fonte autprol.org
Perché nessuno possa dire… Non lo sapevo!
Denuncia della condizione di afflizione e arbitrio cui sono costretti i detenuti del carcere di Parma e delle gravi violazioni compiute dall’amministrazione penitenziaria.
A tutti i prigionieri…
…perché il silenzio è un cancro che divora la dignità dell’uomo e fa marcire la memoria.
Il carcere è una particolare forma dello spazio e del tempo, il visibile prodotto dei rapporti sociali e più in generale della dialettica “rispetto/trasgressione” delle norme sociali e giuridiche e “legalità/illegalità” dei comportamenti del singolo o di un gruppo. Il carcere è il “luogo” (inteso come unità spazio-tempo) in cui la libertà individuale nei suoi molteplici aspetti viene istituzionalizzata cioè gestita dallo stato e quindi negata attraverso la restrizione fisica, al fine di salvaguardare, affermare e rafforzare il sistema di valori e di interessi promossi e praticati da una minoranza che a vario titolo detiene il potere politico ed economico e di questi è espressione, a cui la maggioranza della società aderisce per consenso, paura e incertezza materiale, perché del potere politico ed economico conosce solo il peso dello sfruttamento, la violenza del controllo e della coercizione quotidianamente vissuti sulla propria pelle. Il carcere è il luogo in cui sono ristretti uomini e donne che trasgrediscono la norma sociale e la legge o che mettono in discussione l’ordinamento politico ed economico espressi nello stato.
Dietro alte mura di cinta dentro celle asettiche e spersolalizzate sono rinchiusi e ammucchiati coloro che la società occidentale borghese e capitalista rifiuta e nasconde a se stessa, il suo prodotto più vero e di dirompente umanità, i prigionieri.
Bobore Sechi.
Il mio nome è SALVATORE SECHI, nato il 22-11-1972 a Sassari, attualmente ristretto agli arresti domiciliari in quanto indagato e imputato in attesa di giudizio insieme ad altri 8 patrioti comunisti ai sensi dell’art. 270-bis c.p. Ho trascorso cinque mesi di custodia cautelativa nel carcere di Buoncammino (Ca) con una breve parentesi (dal 23 ottobre al 18 novembre) in un carcere di massima sicurezza della Penisola.
Con la presente non voglio denunciare l’attacco politico mascherato da operazione poliziesca e giudiziaria – tale è l’Operazione Arcadia –, portato avanti contro il Movimento Indipendentista e in particolare contro “a Manca pro s’Indipendentzia”, organizzazione indipendentista comunista di cui sono militante, ma rispondere a quello che sento primariamente come mio dovere di uomo che crede fermamente nel valore sostanziale della dignità umana, della libertà e della democrazia, e denunciare le condizioni di assoluta precarietà, arbitrarietà e violazione degli elementari diritti dei detenuti – riconosciuti dalla Costituzione italiana, dall’ordinamento penitenziario e dal regolamento di esecuzione, nonchè dalla legislazione internazionale sui diritti inalienabili dell’uomo e i dispositivi indicati con fermezza dalla Corte di Strasburgo –, così come io stesso ho potuto toccare direttamente.
Sento il dovere di unire la mia voce al coro dei detenuti che hanno denunciato la realtà di quello che è stato descritto da varie personalità del mondo politico come il fiore all’occhiello del sistema carcerario italiano… il carcere di massima sicurezza di Parma.
Vista dall’esterno l’immagine moderna della struttura confonde il visitatore o il malcapitato finito nelle maglie della giustizia. Il prato inglese e i grandi padiglioni danno più la sensazione di una struttura ospedaliera o un grande centro polivalente per la riabilitazione e il recupero sociale delle persone svantaggiate. A tradire la funzione della struttura sono le sbarre alle finestre, l’alto muro di cinta sul quale passeggiano le guardie armate e la targa sulla porta d’ingresso che recita “Istituti Penitenziari di Parma”.
