La situazione a un centinaio di giorni dall’apertura delle Olimpiadi di Rio 2016 è nera, anzi la tonalità ha il colore rosso sangue. Quel rosso è il sangue delle vittime della bonifica che il Governo brasiliano insieme alla sua polizia sta portando avanti a spese della vita dei “meninos de rua”.
Continuano infatti gli omicidi da parte delle forze di polizia di Rio, a pagarne le spese sono soprattutto i bambini che vivono per strada e nelle favelas. Il piano del Governo brasiliano da almeno un paio di anni a questa parte è stato quello di cercare di dare un giro di vite in occasione delle Olimpiadi. Cercare in tutti i modi di allontanare dagli occhi del Comitato Centrale per le Olimpiadi quella situazione mai sanata che fa delle favelas un ritorno d’immagine non certo proponibile persino per lo stesso Comitato Olimpico.
Anche le Nazioni Unite, nella qualità del Comitato per i diritti dell’infanzia, nell’ottobre del 2015, non ha potuto fare a meno di sottolineare come: “la polizia stia uccidendo bambini e adolescenti per ripulire le metropoli, e soprattutto Rio de Janeiro, in vista dei Giochi del 2016” e come vi sia un “elevato numero di esecuzioni sommarie di bambini”. Sono almeno 375 i bambini “spariti” nei primi nove mesi del 2015 di età compresa tra i 4 e i 14 anni, il Consiglio federale di medicina brasiliano parla di 250mila negli ultimi anni, ma la realtà sta nelle parole di Padre Renato Chiera, fondatore della “Casa do Menor” quando parla di “400 alla settimana”, in quello che è un vero e proprio “genocidio sociale in atto”. Purtroppo questa situazione è all’ordine del giorno, anche in assenza di grandi eventi. Il rapporto dell’Onu evidenzia come: “ Le vittime sono soprattutto ragazzi poveri dalla pelle nera che vivono alla periferia delle aree metropolitane delle grandi città. La loro probabilità di essere uccisi dalla polizia è quattro volte maggiore quella di un adolescente bianco”.
Amnesty International ha contato che le esecuzioni da parte della polizia, sono spesso liquidate con la formula della “resistenza all’arresto” sostenendo che sono “il 16% degli omicidi avvenuti negli ultimi cinque a Rio de Janeiro”. Le ferite, in molti casi, provano che le vittime stavano scappando quando sono state raggiunte dai proiettili, o erano in ginocchio.
La condizione di povertà come reato, questo è nei fatti quello che sta accadendo in Brasile e questo pare essere il problema maggiore per il governo carioca, dove addirittura le spiagge di Copacabana e Ipanema vengono proibite ai ragazzini delle favelas. Basta essere vestiti in modo non conforme alla presentabilità stabilita dalla polizia, persino non avere le scarpe diventa un reato per essere bloccati e spesso arrestati, una logica che pare abbia spinto il parlamento abbassare a 16 anni l’età per la quale si può essere processati come adulti.
Tuttavia questo tipo di “restyling” non è nuovo per chi opera all’interno di questi contesti di strada o nelle favelas, anche per i Mondiali del 2014, questo “genocidio sociale” ha avuto luogo. Gli interessi legati alle Olimpiadi e ai Mondiali, insieme all’ottusità di chi sostiene che lo show debba continuare e che i Giochi olimpionici non debbano guardare alle situazioni che riguardano i diritti calpestati nei paesi ospitanti, fanno in modo che ci si chieda fin dove questo tipo di logica debba essere sopportata. Soprattutto in una situazione come quella di Rio de Janeiro, dove le responsabilità della polizia sono palesemente sottaciute e tollerate, tanto che i colpevoli di questi omicidi la fanno sempre franca, inseriti come sono in un disegno che vuole far apparire la città ripulita da questo tipo di problematiche. Meglio non parlarne troppo. Da questo punto di vista il Comitato Olimpico e gli atleti di tutto il mondo non possono che esserne complici.
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