Errico Malatesta
Evidentemente, l’on. Zirardini ed i suoi compagni che l’applaudono credono che l’animo popolare si possa muovere e manovrare come si fa di un apparecchio elettrico comandato da un commutatore: fermo, avanti, indietro, ecc.
Un giorno conviene loro che i lavoratori stiano tranquilli e pensino solo a votare per mandarli al parlamento ed ai consigli comunali, ed essi predicano contro la violenza, contro l’illusione insurrezionista, e per l’evoluzione lenta, graduale, sicura, per la conquista legale dei pubblici poteri.
Poi vengono le bastonate, gli incendi, gli omicidi fascisti per mostrare anche ai ciechi che colla legalità non si arriva a nulla, poiché quand’anche essa fosse in qualche caso favorevole agli oppressi, gli oppressori non si fanno scrupolo di violarla e sostituirvi la più atroce violenza; ma i nostri bravi socialisti si affannano perché i lavoratori non raccolgano le provocazioni e vantano «l’eroismo della pazienza».
Infine le busse diventano troppo forti e colpiscono anche le spalle dei dirigenti, tutta l’organizzazione specialmente cooperativa dei socialisti sta per essere distrutta, la situazione diventa insopportabile anche pei capi, e allora si fa appello all’insurrezione!
Non si accorgono quei signori, non si accorge Zirardini che è ridicolo sperare che possano tutto d’un tratto diventare dei leoni coloro che essi si sono sforzati per cinquant’anni di trasformare in pecore? E non pensano con quale sorriso di scherno e con quale senso di sospetto accoglieranno un appello all’insurrezione proveniente da loro quei lavoratori che essi non sono riusciti ad evirare?
E d’altronde, chi potrebbe pigliarli sul serio, quando è proprio quello stesso Zirardini che minaccia una possibile insurrezione, colui che propone la collaborazione dei socialisti coi partiti borghesi anti-fascisti, vale a dire che mette avanti un’altra illusione, un altro inganno destinato a tener tranquilli i lavoratori colla speranza che la salvezza verrà dal governo senza bisogno di uno sforzo proprio?
Noi non mettiamo in dubbio la buona fede di nessuno; ma ci pare una singolare aberrazione, una incomprensione incredibile della psicologia degli individui e delle masse il pensare che si possa nello stesso tempo credere e sperare nei mezzi legali, e nello tesso tempo tenersi disposti a ricorrere ai mezzi illegali; passionarsi per le elezioni e prepararsi all’insurrezione. Questo può apparire possibile nei discorsi dell’on. Enrico Ferri sulle «due gambe» con cui cammina il socialismo, ma è smentito da tutta l’esperienza storica, come è smentito dalla coscienza di chiunque si ferma un po’ a studiare se stesso.
Ricordiamo, per esempio, di avere un volta ascoltato una conferenza dell’ineffabile Misiano, in cui l’allora onorevole deputato dopo aver parlato dell’imminenza della rivoluzione ed aver insistito sulle necessità della preparazione tecnica, passava a parlare delle elezioni municipali, che dovevano aver luogo di lì a sei mesi, e raccomandava di preparare fin d’allora le liste e di curare con attività la preparazione per la lotta elettorale.
V’immaginate voi uno che aspetta la rivoluzione da un momento all’altro e si affatica per trovarsi pronto, e nello stesso tempo lavora per le elezioni municipali che debbono aver luogo sei mesi dopo? O viceversa, uno che spera di poter senza rischio e poca fatica concorrere efficacemente alla trasformazione sociale con un semplice voto, e voglia poi rischiare il pane, la libertà, la vita in una azione insurrezionale?
Bisogna scegliere; e naturalmente la maggioranza sceglie la via che sembra più facile e che in tutti i casi non presenta pericoli; ma poi si trova che ha fabbricato sulla rena e quando viene la reazione non ha capacità morale e materiale per resistere… e si lascia bastonare ed affamare.
Ed infatti si vide quel che successe. La rivoluzione non si fece, perché non la vollero fare; ma vennero invece le elezioni […]
L’insurrezione verrà, bisogna che venga; ma non sarà certo per opera dei parlamentari… anzi sarà contro di loro.
Occorre che i lavoratori vi si preparino, e per poterlo fare debbono rinunziare ad un’ingannevole speranza nel governo d’oggi o di domani, nei deputati e in quelli che vogliono diventarlo.
(Umanità Nova, n. 140, 18 giugno 1922)