Testo del manifesto:
CONTI CHE NON TORNANO?
2 anni passati dall’ultimo incidente ad una centrale nucleare , Fukushima, un numero mai calcolato ed incalcolabile di morti, feriti e contaminati, danni a livello globale che la comunità tecnico-scientifica, il governo e la stampa giapponesi ed internazionali cercano maldestramente di celare,fino all’ultima farsa tragica dei prossimi Giochi Olimpici in Giappone con cui la propaganda vorrebbe rifare il belletto ad un territorio devastato, mortifero ed impraticabile.
Un numero mai calcolato di fusti di scorie radioattive dispersi e stillanti morte e veleni tra le campagne di Saluggia e Trino Vercellese,a ridosso del bacino del Po vestigia dell’ ultima centrale nucleare dismessa in territorio piemontese, quella di Trino Vercellese.
Un regolare passaggio di treni carichi di scorie nucleari destinate al riprocessamento(leggi riuso)tra il Nord Europa,L’Italia il corridoio della Val di Susa e la Francia.
Un gruppo industriale ,la Finmeccanica,con interessi diversificati tra cui nel Nucleare ad uso civile(manutenzione delle già esistenti e costruzione di nuove centrali nucleari)nella produzione e traffico di armi e sistemi di controllo nelle nuove frontiere di espansione(centrali nucleari in Romania,traffico d’armi con l’ India,solo per fornire qualche plateale esempio) oltre che il tipico esempio di truffa,corruzione, sfruttamento ,connaturati a qualsiasi espressione del dominio e del capitale. Interessi diversificati che arrivano fino ad accordi con l’Università,attraverso borse di studio e finanziamenti di progetti,col duplice scopo di indirizzare da subito la ricerca verso fini militari e creare ‘accettazione’ o peggio indifferenza e commistione con tali meccanismi.
Con la nomina di De Gennaro a presidente di questa holding, il cerchio si chiude . Capo della polizia e del Dipartimento pubblica sicurezza nei giorni del G8 di Genova del 2001,in seguito ad una promozione ,De Gennaro arriva a Finmeccanica dopo esser stato sottosegretario ai Servizi Segreti.
In una città come Genova dove Finmeccanica e Ansaldo sono prese in considerazione dall’opinione pubblica soprattutto per le notizie relative alla cessione delle quote aziendali…quasi avulsi dalle loro responsabilità nel mondo…
Un progettista di centrali nucleari ,un paladino di una clamorosamente falsa e fallace sostenibilità dell’ utilizzo del nucleare ad uso civile,nonchè amministratore delegato di Ansaldo Nucleare,gruppo Finmeccanica, Roberto Adinolfi, ferito da un colpo di pistola sotto casa sua , il 7 maggio 2012 , azione rivendicata dal nucleo Olga della Federazione Anarchica Informale.
Due compagni, gli anarchici Nicola Gai ed Alfredo Cospito, risponderanno il 30 ottobre 2013, tribunale di Genova , all’ accusadi attentato con finalità di terrorismo per il suddetto ferimento.
Salutiamo con gioia e rabbia chi si oppone alle devastazioni perpetrate dal dominio e atesta alta continua arivendicarevalore ed efficacia delle pratiche di lotta e critica reali.
30 0ttobre dalle ore 8.30 presenza solidale con Alfredo e Nicola al tribunale di Genova, via 4 novembre
Per raggiungere il tribunale in treno: scendere a Genova Brignole e proseguire a piedi per via xx Settembre. In autobus prendere le linee che passano da via xx Settembre direzione P.zza De Ferrari.
Con l’auto: uscire a Genova Ovest per chi arriva dal nord e proseguire verso il centro; uscire a Genova est per chi arriva dal sud e proseguire per il centro. Non parcheggiare in zona stadio causa partita.
A TESTA ALTA – Invito alla discussione e alla presenza solidale al processo a Nicola ed Alfredo
Il 5 luglio si è tenuta l’udienza preliminare per Nicola Gai e Alfredo Cospito – anarchici – arrestati il 14 settembre 2012 con l’accusa di essere gli autori del ferimento dell’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi – progettista e costruttore di centrali nucleari – azione rivendicata dal Nucleo Olga della Federazione Anarchica Informale / FRI.
In quella data sono state fissate le date del processo, che si terrà , con rito abbreviato il 30 ottobre 2013 a Genova ,in pubblica udienza.
