Jean-Paul Michel
«Ed io aggiungerei che un bel paio di chiappe
ha più potere a questo mondo
di tutte le elucubrazioni dei filosofi»
L’Aretino
Ci fanno ridere, oggigiorno, gli uomini dell’«efficienza»! Non solo perché il loro attivismo da topolini merita commiserazione — ma perché ogni loro proposito è di un sordido così ridicolo! Ovviamente non riescono a muovere un dito senza invocare, drammaticamente, la Necessità Storica! Eppure credono così poco alla necessità delle loro «necessità» da agitarsi senza tregua, sempre più rumorosamente, per scongiurare la cattiva sorte che, immancabilmente, minaccia la riuscita di questo o quell’altro progettino ideologico. E che dire di quella miriade di teste rafferme e di culi grassi dei burocrati di partito e di sindacato! La loro «abnegazione»! I loro intrallazzi! Le loro profezie! Il loro senso dei «compromessi tattici» che ogni volta liquidano, con un sol gesto, persino le loro stesse «ragioni» d’essere! Ciò che vogliamo è aprirci la possibilità d’una vita che si svincoli dalle logiche da sciame, qui e subito, e costruire la nostra esistenza nell’azzardo del gioco — con la materia, lo spazio, il tempo e gli altri. Laddove non ci sia spazio per il benché minimo cavillo.
È stato sufficientemente notato che quanto è stato fatto di notevole, in ogni campo del pensiero e della vita, ai tempi dell’antico dominio delle teologie, non ha avuto alcuna importanza né interesse per l’avvenire se non in rapporto alla sua emancipazione dalle rappresentazioni dell’ortodossia? Il fatto è che ogni conquista non poteva derivare che dalla sua capacità di superare gli schemi totalizzanti delle totalizzazioni religiose. Tutti eterodossi, eretici recidivi, pendagli da forca, «pazzi ed atei e l’uno in conseguenza dell’altro», a vari livelli, Campanella e Spinoza, Galileo e Giordano Bruno. Tutti libertini, l’Aretino e Cellini, Meslier e Diderot. C’è da scommettere che ciò varrà ancora per la nostra epoca — tranne per quanto concerne il rispetto nei confronti della politica cui si sarebbe dovuto strappare il pensiero. È sufficiente vedere a quale annichilente torpore abbiano condotto tutti i suoi trionfi, o quali schiarite abbiano aperto i suoi tonfi, per avere già una misura del fenomeno.
Forse era necessario che in un primo tempo le visioni politiche del mondo trionfassero pienamente perché si potesse meglio scorgere, col senno del poi, cosa avevano di amaramente inadeguato. Da questo punto di vista, abbiamo già dei lettori pronti a Mosca. È anche in rapporto al potere che tali visioni hanno esercitato sulla nostra vita, che ora possiamo valutare meglio la loro mancanza di pertinenza. Proprio perché allora l’ortodossia sacrale della Ragione nella Storia tramava di uccidere in noi, sotto diverse forme di «professionismo rivoluzionario», ciò che eccedeva la politica — e quindi di ucciderlo anche negli altri — riportando in gioco il non-detto oggi non ci ritroviamo soli: riconducendovi, per noi, gli altri, ritorniamo, per loro, scandalosamente vivi.
Il libertinaggio moderno è l’atteggiamento antipolitico. Con questo, agli occhi del censore, il libertino aggrava la propria situazione, in quanto la sua follia non è applicabile unicamente a credenze i cui fini si poteva pure ritenere che si sottraessero all’esperienza — ma è diretta contro quelle stesse pratiche che vengono presentate come la realtà della realtà. L’antica categoria degli spiriti forti e ostinati e di altre teste dure conoscerà per forza di cose un ritorno d’attualità. Tutto sommato, sarebbe normale battezzare i moderni miscredenti col bel nome di partito delle male teste. Perlomeno sarebbe meno solenne che combatterci sotto la definizione un po’ enfatica di partito dei filosofi, e ciò non toglierebbe che avremmo comunque davanti a noi il nemico: il partito grigio ricostituito.
Parliamo, chiaramente, di una grave crisi: anzi del luogo di un disastro, dal momento che proprio dal crollo del vecchio cielo delle ragioni comuni scaturisce una simile riflessione. Può darsi che del nemico ci piacciano le crisi e i loro scenari di rovine. Ma una protesta tanto appassionata non poteva nascere, principalmente, che dalla dolorosa esperienza e dall’immenso disgusto per tutte le casistiche di partito. Ideologicamente, il nostro tempo sarà stato caratterizzato dalla stupidità dei buoni sentimenti e, in pratica, dalla tutela totalitaria dell’economia, della politica e dell’ideologia sull’esistenza intera. È giunto il momento che questa saturazione produca per noi il suo antidoto.
