Peter Linebaugh
Etimologicamente, giubileo deriva da yobel, parola ebraica che significa «corno del capro».
Fin da subito è stato associato alla musica — un corno, una cornetta, una tromba — e successivamente al canto. Il corno discende dal cornu del pastore; la tromba e la trombetta dalla buccina del soldato romano; questi corni sono strumenti di incontro e di militanza. Nelle Indie occidentali e nelle isole dei Mari del Sud la conchiglia a spirale emette un suono molto esteso. Era usata dai Tritoni dell’antica mitologia, e dagli schiavi haitiani il 21 agosto 1791 come richiamo alla guerra di liberazione nella prima vittoriosa rivolta di schiavi della storia moderna. La prima cosa a proposito del giubileo, quindi, è che si ascolta.
«Il dieci del settimo mese, farai echeggiare un suon di tromba. È il giorno dell’espiazione e in quello farete udir la tromba per tutto il vostro paese. Voi santificherete il cinquantesimo anno e proclamerete la libertà nel paese per tutti i suoi abitanti». (Levitico 25:9-10)
La seconda cosa da dire è che il giubileo è in uso da lungo tempo. Lo si può trovare spiegato nell’Antico Testamento, soprattutto nel Levitico 25 ma anche altrove. Esso comprende sette idee. Primo, avviene ogni cinquant’anni. Secondo, promette la restituzione della terra («i beni venduti rimangano, fino all’anno del Giubileo, in possesso del compratore; nel giubileo, questi ne esca e l’altro rientri nel suo possesso», 25:28). Terzo, il giubileo esige la cancellazione dei debiti. Quarto, libera gli schiavi e i servitori vincolati («Qualora un tuo fratello si fosse con te indebitato e si fosse venduto a te, non gl’imporre delle fatiche da schiavo», 25:39). Quinto, il giubileo è un anno di maggese («sarà un anno di totale riposo per la terra», 25:5). Sesto, è un anno senza lavoro («non seminerete, e non mieterete quello che è nato da sé e non vendemmierete le viti che non sono state potate: è il giubileo, anno sacro per voi», 25:11-12). Settimo, il giubileo esprime la sovranità divina («la terra è mia e voi siete presso di me soltanto come forestieri e ospiti», 25:23).
Un parere prevalente è che il giubileo fosse uno stratagemma antiaccumulazione, simile al potlatch o al carnevale, che in realtà ha mantenuto l’accumulazione. Ponendo restrizioni sul debito, la schiavitù e la proprietà fondiaria, il giubileo ha rafforzato un sistema sociale basato sul denaro, il credito e lo sfruttamento. Era il freno che faceva funzionare il motore. Scrivendo su Israel Law Review, Westbrook afferma che il giubileo riassume le leggi di liberazione dei prigionieri e dagli impegni, oltre alla legge del maggese, comuni ai sumeri, ai babilonesi e agli israeliti. Si trattava di una normale valvola di sicurezza legale e agraria dei tempi antichi. Questo riduce la giustizia all’opinione dei giudici. La virtù liberatoria che è l’essenza del giubileo diventa il legalismo prestidigitatorio contro cui metteva in guardia José Miranda, teologo messicano della liberazione, quando analizzava il significato della parola ebraica mispat, che significa giustizia o virtù. Miranda avrebbe compreso la critica dei detenuti americani che dicono «nelle aule di giustizia la sola giustizia è nelle aule». La teofania dell’Antico Testamento deriva solo ed esclusivamente dal vocabolo mispat, a sua volta derivato dal grido dell’oppresso — sa’aq/za’aq — un grido distante dal «giusti noi!» delle cricche dirigenti.
Per esaminare il testo biblico sul Giubileo dobbiamo conoscere qualcosa dell’antica storia ebraica. Tuttavia, prima di immergerci in questo, intoniamo un canto. In Inghilterra il motivo suggerito è «Dio salvi il Re», in America il titolo è «America».
