Processo d’appello a Nikos Maziotis
Oggi, 9 gennaio 2001, secondo giorno del processo a Nikos Maziotis, Nikos è saltato giù dalla sua panca, sfuggendo al controllo dei poliziotti ed è riuscito a raggiungere il seggio dei giudici per aggredire il giudice, prima che la polizia intervenisse per bloccarlo.
La corte era intenzionata allo svolgimento di un processo sommario, nello spirito della legge antiterrorismo approvata in Grecia sotto le pressioni degli USA.
Sin da ieri, primo giorno del processo, il giudice ha ripetutamente interrotto i compagni che testimoniavano in difesa di Maziotis, quando si riferivano alle caratteristiche politiche della sua azione, alla resistenza delle popolazioni di Strimonikòs contro la multinazionale TVX Gold ed allazione di Maziotis di piazzare una bomba contro il ministero dellindustria e dello sviluppo come azione di resistenza e di solidarietà. Hanno anche parlato del vero terrorismo della NATO che ha dispensato morte nei Balcani. Due di loro sono stati costretti ad uscire dall’aula a forza dai poliziotti, su ordine del giudice.
Quindi Nikos ha cominciato la sua dichiarazione, disvelando i meccanismi dello stato e del capitale.
Quando ha cominciato a dire che il criminale non è lui ma sono le multinazionali che distruggono l’ambiente e i poliziotti che ammazzano gli immigrati, il giudice si è rifiutato di lasciarlo continuare ed ha stabilito che la dichiarazione era finita e la seduta veniva tolta!
Oggi (9 gennaio) Maziotis ha sostenuto che non avrebbe accettato di presenziare al processo in queste condizioni. Il giudice ha ordinato agli avvocati di far proseguire il processo, nonostante la volontà di Maziotis, ed è stato allora che Nikos ha provato ad assalire il giudice.
Ogni processo ad un combattente per la libertà è una condanna dello stato. [1]
Una lettera da Nikos Maziotis sul suo processo in corte dappello
Il giorno 8 gennaio 2001 il tribunale d’appello, dove vengo processato per il tentativo di procurare un’esplosione contro il ministero dello sviluppo un’azione compiuta per esprimere solidarietà con le popolazioni dei villaggi di Strimònikos che stavano combattendo contro l’installazione di impianti per la lavorazione dell’oro da parte della multinazionale TVX Gold è divenuto una corte militare per procedimenti sommari al pari di quelle del Tribunale per la Sicurezza di Stato della Turchia.
L’atmosfera di questo procedimento che ha avuto luogo l’otto gennaio, ha compreso un atteggiamento terroristico verso i compagni intervenuti in mia difesa, la violenta interruzione delle loro testimonianze, il divieto ad ogni riferimento alle motivazioni politiche per le quali sono stato condannato, l’espulsione violenta dall’aula di due compagni che testimoniavano, il rifiuto premeditato della corte di chiamare a testimoniare l’ultimo dei compagni che doveva testimoniare, persino l’atteggiamento terroristico nei confronti dei miei avvocati; questa procedure si è completata con l’interruzione della mia dichiarazione, che ovviamente non era di gradimento del giudice, con l’assenso del resto dei componenti della corte.
A partire dal giorno di ieri, 9 gennaio, mi sono rifiutato di continuare a partecipare a questo processo terroristico, in questa procedura di censura, silenzio e spoliticizzazione del mio caso, dall’esito prestabilito. Ho dato ordine ai miei avvocati di ritirarsi e con il mio attacco al giudice ho posto fine al procedimento. Un procedimento che il giudice voleva chiaramente finisse già il primo giorno, un procedimento che la corte voleva continuare con me ammanettato per tutta la sua durata, un procedimento che manifesta la decisione predeterminata della corte di confermare la condanna a 15 anni che ho ricevuto, comminata con l’intento di annientarmi.