Vista dall’alto e da dentro, dagli occhi che si affacciano dai finestroni delle celle, il carcere di via Burla appare in tutta la sua fredda, scientifica e razionale archittettura di pena. L’esclusione dalla società degli uomini e delle donne che qui dentro si trovano ad essere ristretti assume una forma “speciale”. La restrizione della libertà personale – unica sanzione contemplata dai regolamenti, dalle leggi italiane ed internazionali –, è in questa struttura una pena sottesa alla vessazione, all’afflizione, all’arbitrio e alla negazione della dignità umana erette a sistema. Il trattamento inframurario è improntato all’osservanza di un regolamento interno che non tiene conto delle disposizioni dell’O.P. ne del Regolamento di Esecuzione; o meglio sembra essere stato scritto tenendo conto unicamente di quello che un’amministrazione penitenziaria può decidere liberamente.
Di fatto la legislazione in materia di ordinamento ed esecuzione della pena si dimostra conflittuale e contradditoria al suo interno… Molto di quello che riguarda la vita quotidiana degli uomini e delle donne privati della libertà è lasciato alla discrezionalità dei direttori e dei comandanti della polizia penitenziaria che possono decidere se applicare o meno ciò che secondo le normative italiane e internazionali sono diritti del detenuto. In questo caso il diritto cessa di essere tale e si trasforma in negazione e arbitrio nel momento in cui la sua applicazione è un fatto discrezionale.
Ho vissuto 27 giorni nella sezione E.I.V. e dal giorno sucessivo al mio arrivo ho intuito l’ingiustificabile sproporzione tra il trattamento e le esigenze di custodia e sicurezza.
Non parlo del mio caso particolare – del tutto simile a quello di tanti altri compagni e compagne colpiti da repressione politica –, per quanto l’essere classificato come persona altamente pericolosa per la società ed essere deportato dal carcere di Cagliari nell’istituto di via Burla e sottoposto al trattamento nel regime E.I.V. sia stata la negazione dei diritti dell’uomo e del cittadino universalmente riconosciuti, nonchè la sospensione di tutti gli articoli dell’ordinamento penitenziario e del relativo regolamento di esecuzione e di ogni diritto e garanzia in quanto detenuto in attesa di giudizio.
Parlo di tutte le illogiche negazioni e limitazioni che diventano soprusi e si manifestano per quello che realmente sono… la volontà cieca dell’amministrazione penitenziaria di seppellire il detenuto sotto una montagna di “domandine” che spesso ricevono come risposta lunghi silenzi o tempestivi rifiuti, che non feriscono per il “no” ricevuto ma per il senso che la negazione assume… annientare la dimensione umana e la dignità di chi è ristretto.
Che senso ha in termini di trattamento e di sicurezza:
1. creare un clima di stato d’assedio nelle sezioni di massima sicurezza E.I.V., A.S., 41 bis, quando con puntuale scadenza settimanale arriva una squadra composta da dieci-quindici guardie per la “perquisizione ordinaria” delle celle. I detenuti vengono rinchiusi nel lavatoio, per 15-20 minuti, ancora in pigiama o vestaglia (perché la perquisizione è un’attività mattutina effettuata di solito tra le 7.00 e le 8.00). Quei 15-20 minuti bastano e avanzano per mettere sottosopra vestiti, lenzuola e tutti gli effetti personali;
2. limitare la quantità di indumenti intimi, asciugamani e vestiario di cui disporre in cella? Tutto è strettamente numerato e insufficiente a garantire un ricambio continuo. E per la sostituzione di un qualsiasi capo di biancheria o d’abbigliamento è necessario fare apposita richiesta e attendere il giorno stabilito per turno per recarsi al magazzino e sostituire l’indumento;
3. spegnere l’antenna centralizzata e oscurare la televisione alle 2.00 di notte per ricollegarla all’etere alle 7.00 del mattino? I migliori programmi televisivi, trasmissioni culturali o film d’autore sono trasmessi in seconda serata, o ad orari ancora più tardi… perché vietare la possibilità di vedere un bel film per intero? Perché l’amministrazione penitenziaria limita la sintonizzazione a soli 8 canali televisivi? Perché preferisce far marcire i telecomandi in qualche magazzino dell’istituto piuttosto che darli ai detenuti;
4. limitare a tre i libri che è consentito avere in cella? La stessa limitazione numerica vale anche per le riviste. La Bibbia non è conteggiata come libro ma come effetto personale;
5. negare l’acquisto e l’utilizzo di penne diverse dalle biro Bic e non poter acquistare o tenere in cella alcun materiale di cancelleria, righelli, pastelli, matite colorate, fogli da disegno, calcolatrici…?
