«Fumo, molto fumo. Denso. Delle migliaia di persone che resistono nei boschi della Maddalena si scorge solo la sagoma. L’aria, irrespirabile, è satura di gas lacrimogeni e sono ormai parecchie ore che si tenta di cacciare da quel pezzo di terra, strappato con violenza solo qualche giorno prima, gli uomini in divisa. La determinazione è molta e la rabbia anche.
I signori della guerra non se l’aspettavano e sono preoccupati, hanno già esploso più di 4000 lacrimogeni e le scorte si stanno esaurendo. Arriva l’ordine di caricare fin dentro il bosco per la prima volta. È una manovra azzardata, la celere non è abituata a questi terreni dissestati dove la visibilità è scarsa. Varcano spaventatissimi la soglia del bosco urlando per farsi forza.
Coloro che resistono si scagliano contro di loro con ogni mezzo a disposizione e i carabinieri scappano in ordine sparso senza curarsi di un loro elemento che inciampa tra i mille sassi della Maddalena. Lo lasciano lì, avvolto da molte persone che con rabbia lo svestono.
Un carabiniere, armato ed impaurito è un grande pericolo. Carlo Giuliani è l’esempio che abbiamo ben impresso nei nostri cuori. Levargli la pistola è necessario. Subito dopo ci si ferma, si discute, e, visto che non si è come loro e lui è solamente un burattino, lo si accompagna fuori dal bosco verso il resto della truppa. Ma la questura è preoccupata per la pistola scomparsa…
Arriva una proposta: “se ce la restituite un ragazzo che abbiamo preso non verrà denunciato”. Una volta trovata, la pistola viene restituita. Dei cinque NOTAV in loro ostaggio e massacrati di botte, uno non sarà denunciato».
A parlare è la memoria collettiva di un intero movimento, che deriva dai mille racconti avvenuti tra manifestazioni, pranzi e cene davanti ai cancelli del cantiere, in un presidio o in mezzo ad un autostrada bloccata. È una realtà che nasce da una convivialità fuori dagli schemi, che solo chi lotta può vivere e comprendere.
Nel codice penale si traduce in: lesioni, danneggiamento, travisamento, sequestro di persona, rapina, porto d’arma da guerra. La nostra memoria di giornate come il 3 luglio ci parla di dignità, di resistenza e di amore per la terra. Ecco perché non potrà mai essere un Pubblico Ministero a definire ciò che è stato. Ecco perché ci interessa poco ascoltare la “verità” del Tribunale.
Martedì 10 maggio, al tribunale di Torino, verrà letta la sentenza di un processo a carico di Gabriele e Pandino. Le richieste di condanna espresse da Padalino e Rinaudo sono tra le più alte richieste nei confronti dei NOTAV fino ad oggi: 9 anni (6 anni con rito abbreviato).
Vorrebbero isolare chi lotta, dividere il movimento e spaventarci.
La solidarietà più significativa si pratica stringendosi attorno a chi viene accusato, continuando a lottare con più determinazione e forza, per rilanciare la mobilitazione NOTAV anche in vista dell’arrivo di nuove trivelle e cantieri.
Per questo martedì 10 non andremo al tribunale di Torino, ma proseguiremo la nostra lotta ritrovandoci dalle 9 di mattina al presidio NOTAV di Susa per lavori di sistemazione in vista della stagione calda.
Alle 12.30 si pranzerà lì discutendo dell’esito della sentenza e di prossime iniziative.
In caso di pioggia ci sposteremo al presidio di Venaus.