Non apprezzando più l’universale astratto, non tenteremo affatto di esprimere queste esuberanze nella loro astratta universalità (per gli altri, in loro vece, a loro nome, al di là delle essenziali diversità che costituiscono il loro solo interesse), ma soltanto nel nostro nome e a partire dalla nostra condizione. Parleremo perciò di quanto conosciamo e del genere di questa conoscenza: vale a dire di noi stessi. Teniamo alla singolarizzazione della nostra idea — che alcuni testoni della putrida universalità denunceranno come pensiero parziale o, quelli più stupidi, di parte — come a qualcosa di fondamentale: la verità la vogliamo adesso «in anima e in corpo». In tal senso, questo testo segna una frattura definitiva nel nostro movimento. Tutto ciò che c’è di inevitabilmente evangelico, da proselito, di pedagogico nella maggior parte dei progetti di riforma intellettuale o sociale, ci è di troppo. Giacché è di complici che abbiamo bisogno e non di discorsi, non ci interessa alcuno scritto che non sia inevitabile, assolutamente necessario e del tutto singolare.
In un mondo interamente regolato dalle «ragioni» del potere, la libertà non può che essere concepita come follia o perversità. Da questo punto di vista, gli ospedali psichiatrici russi sono quelli della stessa Ragione, che curano il coraggio di affrontarli come fosse una malattia. I turbamenti di questa irragionevolezza ci sono cari.
Non esiste alcun Paradiso. Questa tesi, da sola, è effettivamente scandalosa, in un’epoca in cui i sortilegi della merce da un lato e le melliflue predizioni di una prossima età dell’oro dall’altro rivaleggiano, al solo scopo di procurare un eden dopo l’altro alla classe universale degli asini calzati e vestiti della felicità integrale* — è come se un’agenzia di viaggi per naturisti proponesse alla propria clientela di turisti smunti un’abbronzatura integrale. Non esiste alcun Paradiso: questo scandalo occorre considerarlo all’inizio di ogni occasione di sottrarsi alla poltiglia dell’aspettativa di una redenzione il cui solo effetto è di indebolire il presente, e al suo immancabile doloroso inganno. Soltanto a partire da questo sarà possibile liberarsi delle ideologie della beneficenza da cui scaturiscono i messianismi sociali. Nel concepire la vita, bisogna avere il coraggio di fare posto al pesante complesso di angosce, di ferocie, di asprezze, d’irriducibili insocievolezze, di bellezze, di sogni, di conflitti, di drammi, di astuzie, di menzogne, di debolezze, di energie, di paure, d’incoscienza, di coscienza, di desideri, di passioni reali, il cui nero groviglio si trova effettivamente nel centro profondo di ogni socialità, di ogni umanità, di ogni esistenza individuale e collettiva. E radicare definitivamente questa umanità gioiosa sul terreno della contingenza e della necessità in cui si manifestano tutte le follie e le ragioni umane.
Perciò in questo mondo possiamo apparire poco più che il partito del Male — tant’è vero che, nel mondo delI’astrazione generalizzata, soltanto il concreto è davvero detestabile. Se questa sorta di verità può essere prodotta con toni da scandalo, è perché tuttora il rimosso di tutte le ragioni, delle politiche e delle loro annichilenti bontà, sottraendosi effettivamente ai topoi** dei pensieri di normalizzazione, non può che essere iscritto agli occhi di questi ultimi nel registro dell’assoluta estraneità. Tuttavia i garantiti sociali di ogni livello indicano proprio questo innominabile, benché solo in modo negativo, più con la punta del fucile che con le sole basi del discorso: è su ciò che questo mondo deve, ad ogni costo, puntare tutte le sue armi. Lo scandalo è la sola modalità possibile dell’affermazione del non detto della ragione e del vissuto clandestino di tutti i gulag. Per questo il nostro pensiero invoca l’odio verso questo mondo. Fortunatamente non c’è da temere che questo ci venga meno.
* È la follia di questa «felicità» statica che, nella sua astrazione acchiappavoti, costituisce contemporaneamente l’inevitabile «programma» di tutti i partiti dell’èra dello Stato e l’argomentazione di tutti i Terrori.
** Luoghi comuni.
[La politica messa a nudo dai suoi scapoli, anche, Gratis, 2006]