[Grecia – Settembre 2015] Analisi di uno sciopero della fame – DAK

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Questo opuscolo è un contributo ai nostri

compagni di Bruxelles per l’incontro A BAS LA MAXI-PRISON,

Rencontre sans frontieres, 29 September – 3 October 2015

Tradotto dall’inglese via ActForFree!

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Annuncio del DAK (Rete dei Prigionieri in Lotta) alla fine dello sciopero della fame

Grecia, 21 Aprile 2015

 

Dopo 48 giorni di lotta poniamo fine allo sciopero della fame che abbiamo portato avanti assieme ad altri prigionieri politici, contro le manifestazioni legali della strategia anti-rivoluzionaria e a livello sociale più ampio dello Stato espressa attraverso speciali legislazioni di esclusione.

Dopo il completamento ieri delle procedure in parlamento, una parte importante delle richieste avanzate dalla Rete dei Prigionieri in Lotta sono state parzialmente soddisfatte.

Nello specifico:

– L’impalcatura legale che definisce l’attività delle prigioni di tipo C.

– L’abolizione delle pesanti misure per azioni portate avanti a volto coperto (legge sugli incappucciati); il limite di pena minimo per manifestazioni e furti è stato diminuito da 10 a 5 anni (lasciando al giudice l’aspetto di valutare le condizioni in cui l’azione è stata portata avanti).

– E’ stato sancito il  coinvolgimento di un perito indipendente nelle questioni riguardanti il DNA, oltre ad essere stato fatto un primo passo riguardo le limitazioni del suo prelievo forzato.

– Savvas Xiros sarà mandato ai domiciliari (ha il 98% di disabilità) per far sì che possa ricevere un trattamento adeguato, cosa che si applicherà a tutti i prigionieri con un grado di disabilità maggiore dell’80%.

Tutti coloro che hanno partecipato allo sciopero della fame ed i compagni fuori dalle mura hanno combattuto questa dolorosa lotta con dignità. Il regime di esclusione è stato infranto ed ora è stata aperta la strada alla sua completa abolizione. Questi 48 giorni di lotta senza compromessi si sono risolti in maniera positiva su un piano tattico, che è un guadagno per tutti coloro che si trovano “in basso”. Un esito positivo per la lotta totale contro il mondo dei padroni ed il nuovo totalitarismo che essi impongono. Il nostro scopo è quello di sfruttare il terreno guadagnato per diventare più efficaci, più pericolosi per l’autorità. Per fare un passo verso una società senza classi.

Condividiamo la vitale fiamma della soddisfazione con tutti quelli che hanno percepito questa battaglia come una causa comune.

PS: in futuro faremo un accurato comunicato riguardo le questioni aperte da questa lotta. Sui suoi limiti ed i diversi esiti che avrebbe potuto avere, dati i nuovi ritmi politici e di movimento che essa stessa ha evidenziato e con cui ha proceduto. Perché solo attraverso un onesto esame ed un dialogo critico possiamo assicurarci lotte ancora più vittoriose.

PS2: Il giorno in cui la legislazione è stata votata in parlamento, il governo “di sinistra” ha mostrato chiaramente il vero volto dell’autorità. Lo sgombero mattutino del Rettorato occupato ad Atene e l’arresto dei compagni che erano all’interno è la prova lampante che l’autorità (di destra e di sinistra) sarà sempre infastidita da lotte senza mediazioni dirette contro la natura del sistema che essa serve. Solidarietà e forza a tutti i compagni arrestati durante questa lotta.

FORZA A CHI NON CHI NON CHINA LA TESTA

I partecipanti alla Rete dei Prigionieri in Lotta

Adonis Staboulos, Giorgos Karagiannidis, Fivos Xarisis, Argiris Dalios, Akis Sarafoudis, Andreas-Dimitris Bourzoukos, Dimitris Politis, Giannis Mihailidis.

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Rete dei Prigionieri in Lotta (DAK) in Grecia

Analisi di uno Sciopero della Fame

Un’analisi strategica delle condizioni

Ogni tentativo di fare una valutazione completa della lotta dovrebbe senz’altro contenere una descrizione analitica degli incidenti e dei ragionamenti che ci hanno portati ad intraprenderla. Per cui, cercando un possibile punto d’inizio di questa lotta, possiamo trovarlo nello sciopero della fame di massa dell’estate scorsa (4.500 detenuti) e forse prima di esso nello sciopero della fame nella prigione di Malandrinou (la prima prigione di tipo C) nel 2004. Ovviamente per una simile digressione, oltre al fatto che richiederebbe molte pagine e quindi tempo, non siamo neanche i più adatti a farla. Dunque il punto di partenza che sceglieremo per spiegare la nostra linea di pensiero è lo sciopero della fame nell’estate 2014. A quel tempo era stata iniziata da parte di un gran numero di prigionieri una prima battaglia  contro le prigioni di tipo C. Ovviamente, gli sviluppi ed i risultati di quella lotta non furono quelli che avremmo voluto e questo lasciò una “ferita aperta” con cui dovevamo fare i conti. Da quel momento sorse un problema che sarebbe stato il fulcro della mobilitazione che intendevamo iniziare quando i primi trasferimenti alle prigioni di tipo C ebbero luogo.

Ovviamente la nostra linea di pensiero cambiò significativamente nel momento in cui le elezioni cominciarono a profilarsi (sempre prendendo in considerazione la possibilità che il governo potesse cambiare). Perciò per tempo, due mesi prima dell’elezione di SYRIZA, avevamo già iniziato a discutere tra di noi una linea di lotta, completamente diretta contro il regime di esclusione come esso si era concretizzato negli ultimi anni.

La ragione per la quale abbiamo scelto una linea più ampia, con richieste che sono ormai da anni tra le questioni di punta del movimento radicale, è stato il risultato di un’analisi politica e di una valutazione dei fatti.

Ovviamente, a giudicare dai risultati, potremmo dire che siamo andati ben oltre le nostre iniziali valutazioni, ma questo è qualcosa che analizzeremo più avanti. Tornando al processo di formazione della nostra linea di pensiero politica, crediamo che l’elezione di SYRIZA sia stata di cruciale importanza e di conseguenza lo è stata la nostra scelta strategica del nemico in una battaglia che avevamo pianificato di combattere. Credevamo – e crediamo ancora –  che sia nostro dovere superare l’elezione di un governo “di sinistra” a causa della tendenza al recupero e al compromesso che porta con sé, rivelando le contraddizioni che necessariamente esplodono nel tentativo di una gestione “di sinistra” dell’autorità.

Per questo abbiamo stilato un piano articolato in tre punti: obiettivi politici, strategici e tattici. Prima di procedere a spiegare questa linea di pensiero dovremmo spiegare in maniera più dettagliata qualcosa che abbiamo scritto in un testo interno che abbiamo fatto circolare il primo giorno di sciopero della fame e che ha a che fare con la scelta del momento in cui iniziare lo sciopero della fame.

La scelta di un momento appropriato per iniziare la battaglia è un fattore rilevante per avere le migliori precondizioni possibili per guadagnare terreno con le minori perdite. Specialmente in una simile battaglia, in cui abbiamo scelto di denunciare e contrastare completamente alcuni  aspetti basilari del regime di esclusione, come opponente SYRIZA ci offriva molti più vantaggi del governo precedente.

Prima di tutto, avevamo per tempo pensato che ci sarebbe stato un momento di alcuni mesi (grosso modo fino all’estate) in cui SYRIZA sarebbe stata più vulnerabile, visto che per Maggio la pressione che il tripartito degli squali del debito avrebbe esercitato per ottenere un accordo sarebbe cresciuta e che a nostro parere il governo avrebbe ceduto. In ogni caso, la svolta conservatrice di SYRIZA stava verificandosi rapidamente, cosa che è adesso ovvia in ogni ambito: economico, repressivo, ambientale, etc; per cui il momento più favorevole per noi per iniziare la lotta erano questi pochi mesi.

In secondo luogo, a parte il momento favorevole, SYRIZA presentava alcune caratteristiche che rendeva più agevole lo scontro con essa. La sua composizione e la sua stessa base, l’”aria” di cambiamento di cui si ammantava, la sua paura di essere paragonata al governo precedente e di essere sconfessata, oltre alle dichiarazioni dei suoi maggiori rappresentanti riguardo tutte le questioni che alla fine abbiamo posto come richieste (meno quella sul DNA, che in ogni caso è stata portata a dibattito pubblico per la prima volta a causa del nostro sciopero) erano questioni che l’avrebbero messa di fronte alle proprie contraddizioni.

Il nostro piano era perciò basato sul cambio di governo, ma allo stesso tempo c’era anche il “pericolo” di una “svolta” conservatrice rapida da parte di SYRIZA. Quando perciò si presentò il dilemma se prendere tempo per organizzare meglio la lotta con il pericolo che il governo diventasse più conservatore e con una conseguente maggiore rigidità da parte dello Stato contro le nostre richieste, o se piuttosto iniziare la lotta immediatamente a prescindere dalle conseguenze che questo avrebbe avuto all’interno del movimento, scegliemmo la seconda opzione.

