Martedì 8 marzo 2016 – In concomitanza con l’inizio del processo contro Monica e Francisco, riceviamo alcuni articoli tradotti dalla gogna mediatica spagnola:
“Anarchici processati in Spagna negano di aver collocato l’artefatto esplosivo nella Basilica”
All’inizio del processo, che si protrarrà per tre giorni, Francisco Solar e Mónica Caballero hanno negato di fronte al Tribunale Nazionale di aver collocato l’artefatto che esplose nella Basilica del Pilar a Saragoza nel 2013.
Negando di aver partecipato alla collocazione dell’artefatto esplosivo che detonò il 2 ottobre del 2013 nella Basilica del Pilar a Saragoza, gli anarchici cileni Francisco Solar e Mónica Caballero iniziano il processo nel Tribunale Nazionale di Spagna, nel quale affrontano pene di 44 anni ciascuno.
D’accordo con quanto segnala il giornale El Mundo*, il pubblico ministero Teresa Sandoval chiede tutta questa quantità di anni di carcere per l’attentato alla Basilica del Pilar, per appartenenza ad associazione terrorista, lesioni e stragi terroriste e cospirazione al fine di commettere un altro attentato al monastero di Montserrat a Barcellona.
Tutte queste accuse sono state rifiutate dai cileni, che hanno addirittura sostenuto di non riconoscersi nelle immagini che mostrano le telecamere della Basilica del Pilar. Mónica Caballero ha segnalato di non aver mai visto Saragoza e di aver visitato il monastero di Montserrat solo a fini turistici.
Nel frattempo, la giudice Angela Murillo ha chiamato l’attenzione di Francisco Solar che, di fronte a una domanda della difesa, ha fatto un’esposizione dell’anarchismo, davanti alla quale il magistrato ha detto: “Non ci faccia un comizio, non ci interessa!”, richiamando gli avvocati a fare solo domande riferite al caso specifico.
I cileni, che prima di arrivare in Spagna furono assolti nel denominato “caso Bombas”, hanno affermato di fronte alla giustizia spagnola di essersene andati via dal Cile fuggendo dalla “persecuzione poliziesca e mediatica” dopo la risoluzione di questo caso.
L’ATTENTATO
I cileni furono arrestati per aver utilizzato un artefatto esplosivo, che conteneva gas e polvere da sparo, che misero nella navata centrale dell’Altare Maggiore della Basilica del Pilar a Saragoza e che provocò danni acustici a una donna e, inoltre, danneggiò il patrimonio storico e artistico del luogo.
Al momento dell’esplosione nel tempio, c’era anche un gruppo di una cinquantina di turisti nordamericani e quattro lavoratori, che non risultarono feriti.
Qualche minuto prima gli accusati avvisarono dell’esplosione un centro estetico che chiamarono da una cabina telefonica, però gli impiegati non allertarono le forze di sicurezza pensando si trattasse di uno scherzo.
Successivamente, il commando rivendicò l’azione in una rete di taglio anarchico.
Entrambi gli anarchici sono stati accolti con grida di appoggio, manifesti e applausi al loro arrivo al tribunale di Madrid.
da El Mundo:
Gli anarchici “Cariñoso” e “Moniquita” negano di aver attentato al Pilar è tentano di fare un “comizio” al processo
Il pubblico ministero chiede che vengano condannati a pene pari a 44 anni di carcere.
Una donna ferita nell’attentato spiega di non esser potuta tornare alla Basilica perché “le trema il corpo”.
I cileni Francisco Javier Solar Domínguez, alias Cariñoso, e Mónica Andrea Caballero, Moniquita, che hanno negato di aver collocato un artefatto esplosivo nella Basilica del Pilar a Saragoza nell’ottobre del 2013 e di aver provato ad attentare contro il Monastero di Montserrat, durante il processo hanno approfittato per difendere le “virtù” che, secondo loro, ha l’”anarchismo”. “Comizi qui no! Qui no!”, ha esclamato la presidentessa del tribunale, Ángela Murillo.
Così si sono espressi nel processo avvenuto nel Tribunale Nazionale in cui il Pubblico Ministero Teresa Sandoval chiede alla Quarta Sezione della Sala Penale che vengano condannati a pene pari a 44 anni di carcere per il reato di appartenenza a organizzazione terrorista, un altro di lesioni terroriste, stragi terroriste e cospirazione al fine di commettere un altro delitto di stragi nel Monastero di Montserrat di Barcellona.
