(Cartello della campagna elettorale della SPD nel 1919)
Furio
Guardare i fatti storici dal punto di vista libertario e svelare gli errori e le lacune dei popoli, e quindi le vie che si sarebbero dovute battere è stato sempre un utile lavoro per il genere umano; sarà più utile parmi, dunque, ai rivoluzionari, in quest’alba tragica e luminosa di Rivoluzione Europea.
Perché – è bene confessarlo ancora – mai come e quanto oggi, il conservatorismo ha adoperato ogni forza e ogni arma pur di placare la deprecata onda rivoluzionaria, che lo deve annegare. In molte regioni, esso vi è quasi riuscito, se un ravvedimento popolare non sarà: potrebbe riuscirvi in Italia, ove molti sono – in buona e mala fede – i politicanti, che sono il maggior pericolo delle Rivoluzioni.
Tutti coloro, dunque, che han riposto nella Rivoluzione ogni speranza per la libertà e per il benessere umano, guardino in faccia la realtà, e sempre impavidi ed audaci, non cessino un solo istante di seguire, di svelare, di prevedere, di rompere il passo al nemico, onde la Rivoluzione possa seguire il suo corso naturale che è prettamente anarchico.
Io ho voluto tentare un tal lavoro, servendomi del movimento rivoluzionario tedesco; e particolarmente di quello di Stoccarda.
Se queste note sembreranno o sono pedanti, non m’importa; so che sono utili e le invio a te, caro Avvenire nostro, affinché le propaghi.
Si è rimproverato alla Germania di non esser rivoluzionaria; anzi fu questo uno dei maggiori motivi, dietro cui i nostri sovversivi, comprati dal capitalismo franco-inglese, trincerarono il loro tradimento e la loro viltà. Ora era necessario osservare le cause che produssero in Germania il fiorire e il crescere delle condizioni e delle idee contrarie allo sviluppo di quelle rivoluzionarie.
Essi non l’hanno voluto o potuto fare.
Facciamolo noi, sulla scorta della moderna storia.
La Germania aveva da poco ricostituita le sue «sparse membra»: l’idea quindi, della «patria una» era sacra, proprio come in Italia, dopo le guerre d’indipendenza. Col rafforzarsi dell’idea della patria, si rafforza anche l’idea del militarismo, specialmente se una o più vittorie guerresche possano accecare tutto un popolo e incoraggiar nell’opera insana di propaganda patriottica tutta una casta interessata.
La guerra del 1870 – dovuta sempre a cause d’interesse capitalistico – e la vittoria non fecero, dunque, che rinsaldare il patriottismo teutonico e rendere intangibile e sacro il militarismo.
L’industria che conquistava i più alti cieli, il commercio fiorente, il carattere freddo e matematico della gente germanica, il vivere relativamente a buon mercato, la scuola fonte, come da per tutto, d’incretinimento patriottico e militaresco, il giornalismo e tutti gli altri mezzi di propaganda, che ha uno Stato intelligente come quello tedesco, tutto questo non faceva che mantenere la neutralità del proletariato in un’atmosfera di patriottismo cieco e fanatico.
A fugar quest’atmosfera, avrebbe potuto contribuire una sana propaganda socialista. Ma chi non lo sa? Nella teoria del materialismo storico ci sono due lati: quello conservatore, che sgorga su dalla teoria hegeliana della razionalità di tutto quel che esiste, e quello rivoluzionario, che vien su dalla naturale comprensione dei fatti e dell’anima delle folle operaie.
Trionfò il lato conservatore. «Il socialismo – dissero i pontefici della socialdemocrazia tedesca, e i pappagalli esotici ripeterono – è questione di maturità economica».
La Rivoluzione è quindi inutile: il divenire del socialismo è automatico (come… il loro inganno!). E Bebel, il papa social-democratico, il cui ritratto ancora adesso è appeso alle pareti d’ogni casa di buon tedesco, Bebel nei Congressi Socialisti Internazionali ragliava il «prima esser tedeschi e poi socialisti» proprio come lo ragliavano i suoi colleghi d’oltremonte e d’oltremare.