 

La pianificazione iniziale dello sciopero

Ovviamente, anche allora, la pianificazione da parte del DAK prevedeva l’inizio della lotta un mese dopo, per permetterci di preparare meglio il terreno, anche minimamente, sia dentro che fuori le mura. Cioè il nostro obiettivo era quello di un graduale aumento di livello della lotta – che si sarebbe conclusa con uno sciopero della fame – rifiutandoci di rientrare nelle celle il pomeriggio, astensione dal cibo, pubblicazione di testi ed altre azioni da parte nostra che avrebbero preparato appropriatamente la lotta dentro. Questo sarebbe avvenuto simultaneamente ad un processo di fermento con i compagni fuori e azioni simili, volte a gettare le basi per le nostre rivendicazioni su un più vasto campo sociale. Oltre, in ogni caso, alle differenze pratiche che una simile preparazione avrebbe fatto nello sviluppo della lotta – sia fuori che dentro – per noi l’aspetto più cruciale di tutti era il tentativo di cambiare i termini in cui uno sciopero della fame avrebbe avuto luogo.

Come collettivo di anarchici in ostaggio, negli ultimi due anni e mezzo abbiamo ricercato una relazione apertamente politica e di complicità con tutti i compagni fuori dalle mura che comprendono la necessità di collegare le lotte fuori e dentro la prigione. Abbiamo parlato durante diverse iniziative, abbiamo creato legami politici con vari progetti e compagni, abbiamo condiviso ragionamenti sulla lotta. Non abbiamo mai inteso i compagni come meri strumenti che ci avrebbero aiutato a conseguire i nostri obiettivi. Tra di noi, come nelle relazioni che creiamo, cerchiamo di non promuovere questo tipo di “cultura”. Del resto il nemico che combattiamo non sono soltanto la macchina Statale e il Capitale, ma è anche riflesso nelle relazioni alienanti che avvelenano l’intero corpo sociale. Per cui, se vogliamo essere coerenti con i nostri propositi, ma anche nella lotta che portiamo avanti contro l’autorità, è importante che non riproduciamo queste patologie al nostro interno.

Riconosciamo che per lo meno negli ultimi anni gli scioperi della fame sono stati soprattutto il risultato di iniziative di chi combatteva da dentro le mura con una coordinazione minima con i compagni fuori, risultando in reazioni quasi di riflesso da parte del movimento. Questo è principalmente quanto avremmo voluto cambiare ed abbiamo fatto un primo tentativo con una comunicazione di base, chiarendo che noi ci consideriamo parte di questa lotta, non una sua avanguardia illuminata.

Come DAK, abbiamo reso chiaro che non intendiamo il movimento di solidarietà e la lotta che ne deriva come una schiera di seguaci ai nostri ordini.

Uno sciopero della fame puramente politico dovrebbe (contrariamente a quanto alla fine è successo) infrangere l’introversione che solitamente emerge dagli scioperi della fame “personali” che si sono verificati negli ultimi anni.

La detenzione, sfortunatamente, accresce la distanza tra i prigionieri e il movimento, facendo sì che il movimento venga spesso considerato l’estensione “naturale” delle lotte che prendono il via dentro le mura, essenzialmente ostacolando tale costruttiva elaborazione congiunta. Così la solidarietà stessa sviluppa un carattere schematico, come l’ovvio che si verifica senza il necessario fermento politico.

Per questo per noi era necessario ridefinire i limiti di una lotta che avesse luogo dentro e fuori affinché la connessione tra le lotte cessasse di essere un mero approccio teorico alla questione della detenzione, e così vennero mossi i primi (necessari!) passi verso la nostra evoluzione.

Ovviamente siamo stati trascinati anche questa volta verso gli stessi sentieri. Sfortunatamente il movimento venne (in buona parte) informato soltanto il giorno stesso dell’inizio dello sciopero della fame.

Ancora una volta abbiamo messo molti compagni davanti al fatto compiuto. Perché per alcuni la comunicazione con i gruppi e le persone che lottano è un “lusso” e non una necessità. Tutto questo potrebbe apparire “ridicolo” ad alcuni, ma per noi queste sono criticità croniche del movimento (che ci siamo ritrovati ad affrontare ancora una volta) che dobbiamo definitivamente sconfiggere. Dobbiamo lasciare spazio alla collaborazione ed all’evoluzione, non all’introversione catastrofica.

Perciò abbiamo deciso di impostare la lotta intorno a tre obiettivi. Primo, l’aspetto politico, ovvero la netta separazione del movimento radicale e sovversivo da coloro che credono in una gestione alternativa dell’autorità. E allo stesso tempo, affrontando la politica repressiva sempre più intensa, cercare di danneggiare i mezzi che lo Stato ha a disposizione. In breve, spezzare un forte dogma politico di repressione che colpisce sia le persone che lottano sia coloro che il sistema considera non necessari.

Certamente un simile obiettivo politico ha innumerevoli espressioni; la nostra scelta di focalizzarci sulle leggi anti-terrorismo, sulle prigioni tipo C, sulla “legge sugli incappucciati” e sul prelievo di DNA è stata basata sulla nostra convinzione che questi argomenti siano la punta di diamante della politica oppressiva del totalitarismo moderno.

Sono argomenti che toccano la sostanza del regime di esclusione e conseguentemente l’intero movimento.

Motivati da questa analisi abbiamo stabilito gli obiettivi strategici immediati che questa lotta avrebbe potuto raggiungere. Questi obiettivi strategici erano il riuscire a riunire l’area radicale nel contesto di un movimento – qualcosa che avrebbe mostrato fin dai primi mesi del governo “di sinistra” che la lotta contro lo sfruttamento è una lotta contro la delega e l’assimilazione – oltre che riunire i prigionieri anarchici e comunisti sotto ad una comune struttura politica che riguardi tutti quelli che resistono.

Ovviamente attraverso questa lotta cercavamo anche il raggiungimento di alcuni obiettivi tattici. Ovvero alleviare il sistema penale che riguarda noi e coloro che potrebbero un giorno ritrovarsi nelle nostre condizioni, e simultaneamente l’opportunità attraverso questa lotta di un ulteriore sviluppo delle dinamiche del movimento anarchico: una nuova scintilla nel clima di rassegnazione che l’elezione di SYRIZA aveva portato per un’ampia parte della società.

Quanto questi obbiettivi siano stati raggiunti è qualcosa che analizzeremo più in là, insieme al grado di soddisfacimento delle nostre richieste, che ridefinisce anche la nostra iniziale pianificazione e l’analisi che ci ha portati ad un quadro politico così avanzato. Dovremmo fare autocritica (ed una critica allo stesso tempo) su quanto correttamente abbiamo valutato la situazione politica nel suo insieme e le relazioni di potere.

 

La scommessa della pianificazione condivisa

Nell’ottica dell’unità dialettica, abbiamo condiviso la nostra linea di pensiero con i compagni ostaggi con cui ritenevamo, allora, di avere anche la minima connessione politica, specificatamente: Maziotis, Koufodinas, Gournas.

Le nostre prime comunicazioni non portarono ad alcun risultato dal momento che i prigionieri politici di Domokos non erano d’accordo con il contesto politico allargato ed insistevano che la lotta riguardasse soltanto le prigioni di tipo C.

Più tardi, comunque, ed in nome di una presunta pianificazione condivisa, ci fu un cambio di posizione da parte loro, che aprì un dibattito intorno alle richieste che avevamo posto come DAK. Tali discussioni ruotavano principalmente attorno  alla questione del DNA, che per alcuni prigionieri di Domokos non era una rivendicazione politica ma personale. Per cui, poiché per varie ragioni c’è un fraintendimento su cosa sia una richiesta personale, dobbiamo adesso affermare qualcosa di evidente. Le due leggi anti-terrorismo, la “legge sugli incappucciati”, la detenzione in regime di tipo C e l’estensione dell’uso del DNA ad un grado che comprende tutto, è l’intensificazione del controllo giudiziario-poliziesco applicato non soltanto a noi, ma a migliaia di altri prigionieri o imputati.

Affermare che la questione del DNA sia personale perché essa è la prova principale nel processo di alcuni di noi, e che quindi riguarda solo una parte di quelli in sciopero della fame, è come dire che la legge anti-terrorismo riguarda soltanto quelli condannati in base ad essa, o che l’esistenza delle prigioni di tipo C riguarda soltanto quelli che vi sono incarcerati. Dimenticare il prelievo forzato o violento di DNA dagli arrestati negli scontri in Skouries, o in centinaia di altri casi giudiziari, è come dimenticare che circa 3000 prigionieri sono perseguiti in base alla legge 187, o che dozzine di compagni e rapinatori sono perseguiti in base alla “legge sugli incappucciati”.

Ovviamente le discussioni sul perché questa richiesta non fosse politica si esaurirono nel concetto che non possiamo chiedere l’abolizione del prelievo del DNA, perché sarebbe come pretendere l’abolizione delle impronte digitali, qualcosa che ovviamente non ha nulla a che vedere con la richiesta che abbiamo fatto riguardo il DNA.

Al contempo arrivò da Domokos la proposta di inserire tra le richieste la liberazione di Savvas Xiros, che appoggiammo da subito ed includemmo nella nostra linea politica. Sfortunatamente, comunque, tutte queste discussioni sulle richieste (soprattutto quella sul DNA) ottennero il grottesco risultato di un ultimatum da Domokos, dicendo che se non avessimo rimosso la richiesta sul DNA avrebbero cominciato uno sciopero della fame senza comunicarci la data, con la loro propria linea politica, che sarebbe stato essenzialmente la proposta del DAK meno la richiesta sul DNA.