Una prima bozza di questa proposta è circolata negli ultimi due mesi. A partire da un singolo – per quanto pesante e carico di implicazioni – episodio repressivo, si è arrivati a ragionare su scala più ampia su mancanze e prospettive proprie di certa area anarchica, a riflettere sulla necessità di confrontarsi – non appiattirsi – su alcune questioni basilari quali repressione, solidarietà, prospettive di lotta, dinamiche e carenze nella comunicazione.
Al di là delle contingenze vorremmo parlare di quanto si riesca a trarre di positivo dal reagire a ogni singolo episodio repressivo, quanto di positivo nel conoscere l’evolversi di mezzi e strategie di controllo e “prevenzione”, per farsene orgogliosamente gioco,quanto di positivo nel discutere e rilanciare idee e pratiche d’attacco, quanto di positivo nel riconoscersi a testa alta contro un nemico comune.
Un incontro utile per quanti considerano ancora la prospettiva anarchica un’ipotesi viva e allettante, un groviglio di pensiero, azione ed esperienze in divenire: consapevoli che, quando queste si intersecano e affinano riusciamo a ottenere livelli alti di analisi, progettualità e pratiche,che concorrono a sollevare l’ orizzonte di lotta , ad aprire spiragli di luce in questo plumbeo presente, ad intessere nuove ragnatele di rivolta.
Siamo anarchici quindi naturalmente allergici alle cariatidi della politica , anche nella sua veste ‘ militante’ ,naturalmente alieni a ad assemblee plenarie,strutture decisionali accentratrici: le tensioni individuali rimangono forti e vitali, nello stesso tempo ci si riconosce in una base comune costruita sia storicamente che per esperienze e suggestioni confluenti,non monadi nello spazio ma ancorati ad un patrimonio di pensiero ed azione ,che siano gli espropriatori ed individualisti argentini dell’ inizio del secolo scorso,i gruppi di affinità in Catalogna negli anni trenta ,la Machnovcina,gli arditi del popolo , il gruppo Primero de mayo, i rivoltosi di Genova 2001, Atene e di tutte le piazze dove la benzina ha contribuito a far ardere i nostri cuori e le divise delle guardie, gli attuali gruppi d’ azione od i futuri visionari della sovversione di un mondo a cui sarà sempre più difficile adeguarsi.
Sentiamo di avere il cuore e la testa dalla parte giusta ,
quella che riconosce le multiformi pratiche della lotta rivoluzionaria,
quella che discerne i germogli insurrezionali dalle secche del realismo riformista, educazionista o assistenziale che dir si voglia
quella che non abbandona i compagni in carcere ma li riconosce come parte attiva e viva di una traiettoria di lotta, senza attenersi al ‘minimo sindacale’ della solidarietà.
quella che è consapevole che qualsiasi tensione rivoluzionaria è intrinsecamente ‘sociale’ in quanto interviene con i suoi mezzi e le sue valutazioni nella critica della società attuale,e parimenti’ antisociale’ quando le presunte lotte sociali diventano un recinto limitato e limitante per il proprio sentire antiautoritario.
Vorremmo tornare a ragionare su alcune questioni di base:la rispondenza tra pensiero ed azione, un anarchismo che sappia, se non praticare nella totalità delle sue sfaccettature,perlomeno riconoscere e sentire come patrimonio proprio le multiformi manifestazioni dell’ agire anarchico,consapevoli che non c’è gradualità nelle pratiche né gerarchia nei mezzi, solo strumenti più o meno efficaci da scegliere a seconda delle situazioni,senza remore o tabù su percorsi individuali o collettivi, firme o anomie o quant’altro.
Sta a noi, qui ed ora ,cogliere la possibilità di discutere ,capirsi e riconoscersi come componenti attivi di una galassia anarchica , minoritaria ma effettiva,a volte splendente nella sua capacità di creare e fomentare situazioni di lotta, a volte sterile palestra di critica radicale, troppo timida nel far valere la giustezza delle proprie analisi.
Sta a noi, qui ed ora , avere ben chiaro se e fino a che punto si è in grado di spendersi, consapevoli che aldilà di qualsiasi momento di incontro i complici si trovano e riconoscono nel’ azione, non in assemblea.
SOLIDARIETA ‘ E REPRESSIONE
La repressione è il naturale contraltare del’ agire anarchico, la solidarietà attiva dovrebbe essere un’ altrettanto naturale processo spontaneo, così spesso non è.
Gli scenari repressivi si riproducono ciclicamente con qualche variante,270,280, associazione a delinquere, devastazione e saccheggio, strategie di controllo preventivo (fogli di via, avvisi orali,sorveglianza speciale , ecc)e non ultimo l’ affinamento dei regimi di detenzione quali le sezioni ad alta sorveglianza destinate agli anarchici con la conseguente strategia di separazione dal resto della popolazione carceraria. Lo stato continua a fare il suo mestiere , più o meno efficientemente si difende dai tentativi , più o meno efficaci, più o meno contundenti di creare agitazione e colpire.