Il lato rivoluzionario del marxismo fu fatto proprio e sventolato e diffuso dai pochi, com’erano combattuti dallo Stato e dalla borghesia, e infangati e perseguitati e insultati e derisi dagli stessi social-democratici, che non li inscrivevano neppure nelle organizzazioni operaie o li scacciavano (oh, il settarismo anarchico!!!) ove fossero inscritti. Che potevano fare questi pochi anarchici, se non assistere dolorando al trionfo dell’errore dell’inganno, fatto dallo Stato e dalla borghesia?
Il militarismo doveva, per tutte queste ragioni, essere il trionfatore.
E trionfò.
La guerra europea trovò il popolo tedesco in queste condizioni, e perciò fu da esso accolta con un delirio d’entusiasmo. Ma, man mano che la guerra infuriava, l’entusiasmo diminuiva d’intensità, e alla «patria» cadeva a brandelli la maschera di madre buona e affettuosa. Pur non di meno, lo stato di guerra fu cristianamente sopportato, onde per tutto il periodo della guerra il sentimento della ribellione popolare parve ancora morto o assopito. Ma l’imprevisto maturava, e se ribellioni non accaddero, il morale decresceva spaventosamente: onde il giorno che si seppe della sconfitta bulgara, dell’entusiasmo guerriero non rimaneva più che un cumulo di macerie.
Una era allora l’esclamazione nel popolo: Deutschland caput! (la Germania è vinta!). E sul volto di tutti si leggeva il segreto dolore del vinto che aveva sempre sognata la vittoria.
La borghesia, l’aristocrazia e lo stato ne furono impressionati, prevedendo prossima l’ora dei conti: e ne corsero ai ripari. Se ne servirono, more solito, della stampa. Infuriava la «grippe»; ed i giornali ne agitarono straordinariamente lo spettro del pericolo, citando delle cifre favolose di morti.
Era il diversivo – chi non se n’è accorto? – adatto a far dimenticare quel che avveniva nei diversi fronti.
Ma l’indeprecabile gravava sul cielo di Germania.
Con la fame e la grippe venne anche la disfatta militare.
Allora anche lo spirito popolare fu depresso.
Lo spirito militarista cadeva con un tonfo sordo nello sconforto e nelle sofferenze generali; lo spirito di rivolta sorgeva, vendicatore.
Fu allora tutta una simpatica promettente fioritura di sentimenti rivoluzionari.
Ma chi era amico della Rivoluzione?
La social-democrazia, vecchia e balorda com’era, aveva fatto bancarotta e se dal suo seno non fosse nato «Spartacus», siamone certi, del socialismo tedesco non sarebbe altro rimasto che un triste, ridicolo, obbrobrioso ricordo del passato. Simpatico e caro questo «Spartacus»! Nato, durante la guerra, per osteggiare e combattere la guerra e i suoi più pericolosi difensori (i maggioritari), il «Fascio Spartaco» (Spartacus bund) ebbe l’adesione delle anime più dritte e più fiere del sovversivismo tedesco: socialisti prima, sindacalisti e anarchici poi.
Dovevano dunque esser gli spartachisti ad accorgersi per primi, in agguato come attendevano, della metamorfosi avvenuta nel popolo e del sorgere della Rivoluzione.
Erano in pochi, ma che importava? Il necessario era d’agire e presto; e decisero di scendere in piazza.
Si era al 4 novembre 1918.
Il governo, stretto ed incalzato come era da tutte le parti, fu impotente a intimare un semplice «verboten». Il vile non è forse prudente? Anzi, non li ostacolò affatto. Come poteva ostacolarli? Usò un altro metodo. Lasciò o consigliò o ordinò ai giornali di adottare una tinta più o meno rivoluzionaria.
Era l’inganno che incominciava (1).
