ENOVA,31 marzo: archiviata l’indagine del pm Manotti su anarchici
Dai media si apprende che il pubblico ministero genovese,Federico Manotti ha definitivamente archiviato per 33 indagati, per 270 bis e 280, un fascicolo che riguardava una serie di attacchi, avvenuti tra Liguria, Toscana ed Emilia, dal 2004 al 2009,alcuni rivendicati da diversi gruppi Fai informali.
Ad un anno di distanza dalle richieste di custodia cautelare rifiutate nel marzo 2014,il procedimento rimane aperto solo per Alfredo Cospito(in carcere per il ferimento Adinolfi) :gli atti contro di lui sono stati stralciati ed inviati a Torino dove risulta ancora aperta un indagine verso un, non meglio definito (secondo il quotidiano locale Il secolo XIX )”gruppo anarchico piemontese”.
GENOVA,31 marzo: archiviata l’indagine del pm Manotti su anarchici
GENOVA – SULLA FALLITA OPERAZIONE REPLAY CONTRO GLI ANARCHICI
ANCORA QUALCHE PAROLA SULLA FALLITA OPERAZIONE GENOVESE “REPLAY” VOLUTA DAI ROS E DAL PM MANOTTI
E’ dal lontano 2005 che i Ros dei CC effettuano indagini per mezzo di intercettazioni, pedinamenti e quant’altro la tecnologia investigativa permetta – comprese analisi del Dna – su alcuni anarchici genovesi, toscani, emiliani e piemontesi. Le indagini si sono concentrate nel voler reperire ad ogni costo gli appartenenti ad una ipotetica cellula genovese della F.A.I. Informale, cercando di dimostrarne la responsabilità nell’organizzazione e realizzazione di attacchi avvenuti nel nord Italia negli ultimi dieci anni, quasi tutti rivendicati da diverse sigle F.A.I. Dal procedimento viene fuori l’esistenza di tre indagini diverse (“Kontro”, “Replay”, “Tortuga”) per associazione sovversiva (art.270bis) e attentato con finalità di terrorismo (art.280) in concorso per undici persone. Le prime due indagini sarebbero chiuse, mentre quella denominata Tortuga sarebbe tuttora in corso e riguarderebbe un più vasto numero di persone. L’inchiesta fa riferimento a praticamente tutti gli attacchi avvenuti nel centro/nord Italia negli ultimi anni rivendicati dalle varie sigle F.A.I., ma anche ad altre azioni non rivendicate con questa sigla.
I fatti specifici contestati in questo spezzone di indagine sono:
– gli attentati con ordigni esplosivi alle Stazioni Carabinieri di Genova Prà e Genova Voltri in data 1.3.2005;
– la fabbricazione e collocazione di due ordigni esplosivi in data 24.10.2005 all’interno del
Parco Ducale di Parma, destinati a colpire la sede del R.I.S. dei Carabinieri;
– l’invio di un plico esplosivo in data 3.11.2005 all’allora Sindaco di Bologna Sergio Cofferati;
– l’attacco incendiario a Genova in data 26/6/2009 ai danni di un automezzo della C.R.I. (quest’azione non rivendicata come F.A.I.).
Dieci anni di intercettazioni e pedinamenti voluti dall’allora titolare dell’indagine PM Canciani sono riusciti a produrre tre rifiuti da parte del GIP rispetto alle richieste di custodia cautelare in carcere per gli undici indagati.
Lo scorso 4 febbraio è avvenuto il secondo rifiuto e la conseguente chiusura delle indagini, ma il PM Manotti a cui è passata l’inchiesta ha deciso di avere il suo momento di protagonismo ed è quindi ricorso in appello per gli ultimi tre di questi fatti specifici. Il 25 febbraio ci sono state le anomale perquisizioni di fine indagine agli 11 indagati (una eseguita in carcere). Il24 marzo il tribunale del riesame di Genova ha negato per la terza volta la carcerazione per l’insussistenza del quadro probatorio.