Una proposta per una pianificazione congiunta si era trasformata in una “gara”, e ancora oggi troviamo difficile comprendere i motivi e la concezione politica delle persone che si sono affrettate a cominciare lo sciopero della fame.

D’altro canto i risultati di questa scelta adesso sono evidenti e possiamo analizzarli.

Prima di questo, ad ogni modo, dobbiamo aprire una parentesi e spiegare le ragioni per le quali stiamo menzionando questi processi che altrimenti sarebbero interni.

Perciò per il meglio o per il peggio (sarà la storia a dircelo) noi non crediamo che ogni lotta sia personale e per estensione identificabile con una persona o un gruppo di persone. Anche se la scintilla viene da alcune persone, la fonte e gli effetti di ogni lotta toccano tutto il movimento sovversivo/radicale.

Per questo la lotta nel suo insieme non riguarda solo i soggetti che vi prendono parte, e sicuramente il percorso del suo sviluppo  non passa per intrighi e litigi pubblici derivanti da una errata percezione della reputazione o del prestigio di un nome. Al contrario, lo sviluppo qualitativo della lotta nasce da una sostanziale opera di valutazione e dalla fertile critica delle sue caratteristiche politiche.

Per noi, il fango gettato dagli “specialisti” della lotta di ogni dove non è una ragione per aprire un dibattito pubblico. Al contrario, precisamente perché crediamo che un simile confronto pubblico non favorisca nessuno se non l’autorità. Scegliamo consapevolmente di ignorare un simile attacco, che si basa su argomentazioni assolutamente non politiche, senza con questo voler dire, ovviamente, che non abbiamo nulla da dire. Semplicemente pensiamo che un dialogo aperto debba puntare a causare un fermento teorico e pratico all’interno del movimento, mirando al suo costante sviluppo.

Chiudendo questa parentesi, torniamo alle nostre comunicazioni con Domokos, al ricatto informale ed ai suoi risvolti pratici. Dunque, dopo molte discussioni e poiché le nostre divergenze, sia politiche che per quel che riguardava le richieste, non potevano essere superate, decidemmo di procedere con tre testi separati e richieste comuni (eccetto per quella sul DNA che inserimmo come DAK), con coordinamento minimo ed un punto di partenza comune. A questo punto avevamo in tutti i modi reso chiaro, ed era stato accettato, che ci sarebbe dovuto essere un periodo di due settimane/un mese per informare i collettivi ed i singoli compagni perché potessero prepararsi per la lotta imminente.

Però, il giorno dopo questo accordo (27/2), un prigioniero delle prigioni di tipo C, G. Sofianidis, cominciò uno sciopero della fame per poter continuare i propri studi a Koridallos. I prigionieri politici di Domokos pensarono che con questo sciopero della fame fosse messa in discussione la prigione di tipo C nel suo complesso, quindi non poterono restare indifferenti e cominciarono lo sciopero della fame immediatamente. Quindi ci venne detto – ancora una volta in termini da ultimatum – che avrebbero cominciato lo sciopero della fame il 2/3, nonostante le nostre obiezioni riguardo il fatto che fosse un errore perché i compagni solidali non erano stati adeguatamente informati. E’ a dir poco problematico quando delle persone che propongono la creazione di un movimento rivoluzionario organizzato mirante alla rivoluzione sociale operano in maniera coercitiva senza il minimo rispetto, non solo per noi ma anche per i compagni fuori.

Nonostante, come detto in precedenza, noi disprezziamo la “cultura” (che prospera anche sul campo di battaglia) che percepisce le persone (persino i compagni) come strumenti e mezzi per raggiungere un obbiettivo, ci siamo trovati di fronte ad un nuovo dilemma nel quale nessuna scelta ci sembrava giusta. Né  cominciare secondo la tabella di marcia che avevamo programmato (cioè un mese più tardi), rispettando i tempi dei compagni fuori e realizzando la battaglia comune che avevamo scelto di combattere, né cominciare il 2/3, facendoci carico fin dall’inizio del peso e delle difficoltà di una lotta combattuta con un’organizzazione minima se non nulla.

Alla fine decidemmo di cominciare anche noi il 2/3, pensando che se avessimo cominciato più tardi ci sarebbe stata già una dinamica in corso sviluppata dalla lotta degli altri prigionieri politici, e principalmente perché non avremmo in tal caso avuto lo stesso loro peso in essa.

Qui vorremmo evidenziare che avevamo condiviso la nostra strategia con gli altri prigionieri politici fin dall’inizio, che era in primo luogo la graduale integrazione nello sciopero dei vari aderenti così che organismi con diversa forza e quelli con problemi di salute più gravi potessero sopportare lo stesso peso di tutti gli altri e così che tutti gli aderenti potessero mettere pressione con la propria salute nello stesso momento. Questa era una questione di principio, oltre che un problema pratico, poiché per noi la precaria condizione di salute di alcuni (pochi) aderenti allo sciopero della fame non avrebbe potuto accelerare le procedure del governo, che fin dall’inizio ritenevamo avrebbero richiesto più di un mese. Con questo ragionamento avevamo detto al resto dei prigionieri politici che, a causa delle carenze organizzative e della lunghezza che lo sciopero della fame fame avrebbe avuto, all’inizio avrebbero dovuto bere zucchero e succhi di frutta, per poter mantenere le vitamine essenziali al corpo ad un buon livello. Un simile accorgimento non nega ovviamente lo sciopero della fame, visto che il deterioramento del corpo nel complesso è un fatto. Anche l’esperienza internazionale da altri scioperi della fame, che vennero portati avanti nello stesso modo, come ad esempio il lungo sciopero della fame dei combattenti in Turchia che causò 125 morti (che si mantenevano con zucchero, tè zuccherato e vitamine), dà un risultato inequivocabile. Il completo deperimento del corpo e la morte, e questo non è opinabile.

Noi da parte nostra scegliemmo quindi la strategia che pensavamo sarebbe stata necessaria, prevedendo davanti a noi una lunga lotta, con buone probabilità che proseguisse oltre Pasqua, cosa che avrebbe comportato un “tempo morto” durante il quale il parlamento sarebbe stato chiuso.

Comunque, a parte la strategia che intendevamo seguire come parte pratica dello sciopero della fame, avevamo anche informato gli altri prigionieri politici della parte riguardante le negoziazioni con il governo che avrebbero avuto luogo durante la lotta. Avevamo reso chiaro ad ogni livello (cosa che viene intenzionalmente tenuta nascosta), che gli avvocati ed i parenti che visitavano il ministero non lo facevano su nostra richiesta ma che si trattava di una loro iniziativa, che non aveva nulla a che vedere con lo sciopero della fame che stavamo preparando. Avevamo anche comunicato ai prigionieri politici, come agli avvocati coinvolti nel caso, che essi non avevano in nessun modo il ruolo di nostri rappresentanti, ma che ogni contatto che avrebbero avuto col ministro sarebbe stato nell’ottica di informarci sulle intenzioni del governo e non per negoziare. Qualcosa che stava già succedendo, ed ogni contatto relativo alle negoziazioni avvenne con un rappresentante del ministero che veniva alla prigione per parlare direttamente con noi.

 

La reazione di SYRIZA allo sciopero della fame

Fin dall’inizio dello sciopero della fame il governo SYRIZA evitò di fare qualunque riferimento alla nostra lotta. Le stesse persone che negli scioperi della fame precedenti (con lo sciopero della fame durato tre mesi di Nikos Romanos come esempio più recente) non smettevano di parlare adesso, con i media da loro controllati, nascosero completamente la nostra lotta. SYRIZA come rappresentante di spicco del regime di sinistra ha sempre avuto lo sporco ruolo di recuperatore di lotte e movimenti radicali. Gli esempi nel recente passato sono molti ed illuminanti. Dalla de-politicizzazione degli arrestati anarchici e degli scioperanti della fame e il limitare la loro presunta “solidarietà” esclusivamente all’ambito dei “diritti umani”, fino allo scambio sistematico della speranza di avere “il primo governo di sinistra” con l’affossamento delle proteste anti-memorandum durante il 2010-12. Da Skouries, dove accusano i compagni e la gente del posto che si sono scontrati con gli interessi dei padroni di essere provocatori fino alla lotta anti-fascista, che essi percepiscono strettamente all’interno dei confini istituzionali.. I primi cento giorni del loro governo hanno confermato le nostre principali previsioni. Gli impegni pre-elettorali sono stati abbandonati, le famose “linee rosse” continuamente spostate, lo sterminio degli scioperanti della fame non ha nulla da invidiare ai governi di destra del passato; lo Stato di polizia continua.

Specificatamente per lo sciopero della fame dei prigionieri politici il governo scelse la strategia del completo disinteresse. E’ indicativo il fatto che nonostante 28 membri di SYRIZA avessero depositati due emendamenti “fotografici” che soddisfacevano alcune delle nostre richieste, NESSUN rappresentante del governo abbia fatto il minimo accenno allo sciopero, nonostante la pressione della totalità del campo conservatore che parlò di “soddisfare le richieste dei terroristi”. Perciò benché fosse ovvio che ci fossero state delle aggiunte alla legislazione a causa del nostro sciopero, quelli al governo (seguendo fedelmente le scelte dei loro predecessori) si presentarono come umanitari, nonostante in ogni caso si trattasse di un loro impegno.