Hark! come il suono della tromba / proclama alla terra attorno / Il Giubileo! / Dite a tutti i poveri oppressi / Non devono più essere vessati / Né i padroni molestare / La loro proprietà (…) Da ora in poi questo Giubileo / Mette tutti in Libertà / Lasciateci essere felici / Visto che ogni uomo è ritornato / al suo possesso / Non più come fannullone da compiangere / dalla tristezza dei padroni!
Si tratta de «L’Inno del Giubileo; ovvero, una canzone da cantare all’inizio del Millennio, se non prima». È stata composta nel 1782 da Thomas Spence, «il non nutrito avvocato del diseredato seme di Adamo». Le sue origini sono oscure. Potrebbe essere stata scritta dal compositore elisabettiano dottor John Bull, oppure potrebbe essere stata in origine un canto tedesco dei bevitori di birra. Diventò l’inno nazionale britannico nel 1745, l’anno della conquista della Scozia giacobita, combinando la paura della sconfitta col fervore della conquista, emozioni espresse anche dal suo ritmo gagliardo.
Il motivo è piaciuto sia in alto che in basso. I soldati francesi, americani, inglesi e tedeschi lo cantavano in battaglia durante la prima guerra mondiale, ognuno con parole differenti naturalmente. Handel lo usò, come pure Beethoven. Anche Weber lo usò nella sua Ouverture of Jubilation (1818), composta per il cinquantesimo anniversario dell’ascesa del re di Sassonia. Non è certo che egli abbia sentito la canzone di Spence. Ritengo che si possano distinguere tre tradizioni del giubileo nella storia moderna: un giubileo aristocratico (in Vaticano c’è una “porta del giubileo”; i monarchi hanno un giubileo tutto per loro se durano almeno cinquant’anni), un giubileo borghese (che considereremo fra breve) e un giubileo proletario (a cui penso che Spence abbia dato vita in tempi recenti).
La storia del giubileo è cominciata nel XIII secolo a.C. quando, si ipotizza, Mosé condusse gli schiavi fuori dall’Egitto. Trecento anni dopo, Salomone e Saul formarono la monarchia d’Israele. Quattrocento anni dopo questo, nel 587, Gerusalemme venne distrutta e gli ebrei furono fatti prigionieri dai babilonesi. Essi ritornarono alla fine del VI secolo che dà inizio al periodo del post-esilio, quando i preti tentarono di riunire ancora i pezzi collezionando, diffondendo e copiando numerose canzoni, leggi, pratiche rituali, tradizioni e memorie orali. La Torah, o “Legge di Mosé” — i primi cinque libri dell’Antico Testamento — furono il risultato.
Essi incorporarono diverse tradizioni d’autore (J, E, D e P). José Miranda distingue due tendenze politiche all’interno di queste tradizioni: la tendenza “esodica”, libertaria, o Kadesh, e la tendenza legale, convenzionale, o sinaitica. La prima si riferisce al periodo rivoluzionario; la seconda si riferisce alla controrivoluzione sociopolitica sotto la monarchia. In quanto parte di P, o del Codice sacerdotale, il Levitico è stato scritto durante l’era post-esiliare, quando Israele si trovava sotto il dominio persiano. Il Levitico sottolinea l’unicità e la vetustà delle regole e dei costumi israelitici, e generalmente cade sotto la tendenza sinaitica. Nel 1877 Klostermann identificò un distinto “Codice di santità” all’interno di P. Esso comincia col capitolo 25, ed è parte della tendenza Kadesh. Il capitolo 25 rappresenta una memoria non del periodo della monarchia ma di quello rivoluzionario precedente. Quindi, il Levitico 25 è lo spostamento condensato in un codice legislativo di una esperienza egualitaria precedente di cinquecento anni. Può essere utile paragonarlo alla Carta dei Diritti, in parte originata dai periodi rivoluzionari, che altrimenti sarebbero stati completamente cancellati dalla Costituzione degli Stati Uniti di padroni, mercanti e schiavisti.