6. non poter tenere con se un numero di fotografie superiore alle 12 unità, vedersele ritirare dalla guardia che consegna la posta se queste arrivano con le lettere, perchè devono essere numericamente catalogate in magazzino, e così pure i libri, i quaderni e i diari che famigliari e amici inviano ai detenuti?… Si deve fare richiesta e andare a prenderle in magazzino nel giorno di turno e se si hanno già con se il numero massimo di unità per oggetto, si deve fare la scelta di quali tenere con se;
7. battere forte e insistentemente per alcuni secondi le sbarre della finestra, con una barra di ferro che provoca un rumore assordante e fastidioso incupito dallo spazio ristretto della cella? Questo accade due volte al giorno, ogni santo giorno. Pochissime guardie, giovani non ancora del tutto istituzionalizzati, mosse da un senso di vergogna, entrano nelle celle con aria di chi vorrebbe chiedere scusa e battono sulle sbarre cercando di fare il minor rumore possibile e per la durata di tempo più breve possibile;
8. essere contati sei volte al giorno quando si è costretti a passare 21 ore chiusi in cella, nella totale disperante immobilità? E che senso ha il rituale che accompagna una conta mattutina e una serale, quando tre guardie passano per le celle, una apre il cancelletto, una segna su un ruolino e un’altra, di solito un graduato entra, fa tre-quattro passi dentro la cella, gira i tacchi ed esce?
9. privare degli arredi le celle dei detenuti sottoposti a sorveglianza particolare secondo l’art. 14 bis o.p., che prevede soltanto l’isolamento notturno o diurno all’interno delle sezioni?
10. essere rinchiusi e dimenticati in celle isolate in aree isolate dell’istituto (celle di segregazione e di tortura) che hanno come unici arredi un tavolo, uno sgabello e un piano su cui dormire, che sono tutt’uno con le pareti e il pavimento della nuda cella, e passarvi dentro infiniti giorni, seminudi, o nudi completamente quando lo richiede la perversa e maniacale cura della sicurezza, senza sufficienti coperte con cui ripararsi dalle rigidità dell’inverno padano, spesso senza la possibilità di avere carta e penna o quotidiani o libri con cui ingannare il tempo e tenere viva la mente? Ad usufruire di tali alloggi sono i detenuti che indotti dalle rigide misure coercitive e dai sopprusi subiti, o da particolari debolezze psicofisiche compiono o potrebbero compiere atti di autolesionismo o rendere manifesto il proprio raggiunto limite di sopportazione. Altri sono detenuti che hanno rivendicato i propri diritti e denunciato le vessazioni e gli arbitri del sistema, e sono considerati turbolenti, aggressivi e destabilizzatori. Queste particolari celle hanno una doppia funzione repressiva e deterrente per dissuadere, sedare, castrare la vivacità della personalità secondo il motto: “se fai da bravo vieni premiato (forse), se fai da cattivo sei bastonato (sicuramente)”. Tutto avviene col tacito consenso che diventa complicità di tutte le figure istituzionali e professionali che a vario titolo hanno a che fare col penitenziario di via Burla;
11. negare l’utilizzo di lettori cd e l’ascolto di musica su supporto digitale? …Ormai difficilmente si trovano in vendita musicassette… È proibito persino avere in cella una semplice radio e si è costretti ad acquistare un walkman che costa molto di più;
12. negare l’utilizzo del computer nelle celle, che è un valido strumento di lavoro e di studio, nonché un’alternativa alla mortificazione intellettuale e all’istupidimento generato dalla televisione?
13. negare la possibilità di fare attività sportiva e di usufruire del campo di calcio, – vietato ai ristretti nelle sezioni E.I.V., A.S. e 41 bis –, e della palestra in cui si può accedere solo un giorno a settimana nonostante l’indulto abbia risolto i problemi di sovraffollamento?;
14. negare la possibilità di acquistare un tappettino di gomma per fare ginnastica e portare con se una bottiglia d’acqua e un asciugamano nel cortile dell’aria?
15. danneggiare le giacche e i pantaloni dell’abbigliamento sportivo, privandoli dei lacci e rendendoli scomodi se indossati per fare ginnastica?
16. vietare l’utilizzo di sciarpe, maglioni e golfini a collo alto, cuffie di lunghezza superiore ai 18 cm, giubotti imbottiti o trapuntati, e quant’altro servirebbe per affrontare le umide giornate autunnali e il gelo invernale?