Allo stesso tempo decisero di proposito di ritardare il dibattito e le votazioni della legge, testando le nostre energie e giocando pericolosamente con la salute di chi era in sciopero della fame, cercando in questo modo di portarci a fermare la lotta, dandogli la possibilità di votare persino meno di ciò che la legge alla fine incluse. Questo proposito di SYRIZA fu anche rinforzato dalla graduale divisione degli scioperanti della fame nel periodo tra il 27° ed il 39° giorno dello sciopero. L’abbandono dello sciopero da parte degli altri scioperanti, combinato con il periodo “morto” durante Pasqua diede a SYRIZA un alibi per temporeggiare, sperando  che ci saremmo fermati e che la legge avrebbe potuto essere votata senza la pressione dello sciopero della fame, oltre che dell’occupazione del decanatoe delle altre azioni di solidarietà. Noi pensiamo che se non avessimo continuato con la lotta il governo non avrebbe accettato gli emendamenti sul DNA e sulla “Legge sugli incappucciati” mentre avrebbe potuto cedere sulle concessioni per i prigionieri disabili, che includeva anche Savvas Xiros.

Un fattore importante nella strategia di SYRIZA oltre a ciò che abbiamo già menzionato fu la provocazione riguardante il movimento di solidarietà, soprattutto i mezzi che dimostrarono simpatia. Specialmente dopo l’occupazione degli studi di radio “Kokkino”, la linea dei media che sostenevano il governo era che i compagni solidali, deliberatamente o meno, stessero agendo provocatoriamente in favore dei “creditori e della Merkel e che ponevano dei seri ostacoli ai negoziati con l’Europa”. L’apice si ebbe con l’irruzione degli anarchici nel cortile del parlamento con le dichiarazioni degli alti dirigenti e membri di SYRIZA che parlarono apertamente di “agenti degli interessi stranieri”. Il regime di sinistra, proprio come SYRIZA, ha sempre pensato che è solo il potere a poter esprimere e difendere gli “interessi popolari” mentre allo stesso tempo giurava (e continua a giurare) fedeltà a tutte le istituzioni di democrazia urbana che condannano ed avversano le pratiche rivoluzionarie. Dal punto di vista del governo a questo punto è logico che i mezzi sotto il suo controllo, ma anche vari dirigenti e membri, ricorressero alle solite provocazioni, specialmente in un periodo in cui avevano un grande  supporto da parte della gente.

 

L’atteggiamento del campo “conservatore”

Agli antipodi di SYRIZA abbiamo avuto una massiccia unione del campo conservatore con Nuova Democrazia ovviamente con un ruolo da protagonista ed il primo dibattito politico serio sulla scena politica centrale dopo le elezioni. Con la sua strategia Nuova Democrazia cercava di ritardare il più possibile le procedure, sperando che se si fosse avuta la morte di uno degli scioperanti della fame, il governo di sinistra non avrebbe retto. Allo stesso tempo puntava all’elettorato conservatore “abbiente” che prosperanella società Greca, di cui una buona parte alle elezioni si è rivolta a scelte alternative, come ad esempio Alba Dorata, a causa della crescente miseria economica. Nuova Democrazia, con le sue scelte nel settore economico gli anni passati, non ha molte “carte” da giocare a parte quelle dell’ordine e della sicurezza. Insieme ai partiti PASOK e la stampella Bobolas come degni compari, combatté lo sciopero della fame con ogni mezzo. Con Savvas Xiros e le concessioni per il suo rilascio come pietra di volta cercò di polarizzare la situazione con un doppio obiettivo: o la legge non sarebbe passata a causa del rumore creato, o ci sarebbe stata la morte di uno degli scioperanti della fame a causa dei rinvii.

Uno dei principali alleati nel loro tentativo erano i mass media. Gli stessi media che per decenni ormai avevano attaccato e deriso i rivoluzionari, distorto l’azione armata rivoluzionaria travisandone i propositi, in questo momento specifico erano in prima linea nella parte che contrastava lo sciopero. Inizialmente, a parte l’occupazione degli uffici centrali di SYRIZA il 7° giorno, essi scelsero la solita linea del completo silenzio. Un punto cruciale che cambiò i fatti, e di conseguenza l’atteggiamento dei media, furono le continue azioni dei compagni solidali. L’occupazione dell’edificio del Rettorato e di Giurisprudenza (con tutti i suoi problemi), l’irruzione nel cortile del parlamento, gli scontri con l’antisommossa, attacchi incendiari e molte altre azioni in tutte le città, misero la lotta sotto i riflettori, ottenendo come risultato una perfetta cooperazione tra i media, N.D., PASOK e Potami, che passarono al contrattacco.

Ogni giorno, dai dibattiti politici ai notiziari, vedevamo dirigenti dei suddetti partiti, soprattutto N.D., che insieme ai giornalisti predicavano la “lotta senza quartiere” contro il terrorismo e simultaneamente contro la perdurante occupazione del Rettorato sullo sfondo, presentando un ruolo di “catalizzatori del disordine”  giocato dagli anti-autoritari che decisamente non rispondeva alla realtà. Abbiamo avuto occupazioni, scontri ed attacchi anche nel passato. Lo sciopero della fame di Nikos Romanos è ancora piuttosto recente. In quella specifica lotta ci furono molte più occupazioni, scontri generalizzati con l’antisommossa, ed è terminato con l’emendamento del ministro della Giustizia di Nuova Democrazia Athaniosou che soddisfaceva le richieste del compagno. Ad ogni modo, la sete di terrore espressa dai mass media e dai partiti politici non aveva precedenti. Persino azioni relativamente “comuni” come il concentramento sotto la statua al Milite Ignoto fuori dal parlamento o gli slogan scritti sui muri fuori dal parlamento presero una dimensione più seria attraverso la lente distorcente dei media.

Allo stesso tempo, come se non ci fossero altre richieste, il dibattito nella scena politica era incentrato sulla questione del rilascio di Savvas Xiros. Abbiamo visto tutto. I pagliacci televisivi lanciare calunnie contro il rilascio dell’”assassino”, i media scatenati sullo “scandaloso emendamento”, persino i parenti delle vittime del terrorismo vennero mobilitati per polarizzare il clima. Ovviamente un ruolo di primo piano in tutto questo era giocato dall’atteggiamento timoroso del governo di SYRIZA che cercava di bilanciare le cose avendo da un lato la pressione causata dallo sciopero della fame e dai compagni solidali, e dall’altra le continue reazioni del campo conservatore, oltre che del governo degli USA, che in un suo intervento chiarì che “il rilascio di un terrorista sarà considerato un atto non amichevole”.

 

Il risultato finale della lotta.

In questo clima di guerra arrivammo alle commissioni parlamentari ed alla settimana “morta” delle feste di Pasqua. Seguendo gli incontri, era chiaro che ND cercasse di procrastinare il voto per far si che ci fossero problemi con lo sciopero e che SIRYZA tentasse di mostrare di non essere affatto sotto pressione da parte di nessuno ma che stesse portando nella legislazione ciò che era già incluso negli impegni pre-elettorali. A questo punto prendemmo la dura decisione di continuare la lotta fino a che la legge non fosse stata votata.

Qui vorremmo aprire una piccola parentesi (dal momento che faremo più tardi un’analisi approfondita) sulla carenza di solidarietà espressa durante lo sciopero. Nonostante i lodevoli tentativi di un significativo nucleo di compagni, il movimento di solidarietà era ad un livello che non corrispondeva alla lotta specifica. Nonostante i suoi problemi iniziali, che hanno giocato un ruolo e di cui abbiamo già parlato nel presente testo, il livello della lotta era stato allargato perché riguardasse l’intero apparato repressivo degli ultimi 15 anni e toccasse l’intero movimento. Perciò a livello di scontro, con il campo avverso che ci attaccava così duramente, non siamo stati all’altezza delle circostanze. Ancora una volta scazzi, differenze personali, intrighi si sono messi in mezzo. Nonostante il campo conservatore facesse fronte comune, nonostante la sete di terrore dei media, e l’evidente ritirata del governo, e quindi il palesarsi di crepe nel regime di esclusione, la solidarietà durante tutto lo sciopero è rimasta disconnessa e non coordinata. Nonostante il tentativo di alcuni compagni di unire la lotta ad altre lotte, come quella di Skouries [contro la miniera d’oro, ndt], non ci furono risultati concreti. Allo stesso tempo, comparate al livello ed alle dimensioni della lotta, le azioni di solidarietà possono essere descritte come limitate e definitivamente non adeguate all’occasione. Nonostante tutto, rimane la prima (per ora) seria lotta contro la gestione di sinistra della macchina Statale che ha inflitto seri danni alla formazione di governo. La facciata umanitaria e militante di SIRYZA si è riempita di crepe ogni giorno fino ad infrangersi completamente quando l’antisommossa (MAT) ha fatto irruzione nell’edificio occupato del Rettorato.

Ciò che differenzia l’occupazione del Rettorato nel centro di Atene da altre azioni altrettanto importanti che hanno avuto luogo in altre città è che questa è stata individuata dallo Stato come nucleo simbolico della lotta fuori dalle mura.