Sotto la monarchia ebbe luogo la differenziazione di classe. Era questo il periodo della denuncia profetica, la collera di Isaia, le lamentazioni di Geremia, il disprezzo di Ezechiele. Durante questo periodo il giubileo era stato espresso come parte di una poetica visionaria di denuncia, quando i profeti cercarono di risvegliare la gente dal loro torpore verso la superbia e l’idolatria dei loro governanti. Le loro denunce vennero scritte nell’VIII secolo, due o tre secoli prima del Levitico, quindi più vicino all’esperienza della liberazione del XIII secolo. Isaia denuncia i padroni e gli affaristi latifondisti che spopolano la terra: «Guai a quelli che aggiungono casa a casa, e uniscono campo a campo, sino ad occupare ogni spazio e diventano i soli proprietari nel centro del paese» (5:8).
Michea s’identifica con i senza terra e riferisce di un’assemblea di distribuzione della terra: «Guai a coloro che meditano cose inique, e preparano il male nei loro letti: lo mettono in esecuzione appena spunta il mattino, perché hanno la forza in mano. Essi bramano i campi e li usurpano, le case, e se le prendono; fanno violenza all’uomo e alla sua casa, al proprietario e al suo possesso» (2:1-2). «Siamo spogliati di tutto! La parte del mio popolo è venduta, e più nessuno la restituisce! Fra i ribelli son divisi i nostri campi! Per questo, tu non avrai nessuno che misuri con la corda le porzioni nell’adunanza del Signore» (2:4-5).
Ma come ha potuto una poetica visionaria diventare un codice legislativo? Venne fatto una specie di accordo di classe, ci fu cioè un risveglio della classe dei preti e dei padroni nei confronti degli spossessati, dei debitori e degli schiavi, la cui cooperazione contro il dominio persiano venne ricercata attraverso l’accettazione della possibilità pratica del giubileo, almeno da parte dei preti e degli scribi che avevano messo assieme la Bibbia.
Com’era il periodo precedente? È importante non considerarlo in termini etici; questo è un contributo indubbio e saliente della dottrina recente.
Il termine “Ebreo” deriva da ‘apiru dalla lingua egizia; è un epiteto peggiorativo che indica un fuorilegge, un insubordinato, un oppositore all’imperialismo egiziano. La gente sopravviveva grazie all’agricoltura pluviale (grano, olio, vino) e ad un’economia pastorale (greggi bovine, pecore e capre). Attrezzi di ferro negli altipiani di Canaan, terrapieni di roccia, intonaci di calce spenta per cisterne d’acqua, sono alcuni dei cambiamenti tecnologici della fine del XIV secolo che disturbarono le strutture sociali e il sistema di spartizione delle terre. La produttività della terra e la conservazione del surplus permisero lo sviluppo indigeno delle classi e la formazione di piccole città-Stato.
Gli studiosi avevano proposto tre modelli per la colonizzazione di Canaan: 1) il modello più antico e familiare dell’invasione, 2) il modello dell’immigrazione e dell’infiltrazione che Alt suggerì nel 1925, 3) il modello della rivolta interna proposto per la prima volta da Mendenhall nel 1962. Scrive Norman Gottwald: «in precedenza Israele era una eclettica formazione di popolazioni canaanite marginali e povere, fra cui contadini “feudalizzati”, ‘apiru mercenari e avventurieri, pastori transumanti, coltivatori organizzati tribalmente e nomadi pastori, e probabilmente anche artigiani ambulanti e preti scontenti». I soliti sospettati, in altre parole. Egli conclude, «una classe in sé, fin qui una congerie di segmenti separati in lotta della popolazione, è diventata una classe per sé» — Israele. La prima letteratura di Israele, quindi, dava voce alla coscienza rivoluzionaria delle sottoclassi canaanite. Invero, la primissima letteratura di Israele era una “bassa” letteratura sia come origini che come argomenti.
