In fondo agli occhi
Due fili, indissolubili ed antitetici, legano fatti e persone apparentemente distanti tra loro: la guerra e la libertà.
Una donna somala, morta nel corso di uno sbarco nel sud del Salento, è l’ennesima vittima della guerra totale che il Capitale ha dichiarato all’umanità, a quella parte dell’umanità sul cui sfruttamento e sulle cui sofferenze fonda il suo processo di accumulazione. Partita per provare a sfuggire a condizioni di miseria, questa donna – come milioni di altri esseri umani – è andata alla ricerca della propria libertà, che pensava di poter trovare in quella zona del mondo in cui risiedono i maggiori responsabili delle cause che l’hanno costretta a scappare. Quando credeva di intravedere una possibilità, le condizioni della guerra l’hanno però nuovamente raggiunta, nelle acque a pochi metri dalla costa.
Altri sono stati più fortunati, almeno apparentemente… Arrivati incolumi sulla terraferma,credevano di poter soddisfare quel desiderio di libertà, tranne accorgersi poi di aver trovato, nel ricco Occidente, condizioni di sfruttamento e di miseria simili a quelle che avevano abbandonato, fatte di sfruttamento salariale brutale, discriminazione, repressione… Alcuni di essi, i più poveri tra i poveri, tanto da non possedere neanche i requisiti per avere un pezzo di carta che gli permetta di circolare senza doversi nascondere, hanno incontrato i lager delle moderne democrazie occidentali: i CIE, Centri di Identificazione ed Espulsione. È così che un linguaggio che si vuole sempre più neutro, per occultare la brutalità dei suoi significati, chiama i centri di internamento d’Italia.
Frutto nocivo di ogni guerra, questi lager non hanno mai soppresso le aspirazioni di libertà degli internati, che dal momento della loro istituzione nel 1998 ad oggi, hanno dato vita ad una serie infinita di evasioni, rivolte e distruzioni, mettendone a dura prova l’esistenza e la funzione. Ma il compito di distruggere questi luoghi dell’abominio non è solo di coloro che ci finiscono dentro, ma di chiunque odi la guerra ed ami la libertà; è questo il motivo che ha spinto tre manifestanti a portarsi fuori dalle mura del CIE di Brindisi – Restinco pochi giorni fa, motivo per cui sono stati posti agli arresti domiciliari prima, e all’obbligo di dimora dopo.
La lotta per la libertà è lotta che riguarda tutti coloro che sono vittime della guerra portata avanti dal Capitale e dagli Stati al suo servizio, una guerra che tutti gli sfruttati vivono ogni giorno sulla propria pelle, costretti a fuggire dai luoghi in cui vivono o condannati a sopravvivere in condizioni di miseria e di sfruttamento nella parte ricca del mondo, che vive di una ricchezza sempre più accumulata da pochi a discapito dei molti. Difendere la miseria di piccoli privilegi che ci differenziano da quelli più poveri di noi è uno dei bocconi più amari che il capitalismo vuole farci ingoiare, rinnegando non solo la solidarietà, ma anche la coscienza umana.
Negli occhi di chi attraversa il mare non bisogna vedere – come vorrebbero farci credere stampa e politica – il nemico da cui dobbiamo difenderci o il concorrente da cui dobbiamo proteggerci, ma lo sfruttato in cui possiamo riconoscerci. È questa la vera paura che instilla in noi l’immigrato, il clandestino, il “diverso” in genere: la paura di riconoscere in lui le stesse condizioni di sfruttamento che ci troviamo a vivere ogni giorno. Prenderne consapevolezza significherebbe, semplicemente, riconoscere anche un comune nemico, e questo è il primo passo da compiere per capire da quale parte schierarsi. Questa, al contrario, è la paura che nutre chi governa, che alimenta la guerra, ma tra poveri.