Zo d’Axa
La Borsa, il Palazzo di Giustizia e la Camera dei deputati sono edifici di cui molto si è dibattuto in questi giorni: queste tre case pubbliche sono state minacciate in particolare da tre giovani che per fortuna sono stati arrestati in tempo.
È impossibile nascondere alcunché ai signori giornalisti, i quali hanno svelato la triplice cospirazione ed i loro confratelli della prefettura hanno immediatamente fermato i cospiratori.
Ancora una volta gli uomini della stampa e della polizia hanno meritato il plauso di quella parte di popolazione che non riesce ad apprezzare il pittoresco fascino dei palazzi in rovina e la singolare bellezza dei crolli.
Il pubblico non lesinerà le azioni di grazia a tutte le oche dei suoi campidogli.
I servigi resi verranno riconosciuti anche in moneta sonante. Bisogna incoraggiare le virtù civiche. I fondi segreti balleranno e il dono sarà portato dai salvatori della società.
Tanto meglio! Considerato com’è edificante constatare che, se fra i nostri nemici vi è un esiguo numero di sfruttatori astuti, la maggior parte è composta da imbecilli che spostano i limiti dell’ingenuità indietro fino all’orizzonte.
Come hanno potuto credere, quei disgraziati, che gli anarchici pensassero di far saltare il parlamento proprio in questo momento?
Mentre i deputati sono in vacanza!
Bisogna essere proprio a terra per supporre che i rivoluzionari possano scegliere un momento simile.
Non foss’altro che per cortesia, si aspetterebbe il rientro.
Ciononostante l’altra mattina i bottegai di Parigi, nel sistemare le vetrine, con il loro robusto buon senso si son detti:
— Non c’è il minimo errore, vogliono scalzare le basi dei nostri monumenti secolari, siamo di fronte a un nuovo complotto.
Suvvia, suvvia, prodi bottegai! vagate nei territori dell’assurdo. Pensate un attimo che la cospirazione di cui parlate non è nuova; se si tratta di radere al suolo gli edifici tarlati della società che odiamo, è da tanto che se ne parla.
È il nostro complotto di sempre.
E il tempio della Borsa dove i fedeli cattolici così come i ferventi ebrei si danno appuntamento per i riti e i trucchi del loro piccolo commercio, il tempio della Borsa deve in effetti sparire — e al più presto.
I maneggiatori di denaro saranno a loro volta maneggiati dalla pesante carezza delle pietre che crollano.
Allora non si giocherà più in borsa, non si assesteranno più quegli abili colpi che fruttano milioni a società anonime la cui ragione d’essere consiste nello speculare sul grano e nell’organizzare carestie.
I borsisti e i mediatori, tutti i banchieri — i preti dell’Oro, dormiranno il loro ultimo sonno sotto le macerie del loro tempio.
Solo in un simile atteggiamento di riposo apprezzeremo gli uomini della finanza.
Quanto ai magistrati, è risaputo, non sono mai così belli come quando camminano verso la morte.
È un vero piacere vederli.
La storia brulica di lampi pungenti in onore di procuratori e giudici che il popolo, a tratti, ha fatto precipitare nei tormenti. Quegli uomini, bisogna ammetterlo, hanno l’agonia decorativa.
E che superbo spettacolo sarebbe: un gran trambusto in tribunale! Quesnay intralciato da una colonna che gli ha spezzato le vertebre, mentre si sforza di avere l’aria di un Beauripaire colpito alle Crociate; Cabat, che in un ultimo rantolo cita ancora Balzac; e Anquetil, accanto all’esile Croupi, mentre grida:
— Niente è perduto… ci pieghiamo sotto le nostre posizioni!
La scena avrebbe una tale grandezza che le anime pie quali noi siamo piangerebbero sinceramente i vinti. Non vorremmo più ricordare l’ignominia delle toghe rosse — macchiate dal sangue dei poveri; dimenticheremmo che la magistratura è stata vile e crudele.
Sarebbe l’ineffabile perdono.
E se lo stesso Atthalin, questo specialista dei processi tendenziosi, se Atthalin — col cranio leggermente incrinato, chiedesse di essere portato in una casa di cura, si acconsentirebbe galantemente al desiderio del malato.
Gli si darebbe una rinfrescata senza rancore.
In verità, non è indispensabile sentirsi anarchici per essere sedotti dal complesso delle prossime demolizioni.
Tutti coloro che la società flagella nell’intimità del loro essere desiderano d’istinto penetranti rivincite.
Mille istituzioni del vecchio mondo sono marchiate da un segno fatale.
Gli affiliati del complotto non hanno bisogno di sperare in lontani futuri migliori, conoscono un modo sicuro per cogliere la gioia fin da subito:
Distruggere appassionatamente!
[L’Endehors, n. 65 del 31 luglio 1892]