D’altra parte, i duci dello spartachismo osannavano alla «Russia dei Soviet», alla Rivoluzione, e ai Consigli di Operai e Soldati.
Ma il nuovo governo (fatto di maggioritari) che ufficialmente non esisteva ancora, ma che purtroppo era padrone della situazione, avendo con sé la grande maggioranza delle masse, se ne rideva. Sapeva bene che quelli eran «quattro gatti, miagolanti sulla strada», e invece di reprimerli e provocar le masse già in corrusco, li lasciò fare. E si mise sulla difensiva, per offendere.
L’indomani tutti i giornali riportavano che «gravi disordini» furono commessi dagli spartachisti e che il carattere dei disordini era pronunziatamente bolscevico. Ora, che il carattere della dimostrazione fosse stato bolscevico, nessuno lo pone in dubbio; ma che si sian commessi «gravi disordini», questo poi no.
Fu una semplice scaramuccia, un primo attentato contro lo Stato pericolante, sorretto dai socialisti maggioritari.
Ma allo Stato giovava il far passare da briganti gli spartachisti; i quali, d’altronde, ci guadagnarono, poiché i nomi di «Spartacus» e di «bolscevismo» si diffusero in proporzione geometrica.
D’allora in poi non si parlò più del bacillo «grippe»; si parlò a iosa del bacillo «Spartacus». E il perché è evidente. «Spartacus» era l’unico partito amico della Rivoluzione nascente.
Intanto la disfatta della Monarchia asburgica e l’avvento delle repubbliche, facevano precipitare la situazione dell’esercito tedesco, e la rivolta e la Rivoluzione si aprivano il passo.
I politicanti compresero che un cambiamento era assolutamente necessario e, prima che il popolo lo attuasse, corsero ai ripari.
Gridarono in tutti i torni: Viva la Repubblica… Sociale! E prepararono la commedia del 9 novembre, in tutta la Germania (2).
Ma ecco ad un tratto, il 7 novembre, la Baviera ribellarsi a Berlino.
Fu questa un’altra astuzia degli autori della commedia? Non si sa bene, ma è presumibile, perché il nuovo governo sorto in Baviera si proclamò innocente della guerra e di tutti i suoi delitti: vale a dire iniziava il prologo della commedia (3). Non più monarchia, non più impero; ma la Repubblica… Sociale con la sua innominabile cuccagna!
La notizia, evidentemente, fu propagata fulmineamente per tutta la Germania; i giornali ne levarono osanna e il popolo cieco, folle d’entusiasmo, si mise anch’esso a ragliare: Repubblica! Repubblica! Fosse la fine di tutti i mali.
La commedia era così magnificamente riuscita: la collera, il sentimento di ribellione delle folle eran deviati: la società capitalistica era salva ancora una volta!
La mattina del giorno nove, infatti, furon da per tutto distribuiti a profusione dei manifestini, firmati dalle «organizzazioni operaie e dai partiti socialisti maggioritario e indipendente», non che dal partito… democratico!
(I comunisti non erano ancora costituiti in partito, ma solo in gruppi politici illegali: Spartacus bund).
In essi, dopo una lunga teoria d’improperi e d’accuse contro Ludendorff e compagni, si invitavano gli operai d’ambo i sessi a riunirsi, a dimostrare a pro… della pace. (Inutile dire che tutto questo era fatto con la collaborazione dei capitalisti e dei poliziotti!)
Ed ecco alle 9 del mattino, infatti, fischiar di sirene, fermarsi di macchine e lunghe file di operai, avversari, al punto di riunione. Quivi uno sfarzo di bandiere rosse su un monumento dal pliuto fornito di oratori e… e poi giù, una sequela di inviti a rimaner calmi, a restare nell’ordine e nella legalità, a non imitare i russi, a non far gli anarchici, i vandali, ecc. perché ci sarebbero stati loro, i maggioritari, ad accomodar le faccende. Se qualche voce stonata si elevava, essa era subito costretta a tacere. Ma, che volete? La corrente ribelle c’è sempre in mezzo alla folla, e non necessitava che la scintilla per dar luogo all’incendio.