Il punto è fondamentale e incide su tutto il seguito. La teologia della liberazione richiede un riassestamento della religione cristiana e di quella ebraica. José Miranda fornisce un esempio conciso. La parola ebraica sedakah significa «giustizia». Eppure, sin dal sesto secolo d. C. è stata tradotta con «elemosina» o «carità». La differenza fra giustizia e carità è la medesima che sussiste fra uguaglianza e oppressione, essendo la carità un rapporto tra non uguali laddove la giustizia è un rapporto fra uguali. Sono passati quattordici secoli da quando la cattiva traduzione di una singola parola ha aiutato a perpetuare la condiscendente ed ipocrita pietà delle classi dominanti che rubano le vostre sigarette mentre vi aiutano a reperirle invitandovi a non farne uso.
Il linguaggio del giubileo non è né di perseveranza legale né di propositi didattici. Esso è «un atto linguistico che continua ad avere una pericolosa forza in ogni genere di contesto che non sia né legislativo né didattico» — come sostiene Sharon Ringe. Il suo significato è spiegato attraverso l’esperienza e le lotte degli oppressi. Il suo argomento accende Isaia. «Lo spirito del Signore Dio è su di me, poiché il Signore mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per portare la buona novella ai poveri, a curare i cuori stanchi, ad annunziare la libertà agli schiavi, la liberazione ai prigionieri, a proclamare l’anno di grazia del Signore e un giorno di vendetta per il nostro Dio; a consolare tutti gli afflitti» (61:1-2).
«L’anno di grazia del Signore» — concordano tutti i commentatori — è il Giubileo. È chiaro da questo passaggio che il giubileo non è un accordo socialdemocratico di leggi per preservare un sistema di scambio di merci contro la rivolta periodica. Isaia ha allargato il significato del giubileo dalla manovra di miglioramento del Levitico al giorno di vendetta a favore degli afflitti, dei prigionieri, dei cuori stanchi, degli schiavi. Isaia parla con una classe sconfitta. La classe non elemosina più riforme; chiede giustizia.
Le parole di Isaia furono le prime di Gesù. Quando Gesù ritornò a Nazareth e iniziò a predicare, aprì il rotolo di pergamena del profeta Isaia nella sinagoga e proclamò «l’accettabile anno del Signore». La Bibbia di Ginevra del 1560 annotò a margine della prima predica di Gesù: «egli allude all’anno del Giubileo, che è menzionato nella Legge, per mezzo del quale questa grande liberazione è stata raffigurata». Poi egli aggiunge «oggi si è compiuta questa scrittura che voi avete udita coi vostri orecchi». Questa è la chiave. Non è una questione di interpretazione, ma un argomento di azione. La eschaton non è del futuro; è presente. Adesso. È stata proclamata. Gesù era la tromba. Ecco perché cercarono di lanciarlo da una rupe.
Così passiamo dalla Legge (Levitico), alla Poetica (Isaia), alla Realizzazione (Luca). La liberazione del giubileo è tenuta a mente: remissione dei debiti, liberazione dei prigionieri, niente lavoro, sovranità divina. Tuttavia qualcosa viene persa in questa progressione: letteralmente, la base materiale. Non viene detto nulla della terra. Che rappresenti una sconfitta, sostituire la chiacchiera del paradiso in cielo con la camminata sulla terra confiscata? Se così è, si tratta forse di un riflesso delle basi urbane del primo cristianesimo, che dopo secoli di vita cittadina non credeva nella preghiera a favore della restituzione della terra? Gesù conosceva lo sfruttamento proletario. «Gli ultimi saranno i primi e i primi ultimi», conclude una parabola a proposito della registrazione dei salari ai contadini. Queste sono anche le parole usate da Nat Turner nella grande rivolta della Contea di Southampton, Virginia, nel 1831: «Devo sollevare e preparare me stesso, e ammazzare i miei nemici con le loro stesse armi… perché si sta avvicinando in fretta il periodo in cui i primi devono essere gli ultimi e gli ultimi devono essere i primi».
