacco portato ora dal Capitale e dall’élite finanziaria, usando la crisi ha reso più ricchi i ricchi e più poveri i poveri. L’impoverimento, la disoccupazione di milioni di persone, il taglio di salari e pensioni, le riappropriazioni bancarie, la maggiore ridistribuzione di ricchezza sociale dalla base verso il vertice della gerarchia sociale sono tutti strettamente legati con l’aggravarsi della repressione.
Perciò la repressione dello Stato attaccherà ogni azione che sia una minaccia e, specialmente, l’azione rivoluzionaria armata, considerata una minaccia di massimo grado. Pertanto non è casuale che attualmente nelle prigioni greche ora siano detenute dozzine di prigionieri politici e di combattenti.
Di conseguenza, la solidarietà ai combattenti prigionieri e ai compagni oggetto di procedimenti giudiziari in generale non è parte solo della nostra lotta, ma riguarda assolutamente la lotta per la sovversione e la rivoluzione sociale, così che compagni, uomini e donne allo stesso modo, detenuti dallo Stato, sono una parte inseparabile dalla nostra lotta, sono parte di noi.
Concordiamo che compagni, prigionieri per il tipo di lotta e d’azione da loro scelti [quali la lotta armata, l’ammutinamento o le manifestazioni (inclusi gli scontri con la polizia o gli attacchi contro obiettivi specifici del sistema come le banche), le occupazioni di edifici o gli attacchi dinamitardi a obiettivi-simbolo, le azioni per la propaganda e l’insubordinazioni politica], sono membri inseparabili della nostra lotta comune per il rovesciamento del capitalismo e dello Stato, sono parte integrante del nostro movimento rivoluzionario.
In tal senso, diamo la nostra solidarietà ai prigionieri politici indipendentemente dal livello del movimento di lotta/ribellione da cui provengono. La solidarietà ai prigionieri politici non può essere selettiva o parziale, ma va estesa a tutti i prigionieri politici.
Ciò che caratterizza un prigioniero politico è la sua natura di combattente e la posizione che assume al processo e in prigione, così come la sua coerenza e il suo agire dopo l’arresto e la sua successiva resistenza. Concordiamo che tutti i tipi d’azione considerati illegali dallo Stato sono parte del movimento rivoluzionario, come provato dalla sua tradizione ed esperienza storica. Quindi rifiutiamo qualunque separazione fra tipi di lotta, neghiamo la dicotomia formulata a volte, quale, “legittimità o illegalità”, “lotta di massa o armata”, perché tali divisioni e dilemmi non favoriscono, ma sabotano la lotta per la sovversione e la rivoluzione, minano l’unità fra i compagni, dentro e fuori le carceri, mentre, invece, promuovono le tattiche “divide et impera” del sistema, lasciando esposti i compagni detenuti.
Basandosi su questi principi e criteri politici, l’ ”Assemblea di Solidarietà per i prigionieri politici e per i combattenti perseguiti detenuti” include la gran parte dei prigionieri politici e dei combattenti imprigionati nelle carceri greche, sia quelli che abbiamo assunto la responsabilità politica per la loro partecipazione a organizzazioni rivoluzionarie armate, sia quelli che respingano le accuse, sia che si tratti di compagni condannati per espropri in banca oppure oggetto di cause pendenti istruite contro loro, a piede libero.
Inoltre, comprendiamo, basandoci sugli stessi principi e criteri politici, i compagni, uomini e donne, illegali, che sono stati condannati o accusati di tipi d’azione illegali, ad esempio la lotta armata. Come internazionalisti, ritenendo che la solidarietà non ha un carattere nazionale, includiamo i comunisti turchi detenuti nelle prigioni greche, a prescindere dalle organizzazioni cui appartengono.
Seguendo gli stessi principi e criteri escludiamo quelli che per scelta personale sono divenuti informatori e hanno rinunciato a certi tipi di lotta. L’ “Assemblea di Solidarietà per i prigionieri politici e i combattenti perseguiti e detenuti” crede che coloro che hanno scelto tale percorso personalizzato hanno rinunciato alla lotta, ai loro compagni e hanno smesso di essere soggetti politici o combattenti.