Ad un livello propagandistico la repressione dell’occupazione è stato altamente simbolico. Dopo 19 giorni e dopo il duro e cruciale periodo di Pasqua durante il quale gli occupanti tennero accesa la fiamma mostrandosi all’altezza delle occasioni, arrivò l’atto repressivo finale.

Il 17 Aprile, il giorno in cui lo Stato procedette a sgomberare l’occupazione fu lo stesso giorno in del voto della legislazione, che sembrava avrebbe soddisfatto parte delle richieste degli scioperanti della fame e dei combattenti al di là delle mura.

Con l’intensificarsi della repressione il governo di coalizione lanciava un doppio messaggio:

Prima di tutto mostrava ai poteri occulti ed alla destra che quando si tratta di andare contro i rivoluzionari sono dalla stessa parte della barricata. In secondo luogo rendeva chiaro alla sua base di sinistra (cioè al settore giovanile di SIRYZA) e ad i suoi simpatizzanti quanto poco contasse la loro opinione.

Fin dai primi giorni c’è stato il tentativo di nascondere la lotta che era cominciata il 2 Marzo. Successivamente, dopo che le azioni di quelli fuori le mura e la situazione sempre più critica degli scioperanti avevano rotto il muro del silenzio, l’autorità rifiutò, distorse e ridicolizzò le caratteristiche della lotta mirando al suo completo isolamento per una repressione più efficace.

Nel testo che annunciava lo sciopero della fame ma anche in testi successivi (del 19/3 e del 1/4) avevamo menzionato la guerra di logoramento, le promesse, le molte dichiarazioni e scadenze negate, come tattiche dello Stato. Durante tutta la lotta e soprattutto verso la fine queste tattiche vennero usate sempre di più.

Con il nostro annuncio del 11/4 abbiamo reso chiaro per l’ultima volta che non avremmo interrotto lo sciopero fino al voto finale sul totale delle richieste, dal momento che le cose erano rimaste ancora molto vaghe fino a quel momento.

Durante quei giorni noi, i compagni della Rete, abbiamo dovuto prendere l’importante decisione se continuare o meno la lotta. Alcune caratteristiche della lotta vennero evidenziate, così come l’atteggiamento generale della gestione di sinistra degli eventi politici in corso.

La natura qualitativa della coalizione erano l’ipocrisia, il dilettantismo e la menzogna, che a livelli diversi ci aspettavamo.

La diminuita dinamicità del movimento d’altro canto era qualcosa che non ci aspettavamo. Allo stesso tempo, la salute degli scioperanti era ad un punto critico ed avevamo davanti a noi il periodo morto di Pasqua.

Poi, abbiamo messo sulla bilancia i fatti e considerando principalmente in che grado avremmo ottenuto le nostre richieste e mantenuto la coerenza con i nostri mezzi di lotta, abbiamo scelto di proseguire, ben sapendo che la nostra decisione avrebbe aumentato le grandi discrepanze della lotta sia fuori che dentro le mura.

Il periodo delle vacanze di Pasqua è stato il periodo più pericoloso e snervante per gli scioperanti e spinse i compagni fuori le mura al limite delle loro possibilità.

Fin dall’inizio il governo ostacolò la deposizione del progetto di legge mentre prometteva di soddisfare le richieste degli scioperanti, con l’interruzione della lotta come ovvio obbiettivo.

Hanno persino avuto il coraggio di chiederlo pubblicamente per ben due volte, facendo in cambio delle promesse. Nel disegno iniziale della legge era inclusa l’abolizione delle prigioni di tipo C ed era assicurato il rilascio di Savvas Xiros.

Successivamente, nonostante le obiezioni del ministro Paraskevopoulos, vennero inclusi nella legge anche gli emendamenti sul DNA e sulla legge sugli incappucciati. Gli emendamenti vennero aggiunti infine il 47° giorno (di sciopero della fame), nella votazione finale della legge nel Parlamento Plenario.

Qui vorremmo chiarire che le date di deposito e di voto della legge vennero procrastinate di settimana in settimana fino all’ultimo minuto.

I – fino a pochi mesi prima- sinistroidi difensori dei “diritti umani”, assunsero il ruolo di torturatori degli scioperanti della fame, proprio come i loro predecessori.

Ad ogni modo, la tattica di un atteggiamento intransigente nei confronti  degli scioperanti, allineata con i dictat dell’èlite politica ed economica interna e rafforzata dall’indifferenza della base di sinistra, è stata portata avanti in maniera così dilettantistica che, combinata con i piani dei poteri occulti, quasi portò alla morte di uno scioperante. Ci riferiamo al caso dell’anarchico Nikolopoulos.

Questo evento non fu sufficiente a fermare il governo dal continuare la stessa tattica, rimandando il voto della legge a dopo Pasqua, rischiando la vita degli scioperanti che continuarono durante il periodo morto per le procedure legislative (e di movimento). E’ ovvio che speravano nella fine dello sciopero della fame e nella cessazione delle azioni di solidarietà così da poter soddisfare il minor numero possibile di richieste.

Così arrivammo al 17 Aprile quando le ultime leggi che riguardavano le richieste vennero votate sotto la pressione della lotta. Il giorno successivo dopo una decisione comune dei partecipanti decidemmo di porre fine allo sciopero.

Dopo il voto nel Parlamento Plenario, consideravamo le nostre richieste in parte soddisfatte e che  la lotta avesse raggiunto l’apice della sua dinamica.

Comunque, è bene dire che nonostante la situazione fosse estrema in ogni suo aspetto (la salute degli scioperanti, i processi di movimento, prospettive, la forza dello Stato) la possibilità di continuare verso  la richiesta di soddisfare altre richieste rimase aperta fino all’ultimo momento.

 

Conclusioni

Lo sciopero della fame che si è appena concluso ci mette nella posizione di cominciare il processo di valutazione.

Siamo già dell’opinione che ogni tentativo di valutazione in questo specifico momento risulterebbe di base carente.

Un giudizio più completo e sereno sarà un lavoro che richiederà anni, visto che gli strascichi dello sciopero e le questioni da esso aperte avranno su di noi, sia collettivamente che personalmente, delle ricadute che dureranno anni.

Ciò che rende speciale questa specifica lotta – a parte le caratteristiche particolari mentre veniva condotta – è la grande ricchezza di conclusioni che ci lascia, e su molti livelli.

Abbiamo imparato molto sull’argomento surreale dei prigionieri politici – inclusi noi stessi – sulla formazione di un nostro spazio in un’esperienza specifica, sulla nuova maschera dello Stato – la gestione capitalistica con cui ci siamo scontrati, la forza, i limiti e le contraddizioni delle parti coinvolte.

Il fatto che le conclusioni che ne abbiamo tratto siano così sfaccettate è dovuto alla natura di questo specifico sciopero della fame. E’ stato il primo dopo la giunta che ha portato lo scontro con il nucleo della repressione, condensato nel regime speciale di esclusione, come concetto con cui viene gestito ogni soggetto collettivo o individuale che disturbi l’equilibrio del sistema.

Abbiamo lottato contro un’espressione del regime di esclusione e la nostra lotta ha causato alcune crepe. Questo è ciò che ha reso questo sciopero tanto preoccupante per il potere e lo ha portato a cercare di nasconderlo e distorcerlo con ogni mezzo.

Il fatto che le richieste non potessero essere personalizzate (eccetto per quella concernente Savvas Xiros che analizzeremo dopo) e che fossero “legittimate” da amenità democratico-borghesi ha reso lo sciopero non gestibile né politicamente, né dal punto di vista della comunicazione e né eticamente.

Esattamente perché non è stata recuperato, la nostra lotta ha perso un ampio grado di accettazione a livello sociale. D’altro canto, comunque, questo ha permesso di tracciare delle conclusioni chiare.

E’ stato il primo – ed unico fin’ora – processo di scontro acuto con il movimento anarchico/anti-autoritario dopo l’elezione della coalizione SIRYZA-ANEL.

La concezione della nostra linea di pensiero così come si era sviluppata e infine è stata comunicata ai prigionieri politici nelle prigioni di tipo C, presupponeva la vittoria elettorale di SIRYZA.

Lo sviluppo ed i risultati finali dello sciopero hanno mostrato che il nostro ragionamento era di base corretto, nonostante alcune omissioni che hanno influito:

– La sottovalutazione delle reazioni riguardanti la questione di Savvas Xiros fomentate dai conservatori; era un parametro che avremmo dovuto prevedere e analizzare maggiormente. E’ stata infatti la richiesta che ha unito l’area conservatrice e le polemiche a riguardo hanno oscurato il resto delle nostre rivendicazioni.

Parlando in maniera autocritica, abbiamo accettato la richiesta quando venne proposta perché la consideravamo politicamente ed eticamente corretta.

Col senno di poi, abbiamo realizzato che avremmo dovuto prevedere la centralità che essa avrebbe assunto. Il coinvolgimento personale di alcuni grossi pezzi di merda, sia ovvio (Bakogianni, Momferatos etc.), che meno ovvio (Vardinogiannis etc), e le pressioni dagli USA sono stati fattori che non abbiamo preso adeguatamente in considerazione.

A causa della posizione centrale che tale richiesta assunse nel dibattito pubblico, abbiamo perso l’opportunità di concentrarci sulle altre richieste, come la “legge sugli incappucciati”, quella sul DNA e persino la legge 187A, e dare a queste un maggior peso.