E la scintilla venne. Quattro soldati, in pieno assetto di guerra, venivano da una strada adiacente, ed erano accompagnati da alcuni «sanculotti» che li festeggiavano, quali li avessero voluti sedurre. Dalla folla allora partì il grido: I soldati! I soldati! Un della folla salta sul pliuto del monumento ed urla un «basta con le parole!» e un «andiamo a prendere i soldati!». La folla si muove: si va ad espugnare le caserme, al grido di: Viva i Consigli di Operai e Soldati! All’elezione dei Consigli!
Assenti gli ufficiali, o con l’ordine di non far nulla per non provocare la violenza della folla, i soldati disertaron le caserme, ruppero i fucili, gettaron le munizioni, stracciarono i distintivi, si confusero nella folla che era già in ebollizione. Si occupò ancora qualche altra caserma, fra l’entusiasmo della folla, che s’ingrossava sempre più.
La Rivolta guadagnava terreno.
Ma i comunisti – unici amici della Rivoluzione, in quell’ora – non compresero che, per vincere, bisognava armare e spingere alla espropriazione quella folla in corrusco.
Ammalati di legalitarite e di poterite acuta, pur di vedere uno dei loro assiso sui seggi del governo, e per di più al Ministero della Guerra (lo Schreiner, che poi passò agli indipendenti) invece di distribuire le armi al popolo e di cominciar la espropriazione, predicaron la calma ed accettarono la… Repubblica Sociale, tra gli evviva di… Liebknecht e di Rosa Luxembourg!
Se qualche operaio si era fornito di armi, nell’invasione della folla nelle caserme, egli era subito disarmato dai comunisti stessi (4).
All’indomani si riunirono le organizzazioni operaie, economiche e politiche, e il loro compagno Ministro della Guerra fu mandato a spasso perché… senza voti!
Il Potere sculacciava i poteristi!
L’esempio era dato; ma le folle avevan perduto ormai l’occasione di armarsi.
Se i comunisti non fossero stati statolatri, ovverosia avvelenati dalla lue della «conquista del potere», la Rivoluzione avrebbe vinto, poiché la folla armata avrebbe, o prima o dopo, imposto i suoi voleri. Invece!… Ah, malefico miraggio del Potere!
Quale sirena esso non è mai per chi ha nel sangue l’ereditaria abitudine del comandare e del servire!
Per esso spesse volte si uccidon le madri, si prostituiscono i figli, si tradiscono i fratelli e gli amici, si pugnalano i popoli, si marchiano d’infamia le età!
Eppure, con tanti secoli di esperienza, ancora non si è compreso che la salvezza del mondo sta nella morte del Potere?
Fino a quando?
Ancora. La folla non faceva altro che gridare di volere i Consigli di Operai e Soldati.
I maggioritari, ossia il nuovo governo, compresero che non vi era altro per impedire lo sviluppo dell’idea dei Consigli che col cacciarvisi dentro essi stessi. Presero, dunque, parte alle elezioni ed ebbero la maggioranza – i comunisti, ebbero circa il 2 per cento – e così presero la direzione del movimento.
I comunisti furono ancora vinti per essersi lasciati lusingare dalla «conquista del potere» e, dopo il 9 novembre, la loro Rote Fahne (Bandiera Rossa) – che aveva per sottotitolo: Organo dei Consigli di O.S.C., e che si stampava con denaro prelevato da una banca a carico del nuovo governo – dovette sopprimere quel sottotitolo e rassegnarsi a non aver più denaro. Non solo; ma, d’allora in poi il movimento antisovietista cominciò a farsi strada e a vincere.
I membri dei Consigli Operai e Soldati viravano sempre più verso destra, fino a dare al governo il voto di fiducia.
L’idea rivoluzionaria dei Consigli Operai e Soldati era colpita a morte: i politicanti v’erano riusciti.