L’ermeneutica del giubileo non si limita all’antichità. L’esperienza della classe lavoratrice nei confronti del giubileo è più prossima al traguardo di quanto non lo siano stati le parole e i fatti del figlio illegittimo di un falegname alla periferia dell’Impero romano duemila anni fa. Nella resistenza della classe lavoratrice alla storia della crudeltà possiamo trovare sia una scrittura che un’ermeneutica.
Nel 1834 The Southern Rosebud pubblicò la descrizione di un bambino afroamericano che intonava: «Non sentite la tromba del Gospel suonare il Giubileo?». Questo è il primo esempio che ho trovato sull’uso del giubileo nella storia pubblica afroamericana. Senza dubbio, ci sono riferimenti precedenti. Eppure ci conviene prendere il 1834 come nostro punto di partenza approssimativo. «Non sentite la tromba del Gospel suonare il Giubileo?», cantava la piccola voce. A rischio d’essere un tantino monotoni, dobbiamo sottolineare tre elementi: primo, nella domanda c’è un invito all’azione. Ci chiede di ascoltare. I bambini vogliono essere ascoltati. La tromba indica una proclamazione, un richiamo. Secondo, il giubileo viene compreso senza ulteriori spiegazioni. L’ambiguità dei suoi significati (debiti, terra, libertà, niente lavoro) era necessariamente politica nel sud schiavista durante gli immediati postumi della ribellione di Nat Turner. Si presumeva che gli ascoltatori sapessero cosa il giubileo volesse dire. Terzo, la “buona notizia” proclamata dal Gospel collega l’antico ed il nuovo Testamento. La buona notizia viene proclamata adesso. Adesso è il momento. Non è questione del tempo che si è compiuto, o di oggettive circostanze che sono pronte; la tromba ha suonato. È la voce di Ezechiele (7:14): «Suonate pure la tromba e sia per tutto pronto, ma nessuno si farà avanti a combattere».
Naturalmente il giubileo è realista, e naturalmente la classe dominante in tutti i periodi ha affermato il contrario. Ad esempio, The Interpreter’s Bible (1953) trova «quasi impossibile credere che le leggi [del giubileo]… fossero strettamente osservate o anche che lo potessero essere. Siamo di fronte a un costume ri-edito alla luce di un ideale». Gli archivisti di utopie devono negare ogni alternativa. Eppure, la proprietà privata, individuale, della terra è un fenomeno recente. Le staccionate, le siepi, le sbarre divisorie, i muri di pietra, il filo spinato, i cartelli “non oltrepassare” e “tenersi alla larga” sono innovazioni capitaliste del meum et tuum. Prima di queste l’agricoltura veniva svolta in campi aperti e i più poveri avevano diritti comuni.
L’accumulazione originale del capitale in Inghilterra fu il risultato della recinzione della terra, del commercio e delle conquiste imperiali. La terre comuni diventarono proprietà privata attraverso l’erezione di staccionate e siepi. «La forma parlamentare di furto è quella delle leggi sulla recinzione delle terre comuni, in altre parole, i decreti con i quali i padroni garantiscono a se stessi la terra della gente come proprietà privata, decreti di espropriazione del popolo». L’imperialismo saccheggia i popoli di altri paesi e li trasforma in schiavi salariati o schiavi schiavizzati. Inoltre, coloro che erano abituati a vivere sulle terre comuni, essendo espropriati dalle recinzioni, sono costretti a diventare compagni del vento e a vendersi come operai salariati ai padroni delle fabbriche e dei campi. Entrambe queste tendenze erano familiari a Tommy Spence.
