Il cuore di Mohammed, sudanese di 47 anni, ha protestato in maniera estrema e definitiva, smettendo di battere, stanco della fatica, della polvere e del calore. Qualche giorno di scandalo, un po’ di cordoglio e di pietismo delle anime belle della società, e poi il ritorno della quotidianità. Non bisogna meravigliarsi, perché la morte di quest’uomo rientra a pieno titolo nella normalità di questo mondo, una normalità fatta di sfruttamento di poveri disgraziati ad opera di padroni, sostenuti da Governi e amministrazioni locali (di destra quanto di sinistra) e associazioni no-profit che tra tante belle parole hanno lasciato che la situazione rimanesse inalterata.
Questa morte in mezzo ai campi di pomodoro non è un’anomalia, frutto di condizioni di lavoro schiavistiche, bensì la normale conclusione dello sfruttamento capitalista.
Mohammed non era uno dei tanti invisibili, un clandestino, ma un uomo più o meno in regola col permesso di soggiorno, che forse non poteva essere in regola anche col contratto di lavoro per via della sua condizione di apolide, frutto del limbo giuridico in cui ci si trova sospesi quando si è richiedenti asilo, una condizione che impedisce di avere un regolare lavoro. Il fatto che il padrone di turno fosse già stato arrestato per sfruttamento nei campi, al massimo fa riflettere sulla sua poca furbizia, ma non sposta di una virgola la spaventosa normalità di questo genere di morti.
Qual è infatti la differenza tra uno sfruttatore di africani a Nardò ed uno sfruttatore di cinesi nella famigerata Foxconn a Shenzhen, fabbrica-dormitorio dove vengono prodotti gli I-phone, in cui si sono suicidate decine di persone in pochissimi anni? È nella distanza geografica che separa lo sfruttatore dagli sfruttati, perché Steve Jobs (e i suoi eredi) si trovano dall’altra parte del mondo rispetto a coloro che ammazzano per trarne profitto. È un po’ come per la guerra: i combattenti dell’Isis che sgozzano da vicino e si sporcano di sangue sono terroristi, gli eserciti che bombardano a distanza sono esportatori di democrazia. Nella realtà, tolte le sfumature, le differenze non esistono.
La differenza è anche nella distanza – per dir così – sociologica che separa il pomodoro dal telefono; la raccolta del primo è legata alla terra e richiama condizioni di lavoro dure e retrograde, la produzione del secondo è sintomo di progresso e civiltà. Nessuno si chiede, mentre corre sempre più veloce col ditino su uno schermo, quanti morti lasci dietro di sé la nuova, entusiasmante app di cui si vanta con gli amici.
All’interno di questo mondo di merci, fatto di produzione e consumo, e delle sue Repubbliche fondate sul lavoro, non esistono imprenditori dal cuore tenero e crudeli schiavisti, ma vige sempre l’insuperabile divisione in classi tra padroni e servi, tra sfruttati e sfruttatori. In mezzo a tutto ciò, l’unica protesta sembra essere quella del cuore che si ferma, perché in troppi ormai un cuore non lo hanno più o, come diceva il poeta, ha la forma dei salvadanai.
[Brecce n°3, agosto 2015]
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