«Per infami che siano le canaglie, non lo sono mai quanto le persone oneste»
Pare proprio che questa massima di un scrittore francese dalle simpatie libertarie, celebre alla fine dell’Ottocento, non corra il rischio di trovare smentite. Sui treni in transito per la Svizzera – la civile Svizzera, la neutrale Svizzera, la pulita Svizzera – i doganieri passano un cotton fioc sul volto dei passeggeri dalla pelle nera al fine di prelevarne il DNA. Non importa chi siano, cosa facciano e dove siano diretti, il solo fatto che attraversino il paese – magari di notte, in seconda classe, su un treno economico – non può che destare sospetto. Certo, se scendessero da un jet privato, in giacca e cravatta, con una valigia piena di denaro da depositare in una banca elvetica, sarebbero i benvenuti. Ma si sa, i neri sono tutti canaglie e gli svizzeri sono tutte persone oneste.
Si tratta di una differenza di fondo, da tenere sempre a mente. A Milano, ad esempio, l’onesto sindaco Giuliano Pisapia ha appena fatto sgomberare a suon di manganellate alcune occupazioni (prima un alloggio a Lorenteggio, poi due spazi sociali a Corvetto). In entrambi i casi si sono verificati scontri tra forze dell’ordine e canaglie sovversive. Talmente canaglie da resistere alla violenza delle forze dell’ordine, talmente sovversive da non elemosinare contratti di affitto o di altra natura col Comune. Fossero stati imprenditori, o dirigenti di partito, non sarebbe accaduto nulla di simile. Quei locali li avrebbero comprati, o al massimo affittati. Fra galantuomini, si sa, ci si mette sempre d’accordo con una stretta di mano, una firma, un favore, una bustarella…
Il fatto sta suscitando un certo clamore perché Pisapia è stato in passato, a partire dagli anni 80, uno dei più noti avvocati «di movimento». Militante di Democrazia Proletaria prima, di Rifondazione Comunista poi e quindi di Sel, si è battuto nelle aule dei tribunali in difesa degli oppressi della terra, dai militanti di Scientology alla famiglia di Carlo Giuliani passando per il neomunicipalista libertario Ocalan. È anche per questo che tre anni or sono, all’epoca della sua candidatura a sindaco della città meneghina, ha potuto contare sul voto di non pochi antagonisti sfiniti da lustri di amministrazione leghista, fiduciosi che un amico politico esponente della sinistra garantista a Palazzo Marino avrebbe finalmente cambiato l’aria della metropoli, fornendo al movimento l’interlocutore istituzionale più adeguato. Del resto, se nel 1993 si sono visti noti sovversivi pronti a fare campagna elettorale per un Dalla Chiesa (no, non il generale dei carabinieri: il figlio), figurarsi se nel 2011 un Pisapia poteva non essere acclamato! C’è stato perfino chi, al momento dell’elezione sua e del magistrato arancione sotto il Vesuvio, è riuscito a sostenere vertiginosamente che «le figure di Pisapia e di de Magistris si sono messe in produzione in un tumultuoso spazio postpolitico e pre-biopolitico dove è riuscita a canalizzarsi una potenza immanente del comune fagocitata e promossa dai movimenti territoriali e sociali, dai centri sociali più capaci, da quelli del tumulto del 14 dicembre a Roma. Questo è stato lo start ed il carburante politico, teorico, e sociale per queste vittorie».
Ma con buona pace di tutti i kompagni strategici fautori della conflittualità alternata – perenni adescatori di assessori, sindaci e possibilmente ministri – un avvocato resta innanzitutto un uomo di Legge, e un sindaco è prima di ogni altra cosa un funzionario dello Stato. E questo, più che uno start, è un punto e stop. Sull’onda delle circostanze, chi occupa cariche istituzionali può anche prestarsi a fare il gioco del movimento, di sponda, alla rovescia, ma prima o poi si raddrizzerà, tornerà diritto e si inchinerà a quell’autorità di cui è servitore. I fatti recenti hanno ben dimostrato che, nel difficile compito di gestire oggi una metropoli come Milano, Pisapia non era affatto il candidato migliore per il movimento. Lo era per lo Stato. In una situazione come quella attuale, densa di tensioni, di potenziali minacce sociali che vanno represse, chi è il politico più presentabile, il più adatto a prendere decisioni impopolari? Un reazionario abile ad usare il bastone? Sarà anche più efficace perché più abituato, ma attirerebbe soltanto l’odio generale, esasperando ancor più gli animi. Invece un progressista illuminato, costretto ad abbandonare la proverbiale carota, si tende quasi sempre a giustificarlo. Se persino il buono, il giusto, il solidale, l’amico Pisapia ha deciso di procedere allo sgombero delle occupazioni, oltre a sciorinare numeri pieni di entusiasmo sull’Expo – si dicono tutti i bravi cittadini – una ragione ci sarà, non si poteva fare diversamente.
Quando diversi esperti della finanza prevedono per il 2015 il definitivo crollo dell’Italia, per lo Stato diventa urgente ricordare che la (obbedienza alla) legge è uguale per tutti, o quasi: i politici che si vendono vanno allontanati, gli imprenditori che corrompono vanno inquisiti, i sovversivi che occupano vanno sgomberati (e gli sbirri che ammazzano vanno premiati). I tempi si fanno duri, sempre più duri. O si scatta sull’attenti, o scattano le manette. Quando in Grecia c’è stata la grande esplosione sociale, alla fine del 2008, a chi è stato dato l’incarico di amministrarla, ovvero di contenerla e disarmarla? Al partito di destra o a quello di sinistra?
14/11/2014
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