Dopo il rifiuto di Xiros di accettare il “braccialetto” per motivazioni religiose, l’importanza positiva della conquista rimane per ragioni umanitarie, oltre che per chiunque abbia la sfortuna di ritrovarsi nella posizione di Xiros.

Ogni tanto siamo costretti a ricordare qui che a volte è la repressione il filo conduttore della guerra sociale. Il “braccialetto” fu utilizzato come soluzione alla questione di Xiros anche perché era stato già precedentemente proposto come soluzione allo sciopero della fame di N. Romanos. E’ importante realizzare che ogni battaglia che intraprendiamo lascia degli effetti negativi o positivi che rimangono nel tempo.

– Abbiamo anche sottovalutato l’inesperienza di SYRIZA nel gestire una tale situazione da una posizione di governo.

Il ruolo dell’opposizione è differente dalle responsabilità di un governo che deve dare soluzioni, specialmente quando da un lato uno sciopero della fame mette pressione, con tutto ciò che questo comporta, mentre dall’altro il campo liberale e di estremo destra è assetato di sangue. L’inesperienza e la diffidenza possono diventare micidiali in condizioni di pressione, e 48 giorni di sciopero della fame lo testimoniano.

 

Fissare Gli Obiettivi dello Sciopero

Il triplo obiettivo dello sciopero (tattico, strategico, politico), impone la necessità di una trattazione specifica per ogni parametro

Tatticamente, lo sciopero della fame si è concluso con il parziale soddisfacimento delle richieste che avevamo avanzato. In sintesi:

a) L’impianto legale che definiva l’operazione delle prigioni di tipo C è stato completamente abolito.

b) L’aggravante introdotta dalla “legge sugli incappucciati” per gli arrestati durante scontri e proteste è stata abolita.

Per quanto riguarda gli espropriatori l’aggravante rimane, comunque non come ulteriore capo di imputazione ma come una caratteristica specifica della rapina. Per cui nei procedimenti per rapina si partirà da pene più basse.

c) Diventa possibile la presenza di periti della difesa durante la processazione di materiale genetico, dall’estrazione fino al risultato finale.

Il perito stilerà un proprio rapporto e testimonierà in corte.

La possibilità per il PM di imporre il prelievo coatto del DNA è stata trasformata in qualcosa di vago che mantiene la possibilità di prelevare con la forza il materiale genetico  “nel rispetto della dignità umana”. Concretamente dunque sembra che non ci saranno cambiamenti per quel che riguarda questo aspetto.

d) Savvas Xiros potrà rimanere agli arresti domiciliari per il resto della pena che deve scontare, cosa che lui ha deciso di non accettare a causa della sorveglianza elettronica.

Riguardo le altre richieste (abolizione degli articoli 187 e 187A, e la non-analisi di campioni contenenti il DNA di più di due persone) non ci sono stati cambiamenti.

In conclusione, a parte l’abolizione dell’impianto legislativo per le prigioni di tipo C – che era comunque uno degli impegni pre-elettorali di SYRIZA – e la presenza di un perito per il DNA, alcune richieste sono state soddisfatte solo parzialmente, altre non lo sono state affatto.

Perciò stiamo parlando di un successo parziale dell’aspetto tattico.

La coalizione di governo ha provato ad evitare di soddisfare persino quelle rivendicazioni minime. In due casi è stata la pressione dello sciopero della fame a cambiare il corso degli eventi.

Ad un certo punto prima della deposizione della legislazione al comitato, hanno aggiunto una disposizione che lasciava al tribunale la decisione sugli arresti domiciliari per gli ergastolani con più dell’80% di invalidità. Ogni prospettiva di rilascio per Savvas Xiros sarebbe stata perciò automaticamente azzerata. Era il regalo di SYRIZA alla destra (inclusa AN.EL.) per appianare le tensioni riguardanti il rilascio di Savvas Xiors.

Inoltre, nella votazione finale nel Parlamento Plenario, Paraskeyopoulos non aveva inizialmente accettato l’emendamento sul DNA.

In entrambi i casi dichiarammo ad un rappresentante del Governo che lo sciopero della fame sarebbe continuato se in primo luogo tutta la disposizione riguardante il tribunale non fosse stato ritirata, e in secondo luogo se l’emendamento sul DNA non fosse stato accettato, una cosa che ovviamente avremmo fatto.

Se non ci fosse stato lo sciopero della fame, persino la promessa pre-elettorale sulle prigioni di tipo C avrebbe potuto essere disattesa. Se non avessimo continuato la pressione dello sciopero della fame fino al voto finale, SYRIZA avrebbe potuto facilmente, come dimostrato alla fine, fare marcia indietro prima dell’ultimo passo e non sarebbe stato ottenuto neanche il minimo.

Perciò, c’erano tutte le ragioni per continuare lo sciopero dal momento che fidarsi del governo che diceva che le cose erano ormai avviate sarebbe stato distruttivo.

E una cosa che non dobbiamo dimenticare è che ci stiamo riferendo ad un alleggerimento degli aspetti legali, qualcosa che può essere facilmente recuperata del riformismo senza la necessaria organizzazione e composizione che facciano sì che tutto il “terreno” legale guadagnato possa essere utilizzato per un ulteriore sviluppo delle forze e delle lotte.

Strategicamente i nostri obiettivi riguardavano il collegamento dei prigionieri politici ma anche le forze più ampie del movimento, così che potesse essere stabilito un collegamento più efficace tra “dentro” e “fuori”.

Lo sciopero della fame sarebbe stato il mezzo usato per collegare persone e percezioni per una crescita del movimento che permettesse a quest’ultimo di lavorare insieme ai propri prigionieri per analizzare le congiunture e velocizzare il raggiungimento alcuni obiettivi – almeno alcuni a breve termine.

Nonostante gli obiettivi politici siano stati parzialmente raggiunti, strategicamente parliamo di un fallimento completo, visto che questo collegamento sembra una barzelletta ora che lo sciopero è finito.

Per analizzare le ragioni per cui il movimento non ha fatto fronte comune per portare avanti questa battaglia in condizioni più favorevoli, dobbiamo considerare la situazione sociale generale.

L’aspettativa derivante dalla “speranza” non è ancora stata superata, la logica della delega domina a livello sociale ed è deleteria trovandosi in un’area situata tra l’area anarchica/anti-autoritaria e le organizzazioni alternative autogestite.

Se riteniamo che la vittoria elettorale di SYRIZA è stata la disfatta dei Movimenti di disobbedienza e contestazione, è facile identificare una questione con cui saremo chiamati a confrontarci in futuro. Il lancio di proposte praticabili che superino la logica della delega.

Arrivando dunque alla presenza dello sciopero della fame, abbiamo realizzato che a parte quel nucleo costituito dall’“area”, il resto dell’area sociale “progressista” ha visto lo sciopero come un attacco all’affidabilità del governo.

La logica “se SYIRIZA è positiva, perché fanno uno sciopero della fame?” ovviamente non ha sopraffatto il principio basilare del movimento di non fidarsi degli organismi istituzionali (non importa quanto tale logica venisse appoggiata).

Il silenzio mediatico sullo sciopero ha esasperato tale situazione.

Dal momento che la società dello spettacolo definisce gli avvenimenti in base a quello che ne dicono i media, ciò che non viene trasmesso semplicemente non esiste.

Questo ha privato la lotta di una base sociale, impedendo il coinvolgimento di un maggior numero di persone.

A queste due questioni (inoltre) va aggiunto l’inizio mal coordinato dello sciopero della fame, che ha mancato di fornire alcuna informazione utile ai compagni fuori le mura

Una migliore comunicazione con i compagni che avevano una maggior comprensione del clima sociale avrebbe anche forse potuto esserci di aiuto nel capire la realtà, che non possiamo cogliere completamente dall’interno di una prigione.

Quindi avremmo capito i limiti del nostro approccio in anticipo, soppesando meglio le cose.

L’inizio frettoloso è soltanto parzialmente una scusa per il fatto che il movimento non abbia fatto fronte comune. Dopo la seconda settimana crediamo che non ci fosse un solo anarchico che non sapesse dello sciopero della fame, e che non avesse preparato almeno un piano a breve termine.

Inoltre, sfortunatamente, l’annuncio dell’inizio di uno sciopero della fame da parte di un compagno in genere viene dato a sorpresa.

Ciononostante crediamo che il modo in cui un progetto viene avviato ne definisca in maniera determinante lo sviluppo.

Ecco perché come DAK abbiamo insistito così tanto sull’informazione interna, ecco perché abbiamo spedito un testo interno ai collettivi, chiedendo che fosse diffuso, cercando di condividere la linea di pensiero dello sciopero con i compagni solidali anche retrospettivamente. Ad ogni modo le buone intenzioni non bastano, l’atteggiamento di ricatto dei prigionieri politici delle prigioni di tipo C che esigevano l’immediato inizio dello sciopero ha impedito alla nostra lotta di fare un balzo qualitativo.

Il ricatto sull’inizio dello sciopero dovuto a miopia politica e fretta, ci ha portati a realizzare che la natura caotica dell’”effetto farfalla” non si applica soltanto alla fisica ma anche all’ingegneria sociale.