L’ “Assemblea di Solidarietà per i prigionieri politici e i combattenti perseguiti e detenuti” non considera questi prigionieri delle vittime, ma compagni che proseguono la lotta, partendo da un bastione differente, nelle prigioni, per la sovversione e la rivoluzione.
È necessario che la solidarietà sia definita fortemente dalle posizioni politiche e dall’opinione dei compagni prigionieri. È inevitabile che l’Assemblea non possa esimersi dal trasmettere la voce di tutti i prigionieri. Tuttavia, ciò non significa che l’ “Assemblea di Solidarietà per i prigionieri politici e i combattenti perseguiti e detenuti” s’identifica con le opinioni e le affermazioni dei compagni prigionieri. L’Assemblea mantiene la sua autonomia e indipendenza riguardo alle posizioni politiche sulla lotta, il movimento e la rivoluzione. Altrettanto, mantiene il diritto di criticare i prigionieri quando necessario prendere posizione e, nei limiti del rapporto interattivo che desideriamo costruire, l’Assemblea è indubbiamente disposta a ricevere critiche dai compagni. Non ha l’obbligo di schierarsi su argomenti e discussioni fra prigionieri. La solidarietà non è empatia. La solidarietà, come ogni pratica politica e sociale, ha una precisa ideologia. La solidarietà ai prigionieri politici eccelle in ciò che sia i suoi fautori sia i suoi destinatari concordano da quando la richiesta di rovesciamento del sistema sociale è imperativa, senza aver punti di vista comuni sulle questioni dell’antagonismo sociale e del rovesciamento rivoluzionario.
L’ “Assemblea di Solidarietà per i prigionieri politici e i combattenti perseguiti e detenuti” è un procedere aperto del movimento basato su un accordo politico chiaro e concreto fra i partecipanti, riguardo alla solidarietà. Fintanto che riconosciamo che la solidarietà ai compagni prigionieri è parte di un movimento rivoluzionario ed è indissolubilmente legata alla lotta per la sovversione e la rivoluzione, le nostre azioni non solo sono a sostegno della difesa dei prigionieri contro la repressione dello Stato, ma promuovono anche la lotta per il rovesciamento e le rivoluzione. In base a ciò, l’Assemblea non si coinvolge nella difesa legale dei prigionieri, né nel contenuto dei loro fascicoli, rifiutando così effettivamente i falsi dilemmi su “innocenti” e “colpevoli”. Rispetto al passato, l’Assemblea aspira a superare la meschina, frammentaria struttura repressiva e ad affrontare la questione dell’unità del movimento e della lotta per la rivoluzione praticando azioni solidali verso i nostri compagni prigionieri, in particolare con le attuali condizioni di crisi del sistema di cui il Capitale e lo Stato si sono serviti pretestuosamente e hanno imposto un nuovo tipo di totalitarismo.
Ciò che distingue la solidarietà rivoluzionaria da altri tipi di solidarietà è che essa si scontra con l’essenza del dominio dello Stato e la legittimità civile, collega ogni questione speciale alle condizioni generali dell’agire per la liberazione. Certamente, la solidarietà ai prigionieri politici unisce critica dissidente all’azione e, inoltre, sfida direttamente il monopolio dello Stato sulla violenza, cosa che, insieme alla proprietà privata, rappresenta uno dei pilastri base del sistema.
Oggi più che mai c’è un bisogno imperativo di affrontare la solidarietà non dal punto di vista della nostra difesa contro l’attacco portato dallo Stato, ma come nostro contrattacco, mirando a elevare la lotta per la liberazione sociale. Il movimento deve capire che la difesa dei detenuti, dei prigionieri politici è un principio fondamentale di primaria importanza per la sua esistenza e il suo sviluppo.
L’Assemblea di Solidarietà per i prigionieri politici e i combattenti perseguiti e detenuti
https://ccrsri.wordpress.com/2015/02/08/solidarieta-e-lotta-e-azione-2/