Il conteggio per ora è ampiamente in perdita , non tanto per i -troppi anche se uno- compagni in carcere , che si trovano a fronteggiare anni di galera in nome della vendetta del dominio,ma soprattutto è in perdita quando le strategie di controllo e repressione vanno a demolire le basilari forme di appartenenza e solidarietà in seno al movimento,quando sono sempre più spesso gli stessi refrattari ad esulare da solidarietà e vicinanze in nome di opportunismi politici e dalla salvaguardia personale , quando diventa complicato finanché redigere un manifesto solidale , quando il soffio della rivolta che si spande per il globo in luogo di istillare rabbia , orgoglio e volontà d’ azione alimenta il mantice sfiatato di cuori pavidi ed incapaci a decidersi.
Solidarietà e complicità a volte sono parole gravide di conseguenze, a volte sono le pietre tombali che sigillano una tensione morta sul nascere,che corre ad incagliarsi sugli scogli di un pragmatico piccolo cabotaggio in nome del quieto vivere.
Non è questo che interessa, sulle basi del realismo e di un fatalista adeguamento non si costruisce alcuna ipotesi degna di essere vissuta,si sta giocando troppo al ribasso, è il caso di invertire rotta.
Continuiamo a considerare i compagni che cadono nelle maglie del nemico per quello che sono, soggetti attivi nella lotta e nel dibattito,ne martiri ne santini da esporre sugli altarini delle vittime della repressione , consolatorii più per chi li crea che per chi ci finisce. Compagni con cui è necessario solidarizzare attivamente, senza esitazioni, al di là delle peculiarità delle singole progettualità.
INFORMAZIONE-CONTROINFORMAZIONE
La circolazione di controinformazione e pubblicistica dovrebbe essere un mezzo utile al contatto e allo scambio di prospettive e progetualità, spesso diventa un fine, autoreferenziale e basta.
Ci sono vari ordini di problemi, dagli strumenti che si scelgono per veicolare l’ informazione ed il confronto alle modalità della comunicazione stessa, diretta o mediata da strumenti cartacei o digitali. In altri tempi, benché la pubblicistica anarchica sia sempre stata copiosa nel produrre opuscoli, fanzine o libelli vari, la lamentela più comune era sulla carenza dell’ informazione , ora il problema pare rovesciato ma gli effetti simili,navighiamo in un mare di informazione e di controinformazione che spesso viene assorbita lasciando il tempo che trova o peggio appunto diventa fine piuttosto che mezzo. E’ altresì vero che la comunicazione in digitale offre il fianco più facilmente alle strategie di controllo e repressione, automaticamente tracciabile e perpetuamente monitorabile, , ma questo avviene con qualsiasi strumento.
La rete concede velocità di scambio di informazioni spesso ci fornisce delle panoramiche globali e locali che dovrebbero fornire spunti interessanti , il problema se poi non si concretizzano è solo parzialmente colpa degli strumenti comunicativi/ informatici piuttosto dipende dall’ incapacità o mancata volontà -spesso -di trovarsi, faccia a faccia, sulla stessa strada, in un percorso di lotta.
PROSPETTIVE DI LOTTA
Circoscriverle a priori è difficile, siamo in un campo aperto e le suggestioni sono molteplici, dalla lotta alle nocività alle varie forme di contrasto all’ erosione dei sempre più esigui spazi di libertà individuali e collettivi che il dominio, nelle sue cicliche ristrutturazioni continua ad imporci. Quello che ci interessa in questa sede non è approfondire i possibili campi d’ intervento piuttosto continuare a difendere la validità del metodo- quello anarchico dell’ azione diretta e del rifiuto della delega,il continuare a mantenere fiducia nei propri strumenti e nelle proprie analisi ,senza farsi incantare da sirene quantitative ed improbabili alleanze, senza nascondersi dietro la litania del ”siamo pochi non andiamo da nessuna parte” a cui preferiremmo sostituire un ”benchè in pochi sappiamo riconoscere senza esitazione i sentieri utili da percorrere e suggerirsi a vicenda e gli eventuali compagni di strada”. Non altro.