E intanto l’esercito era nuovamente caduto nelle mani dei reazionari, provvisoriamente in tinta repubblicana sociale; e le truppe ignare che tornavano dal fronte servivano inconsciamente la causa reazionaria.
Invano i comunisti diffondevano fra esse manifestini e giornali: i soldati obbedivano ormai agli ufficiali e questi erano per la reazione.
La Rivoluzione era fermata, deviata, umiliata per l’infamia dei socialisti maggioritari, per la viltà dei socialisti indipendenti, per l’errore dei comunisti; la Rivoluzione era perduta, insomma, perché si è lasciato trionfare il principio della «conquista del potere» invece di quello che consiste nel lanciare il popolo armato alla distruzione e alla ricostruzione sociale, onde solo una Rivoluzione è vittoriosa.
Ah! signori socialisti, e voi pochi anarchici e rivoluzionari che andate in brodo di giuggiole al pensiero della Dittatura, avete ancora il coraggio di proclamar la necessità di conquistare il Potere in periodo rivoluzionario? No, no! Lasciate – ed è questa l’unica via di salvezza – che la Rivoluzione sia data tutta in balia al genio multianime della distruzione, che è la vita! Lasciate che il popolo armato si scateni su tutto e su tutti e rinnovi alfine con le proprie mani la vita dell’Uomo!
Altro che Governi provvisori! Altro che Comitato di salute pubblica! Altro che Dittature!
Per fugare la controrivoluzione, per schiacciare la testa alla reazione, per distruggere il passato non c’è altro mezzo che armare la folla; come per ricostruire la vita sociale non c’è altro mezzo che lasciar libera, libera, libera la folla!
Ad occupar dei… seggi avrete sempre tempo! Quando, abolita la società capitalistica statale ed inaugurata quella dei liberi produttori e degli uomini, fratelli, se avete delle qualità speciali, potrete benissimo entrare nell’amministrazione della nuova società e compiere intero il vostro dovere!
Ma fino ad allora, no. Fino ad allora non ci ha da essere che un solo proposito, espresso dal grido di guerra: – Perché la Rivoluzione trionfi, abbasso il Potere, qualsiasi Potere!
Dalla Germania
(1) L’adattamento dei politicanti è anche una causa del fermarsi e dell’abortire di un moto rivoluzionario. Lisciare, carezzare il popolo quando è in corrusco, e appena placato, pugnalarlo: ecco il metodo dei politicanti! Se il popolo allora avesse espropriato i signori, avesse inaugurato un nuovo sistema di vita sociale, chi l’avrebbe ostacolato? Non bisogna perdere tempo, appena la rivoluzione scoppia. Bisogna agire fulmineamente, bisogna spingere il popolo immediatamente agli estremi, un minuto che noi perdiamo è un immenso aiuto al conservatorismo, il quale, in agguato, attende di ripigliar nuove forze e sorgere e dominare ancora. Se volete l’avvenire, distruggete immediatamente e violentemente il passato. Chi vi si oppone? Un corpo, un’Idea? Ebbene: chi non è con voi è contro di voi: accomunate i nemici col passato: passate anche sul loro cadavere. E la Rivoluzione vi benedirà!
(2) Deviare il malcontento popolare, prevenendone lo scoppio con un finto moto rivoluzionario: ecco un altro metodo dei politicanti, che non bisogna mai dimenticare.
(3) Il proclamar nuovi governi è ancora un mezzo efficacissimo per placare la ribellione delle folle. Abituate come sono a credere nella virtù delle leggi, esse si adattano facilmente al pensiero del bene che porterà il cambiamento di governo, tanto più che – esse, amorfe e amiche sempre del quieto vivere – non hanno da scomodarsi affatto, ma solo da attendere. E lasciano fare; ma, quando si accorgono dell’inganno, esse sono bell’e legate, e invece del bene sognato ricevono un male raddoppiato.
(4) Al compagno, che mi ha fornito questi documenti, è capitata anche la stessa sorte.
[l’Avvenire anarchico, n. 43, 7/11/1919]