La controversia sulla brughiera della città di Newcastle del 1771 gli aveva insegnato che era possibile intraprendere con successo una lotta contro le recinzioni. La borghesia aspirava a vendere o ad affittare 89 acri della terra cittadina. L’amico di Tommy Spence, Thomas Bewick, aveva ricevuto un’educazione grazie al diritto di pascolo sulle terre comunali posseduto dalla zia. Così Spence conosceva personalmente, da Bewick e da molti altri, l’importanza delle terre comunali. La gente demolì la sede dove venivano stabiliti gli affitti e le staccionate e disperse il bestiame. Gli abitanti vinsero, e il diritto al pascolo venne ripristinato per i liberi residenti e le vedove. Come risultato di questa esperienza Tommy Spence scrisse ed effettuò la sua famosa lettura alla Società filosofica di Newcastle nel 1775, dove propose l’abolizione della proprietà privata: «il paese di ogni popolo… è proprio la loro terra comune», egli scrisse. «I primi proprietari terrieri [erano] usurpatori e tiranni», continuava. Lo sono ancora. Egli raccomandò di fissare un giorno in cui gli abitanti di ogni distretto si incontrassero «per riprendere possesso dei loro diritti da tempo perduti».
Nel giro di pochi anni Spence chiamò questo giorno stabilito “giubileo”. Il vocabolo girava già per l’Inghilterra, ma fu Spence a dargli un significato rivoluzionario nell’era del capitalismo industriale. Nel frattempo, i filosofi liberali di Newcastle lo espulsero dalla loro Società, non per via delle sue idee o perché le avesse pubblicate, ma per averle divulgate sotto forma di volantini da mezzo penny diffusi per le strade e nelle taverne. Questo era ancora più irritante delle sue stesse idee, perché attaccava le pretenziosità della Società filosofica che considerava la filosofia una discussione chiusa. Ciò che rendeva Spence pericoloso per la borghesia non era il fatto che fosse un proletario o che avesse idee ostili alla proprietà privata, ma entrambe le cose. Egli portò le sue idee al proletariato di Newcastle, la cui forza si era già vista nello sciopero generale del 1740, quando fra le altre cose furono assaltate le banche del Paese. Thomas Spence era favorevole all’insurrezione; egli era un rivoluzionario che aveva fornito una teoria alle pratiche del rovesciamento del governo inglese. Di certo, il governo lo pensava; nel decennio 1790-1800 lo arrestò quattro volte in quanto «elemento pericoloso» e autore di pubblicazioni sediziose. Malgrado le esperienze in tribunale e in galera, malgrado gli insulti e le minacce di morte da parte di membri dell’Associazione per la Conservazione della Libertà e della Proprietà contro i Repubblicani e i Livellatori, continuò la diffusione dei propri opuscoli.
La prima generazione di seguaci di Spence era piena di contraddizioni, a volte atei e a volte devoti, a volte piccoli padroni e a volte poveri, a volte liberi pensatori e a volte religiosi, ora ubriachi ed ora sobri, e in questo seguirono il loro maestro che, malgrado la sua lettura da libero pensatore a Newcastle, era capace di brandire l’autorità biblica quanto un eminente di Harvard. Essi vissero in un periodo in cui il furto era praticato in modo massiccio: fra il 1801 e il 1831 vennero sottratti alla popolazione agricola 3.511.770 di acri di terre comunali.
Thomas Evans nel 1798 era segretario della London corresponding society. Venne imprigionato per tre anni e sedici mesi a Newgate. Dopo la morte di Spence, nel 1813, egli aveva formato la Society of spencean philanthropists della quale si era autonominato “bibliotecario”. «Ho vissuto abbastanza da essere testimone delle conseguenze delle recinzioni, e delle tasse; dell’espulsione di chi viveva nei cottage spigolando nei campi aperti, avendo diritto alla terra comune, al suo cottage, alla sua casupola; del furto delle sue poche provviste, del suo maiale, del suo pollame, del suo combustibile; quindi, della sua riduzione a mendicante, a schiavo».
