SOTTO LE MURA DEL CARCERE DI PESARO DI DOMENICA 22 NOVEMBRE
Domenica sotto il carcere di Villa Fastiggi c’è stato un presidio voluto da centinaia di
compas, soprattutto giovani, provenienti da tutto il centro e il nord Italia in memoria di
Eneas: un ragazzo di 28 anni ucciso nel-da questo carcere il 25 settembre scorso a
causa di un arresto razzista, di carcerieri assassini. Lì, assieme a sua madre serena e
decisa e alla sorella abbiamo ricordato Eneas, impegnandoci a continuare la lotta contro
carceri, Cie, razzismo: contro ogni tipo di sfruttamento.
Eneas è morto. Morta però non è la sua vitalità, la sua forza, la sua combattività.
Arrivato in Italia con la famiglia dal Marocco che andava ancora all’asilo, non ha avuto
vita facile; ha conosciuto strada e galera ma non si è mai abbrutito e non ha mai mollato.
Lo sa chi ha vissuto con lui, chi ne ha sentito parlare che, insieme chi è rinchiuso
in quel carcere, ha urlato il proprio odio in faccia ai suoi assassini che, con la loro direttrice,
dall’alto del muro di cinta squadravano il presidio.
Fra chi era in cella e chi era fuori, per l’intero pomeriggio (dalle 15 fino a oltre le 18) ha
preso vita una comunicazione intensa. Da dentro sono uscite tante voci che hanno raccontato
brutalità e infamie a cui quotidianamente è sottoposto chi è rinchiuso. Hanno
urlato che il mangiare fa schifo e si è obbligati al sopravvitto e il cibo da casa non entra,
che sono in vigore restrizioni riguardanti colloqui, socialità, pacchi; censura e blocco della
posta; che i medici sono incapaci e le medicine non ci sono, e non c’è il defibrillatore.
Che in due anni sono state ammazzate cinque persone e tutte sotto i loro occhi. Che la
direttrice è una sadica e da quando c’è lei sono chiusi tutto il giorno. Una direttrice (vedi
volantino) messa lì, coperta da chi dirige tutte le carceri e ogni grado di carcerieri: da
Stato, Ministero e DAP che vogliono trasformare le carceri in veri e propri lager.
Interventi hanno socializzato quanto avviene in altre carceri, da quelle venete al lager
di Agrigento dove i detenuti di tutto il carcere delle sezioni “comuni” sono scesi e rimasti
all’aria per dire basta morire di galera ammazzati come carne da macello.
Sin dal mattino e contemporaneamente al presidio un gruppo di compas con spiccheraggi
e volantinaggio ha ampliato la comunicazione, costruendo così una certa sintonia
fra chi è dentro e l’esterno. Far conoscere storie come quelle di Eneas, far uscire le urla
dalle carceri, è decisivo per rompere luoghi comuni paralizzanti allo scopo di mobilitarsi
contro ogni tipo di carcere, Cie compresi.
Il presidio ha raccolto il coraggio delle urla che uscivano dalle sbarre assieme alle fiamme
di carte, di pezzi di materassi o che altro. Non a caso “Fuoco alle galere”, “Fuori
tutte/tutti dalle galere dentro nessun* solo macerie” sono state, assieme a “Assassini”,
le parole d’ordine maggiormente urlate.
E’ innanzitutto in quest’armonia che la solidarietà trova le finalità che gli mettono le ali
per manifestarsi. Anche in questo senso l’incontro-presidio è stato stupendo perché
chiama a riflettere concretamente sull’impegnarsi oggi contro il carcere, contro la società
che ne ha bisogno, come è emerso anche negli interventi. L’impegno è grosso, ma
del resto, anche mettere in piedi questa giornata non è stato semplice. Unirsi e lottare
assieme, facile a dirsi, è in ogni caso indispensabile anche perché diventa esempio,
spinta per chi è dentro. Come si dice: un lungo cammino inizia sempre…
Segue il volantino letto e distribuito davanti al carcere nei giorni precedenti il presidio.
***
CON ENEAS UNO DI NOI AMMAZZATO DAL CARCERE
Siamo amici di Anas Zanzami, ragazzo che era detenuto in questo carcere e che è stato
ammazzato il 25 settembre. Il carcere uccide ovunque.
In questo carcere la situazione è particolarmente preoccupante, anche a causa della nuova
direttrice: Armanda Rossi. Sappiamo di lei grazie ai racconti dei detenuti del carcere di
Campobasso (di cui era direttrice prima di essere trasferita qui) raccolti dal giornale ‘Il
Garantista’. Ecco qui uno stralcio:
“…I racconti dei detenuti hanno messo in forte evidenza un comportamento che lede
fortemente la dignità umana di tutti coloro che sono rinchiusi nel penitenziario. I detenuti
lamentano le privazioni anche più elementari, come ad esempio il mancato accesso
di molti generi alimentari e persino i dolci in uso durante le festività (panettoni, torroni,
uova di pasqua), di tutti i prodotti farmaceutici di libera vendita, l’acquisto di giornali
che la direttrice non ritiene idonei. Sistematicamente viene negato ai familiari dei
detenuti di portare qualsiasi genere alimentare.
I rapporti con i familiari sono fortemente limitati, con restrizioni non previste dalla normativa
vigente, come ad esempio le telefonate sia ordinarie che straordinarie, sono vietati
i colloqui con persone che pur essendo familiari non portano lo stesso cognome.
Nello scorso mese di agosto ha disposto con un ordine di servizio che i detenuti non
potevano effettuare colloqui e telefonate con i propri avvocati, privando di fatto il diritto
alla difesa sancito dalla Costituzione. Non vengono autorizzate le autocertificazioni e
lo svincolo dei soldi. Questi episodi insieme ad un atteggiamento e linguaggio di sfida
(un detenuto di etnia rom che chiedeva un colloquio si è visto rispondere: «Questo è un
carcere, non un albergo ed io sono Hitler!») hanno portato i detenuti all’esasperazione
ed a porre in essere atti di autolesionismo pur di aver ascolto…”
Eneas non ha accettato tutto questo, e neanche noi vogliamo farlo.
È importantissimo farsi sentire da fuori, portare dentro queste parole e la nostra solidarietà.
Far sentire alla direttrice ed alle guardie che è scaduto il loro tempo, che ora si sa
quello che accade là dentro. Non avremmo mai pensato che un fatto come questo
potesse succedere ad un nostro amico, ad un nostro fratello, benché Eneas fosse riuscito
a mandare una lettera in cui raccontava ciò che accade qui.
Non avremmo mai pensato che potessero ammazzarlo. Ma è accaduto. Dobbiamo fare
in modo che non accada più!Rompere questo muro di silenzio, incontrandoci, parlandoci,
per costruire insieme sostegno morale e concreto a chi è dentro. Affinché sia sempre
più forte la voce e la lotta di chi è recluso/a. Affinché guardie e direttrice sentano
che i detenuti/e non sono soli/e e quindi capaci di reagire a restrizioni e prepotenze; sia
individualmente che insieme.
Domenica 22 novembre alle 15 troviamoci al carcere di Villa Fastiggi (Pesaro) assieme
a prigionieri/e per far sentire loro la nostra solidarietà e complicità nella rabbia e nell’odio
contro carcere e carcerieri.
fonte: Olga, opuscolo novembre 2015