17. vietare l’utilizzo del corredo personle, coperte, paid, copriletto e lenzuola, diversi dal materiale di casermaggio fornito dall’amministrazione, che è freddo e avendo alle spalle diversi lustri è spesso malridotto?
18. avere a disposizione 2 ore d’aria al mattino e 2 ore al pomeriggio ed essere di fatto impossibilitati ad usufruirne pienamente perché tutte le attività e tutti i servizi sono concentrati proprio in quelle ore? Chi frequenta i corsi scolastici deve rinunciare all’aria, chi vuol farsi la doccia, o lavare i panni, o andare al magazzino, o farsi visitare dal medico, o andare nella biblioteca del carcere a prendere un libro, o parlare con l’ispettore o con le figure professionali o compiere qualsiasi altra attività che richieda di stare fuori dalla cella deve rinunciare ad una parte di aria. Inoltre il tempo da passare nel cortile murato è suddiviso in “moduli” di un’ora ciascuno per cui il detenuto è costretto a una scelta fortemente condizionata dall’impossibilità di decidere quando, all’interno delle ore stabilite, uscire o fare ritorno in cella;
19. rendere impossibile anche solo immaginare l’idea di spazio aperto? I muri di cemento armato alte 6 metri delimitano i cortili dell’aria – uno spazio grande quanto 12×24 passi normali, controllato da due telecamere –, che impediscono al sole di passare tanto che il cemento è vistosamente abbellito dal verde del muschio e dell’umidità, e danno la sensazione di essere le pareti di una fossa scavata nella terra?
20. negare li spazi verdi per i colloqui e costringere i detenuti ad incontrare i famigliari nella stanza con il bancone divisore, non essendo rispettato il regolamento d’esecuzione che prevede i tavolini per un maggior contatto umano e intimità famigliare?
21. essere svegliati alle 7.00 e attendere la colazione che passa alle 8.00, ricevere il pranzo alle 11.30 e la cena alle 17.00? Tale scientifica scansione dell’orario dei pasti rende indispensabile l’integrazione con generi alimentari acquistati al sopravvitto. Perciò si può sospettare che sia un metodico meccanismo di esborso e spoliazione delle esigue finanze dei detenuti che certo non hanno il portafoglio del signor Callisto Tanzi per permettersi, come faceva lui, di avere pranzo e cena forniti direttamente da un vicino ristorante;
22. negare la possibilità che il detenuto possa avere una fotocopia della lista dei generi del soppravvitto con relativi prezzi, per meglio monitorare le proprie ordinazioni e le proprie spese?
23. limitare fortemente la scelta qualitativa del prodotto? Il prezziario risulta aggiornato al mercato nero, eppure non siamo in guerra, e non c’è l’inflazione al 20% ne la svalutazione dell’euro. E allora perché un pacco da 250 g di caffè lavazza Qualità Oro (non c’è altra scelta ad eccezzione del lavazza Dek), costa al prigioniero 3.25 euro e al supermarket del centro lo si paga poco più di 2 euro? Altre differenze di prezzo sono rilevabili attravero le pubblicità che vengono fatte sui giornali per cui, facendo i relativi accostamenti, si può affermare che a danno dei detenuti vengono applicati prezzi da albergo a cinque stelle in alta stagione in Costa Smeralda;
24. trattenere in magazzino il necessario per l’igene, la pulizia personale e la barberia, costringendo il detenuto che arriva da un’altro carcere ad acquistare di nuovo tutto l’occorrente? Questo accade perfino al detenuto che nello stesso carcere da una sezione di massima sicurezza passa ad un’altra. È una forma di estorsione che va ad ingrasssare le già pingui tasche dell’impresa che ha in appalto la gestione del vitto e del sopravvitto, nonché, sembra ovvio, le tasche di coloro che dirigono la struttura dal punto di vista amministrativo e di custodia;
25. essere costretti a svolgere i colloqui telefonici senza nessuna privacy, essendo il telefono installato nel bel mezzo dell’androne, di fronte alle celle e senza nessuna cabina che garantisca la riservatezza della comunicazione?
