il Disordine della Liberta’

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IL DISORDINE DELLA LIBERTA’
La massima espressione dell’ordine istituzionale e’ rappresentato dallo Stato. Lo Stato e’ un modello di organizzazione sociale costruito sulla gerarchia, sul controllo e sulla coercizione. Secondo una analisi che molti anarchici condividono, l’ordine istituzionale non sarebbe altro che l’usurpazione di un diverso ordine che si potrebbe definire sponteneo.
La tesi e’ che la vita sociale si realizza attraverso regole che le sono intrinseche, che tendono cioe’ a verificarsi in ogni contesto. Questa capacita’ autoregolamentativa dell’insieme sociale sarebbe soffocata dall’intervento esterno ‘’cioe’ rispondente ad altre regole, quelle appunto dell’ordine istituzionale’’ dello Stato. Ed e’ su questa spontaneita’ che gli anarchici hanno sempre ipotizzato e praticato i propri progetti rivoluzionari.

Spontaneita sia nel momento insurrezionale dello scontro con le forze statali, sia nell’organizzazione dal basso della societa’ quando l’intervento delle varie archie politiche ed economiche viene sospeso dalle lotte in corso. In condizioni di relativa assenza di potere, gli sfruttati tendono a soddisfare i bisogni della produzione e della distribuzione in modo orizzontale.
Da questa angolazione, l’ordine vero non e’ quello statale, che anzi crea disuguaglianza, dominio e quindi guerra civile, ma proprio quello spontaneo. Ed il pensiero di Proudhon esprimeva con la famosa frase ‘’la liberta’ e’ madre e non figlia dell’ordine’’. Un ordine imposto dall’alto finisce per soffocare la liberta’, mentre mantiene e accresce l’organizzazione rigida e sempre piu’ razionale delle tecniche di governo. L’espressione completa della liberta’ eliminerebbe invece le ragioni del disordine sociale.
Io non condivido questo modo di impostare il problema. Di certo si tratta di un problema di considerevole importanza. Querlli che seguono vanno quindi letti come interrogativi, primo fra tutti per chi scrive.
Tra societa’ e Stato non e’ possibile individuare una netta separazione. Non esistono un interno ed un esterno. Infatti, se e’ vero che lo Stato trasforma in forza coercitiva quello che si produce nelle relazioni sociali, e’ altrettanto vero che il potere di alienare e di organizzare questa forza gli viene dalla societa’ medesoma. Lo Stao di suo non ha alcunche’. Non solo. Ogni contesto sociale tende ad istituzionale i rapporti fra gli individui. Quando e’ il contesto a condizionare le relazioni di un organismo piu’ ampio. Senza l’incessante volonta’ di unirsi e di determinare a partire dai propri desideri le proprie unioni, la societa’ diventa un appartenersi reciproco, un legame che riproduce a autonomizza l’unico elemento comune: la mancanza di liberta’.
Cio che voglio dire e’ un po’ diverso dalla considerazione che il dominio e’ un prodotto dei dominati. Che se nessuno ubbidisce, nessuno comanda, come diceva Belleguarrigue, mi sembra difficilmente contestabile. Ma non e’ questo che qui mi interessa. Credo, detto altrimenti, che non esista una spontaneita’ autoregolamentativa che lo Stato estorce. Meglio, credo che il potere e la gerarchia siano spontanei tanto quanto la liberta’ e la differenza. Anzi, forse e’ proprio il dominio a esprimere la spontaneita’ sociale ‘’ senza per questo cadere in una lettura alla rovescia di Resseau’’. In piu’, il concetto di ordine e’ stato troppo spesso utilizzato come sinonimo di assenza, o per lo meno di ragionevole contenimento, dei conflitti. Proprio perche’ lo Stao a creare i conflitti, una societa’ libera dalla sua ingerenza sarebbe ordinata. A mio avviso, invece, l’autorita’ non nasce dalla contesa, dall’impossibilita’ di armonizzare cio’ che e’ distinto, bensi’ un tentativo di imporre l’armonia in modo coattivo, di risolvere, cioe’ di annientare, i contrari. La divisione in classi e la gerarchia sono l’espressione di una differenza mutilata.
Un concetto diverso di ordine, e quello che fa della differenza stessa l’elemento comune, lo spazio della compenetrazione dei contrari. Solo che i contrari non si possono armonizzare, se non con il risultato di rendere la diversita’ una semplice funzione di qualcosa di superiore. Semmai dovrebbe essere l’ordine di essere in funzione della diversiata’. In altre parole, non e’ la liberta’ tollerata o garantita nell’intento di creare una societa’ armonica cio’ che esprime la singolarita’ ‘’quella singularitas che per i latini era totalmente distinto’’. Lo spazio dell’individualita’ e’ un’unione sempre mutevole che non diventa mai mero contenitore.
Identificare dei principi di spontaneita’ sociale, caricandoli di una valenza che va’ ben oltre l’elemento puramente descrittivo, significa individuare gia’ dei doveri e dei fini. Secondo me non e’ scritto da alcuna parte che la societa’ senza Stato debba essere libera. Da qui nasce il fascino della liberta’, proprio dal suo essere decisione, sia nel senso di artificio che va oltre il semplice sviluppo sponteneo, sia nel senso di rottura, di differenziazione. Si possono realizzare rapporti di reciprocita’ e di non comando solo con una costruzione, e non per sottrazione di qualcosa. Se esistono delle forme di ordine sponteneo esse possono essere tuttalpiu’ una base di partenza. Una base reciprocatamente antisociale.
Sbarazzandosi tanto dei destini della sponteneita’ quanto dalle imposizioni di ogni istituzione, il concetto di ordine diventa uno spazio piu’ linguistico che reale. In questo modo, forse, si spiega la profonda antipatia che nei suoi confronti ha sempre avuto ogni ribelle. ‘’Liberi, cioe’ ordinati’’ ho letto tante volte. Suvvia, non scherziamo.

Massimo Passamani

Testo estratto da CANE NERO n.20 2 marzo 1995