Nacque ad Altenkessel (regione della Saar, Germania, al confine con la Francia) il 4 marzo 1939, da Alfonso “Libero” Fantazzini, partigiano anarchico bolognese, muratore; e Bertha Heinz, operaia.
Horst significa “rifugio”: questo nome fu scelto dal padre, rifugiato politico.
Libero riuscì ad occuparsi a malapena della sua famiglia, costretto in una condizione di eterno latitante, rapinatore per finanziare la resistenza, era ricercato dalle polizie fasciste di mezza Europa, Gestapo compresa.
La sorella maggiore di Horst, Pauline, fu spedita a Bologna dai parenti prima della fine della guerra.
Bertha cercò di sopravvivere e di mantenere il piccolo Horst lavorando al mercato ortofrutticolo di giorno e cucendo borsellini di notte.
Trascorse i primi anni della sua vita sotto i bombardamenti, nel 1945 il suo ritorno in Italia e il ricongiungimento con il resto della famiglia. Bologna era distrutta. Questa esperienza devastante lo segnerà per tutta la vita.
Horst a 18 anni |
Tentò un riscatto nel pugilato, e nel ciclismo che praticò con ottimi risultati, vincendo gare regionali.
Era anche un brillante studente, amante della lettura, con ottimi voti nelle materie umanistiche e in disegno.
A causa delle condizioni economiche non agiate della famiglia, sovrapponendo studi e lavoro venne assunto fin dal compimento di 14 anni, come fattorino, operaio, impiegato. Ma la misera paga e le condizioni umilianti di lavoro, lo indussero ad abbandonare la vita del salariato per altre ambizioni. Prima del “grande salto” compì una serie di furtarelli di biciclette e moto, poi automobili. Fu fatalmente attratto dalla vicenda della Banda Bonnot.
A 18 anni si sposò con Anna che ne aveva soltanto 17; per garantire alla sua famigliola condizioni dignitose, ma anche la prima vacanza al mare dopo anni di ristrettezze, compì una rapina con una pistola giocattolo all’ufficio postale di Corticella. Venne arrestato sull’automobile rubata, gli vennero inflitti 5 anni di carcere. Era il 1960.
Nel 1965 durante una licenza concepì il secondo figlio, ma a causa delle avverse condizioni, Anna che soffriva di problemi di salute lo lasciò per tornare nella sua città, Napoli, dove venne ricoverata per cure.
Horst di nuovo in libertà definitiva lavorò per qualche tempo come pizzaiolo e barista, ma tornò a rapinare le banche: fu la volta di una banca di Genova. Non riuscì, perché venne arrestato prima di compiere il colpo.
Trascorse qualche mese in galera, durante i quali apprese che la madre era morta per infarto, ma non gli consentirono di andare al suo funerale. Horst decise di evadere per la prima volta usando il più classico dei modi: lenzuola annodate. E decise che non avrebbe avuto mai più ripensamenti: ecco perché e come diventò rapinatore.
Era il 1967, da mesi latitante, compì numerosi colpi nel nord Italia, durante uno dei quali, dispiaciutosi per una cassiera svenuta (il giorno seguente gli inviò un mazzo di rose tramite un’agenzia di spedizioni) diventò “il bandito gentile”; poi decise di espatriare rifugiandosi dai parenti in Germania.
Tra il 1967 e il 1968 scrisse lettere di scherno alla polizia italiana, gli venne affibbiato il nomignolo di “primula rossa”. Cosa faceva il pericoloso bandito ricercato dalle polizie di mezza Europa? Appena raggiunse Parigi, andò al Louvre per vedere la Gioconda. Risiedeva a Mannheim in una lussuosa villa con la sua giovane compagna… dandy raffinato, elegantissimo, alla guida di macchine sportive, faceva la spola tra Francia, Germania e Italia incassando parecchi milioni che portava con sé nei voli aerei in prima classe.
Nel 1968 fu di nuovo arrestato, mentre cercava di rapinare una banca di Saint Tropez. Trascorse alcuni anni torturato e vessato nelle galere francesi (dove vigevano regole particolarmente inumane, alcuni detenuti furono ghigliottinati dopo una rivolta particolarmente violenta a Clairveaux), fu rinchiuso nelle Baumettes a Marsiglia, tentò ancora di evadere ad Aix en Provence con le catene ai polsi. Il “fratellino di Van Gogh” non corse più per molto tempo. Da allora le porte della gabbia si chiusero definitivamente: da quel momento non avrà mai più la libertà definitiva.