26. trasformare l’assistenza medica in una odissea fatta di attese, scarso rispetto della privacy e negligenze…? Il personale medico spesso visita il detenuto sulla soglia della cella, durante le ore d’aria, per cui costringe il detenuto che ha richiesto un consulto a stare in cella e il più delle volte l’attesa viene delusa. Dal punto di vista dei medicinali è da denunciare una grave carenza di quelli più comuni e il divieto di avere alcuni medicinali o pomate specifiche per medicamento senza l’autorizzazione del medico. Anche le piccole patologie, curabili con farmaci adatti, vengono trattati specialisticamente. Le visite specialistiche sono a totale carico del detenuto e quindi è facile credere che il sistema sanitario dell’istituto penitenziario sia in realtà un’associazione a delinquere che lucra sulle spalle del detenuto. Inoltre accade che i prigionieri che hanno necessità di essere assistiti vengano lasciati nelle mani di personale non specializzato, ovvero altri detenuti che piantonano anziani, malati, convalescenti.
Negli Istituti Penitenziari di Parma sono quindi sistematicamente disattesi, elusi, violati i seguenti articoli del Ordinamento penitenziario e del relativo Regolamento di esecuzione, del codice penale, della Costituzione, della Convenzione dei Diritti dell’Uomo:
l’art. 608 c.p. misure di rigore non consentite dalla legge;
l’art. 27 comma 3 della Costituzione le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità;
l’art. 1 della legge n 354/75 Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona;
l’art. 3 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: titolo 1 – Diritti e Libertà. Proibizione della tortura. Nessuno può essere sottoposto a tortura nè a pene o trattamenti inumani o degradanti;
l’art. 73 comma 2 – 6 – 8 del Regolamento di Esecuzione che sancisce in modo chiaro dove e come si scontano le sanzioni disciplinari e il relativo l’isolamento, ovvero nella propria cella, senza che questa venga denudata degli arredi, con la sola esclusione dalle attività in comune (isolamento);
l’art. 9 del Regolamento di Esecuzione che indica la quantità di indumenti che deve consentire un ricambio che assicuri buone condizioni di pulizia e la funzionalità dell’abbigliamento in base alle particolari condizioni climatiche delle zone in cui gli istituti sono ubicati;
la circolare del D.A.P. n 687465 la tariffa dei generi posti in vendita dovrà essere diffusa all’interno delle sezioni e aggiornata costantemente. I generi alimentari devono rispondere ad un buon rapporto qualità prezzo e il prezzo non può essere superiore a quello effettuato nei centri commercìali;
l’art. 1 del Decreto n 230 del 30-6-2000 Il trattamento degli imputati sottoposti a misure privative della libertà consiste nell’offerta di interventi diretti a sostenere i loro interessi umani, culturali e professionali;
la circolare del D.A.P. n 3556/6006 sul possesso dei computer, lettori cd e componenti vari;
l’art. 27 della legge n 354/75 negli istituti devono essere favorite e organizzate attività culturali, sportive e ricreative e ogni altra attività volta alla realizzazione della personalità dei detenuti e degli internati, anche nel quadro del trattamento rieducativo.
Non avevo mai sentito parlare di sezioni E.I.V. Alla prima esperienza diretta con l’istituzione totale, deportato da una casa circondariale della Sardegna, in cui ero ristretto nella sezione “ordinaria”, ero portato a credere che simili limitazioni fossero il “normale” trattamento per i reclusi nelle sezioni di massima sicurezza. Con rabbia e stupore, parlando con gli altri detenuti e con i pochissimi di altre sezioni che potevano accedere alla E.I.V. perché lavoranti, con le figure professionali che affiancano il lavoro della direzione, con gli stessi religiosi, e soprattutto approfondendo la conoscenza dell’Ordinamento Penitenziario e del Regolamento di esecuzione, ho preso atto della situazione di arbitrio e di abuso che si verificano nella sezione E.I.V. e in tutto il complesso concentrazionario, essendo il trattamento inframurario standardizzato e fatto subire a tutti i prigionieri senza distinzioni.
Ho trovato riscontro oggettivo alle storie che ho registrato nella memoria e che stentano ad uscire dalle spesse e alte mura di via Burla nelle lettere dei tanti detenuti, inviate alle associazioni che si occupano dei problemi del mondo carcerario e alle istituzioni… Hanno un significato diverso se lette con la coscienza di chi ha conosciuto via Burla dall’interno, e non c’è nessuna esagerazione se affermo che gli Istituti Penitenziari di Parma sono una tomba che produce morti assassinati dalle inesorabili, ingiustificabili e arbitrarie condizioni di detenzione nel tentativo di ridurre uomini e donne a individui lobotomizzati, deprivati di ogni impulso vitale e sterilizzati nei sentimenti e nell’umanità.
