DELLA COSTRUZIONE DI REALTA’,

di Riccardo Paccosi

Distruggere la realtà. Distruggere la costruzione di realtà. Ed in maniera inevitabilmente sincronica. C’è chi dice che i mass-media de-realizzano la realtà (producono cioè un surrogato, un simulacro della medesima; è pertanto reale ciò che non appare, ciò che non è inscritto nello Spettacolo).

Altri dicono che i mass-media iper-realizzano la realtà (esiste soltanto ciò di cui la gente si occupa, ciò che è patrimonio di scambio interazionale e simbolico; lo Spettacolo, per quanto costituzionalmente illusionistico, è effettivamente ed unicamente reale). Nel primo caso, così come nel secondo, realtà e costruzione di realtà vengono scisse, dicotomizzate. Nel secondo caso, così come nel primo, la realtà è vista governata da un’illusione (dall’Ideologia), con l’apparato mass- mediatico ininfluenzabile dalla realtà. Ma l’individuazione di una realtà-simulacro, di una realtà mediata, presupporrebbe, a questo punto, l’immanenza di una realtà oggettiva … E’ su quest’ultima che una soggettività aggressiva nei confronti del proprio ambiente sociale (cioè una soggettività rivoluzionaria e sovversiva) dovrebbe dunque operare? Si dovrebbe pertanto prescindere dalla mistificazione spettacolare, dal flusso multimediale, dall’onnipervadenza dell’informazione, dalla costruzione di realtà, insomma? (dall’Ideologia, insomma?). Ma quale cazzo è il rapporto tra ideologia e realtà?
1) Forse un rapporto di intimità. Forse molteplici costruzioni di realtà pullulano, fluttuano e si intersecano nell’ambiente sociale, da quest’ultimo partorite. Se così fosse, allora, la funzione dei media potrebbe essere quella di condensare, amplificare ed orientare pubblicamente (a livello di massa, appunto) costruzioni di realtà (schemi cognitivi, quadri contestuali, prefigurazioni interpretativi e via dicendo) già esistenti, già generate dalle dinamiche interazionali/strutturali dell’ambiente sociale. Tali dinamiche – come è noto – si imperniano però su rapporti di classe, di gerarchia. E’ dunque ovvio che il processo mediatico- spettacolare, rispecchiando questi rapporti, non può non risultare coinvolto nelle strategie di potere che intercorrono tra essi …. e magari, il coinvolgimento può risultare tale, da far assumere alla stessa costruzione di realtà il ruolo di strategia, o meglio di funzione strategica dell’Ideologia (ne consegue che il verbo rispecchiare che ho usato poc’anzi non è più pertinente: la costruzione di realtà non rispecchia, ma è volta ad agire sul reale e a determinarlo). Funzione strategica, dicevo, finalizzata alla (ri)produzione del divario tra inclusi ed esclusi. Divario reso naturalizzato dalle pratiche ideologico-spettacolari … Sotto questa luce, miseria e proletarizzazione andrebbero intese come impossibilità di gestire attivamente codici e strumenti dello Spettacolo, se non attraverso il solito feed-back consumistico … Fin qui ciò che concerne la funzione. Spostando un pochino l’attenzione sul funzionamento, potrebbe risultare interessante chiamarne in causa un aspetto particolare: quello inerente al ruolo svolto dalla democrazia. I lubrificanti per gli ingranaggi della costruzione di realtà sono costituiti – come ben sappiamo – dalla proliferazione delle scadenze, delle situazioni e da tutto un triste armamentario di militarizzazione dello spazio-tempo quotidiano. E la serie periodica e scadenzistica di eventi prodotta dalle istituzioni democratiche, entra in splendida sinergia con le necessità dei mass- media. Necessità identificabili – a livello strutturale – con la codificazione del magma degli accadimenti in termini per l’appunto periodico-scadenzistici. La democrazia, quindi, foraggia i mass-media. I mass-media, loro volta, foraggiano la democrazia, la cui produzione situazionale, senza l’amplificatore mediatico, sarebbe totalmente priva di energia. L’auto-conclamato relativismo, l’auto conclamata non-ideologicità della democrazia, sono i principali indicatori del suo assolutismo. Il pluralismo (idealisticamente) estensibile a tutte le opzioni e a tutte le prospettive, individua la volontà di intrinsecare tutto a se e di occultare quanto rimane di estrinseco. Circoscrizione degli spazi percettivi, dunque. Già a partire dai suoi principi ideologico-progettuali, la democrazia si rivela strategia di costruzione di realtà. Le conclusioni che traggo da tutta ‘sta dissertazione sono le seguenti: a) dal momento che la realtà sociale non può essere considerata separatamente dal modo in cui è interpretata/interiorizzata dai soggetti che si muovono al suo interno, prospettare di applicarsi su di una realtà oggettiva appare, in linea generale, un non-senso. (… Uhm … A pensarci bene, questo qua poteva esser più l’assunto di partenza che