Horst continuava a sfottere i giudici “gli ermellini da guardia” durante le udienze, e per questo aggiunsero altri (molti) anni alla sua carcerazione.
Nel 1972 per interessamento dell’avvocato Mario Giulio Leone venne estradato in Italia ritrovando sua moglie e i suoi figli, nel 1973 tentò di evadere dal carcere di Fossano (Cuneo) ferendo tre guardie e tenendone sotto tiro altre due, ma era un bluff: in realtà aveva soltanto una Mauser di piccolo calibro, con pochissimi colpi in canna dei quali solo due rimasti dopo il ferimento degli sbirri. Invece per lui si scatenò l’inferno: uscendo dal carcere con gli ostaggi, prima di riuscire a salire sull’agognata Giulietta che lo porterà fuori dalle mura, venne aggredito dai cani lupo e ferito quasi mortalmente con il fuoco dei tiratori scelti, si salvò per miracolo proprio grazie ad un cane che gli si parò davanti. Rimase sordo dall’orecchio destro, e probabilmente con micro-lesioni tali da causare l’aneurisma che gli risulterà fatale.
Venne operato, ma non gli estrassero tutti i proiettili, che si porterà in corpo per molti anni in una miriade di schegge e scheggine. Iniziò un calvario fra i penitenziari di tutta Italia, Horst “desaparecido” venne tenuto in infermerie poi dimesso e spedito in un altro penitenziario, poi in un altro ancora, senza cure adeguate e senza avvertire la famiglia e talvolta nemmeno l’avvocato. Leggi la testimonianza di Sabatino Catapano.
Horst a Sulmona nel 1974 |
Un anno dopo a Sulmona, nel 1974, tentò di evadere di nuovo. Saltò il muro di cinta di cinque metri, coi piedi fratturati si trascinò nella chiesa più vicina sequestrando il prete, per chiedere in cambio di essere operato.
Proprio in quell’anno, 1974, nel carcere di Alessandria una rivolta venne stroncata nel sangue, con sette detenuti uccisi e 14 feriti: collaudo di una stagione di pugno di ferro.
Nel 1975 Giorgio Bertani editore di Verona, grazie all’interessamento di Franca Rame (Soccorso Rosso) pubblicò “Ormai è fatta!, cronaca di un’evasione” (recentemente ripubblicato da El Paso – Nautilus) resoconto minuzioso e lucidissimo di quel 23 luglio 1973 a Fossano, scritto da Horst con una macchina per scrivere in sole 48 ore. Al racconto di Horst venne aggiunta una bellissima appendice di poesie che egli da sempre scriveva in cella.
Libero Fantazzini a Bologna affrontò a muso duro vari giornalisti forcaioli, e occupò la Torre degli Asinelli per protestare contro lo Stato che imprigionava i compagni.
Erano anni intensi, di solidarietà coi prigionieri; gli anarchici e molti compagni comunisti si mobilitarono per Fantazzini. La sua compagna di allora Valeria Vecchi fu condannata a 7 anni di carcere per avere tentato di farlo evadere, e altri compagni dei collettivi di supporto ai detenuti subirono pesanti condanne. Anche la tennista anarchica Monica Giorgi rimase vittima di una feroce repressione, accusata di far parte di “Azione Rivoluzionaria”, poi assolta con formula piena.
A metà degli anni ’70 grazie al generale Dalla Chiesa inaugurò il bunker Fornelli dell’Asinara, dove vennero spediti tutti i ribelli, comunisti e anarchici. Iniziò una collaborazione con tutti i compagni anche delle Brigate Rosse e di Prima Linea, basata sull’amicizia e sulla solidarietà di prigionieri nella situazione contingente. La leggenda poi riportata dai giornali, che Horst sarebbe stato simpatizzante delle Brigate Rosse è falsa: si avvicinò ai suoi militanti come uomo, ne era ideologicamente troppo lontano e mai sposò la loro causa, ritenendosi sempre anarchico individualista.