10.01.2001
Nikos Maziotis
L’anarchico Nikos Maziotis in sciopero della fame
“Con disprezzo della morte i compagni turchi e curdi prigionieri continuano la lotta contro le nuove celle d’isolamento.
Mentre le “democrazie” capitaliste occidentali, compreso lo stato greco che sotto la pressione degli Usa ha imposto una legge antiterrorismo, si rendono naturalmente complici nei crimini dello stato turco, molti prigionieri rivoluzionari in Europa, come quelli del Pce(r) e il Grapo in Spagna, Action Directe in Francia e le Cellule Comuniste Combattenti in Belgio, hanno espresso la loro solidarietà con i compagni Turchi e Curdi con degli scioperi della fame di breve durata, a turno, a partire da aprile sino ad oggi.
Dopo uno sciopero della fame simbolico di cinque giorni che ho fatto nel dicembre 2000, questa volta ho partecipato al movimento internazionale di scioperi della fame dal 9 al 13 giugno, in solidarietà con i compagni Turchi e Curdi.
Perché le prigioni, l’isolamento, le torture, le leggi antiterrorismo, la repressione, sono mezzi usati da tutti gli stati e da tutti i governi. Perché la Rivolta contro lo Stato, il Capitale e il Nuovo Ordine è Giusta. Perché la solidarietà è la nostra arma.”
9 Giugno 2001
Nikos Maziotis,
Prigione di Koridallos
Atene, Grecia
Lotta con ogni mezzo Solidarietà senza confini
Lettera aperta da parte di Nikos Maziotis
Il giorno 8 gennaio del 2001 sarò di nuovo processato questa volta dalla corte d’appello per il tentativo di far esplodere una bomba contro il ministero dell’Industria e dello Sviluppo, un’azione da me messa in atto il 6.12.97 al fine di esprimere la mia solidarietà con la popolazione dei villaggi della baia di Strimonikòs che in quel periodo resisteva all’installazione di impianti per la lavorazione dell’oro da parte della multinazionale TVX Gold e contro l’attacco repressivo dello stato. L’appello, che comincerà l8 gennaio, non è una semplice ripetizione del processo.
È una battaglia politica di importanza pari a quella processo di primo grado, nel luglio del 99, che divenne parte integrale della lotta antistatalista ed anticapitalista.
Il processo del luglio 99 fu condizionato dalle pressioni che il governo USA esercitava su quello greco affinché schiacciasse il «terrorismo» ed approvasse una legge «antiterrorismo», cosa che ci si aspetta a breve termine.
La mia condanna a 15 anni di prigione è stata una decisione politica imposta da quelle pressioni, e in quanto tale la ritengo decretata da un funzionario americano.
Quella condanna mirava a condannare le lotte sociali, gli anarchici e la loro solidarietà con le lotte sociali, la solidarietà tra coloro che resistono; a condannare gli abitanti dei villaggi di Strimonikòs, la rivolta contro lo stato ed il capitale, tutti quelli che resistono contro l’attuale ordine politico e sociale che regna sul mondo.
Ma il processo del luglio 99, nel modo in cui è stato condotto da parte nostra, è divenuto una condanna per lo stato e per il capitale, una condanna dei loro crimini ed un sostegno alla tradizione anarchica insurrezionale delle lotte degli ultimi dieci anni in Grecia, un appello senza compromessi alla lotta contro lo stato ed il capitale in tutto il mondo.
In questa battaglia politica non ero solo. C’erano anche compagni che in passato erano stati accusati ed imprigionati per casi analoghi, compagni con i quali ho condiviso molti momenti e situazioni di lotta, durante delle dimostrazioni, occupazioni, durante la rivolta del Politecnico nel 95 e nei movimenti di solidarietà, come in quello per la lotta nei villaggi di Strimonikòs.
C’erano compagni dall’estero, dall’Italia e dalla Francia, che sono venuti al processo per esprimere la loro solidarietà, ed anche messaggi di solidarietà mandati o letti in aula, come quello per i tre rivoluzionari di Action Directe imprigionati ed altri messaggi da parte di gruppi anarchici.
