Dalla clandestinità, il compagno cileno Diego Rios (2009)

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Come in tanti già saprete, alcune settimane fa la polizia ha perquisito un appartamento disabitato nel centro di Santiago del Cile, di proprietà di mia madre, in cui erano custodite due borse contenenti diversi materiali per fabbricare esplosivi. Da quel momento sono ricercato e perseguito dallo stato e dai suoi apparati repressivi. Vengo a conoscenza della cosa attraverso chiamate telefoniche grottescamente controllate. Poche ore dopo vengo a sapere che è stato perquisito il Centro Social y Biblioteca Libertaria Jonny Cariqueo, luogo in cui vivo.

Lì la polizia è entrata con il pretesto di chiedere informazioni su di me, ma non trovandomi (né trovando qualcuno disposto a collaborare) si sono portati via tutti i testi, le pubblicazioni e il materiale di propaganda (hanno forse sentito parlare de “la propaganda è un’arma”… ). Così decido di fuggire, anche se non sono colpevole di nulla e nemmeno innocente… sono semplicemente un loro nemico. Non ricordo il giorno, né il luogo, ma tempo fa mi son reso conto che non posso (non voglio) vivere tranquillo né in pace. Avevo deciso di complicare la mia vita fino al punto di non ritorno… Da allora sono un nemico dichiarato dell’ordine esistente, un nemico della società, di ogni forma d’autorità e di sfruttamento, borghese o proletaria che sia; ho compreso che la lotta per la libertà è la guerra di ogni individuo per il recupero della sua vita, è il rifiuto a far parte della massa, a che altri pensino per te e ti dicano come agire, è rifiutare le ideologie e i numeri o ruoli carichi di conformismo e di passività che assicurano quotidianamente la continuità del sistema (nonostante la tanta retorica rivoluzionaria che contengono). Ho scoperto che, nei successi e nelle crescite più significativi della mia vita e negli attacchi concreti (materiali ed ideologici) che ho portato avanti contro il capitalismo, sono sempre stato circondato da quelli con i quali l’orizzontalità non si traduceva in un mero voto, ma che era data per condividere la fiducia reciproca ed il desiderio di distruggere tutto ciò che ci opprime. Ho compreso, nella relazione con i miei fratelli, che l’arma più efficace è proprio questo capovolgimento qualitativo, nella continua ricerca di trasformare le nostre esistenze nella propaganda per il fatto di attacco al capitale. Così abbiamo scoperto nella nostra quotidianità che in ogni impulso distruttore stavamo creando qualcosa, che ci stavamo rafforzando e questo è ciò che oggi agita il mio spirito e riafferma le mie convinzioni, è quest’orgoglio di sentirsi degno e coerente.

In questi giorni non posso smettere di ricordare le parole di un prigioniero che ha detto: “Noi anarchici abbiamo geneticamente il carcere nel sangue” e forse, in qualche modo, è vero. Sappiamo tutti che la prigione è una possibile conseguenza per quelli che osano sfidare lo stato e il capitale, come una posizione d’azione, e non come un semplice simulacro rivoluzionario che permetta di continuare con una vita comoda e certa; ma ho la certezza che una parte della guerra è moltiplicare e acuire le azioni d’attacco, stando attenti il più possibile -sulla base di indagini e pianificazioni che poniamo in atto- a non cadere tra le grinfie del nemico. Allontanerò il più possibile il carcere dalla mia vita, senza per questo cadere nella paralisi (sia per paura che per auto-compiacimento). E’ per questo che riconosco tutti i miei errori e che faccio l’autocritica con il fine di nutrire e di acuire la mia prassi insurrezionale; oggi vedo come una necessità concreta che i gruppi d’affinità che sono passati all’azione si occupino di contare su di una infrastruttura autonoma (in tutti i sensi), che permetta di sviluppare i progetti con più sicurezza e fiducia. Io mi sono imbattuto in quest’errore, ma credo che noi antiautoritari dovremmo essere come i salmoni, dovremmo apprendere da ogni caduta e continuare fermi a nuotare contro-corrente.

A tutti i miei fratelli e tutte le mie sorelle dai quali oggi mi separo, sappiate che vi amo, son cose che solo voi potete capire… Ai miei nemici che analizzeranno questo testo, sia per localizzarmi che per scrivere una risposta accademica/ideologica, abbiate tutto il mio più profondo disprezzo per la vita che avete scelto e che difendete. Axel Osorio, Cristian Cancino e tanti altri… con queste righe vi invio il più affettuoso saluto e siate certi che fuori sono in tanti a non dimenticarsi di voi e che ogni giorno lottano per distruggere quel che oggi rinchiude i vostri corpi, nemmeno il carcere potrà fermare la lotta contro il potere.

Per la distruzione di tutte le carceri e di tutte le gabbie.

“Facciamo la guerra alla società”

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Nota di Culmine: Il compagno Diego è entrato in clandestinità dal 24 giugno 2009, quando la polizia cilena ha perquisito il centro sociale in cui viveva. L’accusa nei suoi confronti è quella di aver a che fare con i tanti attacchi dinamitardi contro lo Stato ed il Capitale che hanno scosso il territorio cileno. Per lo stesso motivo un altro compagno, Cristian Cancino, è attualmente in carcerazione preventiva. L’aspetto positivo è che stanno continuando le azioni dirette, come Culmine cerca di documentare.

Fuggi Diego, fuggi!

Dalla clandestinità, il compagno cileno Diego Rios