Per concludere la proposta di discussione è ambiziosa e rischiosa, non vorremmo che sia proprio lo spettro della repressione a tagliare le gambe alla possibilità di confronto, anzi sono proprio le strategie repressive a sciogliere le esitazioni ed a farne percepire la necessità . Discussione non significa necessariamente far confluire tutto nella forma classica assembleare , contenitore sempre più spesso inadeguato, ma riteniamo comunque che un confronto diretto sia fondamentale: la discussione potrebbe prendere la forma di incontri , anche a livello locale precedenti alla presenza al processo, che si terrà comunque a tempi brevi, in autunno, a cui si vorrebbe arrivare concretizzando una buona presenza solidale.
Alcuni anarchici ed anarchiche.
http://radioazione.noblogs.org/?p=4044
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GENOA, OCTOBER 30, FROM 8:30am: SOLIDARITY WITH NICOLA AND ALFREDO ON THE DAY OF THE TRIAL AGAINST THEM – ITALY –
From RadioAzione
Translated by act for freedom now/B.pd
The court of Genoa is on via 4 Novembre
Getting to the court by train: stop in Genova Brignole and walk to via XX September. From there catch a bus to Piazza De Ferrari.
Getting to the court by car: if you come from the north take the Genova Ovest and drive to the centre; if you come from the south take the Genova Est and drive to the centre. Do not park near the stadium because of a match being played on the day.
With our heads held high – A call for debate and solidarity in anticipation of the trial against Nicola and Alfredo
On July 5 the preliminary hearing of the trial against anarchists Nicola Gai and Alfredo Cospito, arrested on September 14 2012 and accused of being the perpetrators of the wounding of Ansaldo Nucleare manager Roberto Adinolfi – designer and builder of nuclear power plants – will take place. The action was claimed by the Olga Nucleus of the Informal Anarchist Federation/FRI.
On that day the dates of the trial will be set, most likely starting in autumn.
An early draft of this proposal has been circulating for the last two months. Starting from one single repressive episode – however serious and full of implications – we came to reflect on a larger scale on the deficiencies and perspectives of a certain anarchist area and on the necessity for debate – and not flattened positions – on some fundamental topics such as repression, solidarity, prospects of the struggle, dynamics and deficiencies of our communication.
Beyond current contingencies we would like to talk about the positive aspects that can be drawn from our reaction to single repressive episodes, our knowledge of the development of control and ‘prevention’ strategies and means so that we can proudly make fool of them; the positive aspects of discussing and re-launching ideas and practices of attack, of recognizing ourselves against a common enemy with our heads held high.
It would be a useful meeting for those who still consider the anarchist perspective as a lively and attractive hypothesis, a tangle of thoughts, actions and experiences in the making: we are aware of the fact that when these experiences and thoughts intertwine and refine we can achieve high levels of analysis, projectuality and practices, which will help enlarge the horizon of the struggle, open rays of light in this oppressive present and weave new webs of revolt.
We are anarchists and therefore naturally allergic to political caryatids, even including those acting as ‘militants’, naturally extraneous to plenary sessions, decision-making and centralizing structures: individual tensions remain strong and vital and at the same time we recognize ourselves in a common base, a historical base but also one built through converging experiences and suggestions; we are not monads in space but we are anchored to a legacy of thought and action, be it the Argentine expropriators and individualists of the beginning of last century, the affinity groups of Catalonia in the thirties, Makhno, the arditi del popolo, the First of May Group, the rebels of Genoa 2001, of Athens and of all the piazzas where petrol contributed to making our hearts inflame and guard uniforms burn, today’s groups of action or the future visionaries of subversion in a world that will be increasingly difficult to adapt to.
We feel we have our hearts and minds on the right side, the side that recognizes the multiform practices of revolutionary struggle, discerns insurrectional sprouts from the shallows of reformist realism – educational or welfare-orientated if you prefer, doesn’t abandon imprisoned comrades but recognizes them as an active and alive part of a trajectory of struggle, doesn’t comply with the ‘minimum wage’ of solidarity, is aware that any revolutionary tension is intrinsically ‘social’ as it intervenes with its means and evaluations in the critique of today’s society , and at the same time it is ‘antisocial’ when alleged social struggles become a limited and limiting enclosure over our anti-authoritarian senses.
We would like to consider again some basic issues: correspondence between though and action, a sort of anarchism that can recognize and feel the multiform manifestations of anarchist action, even if it can’t mange to practice them in the totality of its multifarious forms. We are aware of the fact that there is no ranking in our practices, no hierarchy in our means but only more or less effective instruments to be chosen according to the situation, without hesitation or taboos on individual and collective trajectories, choice of acronyms, anomies or whatever else.