La dimensione della solidarietà internazionale espressa durante quel processo è stata di grande importanza ed ha provato che la lotta contro lo stato, contro il capitale e il Nuovo Ordine è diffusa in tutto il mondo.
Il significato politico e sociale del processo d’appello dell’otto gennaio è chiaro. Per gli uomini dello stato è la seconda opportunità per esercitare il loro potere di repressione, cosa che sanno fare molto bene.
L’opportunità di mettere di nuovo sotto processo non solo me, ma, tramite me, la lotta degli abitanti di Strimonikòs, la solidarietà con la loro lotta, la resistenza contro i progetti di distruzione del territorio e delle sue fonti di ricchezza, la resistenza contro la modernizzazione e le direttive di sviluppo delle multinazionali, gli anarchici e tutti coloro i quali resistono allo stato e al capitale.
Con questo processo condannano le lotte sociali in generale e la solidarietà degli anarchici con queste lotte. Ogni processo, come il mio e quelli di altri compagni, come i processi agli studenti per i blocchi stradali o agli abitanti di Strimonikòs processati per la loro resistenza, è un chiaro avvertimento terroristico che lo stato manda alla società nel suo complesso, che qualcuno lo recepisca oppure no.
Quando condannano ed imprigionano qualcun altro è come se stessero condannando ed imprigionando noi. Quando minacciano di giustiziare la Pantera Nera Mumia Abu Jamal, è come se stessero minacciando di giustiziare noi. Quando sparano ai senzaterra in Brasile, è come se sparassero a noi. Quando bombardano la gente come in Iraq ed in Jugoslavia, è come se bombardassero noi. Quando torturano qualcuno dentro una caserma di polizia, è come se torturassero noi. Quando dei combattenti muoiono bruciati nelle prigioni e nelle celle d’isolamento, come in Turchia, in Spagna o in Perù, è come se morissimo noi.
Per noi il processo è una possibilità per affermare ancora una volta che loro, lo stato, il capitale, i giudici, sono i veri terroristi, i veri criminali. Di affermare che le lotte e la rivolta contro il loro regime, in tutto il mondo, sono cose giuste, che la solidarietà non è una parola vuota bensì la nostra stessa lotta.
La solidarietà non è «selettiva», né sottostà a criteri personali o a divisioni ideologiche, ma è incondizionata per tutti coloro i quali combattono dovunque e con ogni mezzo contro l’esistente ordine sociale e politico.
Perché le lotte degli altri, anche se sono lontani da noi, sono le nostre stesse lotte, e le nostre lotte sono le loro.
Perché la solidarietà, verso chiunque sia espressa, siano lavoratori in sciopero, siano occupanti, coltivatori, studenti o sia espressa verso prigionieri politici e «terroristi» oppure detenuti «comuni», è una e indivisibile.
La solidarietà riguarda ognuno perché la repressione dello stato riguarda ognuno.
E la legge «antiterrorismo» che sarà approvata tra poco, riguarda quelli che lottano, gli anarchici, ma anche l’intera società e tutti quelli che resistono.
Lo stato sceglie dei criteri, secondo i quali alcune persone vengono definite «terroristi», come hanno fatto ad esempio con gli abitanti di Strimonikòs dopo gli scontri del 9 novembre 97, quando lo stato e la polizia reagirono imponendo nella zona la legge marziale.
La legge «antiterrorismo» è un’esplicita forma di dittatura dello stato e dei servizi di sicurezza.
Non solo i nemici dichiarati dello stato saranno chiamati terroristi, ma anche le lotte sociali e le dimostrazioni che oltrepassano i limiti delle loro leggi e del loro controllo. Saranno chiamati terroristi anche coloro che solidarizzano con i «terroristi» e con le lotte sociali.
Il Capitalismo e il Potere uccidono in molti modi.