Nei 21 faldoni e migliaia di pagine di cartaccia che compongono l’inchiesta gli unici elementi indiziari che emergono sono un susseguirsi di informative, tutte ovviamente di matrice Ros: intercettazioni spesso riguardanti momenti di vita quotidiana reinterpretate secondo le finalità repressive e totalmente fuori contesto; pedinamenti inutili; sequestri di materiale che chiunque potrebbe avere in casa; migliaia di euro spesi in attrezzature e consulenze tecniche.
Nell’ambito di questo procedimento, la procura genovese aveva ottenuto di poter eseguire intercettazioni audio e video ai danni di Alfredo Cospito (attualmente in carcere per l’attacco all’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi) all’interno della sezione di AS2 del carcere di Alessandria prima e Ferrara poi e di poter eseguire, ovviamente contro la sua volontà, anche il prelievo del Dna con lo scopo di confrontarlo con alcune tracce genetiche che sarebbero state rinvenute sull’ordigno contro il RIS di Parma… il principale collezionista di Dna nostrano.
In seguito, dopo una sequela di articoli dei soliti giornali infami che sbandieravano l’avvenuta svolta nelle indagini a seguito della riscontrata compatibilità fra i Dna, a leggere bene tra le righe, viene fuori che la famosa prova del Dna non ha dato il riscontro desiderato dagli inquirenti e che oltretutto non è neanche quell’esame incontestabile ed inconfutabile che nei film polizieschi risolve in un attimo l’intricata trama, ma piuttosto un esame dalla validità scientifica incerta e il cui risultato si presta spesso ad una tale varietà di interpretazioni da essere in molti casi considerato non valido neanche ai fini della giurisprudenza. Risulta chiaro, quindi, l’utilizzo più intimidatorio che probatorio di tali raffronti, ripetutamente eseguiti senza esito e messi agli atti a scopo suggestivo nell’intenzione di condizionare l’esito dei processi, oltre ad essere evidente l’ esistenza, da parecchi anni ormai, di una banca dati del Dna di anarchici, rivoluzionari e agitatori sociali sottoposti alle costanti attenzioni degli organi repressivi.
Malgrado tutto, in buona sostanza, in più di dieci anni di indagini gli inquirenti non sono mai riusciti a dimostrare nulla.
Nel complesso c’è stato il tentativo da parte del PM Manotti di presentare queste informative in una mole tale da suscitare in sede di giudizio la suggestione che qualcosa di vero debba pur esserci e, dall’altro canto, avanzare presso il giudice la necessità di un’interpretazione più elastica del reato di associazione sovversiva, in quanto legato, nella sua opinione, ad un retaggio anacronistico in cui le organizzazioni armate/clandestine erano fortemente strutturate. In questa avvincente kermesse un ruolo da coprotagonisti l’hanno assunto i giornalisti, in particolare a Genova e Bologna. Un’altra volta ci hanno dimostrato come le inchieste nascano nelle caserme e nelle questure, ma attraverso i giornali e giornalisti abbiamo la corrispettiva eco funzionale all’operato degli inquirenti.
Gli articoli comparsi nei giorni successivi alle perquisizioni hanno assolto svariate funzioni, dare un rilievo spettacolare ad un’inchiesta mediocre creando dei ritratti paradossali e offensivi delle persone citate, lanciare provocazioni nell’ottica di osservare reazioni e mettere sotto pressione gli indagati, esibendo a chiunque informazioni sulla loro vita privata e sulle loro più intime relazioni.
Al di là dei capi d’imputazione e delle persone colpite da questa indagine, la logica di questo tipo di operazioni è quella di fare terra bruciata nei confronti di chi sostiene e diffonde l’idea dell’azione diretta e dell’assalto all’esistente al fine di sovvertirlo e di chi si scontra con il dominio quotidiano sulle nostre vite nell’ottica non di blandirlo democraticamente, ma di abbatterlo.
Pensiamo che l’unico modo per affrontare queste manovre repressive ed opporsi ad esse sia quello di non farsi intimorire, non perdere la determinazione delle proprie idee e delle proprie azioni, praticare e diffondere solidarietà, nei vari modi in cui la tensione individuale e la fantasia suggeriscono ad ognuno.
ALCUNI INDAGATI E SOLIDALI
http://www.informa-azione.info/repressione_sulla_fallita_operazione_replay_contro_gli_anarchici