It is up to us, here and now, to get the chance to discuss, understand each other and recognize each other as active components of an anarchy galaxy, a minority but effective one, at times shining in its ability to create and foment situations of struggle, at other times sterile gym of radical critique, too shy to assert the rightness of its analysis.
It is up to us, here and now, to understand clearly if and up to which point we are able to commit ourselves as we are aware that accomplices can be found in the action and not during meetings or other occasions for encounter.
SOLIDARITY AND REPRESSION
Repression is the natural counter-altar of anarchist action. Active solidarity should be an equally natural spontaneous process. But most often it is not like this. Repressive scenarios reproduce themselves cyclically with some variations, 270, 280, organized crime, devastation and plunder, strategies of preventive control (expulsion orders, oral warnings, special surveillance, etc) and last but not least solitary confinement units destined to imprisoned anarchists with the consequent strategy of separating them from the rest of the prison population. The state continues do its job as it defends itself – more or less effectively – from the attempts at creating – more or less strikingly – agitation and attack.
For now the score is low, not only because of the many imprisoned comrades – too many even if it was just one – who find themselves facing years in prison in the name of the revenge of dominion but also and mainly when the strategies of control and repression manage to demolish the basic forms of belonging and solidarity within the movement, when the usual reluctant ones are increasingly becoming immune to solidarity and closeness to the comrades in the name of political opportunism and personal safety, when even writing a solidarity poster becomes a complicated matter, when the blow of the uprising expanding across the globe – instead of instilling anger, pride and will of action – feeds the worn-out bellows of fearful hearts unable to make choices.
At times solidarity and complicity are words laden with consequences, at other times they are the tombstone that seal a tension born death, stuck on the rocks of a pragmatic and wretched coastal navigation in the name of quiet life.
We are not interested in this. We can’t build any hypothesis worth experiencing on the basis of realism and fatalistic adaptation, this is playing down and it is the case to invert the course.
Let’s continue to consider the comrades fallen in the hands of the enemy for what they are, active individuals in the struggle and in the debate, neither martyrs nor saints to be shown off on the altars of the victims of repression, comforting those who create them rather than those who end up onto them. It is necessary to give solidarity to these comrades in an active way, without hesitation, beyond the particularities of our different projectualities.
INFORMATION – COUNTER-INFORMATION
Circulation of counter-information and propaganda should be a means useful to the encounter and exchange of perspectives and projectualities but most often it becomes nothing more than a self-referential end. There are various types of problems, from the instruments we choose to spread information and debate to the modes of communication, direct or mediated by paper or digital instruments. In spite of the fact that anarchist propaganda has always abundantly produced pamphlets, fanzines and the like, in the past the most common complaint concerned lack of information. Now the problem appears inverted but the result is the same. We navigate in a sea of information and counter-information, which are often absorbed and leave things as they are or, at the worst, become an end rather than a means. It is also true that digital communication offers itself to the strategies of control and repression more easily, as it is automatically traceable and perpetually monitored. But this happens with any instrument.
The web concedes quick exchanges of information and often provides global and local overviews, which could give us interesting hints. But if the latter don’t become reality the fault it is not of the IT-communication instruments but rather of the inability – or far too often lack of will – to find one another face to face on a trajectory of struggle.
PROSPECTS OF THE STRUGGLE
It is difficult to circumscribe the prospects of the struggle a priori. We are in an open field and suggestions are numerous, from the struggle against harmfulness to the various forms of opposition against the erosion of the scarcer and scarcer individual and collective spaces of freedom, which dominion continue to impose on us in its cyclic restructuring processes. What interests us here is not to discuss the possible fields of intervention but rather to continue to defend the validity of the method – the anarchist one of direct action and refusal of delegating, of confidence in one’s instruments and analysis, without being allured by quantity sirens and improbable alliances, without concealing behind the litany of the ‘we are few we don’t go anywhere’. To this we’d like to oppose the ‘although we are few we can recognize the paths worth walking along without hesitation, to be proposed to one another, and the possible comrades we can find there.’ Nothing more.
In conclusion, this proposal for debate is ambitious and risky. We wouldn’t like the spectre of repression to cut down the possibility for debate. On the contrary, it is exactly the strategies of repression that make us abandon any hesitation and make us feel the urge of this possibility. Debate doesn’t necessarily mean to make everything converge in the classic form of the meeting, an increasingly inadequate container. Nevertheless we believe a direct exchange is fundamental: the debate could take the shape of encounters, even on a local level, to be made before the trial, which should be due soon anyway, in autumn, as we would like to realize a significant solidarity presence on that occasion.
Anarchists
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