la conclusione …). b) La funzione totalmente strategica e militarista (in base a quanto ho più o meno analizzato prima) della costruzione di realtà, rende imprescindibile sabotarne il funzionamento. Spesso, purtroppo, si identifica questo sabotaggio con l’eludere lo Spettacolo, con il porsi – sic et simpliciter – al di fuori di esso, anziché attaccarlo nel suo farsi (sempre a causa della già citata referenza ad una realtà oggettiva). Varrebbe a dire che l’eliminazione del potere si conseguirebbe ponendosi – rispetto ad esso – altrove anziché contro. Brutta storia lo scivolamento in questo altrove. Non si tratterebbe dell’altrove u-topico che scaturisce dallo scontro, dalla destabilizzazione degli assetti del reale, ma di un altrove come campo d’azione interstiziale; un altrove, insomma, come alternativismo, lassez-faire nei confronti di una strategia di dominio.
2) Forse un rapporto di identità. Di fronte ad alcune modificazioni in corso, l’intimo rapporto tra Ideologia e realtà acquista connotati differenti. La de-materializzazione dei processi produttivi e del flusso monetario, l’onnipervadenza dell’informazione (cyber-spazio), complementano lo sviluppo e lo svezzamento dello stato-macchina e la sua necessità di espandere capillarmente non solo il controllo sociale, ma anche e soprattutto la propria essenza. Questo può infatti determinarsi grazie a forme di plasmanti tanto l’ambiente sociale, quanto quello vitale. Le nuove forme relazionali e produttive fondate su modalità interattive di stampo televisive e telematico, sono solo esempi di un contesto che si potrebbe definire, senza peccare di altisonanza, una vera e propria mutazione antropologica. Ogni individuo vive e respira il sistema. La problematica inclusi/esclusi rispetto allo Spettacolo -così come il concetto stesso di spettacolo- va a farsi fottere. In un certo qual modo tutti sono inclusi, poiché tutti i codici, anche i più minoritari o antagonistici, sono amalgamati nel Codice del videodrome ed ogni codice fonda la propria funzionalità su una valenza di partecipazione stratificata a vari livelli. Il rapporto tra spettatore e teleschermo non comporta disparità ma simbiosi. In tale rapporto si manifesta il principium individuationis della totalità del videodrome. Il decentramento, lo scorporamento della monoliticità dello spettacolo ne hanno spezzato l’andamento univoco ed hanno vomitato il formicolare delle molteplicità. Codificazioni dell’esistente (il temine reale comincia a suonarmi complicato) che si accavallano, si contraddicono, ma alla fin fine si ammalloppano in modo tale da formare un’unica codifica. Una codifica non più occultata, non più da decodificarsi, ma sbattuta pornograficamente in faccia. La compresenza, nel flusso multimediale, di tutto e del contrario di tutto si manifesta fenomenologicamente come indefinitezza e caoticità (da qui hanno trovato linfa alcune teorie secondo le quali tale situazione consentirebbe una serie pressoché infinita di libertà interstiziali). Ma sarebbe forviante esaurire la sostanza del problema a questa fenomenologia. La caoticità in questione è piuttosto pseudo-caotica. E’ piuttosto ordine, processo supremo di dialettizzazione. (Qualcosa che esemplifica e allo stesso tempo sposta il discorso: il sistema dialettizza la propia crisi elevando l’auto-catastrofe permanente a propulsore del proprio sviluppo; tipica situazione pseudo-caotica, perché proprio nel suo elevare il delirio a senso definitivo, celebra un trionfo della dialettica e dell’ordine). Lo spettacolo era totalitario, il videodrome è democratico. Democratico, e partecipativo e decentrato: ogni soggetto sguazzante nel flusso multimediale-telematico è cellula dell’organismo. Mentre l’istituzioni della Democrazia Reale perdono la loro referenza concreta e sostanziale assumendo una valenza sempre più genuinamente rituale e liturgica, la Nuova Democrazia trionfa coinvolgendo non più la vita sociale, ma la vita nella sua totalità. Ciò che le istituzioni storiche non sono riuscite a realizzare viene ora portato a compimento dalle forme tecnologiche. Da questo si potrebbe evincere che la critica e l’attacco non dovrebbero più limitare il proprio oggetto alla Democrazia Reale. La critica e l’attacco dovrebbero piuttosto rivolgersi alla democrazia tout court, intesa sia come forma strutturale che come forma ideale. Un orientamento radicalmente antidialettico ed antidemocratico è quanto potrebbe emergere al concludersi di questa trattazione (trattazione volutamente confusionaria e caotizzante, dal momento che non c’erano intenzioni ne di esaustività, ne di sintesi risolutive, ma solo di sparpagliare qua e la spunti critici …).

(estratto: Ammutinamento del Pensiero
Rivista di Critica Anarchica. n.1 – dicembre 1991)