Qualsivoglia forma di socializzazione finalizzata al reinserimento sociale attraverso corsi di formazione o scolarizzazione, attraverso il lavoro, attraverso lo sport, sono un fatto del tutto marginale e assolutamente secondario, in quanto tutto è parametrato in funzione della massima sicurezza. La piccola saletta 3×3 metri non ha nessuna velleità di essere un “laboratorio artigianale” come recita il foglio scritto a computer sulla porta. A fianco un’altra saletta delle stesse dimensioni ha sulla porta un foglio con scritto “laboratorio artistico” e un cavalletto per pittori che cerca di nascondere le macchie di colore perché stonano col grigiore e la razionale efficenza del lagher di via Burla. Ancora a fianco un’altra saletta un pò più grande dovrebbe essere una sala informatica. Ciò è dimostrato dall’esistenza di tre computer, che definire giurassici è un eufemismo perché rispetto alla tecnologia che supportano è come dire che i dinosauri si sono estinti nel 1800. Ancora a fianco una saletta musicale con qualche strumento impolverato… Tutto sembra essere realizzato per nascondere la vera natura del carcere-lagher… Forse queste salette vengono fatte vedere con orgoglio ai senatori, agli uomini del ministero di Grazia e Giustizia, al magistrato di sorveglianza e alle istituzioni dell’Emilia Romagna, della Provincia e del comune di Parma, che così possono dire ai giornali e in parlamento, che bell’esempio di carcere moderno è quello di via Burla, e continuarre a credere che gli ingenti finanziamenti che gli “Istituti Penitenziari di Parma” ricevono, siano realmente spesi per offrire servizi ai prigionieri e soprattutto per mettere in atto progetti di reinserimento e risocializzazione.
Così scriveva un detenuto nel 2000: «All’interno del carcere di Parma il verbo della sicurezza ha congelato tutta la struttura (…) gente chiusa in cella dalla direzione a non far niente per 21 ore al giorno, assenza del lavoro, attività trattamentali vicine allo zero. In poche parole, il duro regime detentivo previsto dall’articolo 41 bis, in vigore in una sezione del carcere di Parma, permea di sé l’intero carcere e viene fatto ricadere su tutti i prigionieri di via Burla». Ancora una denuncia di un’associazione che lavora in difesa dei detenuti: «Da settembre a dicembre 2005 sono morte 5 persone, appena dopo la visita al carcere di via Burla del presidente della commissione Giustizia al Senato che, facendo anche dell’ironia, ha dichiarato che nel carcere è tutto a posto e che il problema del sovraffollamento è inesistente [nel 2005 nel carcere di Parma erano rinchiuse 650 persone n.d.s.]. Per il direttore del carcere Di Gregorio [capelli fulvi e barba colta, aspetto insignificante e un sorriso da burocrate del terrore n.d.s.] sono episodi normali che accadono sia fuori che dentro; peccato che a Parma succedano un pò troppo spesso, come denunciamo già dal 2001, quando la notizia di una serie di morti a catena ci arrivò dalle lettere dei detenuti».
Unisco la mia voce a quella dei tanti prigionieri che hanno denunciato le disumane condizioni di vita nel carcere di Parma e in generale in tutte le strutture di reclusione dello stato italiano, comprese quelle disseminate nella mia terra, affinchè l’indifferenza e il complice silenzio delle istituzioni – cemento che consolida le spettrali mura del carcere –, siano soffocati dalla melodia di un canto di libertà che nasce dalla lotta quotidiana per la difesa e l’affermazione della dignità umana e dell’identità politica, culturale, religiosa, personale, di ogni uomo e donna, condotta con coraggio dentro e fuori le mura… contro l’istituzione totale!
Con l’auspicio di un vostro puntuale interessamento al problema e una incisiva e pronta azione per sanare la situazione di grave illegalità che vige negli Istituti Penitenziari di Parma, porgo i miei saluti.
…dalla “prigione domiciliare”…
Via Vittorio Emanuele III n 3 – 07012 Bonorva (SS) – Sardigna
20 marzo 2007
Salvatore Sechi