Di seguito alcune righe scritte dal compagno a cui andrà il benefit:
“I poliziotti non dicono mai addio. Sperano sempre di rivederti tra gli indiziati.” R. Chandler
In tempi “incerti” come questi in cui le situazioni di ingiustizia si riproducono come funghi capita talvolta che qualcuno dalla nausea non possa più contenere il disgusto che vede e magari apra bocca qualche volta di troppo, alzi la testa con una frequenza appena sopra la media, una quantità considerata eccessiva dal senso comune, figuriamoci da chi questo senso comune tende a conservarlo. Ci si trova messi al muro e additati con aggettivi iperbolici e parossistici.
Gli stolti, che crescono sempre più velocemente, distolgono per un attimo i loro sguardi dagli schermi dei telefoni e guardano il dito del questurino, quasi mai il volto dell’accusato.
Se questo ingranaggio, ben oliato, dimostra la sua efficienza, l’accanimento cresce e come si dice dalle nostre parti “non te ne fanno cascare una”.
A Bologna è successo questo negli scorsi anni e a quanto pare continua a succedere come si evince dalle cronache. Io l’ho lasciata nel 2013 e quindi mi riferisco in particolare a ciò che ho vissuto direttamente.
Sono in molti ad essere sepolti da atti giudiziari: denunce di ogni tipo, spesso morbose, dal rifiuto di fornire le proprie generalità ai più noti oltraggi, vilipendi, resistenze ecc. Maturate anche in situazioni quotidiane, da reazioni istintive a incontri con una Digos provocatoria a cui prudono le mani e la penna, quasi sempre la lingua.
L’apice della creatività fu toccato dalla Procura con l’accusa di “associazione a delinquere con finalità eversiva” nell’aprile 2011. L’assoluzione in primo grado nel marzo 2014 è stato la logica conseguenza della fin troppo fervida fantasia degli inquirenti.
Alcuni dei procedimenti che mi/ci riguardano si inquadrano nel periodo successivo a quell’operazione repressiva, un periodo in cui difficilmente la tensione si è abbassata, anzi la sequela di carte di questura ha avuto un impennata e ha portato a moltissimi provvedimenti tra avvisi orali e fogli di via.
Un gusto particolarmente sadico degli operatori di polizia, sfociato talvolta nell’orrido, per usare un eufemismo, ha portato a questa lunga serie di denunce che se la memoria non mi inganna, non sono di certo finite.
Le ultime due che mi sono state notificate non riguardano manifestazioni ma situazioni all’apparenza meno conflittuali che sono state esasperate da chi ha deciso che se non si può colpire duro una volta per tutte è pur sempre possibile dare schiaffi più leggeri ma costanti, come la goccia cinese per intenderci.
Il meccanismo è un po’ sempre quello: ti esponi prolungatamente, intorno a te si crea una specie di zona rossa, ti puntano una volta e non ti mollano più; ci sarebbero molte cose da spiegare meglio ma in effetti non aggiungerebbero molto alla già lunghissima aneddotica esistente sulla repressione.
Sarebbe certamente più interessante parlare di altro, di come fare per non affogare in questa valanga di carta, come romperne gli schemi, come accordare sempre di più pensiero e azione il cui rapporto, per dirla con Simone Weil, definisce l’autentica libertà.
Ma non potendo essere presente alla serata del 13 giugno mi fermo qui e ringrazio con tutto il cuore i compagni e le compagne che hanno reso possibile questa iniziativa di solidarietà con la promessa di vederci al più presto.
Mattia