Uno sciopero della fame iniziato da un prigioniero non anarchico ha portato al più grande sciopero della fame post-dittatura. Anche se l’abolizione delle prigioni di tipo C fosse stata raggiunta con lo sciopero della fame di G. Sofianidis, questo ci avrebbe dato la possibilità di cominciare da un miglior punto di partenza per porre il resto delle nostre richieste dopo poche settimane e in termini migliori, senza alcun motivo di un avvio frettoloso dello sciopero.

Ad ogni modo, i due principali limiti che abbiamo identificato hanno a che vedere con percezioni diverse, che tradiscono un’immaturità politica.

La percezione di parte del movimento che non sia necessario affrontare questioni che non siano di interesse sociale generale, ci definisce a vicenda, limitando molto il nostro campo di azione.

La nostra posizione come anarchici ci pone in prima linea nella battaglia e senza dubbio ci sono questioni che per noi hanno un peso particolare, come quella della repressione.

Dal momento che ciò che proponiamo è lo scontro con l’autorità dobbiamo limitare le perdite in questa lotta.

La lotta armata è parte della nostra lotta e l’argomentazione sottintesa (o a volte espressa chiaramente) che poiché lo sciopero della fame è portato avanti da membri di organizzazioni armate o da persone accusate di farne parte, esso non possa essere diffuso a livello sociale ottiene soltanto di trincerarci nelle nostre posizioni.

E’ una questione che richiede un’ampia analisi, e qui non aggiungeremo altro.

L’ideologizzazione dell’espressione della solidarietà basata si relazioni personali, antipatie e simpatie, è una questione a parte.

Il fatto che nonostante avessimo messo tra le richieste dello sciopero della fame alcune che sono ormai da molti anni delle “bandiere” del nostro movimento, richieste che accomunano gli anarchici contro la repressione, l’espressione o meno di solidarietà da parte dei compagni in base alle loro preferenze personali lascia un sentimento di tristezza.

Non possiamo che caratterizzare come politicamente immaturo l’atteggiamento di persone che percepiscono lo sciopero della fame come un semplice scontro di alcuni specifici prigionieri politici con lo Stato.

Ogni sciopero, e questo ancora di più, va oltre gli scioperanti, le loro richieste e persino oltre il movimento di solidarietà, ponendo le più generali questioni dello scontro, imponendo che chi è socialmente attivo prenda una posizione. E’ scegliere l’inattività in base ad antipatie personali è una presa di posizione.

Vale qui la pena menzionare la specificità della ipoteticapartecipazione delle CCF allo sciopero della fame, nel loro contesto.

Durante l’organizzazione dello sciopero, come DAK abbiamo scelto di non interpellarli a causa del loro comportamento problematico, nei nostri confronti così come nei confronti del movimento.

Un comportamento che rasenta l’ostilità li ha automaticamente esclusi dal nostro sistema di valori. Comunque, da quando hanno annunciato l’inizio del loro sciopero della fame, il nostro sostegno è stato a senso unico.

Abbiamo la maturità di capire che l’arresto di familiari va oltre le nostre relazioni personali e riguarda ogni individuo in lotta.

Potrebbero essere fatte critiche parziali quanto al tempismo nella scelta del momento di inizio del loro sciopero della fame (quando un altro sciopero era già iniziato ed erano già state poste delle basi diverse ma pur sempre collegate) o la concretizzazione delle loro richieste quando era in atto una lotta più generale contro la legge 187 che criminalizza le delazioni, ma questo non è essenziale.

Riteniamo comunque che abbandonare alla repressione chiunque il regime consideri un nemico sia un errore esiziale d’analisi, semplicemente perché lo Stato avanza sul terreno che cediamo.

Un ultimo fattore che identifichiamo riguardo la mancata formazionedi un più ampio movimento di solidarietà (e delle conseguenti rivendicazioni di un tale movimento) è la mancanza di connessione tra i prigionieri politici.

L’immagine di pessima comunicazione, se non di dissoluzione, derivante dalla concomitanza di tre diversi scioperi della fame con tre presupposti politici differenti e con il graduale emergere di contrasti tra gli scioperanti, sicuramente non può unire i compagni, mentre al contrario crea le condizioni per il livellamento e la delusione.

E, ovviamente, la principale conseguenza è il cedere terreno al nemico. La coalizione di governo, vedendo che le loro ritrattazioni funzionavano, ha portato avanti una guerra di deterioramento ancora più intensa dopo i 30 giorni, contando sul nostro sfinimento oltre che sul periodo morto di Pasqua.

Se il nostro proposito di una graduale adesione di altri scioperanti, dipendente dalla situazione fisica di ognuno, fosse stato seguito da tutti i partecipanti, il culmine per tutti sarebbe stato pressappoco nello stesso periodo (prendendo anche in considerazione gli imprevisti che sempre possono esserci in simili situazioni) ed il governo si sarebbe trovato in una situazione difficile a causa dell’enorme pressione derivante dalla situazione critica di così tanti prigionieri in sciopero della fame.

Ma poiché esso non è stato preso realmente in considerazione, non è stata fatta alcuna dichiarazione da parte degli scioperanti riguardo al seguire un piano congiunto.

Poiché erano stati posti tre diversi contesti, ognuno aveva l’opportunità di terminare lo sciopero della fame in qualunque momento in base alle proprie considerazioni etiche e politiche.

Ci sono stati compagni nel nostro collettivo che non hanno partecipato allo sciopero a causa di problemi di salute derivanti da scioperi della fame precedenti, oppure per scelta. Inoltre, Tasos Theofilou ha posto fine al proprio sciopero della fame dopo 38 giorni, dopo che la proposta di legge è stata depositata al comitato.

Abbiamo spiegato che la struttura e la conformazione del DAK è basata sull’iniziativa e  accordi di minima e che questo collettivo non è un gruppo.

Uno sciopero della fame è un mezzo duro ed autodistruttivo e crediamo che necessiti di flessibilità contro le restrizioni e i vicoli ciechi da parte di ogni individuo che decida di intraprenderlo.

Non importa in quante contestazioni potremmo incorrere, restiamo persone con limiti, contraddizioni e debolezze.

Seguendo questa linea di pensiero non c’è stata alcuna critica da parte nostra verso coloro che hanno interrotto lo sciopero della fame prima della votazione finale, che questi facessero parte del DAK o meno.

L’unica eccezione è il testo di Nikos Maziotis, che ha pubblicamente affermato “la lotta è finita, ha esaurito il proprio ciclo”.

Questo ovviamente non era vero con nove anarchici ancora in sciopero della fame.

Persino se si fosse trattato di un’opinione personale, la sua espressione avrebbe potuto essere rimandata fino al momento delle valutazioni, che non era molto distante.

Inoltre, il riferimento alla “mancanza di realismo” delle richieste di abolizione degli articoli 187 e 187a ha fatto sì che SYRIZA si trincerasse ancora di più nelle proprie posizioni, indebolendo la posizione degli scioperanti.

Il realismo delle richieste è questione di organizzazione e determinazione. Anche se sono incomplete, è meglio che le opinioni di ciascuno vengano espresse nei momenti morti e non nel vivo dello scontro.

Indipendentemente dalle intenzioni quindi, l’annuncio della fine dello sciopero della fame di N. Maziotis è stato dannoso, ed è a questo che ci riferivamo.

Il fatto che uno scioperante proclami la fine della lotta mentre molti altri sono ancora in sciopero della fame, colpisce direttamente i compagni solidali creando confusione.

Dato che non c’era stata la possibilità di fare programmi, intenzioni o piani B per altre azioni, sarebbe stato un grave errore abbandonare il Rettorato, trattandosi dell’unica fonte stabile di contro-informazione ad Atene.

A parte l’importanza politica dell’occupazione (e ci sono senz’altro molte analisi), la sua importanza comunicativa è stata enorme.

E’ stato il campo centrale del conflitto nell’ultima fase dello sciopero e alla fine la coalizione di governo è stata costretta a sgomberarlo per poter votare la legge senza la pressione dell’occupazione.

L’intera gestione repressiva e lo sgombero del Rettorato occupato ha creato una grossa crepa nella facciata “movimentista” di SYRIZA.

Alla fine, nonostante il completo fallimento nel perseguire i nostri obiettivi strategici (ovvero la connessione tra i prigionieri politici ed i compagni fuori dalle mura), lo sviluppo dello sciopero ci offre la possibilità di tirare delle conclusioni la cui calma valutazione in futuro si rivelerà positiva.

Gli obiettivi politici della nostra lotta sono stati anch’essi solo parzialmente raggiunti. Uno scontro a breve termine tra la parte sociale più radicale e la proposta di un sistema alternativo di gestione ha creato una profonda spaccatura tra le due posizioni. Questo è il maggior risultato dello sciopero.

Era chiaro che una parte dell’area anarchica/anti-autoritaria, sia per ingenuità politica, sia perché ritenevano che SYRIZA potesse essere un alleato strategico per guadagnare tempo, pensavano che lo scontro con SYRIZA dovesse essere rimandato o persino accantonato.

Lo sciopero della fame ha messo ancora una volta in evidenza in che modo si ottengono le cose. Con lo scontro senza mediazioni e con obiettivi non gestibili dal regime.

Abbiamo anche visto il grado e l’abilità del nostro intervento sociale senza le “stampelle” del regime di sinistra. Per anni ormai in quanto area ci siamo “abituati” al ruolo di opposizione di SYRIZA, che mentre da un lato sosteneva a livello sociale le nostre richieste, contemporaneamente le spogliava del loro significato politico.