Uno è quello dei crimini sul lavoro, chiamati «incidenti», come la morte dei dodici lavoratori della Petrola – una compagnia petrolifera – nel 92, come la morte di due lavoratori edili nel crollo del ponte di Attiki Road in Paiania, come le decine di persone seppellite nelle fabbriche e negli altri edifici crollati con il terremoto, quelle annegate, come le ottanta persone morte a Paros o come i marinai della motonave «Dystos», o nei quotidiani «incidenti di lavoro» durante i lavori di costruzione e nei bacini di raddobbo di Perama.
Il capitalismo ci avvelena, come la multinazionale australiana dell’oro Esmeralda nella Romania nord-occidentale, dove la tracimazione di un serbatoio di rifiuti tossici ha inquinato il Tisza e il Danubio, o come i progetti della TVX Gold per distruggere la Baia di Strimonikòs inquinandola permanentemente, o come i progetti della Petrolas per espandere i propri stabilimenti a Thriasio.
Il capitalismo uccide, come la Union Carbide, che ha ammazzato migliaia di persone a Bhopal, in India, con la fuoriuscita di sostanze tossiche nell’84, come gli «incidenti» nucleari di Three Miles Island, negli USA, e di Chernobyl, che continua ad uccidere ed avvelenare gente, o come la multinazionale Shell che con l’aiuto del governo nigeriano espropria con la forza la terra agli indigeni per estrarne il petrolio.
Non esistono incidenti nella civilizzazione tecnologica in cui viviamo. Ci sono soltanto crimini, dove gli stati e le grandi compagnie trattano le persone alla stregua di «carburante» per il loro profitto ed il loro potere.
Il potere uccide quando i proiettili degli assassini di stato uccidono degli immigranti o dei cittadini, quando uccidono dei combattenti.
Il potere fa terrorismo criminalizzando le lotte sociali, quando attacca le manifestazioni, quando imprigiona dei combattenti e quando emana leggi «antiterrorismo», quando mette in prigione centinaia di immigranti.
Il loro «sviluppo», la loro «democrazia», per noi significano solo sfruttamento, guerra, repressione, morte e devastazione della terra. Per gli uomini di stato ed i capitalisti ciò che importa sono potere e profitto, non la vita umana.
Per noi ciò che importa sono la libertà e la dignità della vita umana. È per questo che siamo rivoluzionari.
Eventi insurrezionali come quelli di Seattle, Atene, Praga e Nizza, indicano la globalizzazione della resistenza contro il neoliberismo ed il Nuovo Ordine Mondiale.
Oggi, le forze che sostengono la sovversione, non devono confrontarsi solo con le nuove forme del dominio, il neoliberismo ed il Nuovo Ordine Mondiale, ma anche, all’«interno» del movimento di sinistra, con i sindacalisti ed i residui riformisti del «Vecchio Mondo» e del «Vecchio Ordine», che si battono ad oltranza per la conservazione e la magnificazione della situazione sociale e politica esistente, per la salvaguardia dello stato nazionale e del capitalismo nazionale.
Il neoliberismo ed il suo avversario, il protezionismo di stato, sono due facce della stessa medaglia, proprio come era per l’occidente capitalista e l’oriente burocratico, qualcosa che ha afflitto il vecchio movimento rivoluzionario e, in una qualche misura, lo ha ridotto a strumento dell’impero sovietico, ai tempi dell’ordine mondiale bipolare.
La sovversione del capitalismo passa tanto per il rifiuto dello stato nazionale e della sovversione dei meccanismi dello Stato gerarchico, quanto per la resistenza contro le nuove forme di dominio, le strutture del Nuovo Ordine transatlantico, internazionale e transnazionale.
Il collasso dei regimi del socialismo irrealizzato e la disintegrazione della sinistra tradizionale hanno aperto la strada a nuove possibilità per il movimento anticapitalista.
Per noi non solo non è la fine della storia, ma ne è appena linizio
Nikos Maziotis
20 dicembre 2000
Prigione di Koridallos, Atene