Nel 1978 dopo il feroce pestaggio della polizia che lo ridusse quasi in coma, fece uscire clandestinamente e senza attendere il parere delle Brigate Rosse il documento sulla rivolta dell’Asinara, poi pubblicato dalle edizioni “Anarchismo” col titolo: “Speciale Asinara“.
Condivise un importante periodo di prigionia con Sante Notarnicola. Seguirono anni di carcere duro e di rivolte con le “moka esplosive” che facevano breccia nei muri, nei penitenziari di tutta Italia, da Trani a Termini Imerese, da Palmi a Varese, carcere reso più “morbido” solo nel 1985 con l’abolizione del regime speciale (simile al 41 bis odierno).
Il pentitismo dilagante e l’eroina diffusa anche fra compagni portarono, in un decennio, allo sgretolamento di lotte, esistenze, pulsioni, corrispondenze e passioni, più di quanto riuscirono a farlo i metodi coercitivi più cruenti.
Horst era contro le tossicodipendenze (“chi ha la siringa piantata al posto del cervello”) e si dichiarò in varie occasioni contro il pentitismo e i suoi fautori (con una serie di poesie molto amare) e ribaltando un motto carcerario, affermò: “Sino a quando un uomo non si rassegna è ancora recuperabile”.
Nel 1985 suo figlio maggiore venne incarcerato per quasi due anni sulla parola di un balordo; il grande vecchio Libero Fantazzini non resse il colpo e morì (la crudeltà dell’apparato repressivo non consentì a Horst di andare al suo funerale); la sua compagna Maria Zazzi, anarchica piacentina combattente della guerra di Spagna, lo seguirà nel 1993.
Bologna, durante una licenza, 1989 |
Nel 1989 Horst che non aveva mai perso il coraggio e la voglia di vivere, studiava nel carcere di Busto Arsizio e stava per laurearsi in Letteratura presso la facoltà di Bologna; ma l’antico amore per la fuga vinse quello sui libri e lo indusse ad approfittare di una licenza per allontanarsi. Resterà latitante per un anno, ripreso all’inizio del 1991 sul litorale romano (nonostante l’arresto sia avvenuto senza resistenza da parte sua, mentre portava i cani a passeggio, venne dipinto dal “Messaggero” come pericoloso terrorista) e trasferito nel carcere di Alessandria, dopo un inutile tentativo di strappargli una confessione, qui rimarrà per dieci anni, mantenendo corrispondenze, supportando tesi di laurea e progetti di altri detenuti, e scrivendo bellissimi racconti al computer che si guadagnò nel 1995 coi soldi del primo premio per un concorso letterario (racconto “L’uomo cancellato“). Lavorava come grafico pubblicitario per il Comune di Alessandria e produsse ottimi elaborati, locandine, panphlet, ma soprattutto disegni di fantasia che vennero esposti in alcune mostre a Bologna ed altre città. Fu proprio nel carcere di Alessandria che iniziò la sua relazione con Patrizia Diamante “Pralina” (come racconta “L’ultimo colpo di Horst Fantazzini” e l’articolo pubblicato da “Ristretti Orizzonti“).
Varie vicende giudiziarie causate da un processo fondato su un teorema accusatorio, che ipotizzava la sua partecipazione ad una fantomatica formazione eversiva, impedirono che ottenesse le prime licenze.
Nel 1999 fu trasferito a Bologna, la libertà si avvicinava per merito di un film: “Ormai è fatta!” (regia di Enzo Monteleone) liberamente tratto dal suo libro, di cui Horst approvò la sceneggiatura, e di una campagna per la sua liberazione messa in atto dalla sua ultima compagna, Pralina (fondatrice del Comitato per la liberazione di Horst Fantazzini) e dal figlio maggiore, che coinvolse tutto il movimento anarchico e portò la storia di Horst a conoscenza di molte persone. Molti giornalisti intervistarono Horst, l’intervista più lunga e completa fu realizzata per una puntata del Maurizio Costanzo Show, qui viene proposta la versione integrale. Riportiamo qui anche le interviste pubblicate sui settimanali Boxer e Avvenimenti, quest’ultima fu poi mandata in onda su TeleMontecarlo. Case editrici importanti s’interessarono della ripubblicazione del suo libro, che Horst avrebbe riproposto volentieri con una grossa casa editrice come Feltrinelli, Einaudi o Baldini&Castoldi. Anche alla Dozza le condizioni di carcerazione sono difficili, i metodi arbitrari: gli venne rifiutato un lavoro. Horst accettò per un certo periodo di fare parte della redazione di “May day”, e con la sua esperienza di grafico impaginatore produsse magnifici elaborati per la tipografia dei detenuti, come il libro di ricette di cucina a tiratura limitata “Un curioso viaggio tra cibo e cultura“.