Attraverso questo sciopero della fame non solo abbiamo affrontato legalmente (vedi gli obiettivi tattici) l’attacco repressivo degli ultimi 15 anni, ma anche politicamente. Ci è stata data l’opportunità di toccare con mano il regime di esclusione, analizzare i meccanismi sviluppati dal potere a livello repressivo ed entro certi limiti mettere della sabbia negli ingranaggi del regime di esclusione.

Se ad ogni modo ometteremo di analizzare le nostre conclusioni e persisteremo in semplici atteggiamenti di condanna, niente ci garantisce (anzi tutto il contrario) che un futuro governo (o anche questo stesso governo) non tenti di continuare la sua offensiva repressiva.

E’ imperativo che realizziamo le carenze, le mancanze ma anche la nostra forza quando promuoviamo una lotta basata esclusivamente su di essa.

Lo sciopero della fame è un piccolo passo per poter contare le nostre forze e poter progettare piani di ristrutturazione in senso rivoluzionario.

La lotta che abbiamo portato avanti è stata una lotta chiaramente politica. Ha toccato i suoi promotori – i prigionieri in sciopero della fame – tanto quanto i compagni fuori.

I suoi limiti, le contraddizioni che ha evidenziato, le diverse dinamiche sociali che sono comparse sul suo percorso sono state variabili impreviste o erano state calcolate nella sua preparazione.

Il contesto entro il quale lo sciopero della fame è nato e si è sviluppato era molto diverso da quello esistente fino a quel momento.

Le analisi che fin dall’inizio abbiamo sviluppato riguardo l’esito della lotta erano fondate sui rapporti di forza che avevamo (o pensavamo di avere) fino a quel momento.

In linea di massima ci rendevamo conto delle differenze col passato ma non era sufficiente.

L’analisi di una simile lotta ha bisogno di approfondimento, di andare oltre il luogo comune che ”tutti i padroni sono uguali, destra e sinistra”.

Una predizione nei limiti del possibile corretta deve essere basata su modelli testati, cosa che nel nostro caso era impossibile senza l’esistenza della lotta.

Solo un’analisi basata su fatti concreti può dare una valutazione (sempre tenendo in considerazione la possibilità di eventi imprevisti) se una lotta debba avere un diverso finale, quanto realistiche siano gli obiettivi che si è posta su ogni livello e quali le possibilità che l’esito sia quello sperato.

Questo è l’unico modo di calcolare i costi di una battaglia e se valga la pena combatterla o meno; e nel caso valga la pena, quale sia il piano migliore da un punto di vista tattico e strategico.

Non abbiamo mai avuto alcuna illusione. SYRIZA è un partito che in questo periodo sta gestendo l’autorità statale in favore dei profitti del capitalismo, e finché questo va avanti è identico a tutti gli altri partiti dell’autorità borghese.

Ogni meccanismo di autorità, comunque, ha diversi punti di partenza e tattiche di governo, ed è nostro compito di rivoluzionari analizzare il nemico e combattere le nostre battaglie avvalendoci di ogni vantaggio.

La gestione del governo di SYRIZA delle questioni aperte dallo sciopero (politiche, comunicative, repressive) ovviamente ha delle differenze da vecchie esperienze analoghe. Ragionare nei termini “sono tutti uguali” è ovviamente valido, ma non reggerebbe ad una seria analisi politica, specialmente durante il periodo in cui lo sciopero si è svolto (per le ragioni che abbiamo già menzionato).

Appiattire le differenze esistenti all’interno del campo autoritario annulla il pensiero critico e ci priva della possibilità di diventare più incisivi in una guerra di trincea, come è il caso di uno sciopero della fame.

E’ una questione di scontro politico e di maturità riconoscere che ciò che abbiamo ottenuto con lo sciopero non è stato il massimo, e neanche ciò che avevamo calcolato, ma chi avrebbe pensato di ottenere anche solo questo con altri rapporti di forza?

Nuova Democrazia avrebbe ritirato la legge sulle prigioni di tipo C che essa stessa ha creato un anno fa? Avrebbero posto le condizioni per la liberazione di Savvas Xiros? Avrebbero abolito la legge sugli incappucciati che loro stessi avevano votato, se anche la vita degli scioperanti della fame fosse stata più a rischio?

E, perché non ci siano fraintendimenti, noi non aspettiamo tempi propizi per combattere le nostre battaglie. Gli scioperi della fame portati avanti da K. Sakkas, N. Romanos, SP. Stratoulis; lo sciopero della fame dell’anno scorso di 4.500 detenuti e molti altri sono state battaglie combattute nel momento in cui ciò andava fatto.

Inoltre, molte battaglie potrebbero in futuro dover essere affrontate in condizioni sfavorevoli.

Ma quando abbiamo l’opportunità di sfruttare delle falle nel sistema per raggiungere un obiettivo specifico, lo facciamo.

Chiaro e semplice.

Lo sciopero della fame dei prigionieri politici è stata una grande battaglia nel contesto della guerra di liberazione che stiamo portando avanti. Grande non solo per via della sua lunghezza nel tempo, della partecipazione ad essa o della posta in gioco, ma – soprattutto – a causa delle conclusioni che ne sono derivate.

Questa grande battaglia è stata combattuta ora perché molte altre battaglie più piccole non sono state combattute prima.

Il breve sciopero della fame di 4.500 detenuti in estate, lo sciopero della fame dei prigionieri nella prigione di Manadrinou nel 2004 contro le condizioni miserabili della prima prigione di Alta Sicurezza in Grecia, gli scioperi della fame e le rivolte degli immigrati nei lager per stranieri e molti altri momenti di lotta hanno posto alcune fondamenta contro il regime di esclusione e l’ultimo sciopero della fame trova il proprio posto nel mosaico che compone le lotte contro Stato e Capitalismo.

Una questione che lo sciopero della fame dei prigionieri politici lascia come eredità, è quella di trasformare ogni conquista (legale, interpersonale e politica) dandogli un timbro rivoluzionario.

Come affronteremo gli errori, le omissioni e le falle che abbiamo trovato per diventare più efficaci e pericolosi per il potere.

SYRIZA ha esaurito il tempo concessogli come governo e come partito  e con esso la fiducia di una gran parte delle persone che in esso riponevano delle speranze.

Lo sciopero della fame e le azioni in solidarietà hanno costretto SYRIZA a rivelare la sua natura repressiva e questo processo continuerà in molte questioni personali, evidenziando le sue contraddizioni.

Ecco perché come movimento dobbiamo prepararci analizzando le situazioni, individuando le opportunità e tenendoci pronti ad esasperare tali contraddizioni con idee radicali ed azioni sovversive.

Se questo non succede, la gestione di SYRIZA, in parte di recupero, in parte di intralcio, in parte repressiva, sarà un serio freno allo sviluppo delle proposte anarchiche.

L’INTENSIFICAZIONE DELLA GUERRA E’ NELLE NOSTRE MANI

PREPARIAMOCI PER LE BATTAGLIE FUTURE

 

PS1: I pochi ansiosi che aspettavano valutazioni critiche da parte nostra per alimentare i propri intrighi, dovranno cercare altrove per soddisfare i propri istinti cannibali.

PS2: La presente valutazione non pretende di essere infallibile, né di avere l’ultima parola. Essa è soltanto il punto di vista di quelli che hanno partecipato al DAK ed è parte del processo complessivo di valutazione del movimento nella lotta che abbiamo sostenuto. Abbiamo provato, nonostante la difficoltà di comunicazione tra le prigioni e durante questo periodo di recupero dallo sciopero della fame, ad affrontare questo ampio argomento della lotta non appena possibile e a sviluppare assieme una fertile autocritica ed a terminarla prima che questa lotta diventi preistoria. Per cui, ora che è ancora fresca, dobbiamo tirare le prime conclusioni, perché la storia corre rapida e già si aprono nuovi fronti di battaglia. Chiarimenti o commenti dai compagni sulle questioni che abbiamo omesso o che intenzionalmente o meno non abbiamo analizzato possono essere bidirezionali. Maggiori informazioni o considerazioni sulla strategia e la tattica scelte sono questioni che non riguardano la sfera pubblica ma i processi interni, ed è così che verranno comunicate.

PS3: Un grande abbraccio e tutto il nostro affetto ai tre medici Lina Bergopoulou, Spiros Sakkas e Olga Kosmopoulou che fin dal primo momento sono stati al nostro fianco e ci hanno sostenuti.

PS4: Ancora un grande abbraccio ai prigionieri politici turchi che hanno iniziato uno sciopero della fame in solidarietà. Questi combattenti, esempio di modestia ed efficacia, hanno mostrato la propria maturità politica, mettendo da parte importanti ma al contempo inconsistenti differenze ideologiche davanti al nemico comune, ed hanno rischiato le proprie vite per la battaglia che abbiamo combattuto. Non possiamo dimenticare anche Giorgios Iglesis, che per 35 giorni ha partecipato allo sciopero della fame, restando l’unico supporto essenziale dalla parte dei prigionieri.

PS5: Una menzione speciale ai compagni che hanno agito nelle aree rurali. Non dimentichiamo che il 70% delle azioni di solidarietà hanno avuto luogo fuori da Atene.

 

Network of Fighting Prisoners (DAK)

[Grecia – Settembre 2015] Analisi di uno sciopero della fame – DAK