Gli accusati, che si sono rifiutati di rispondere alle domande del Pubblico Ministero, hanno affermato di non riconoscersi nelle immagini di videosorveglianza registrate a Saragoza – Caballero ha assicurato di non essere mai andata in questa città – e hanno aggiunto di essere stati a Montserrat “solo ed esclusivamente” per interessi turistici.
“E’ anarchico?”, ha chiesto la difesa del cileno, conosciuto con il soprannome di Cariñoso, dopo aver esposto di fronte alla corte le note di merito ottenute presso la Scuola di Filologia alla quale si immatricolò dopo essere arrivato, insieme alla compagna, a Barcellona nel 2012, dove lei vendeva dolci ai ristoranti cileni e si manteneva grazie ai suoi risparmi e all’aiuto economico che riceveva dalla sua famiglia.
“Sì, sono anarchico perché credo che sia la libertà ad evitare ogni costrizione. Penso che la creatività individuale nasca quando non ci sono né autorità né ordini né comandamenti rigidi, che atrofizzano e degradano solamente il comportamento umano. Lo Stato implica subordinazione ed è contrario ad ogni tentativo di libertà, implica anche l’esistenza di usurai e sfruttatori…”, ha esposto Solar, il che ha provocato che la magistrata esclamasse “Non ci faccia un comizio, non ci interessa!” e invitasse la difesa a mirare le sue domande sui fatti investigati.
Poco dopo, Solar ha assicurato di non aver fatto parte di nessuna organizzazione dato che “opprime la libertà individuale e limita l’iniziativa delle persone alle norme di comportamento prestabilite”, frase che ha indotto la magistrata Murillo a ricordare che al tribunale non interessa la sua “ideologia”.
Anche Moniquita ha seguito i passi del marito, con cui si è sposata nel giugno scorso mentre era in carcerazione preventiva, e ha affermato che nemmeno lei ha mai fatto parte di nessuna organizzazione perché non si sottometterebbe “mai” ad una struttura con una “base gerarchica e che qualsiasi forma di delega, vertice o potere è dannosa per l’integrità umana”, parole che anche in questo caso sono state interrotte dalla magistrata che ha avvertito: “Se il pubblico non fa silenzio esce immediatamente!”.
Gli accusati, che furono assolti nel “caso Bombas” in Cile, hanno negato di aver avuto a che fare con esplosivi. Caballero ha affermato che la Polizia non le ha mostrato nessuno degli articoli rinvenuti al suo domicilio, nella cui perquisizione si trovò un foulard nero o qualche paio di occhiali scuri simili a quelli che indossavano i sospettati identificati dalle telecamere di Saragoza.
“Non posso tornare alla Basilica”
La donna che fu ferita nell’attentato ha dichiarato che la deflagrazione le causò “la rottura del timpano, la perdita dell’udito e contratture della mandibola” e che da allora sopravvive grazie a una pensione e all’aiuto dei suoi famigliari. “Non posso tornare alla Basilica, mi trema il corpo”, ha ribadito.
Oltre a questo, vari poliziotti hanno spiegato che la telecamera collocata in un bar nella piazza del Pilar registrò due individui, “esageratamente coperti” e nascosti da un cappuccio da pioggia e una pamela in un “giorno estivo”, sedersi ai tavolini all’aperto con una specie di ghiacciaia nella quale pensano ci sia stato l’artefatto esplosivo.
Gli agenti hanno spiegato che si trattava delle stesse persone che arrivarono alla stazione dell’autobus di Saragoza da Barcellona e che erano le “stesse” che erano state viste a viso scoperto in quei giorni nella metro della città. La telecamera del Pilar non funzionava e perciò non registrò.
In ultimo, gli agenti hanno messo in rilievo che la deflagrazione dell’artefatto, che esplose nella navata centrale dell’Altare Maggiore, fece in modo che un gruppo di 50 turisti nordamericani uscisse “correndo” senza la possibilità di essere interrogati prima. Gli autori qualche minuto prima avvisarono un centro estetico, che non avvisò la Polizia, e fecero una rivendicazione a una piattaforma di Internet.
All’inizio dell’udienza, Cariñoso y Moniquita hanno salutato dal banco degli accusati una ventina tra familiari e amici che hanno seguito il processo come pubblico. Il loro avvocato ha sollecitato, senza esito, che rispondessero alle domande alla fine della pratica probatoria e ha ricordato di aver esposto la ricusazione del tribunale per la perdita di imparzialità per aver partecipato agli atti connessi con la causa durante l’istruzione.
da La Tercera:
http://informa-azione.info/prigionierie_spagna_il_processo_sui_media_di_regime_iberici