Maurice Margarot, un giacobino radicale, venne trasportato in Australia nel 1793 a bordo del H. M. S. Surprize con altri ottantatré condannati. Cospirò coi prigionieri irlandesi. Nel 1810 ritornò a Londra. Prima di morire scrisse Proposal for a Grand National Jubilee: Restoring to Every Man his Own and thereby Extinguishing both Want and War. Egli calcolava che ogni persona in Inghilterra avrebbe potuto disporre di cinque acri di terra. Vent’anni dopo Allen Davenport calcolò che, se la terra inglese fosse stata divisa equamente, ogni uomo, donna e bambino avrebbe potuto disporre di sette acri. Poiché la popolazione era cresciuta notevolmente in quei venti anni la discrepanza fra le due stime è difficile da spiegare. Forse Davenport non escludeva l’Irlanda dai suoi calcoli, o forse Margarot non includeva nei suoi solo i maschi adulti.
A Londra nel 1804 Allen Davenport, un veterano metodista, ricevette da un suo compagno calzolaio un opuscolo di Spence: «Lessi il libro, e divenni velocemente sempre più spenceano. Predicai la dottrina ai miei compagni di lavoro e a chiunque altro…». In quanto sindacalista (fu leader nello sciopero dei calzolai nel 1813) e in quanto inveterato oppositore del sistema legale («Se cogliete un chicco, non violate una legge? Se vi portate via un granello di sabbia, non commettete un furto?»), attraversò il ponte spenceano tra giacobinismo radicale del decennio 1790-1800 e cartismo del decennio 1830-1840, contribuendo così ad espandere il giubileo dalle lotte agricole a quelle salariali.
Nella terza decade del XIX secolo il giubileo era presente su entrambi i lati dell’Atlantico, un’idea e una pratica comuni ai lavoratori sia delle piantagioni che delle fabbriche di cotone. Esso possedeva leader profetici oltre ad un’esperienza insurrezionale. Nei decenni che seguirono, la tradizione del giubileo si accrebbe. In America si concentrò sulla schiavitù e trovò una vittoria nella Guerra civile. In Inghilterra si concentrò sulla terra e trovò forza fra i cartisti.
«Pensate che lo stato attuale delle terre comuni nei sobborghi di Nottingham abbia un effetto sul morale delle popolazioni ivi residenti?» — chiedeva un investigatore del “Comitato selezionato parlamentare sulla recinzione delle terre comunali” nel 1844. La risposta illustra le contraddizioni della borghesia: «Un effetto certamente assai pregiudizievole… provoca generalmente una grande mancanza di rispetto nei confronti delle leggi del paese; a titolo di esempio potrei dire che, quando giunge il giorno in cui le terre diventano comunabili, in genere il 12 agosto, la popolazione esce fuori, distrugge le staccionate, abbatte i cancelli e commette un gran numero di atti illegali che certamente ha il diritto di compiere, in base al diritto delle terre comuni di cui era titolare».
«Pregiudizievole… mancanza di rispetto… illegali»: eppure la gente ha un «diritto» di cui è «titolare». Lo scambio è interessante per un’altra ragione. Perché il 12 agosto? Nel 1839 la Convenzione nazionale cartista aveva accettato il 12 agosto come giorno di festa per iniziare uno sciopero generale. Sembra quindi che i comunalisti di Nottingham, osservando il 12 agosto come giorno di livellamento, stessero agendo in conformità coi cartisti nazionali. William Benbow, autore di The Grand National Holiday and Congress of the Productive Classes (1831), aveva consigliato il 12 agosto. «Quando si propone una grande festa nazionale, una festività, non bisogna lasciar pensare ai nostri lettori che si tratti di una proposta nuova. Era una consuetudine fra gli ebrei». Benbow si riferisce al Giubileo. Egli chiedeva una festa lunga un mese per tenere un congresso delle classi produttrici, un mese di discussione universale in ogni città, villaggio, paese, distretto.
Il progetto venne approvato dalla stampa cartista. The Glasgow Agitator reclamava la nazionalizzazione della terra. George Petrie in Man chiedeva l’abolizione della proprietà privata, una «desolante, barbara e innaturale istituzione». Doherty in The Poor Man’s Advocate si batté con fervore per il progetto e per la cancellazione del debito nazionale.
Il giubileo non morì del tutto nella seconda metà del XIX secolo, sebbene avesse cessato d’essere la conchiglia della rivoluzione. Michael Davitt della Lega della terra irlandese lo usò nella lotta contro il dominio imperiale britannico. «L’irlandese, bandito da pecore e buoi, riappare dall’altro lato dell’oceano come feniano, a viso aperto con la vecchia regina dei mari» — scriveva Marks, e avrebbe potuto aggiungere che l’irlandese aveva scagliato il giubileo in faccia alla pietà inglese nella persona di Edward McGlynn, il prete di S. Stefano a Manhattan e alleato dei Knights of Labor, il quale durante il sermone nel giorno di San Patrizio del 1887 aveva paragonato le antiche leggi irlandesi bretoni al Giubileo, e come risultato venne scomunicato. Henry George spesso ne invocò l’idea e sostenne che il giubileo era «assolutamente fatale all’idea di proprietà privata della terra». Nel notare che Charles Marks era influenzato da alcuni cartisti seguaci di Spence, o che il pomposo e sciovinista H. M. Hyndman aveva paragonato Il manifesto comunista al giubileo di Spence, cadiamo nell’archeologia.
Il giubileo ha espresso la liberazione dall’imperialismo nel XIII secolo a. C. Si era opposto alla schiavitù, alla proprietà, al credito-e-debito, all’etica del lavoro, all’inquinamento della terra, e aveva raccomandato la rivoluzione ogni cinquant’anni. Per diverse migliaia di anni il suo significato è stato distorto o ignorato. Con l’avvento del capitalismo industriale la reclusa classe lavoratrice dell’Inghilterra e quella schiavizzata afroamericana riscoprirono il giubileo. Lo adottarono come sinonimo di libertà e anticapitalismo; ne estesero il significato e gli diedero incisività.
Allo stesso tempo, la borghesia — giacché il giubileo non poteva esser negato — sviluppò un’ermeneutica che sottraeva il giubileo al suo splendore liberatorio trasformandolo in «linguaggio figurativo». Il linguaggio dell’azione diventò un linguaggio d’ornamento, una retorica, un’allegoria, «solo parole». Da un lato ciò permise dei progressi nella critica testuale e filologica, ma dall’altro lato aprì la porta alla pedanteria e al cinismo, estraendo il dente rivoluzionario dalla bocca biblica. Fondamentalmente si tratta di un argomento reazionario, se non blasfemo.
Il “grande criticismo” dell’ermeneutica borghese del XIX secolo ha trasformato la parola viva nella mano morta del passato. La sua interpretazione del giubileo è nel migliore dei casi riformista, nel peggiore reazionaria. Laddove il giubileo si oppone al lavoro, sostiene che si trattava di un ideale impossibile, se non immorale. L’aspetto ecologico, come la dottrina dei sabbatari, viene ignorato o ridotto ad un arretramento delle condizioni tecnologiche. La liberazione rivoluzionaria dalla schiavitù è assente o ridotta ad un’arcaica, quando non barbarica, estensione del dovere della vendetta sanguinaria fra clan feudali. La restituzione della terra e la cancellazione dei debiti sono considerate del tutto utopiche o poco pratiche, o al limite vengono consentite come una sorta di compromesso attuato molto tempo fa per alleviare la transizione verso una “civiltà” agricola!
Il Giubileo viene usato dalla borghesia in occasioni istituzionali. Sulla Campana della Libertà di Filadelfia del 1776 è incisa una frase tratta dal Levitico 25 — «You shall proclaim liberty throughout the land». Ma ha un suono patetico. Perché? Perché è rotta. Si è rotta, secondo la tradizione afroamericana, quando Abramo Lincoln firmò il suo Proclama di emancipazione.
estratto da: Diavolo in corpo, n. 2, maggio 2000