Bologna, via Roncrio, marzo 2001 |
Il suo avvocato Luca Petrucci raccogliendo l’istanza di Horst, inoltrò la richiesta di grazia. Uscirono varie interviste. Ci furono due interrogazioni parlamentari, una a cura di Ersilia Salvato, l’altra di Paolo Cento. Gli vennero concesse le prime licenze. Poi la semilibertà. Abitava insieme a Pralina e circondato dai suoi cari, nella casa in via Roncrio che costruì suo padre Libero. Difficile trovargli un lavoro, poiché considerato un “soggetto poco affidabile” anche dai suoi stessi compagni di fede che lo guardavano con simpatia ma anche con diffidenza.
Pralina e Horst, maggio 2001 |
Ad ogni modo nel 2001 per interessamento dei “compagni comunisti” lavorava come magazziniere presso Altercoop, che si occupa di carta riciclata. Un lavoro dignitoso e stimato dai colleghi, ma che per regolamento non era remunerato dalla cooperativa bensì dagli stessi carcerieri (i quali spesso lo facevano aspettare per riscuotere lo stipendio), certamente inadatto alle sue condizioni fisiche e alla sua propensione, fantasia e straordinaria abilità tecnica a usare il computer, ma era l’unico lavoro disponibile ed era, soprattutto, l’unica condizione per uscire dal carcere.
Nonostante il vigore fisico e lo spirito incandescente che Horst conservava, dopo tanti anni di carcerazione, le sue condizioni di salute subirono un netto, progressivo peggioramento. Non avendo il diritto ad avere un medico della mutua, poiché tutto per un semilibero passa attraverso l’istituto penitenziario, non gli era possibile farsi prescrivere farmaci da “esterno”, e l’ipotesi di venire ricoverato poteva tradursi in un piantonamento in ospedale, oppure, in un ritorno in cella.
Il 19 dicembre 2001 tentò di rapinare la sua ultima banca, che in realtà era stata una delle prime, quella Agricola e Mantovana di Porta Mascarella, insieme al suo complice C.T., suo “fratello” e amico di sempre. Venne preso prima di entrare nell’agenzia, paludato da un bavero rialzato e un berretto calato, mentre tentava una disperata fuga in bicicletta, nelle sue tasche un cutter e un collant… nel giro di poche ore con una violenza incredibile venne distrutto quel fragile sogno costruito con amore… perquisita la sua abitazione, sbattuto in carcere con sospetto di “terrorismo”, alla sua compagna -perché non erano sposati ufficialmente- oltre allo shock indescrivibile, si aggiunse un altro problema non facilmente risolvibile, per raggiungerlo a colloquio: quello di definire la sua posizione davanti al giudice. Ma non ci fu tempo per aspettare il responso che avrebbe ricongiunto i due amanti: con le feste natalizie vengono chiusi i verbali dei burocrati.
Bologna 19 dicembre 2001, foto segnaletica |
Nonostante non sia avvenuto alcun pestaggio (i lividi sul corpo erano causati dalla sua fragilità capillare) le condizioni di salute aggravate dallo stress dell’arresto lo portarono rapidamente alla morte, sopraggiunta nell’infermeria della Dozza, il 24 dicembre alle 19.20 per aneurisma aortico addominale.
Durante l’udienza del processo per direttissima che confermò l’arresto, al suo avvocato, sapendosi alla fine, aveva detto che voleva “lasciare la casa a Pralina”.
I funerali in forma civile con musica e bandiere (come aveva chiesto) vennero celebrati alla Certosa di Bologna, il 29 dicembre 2001, mentre alla stessa ora, avveniva un presidio di protesta sotto il carcere della Dozza.
Venne cremato, per suo espresso desiderio: l’unico che fu rispettato.
La sua vicenda giudiziaria, per una serie interminabile di procedimenti in corso, aggravati da “finalità di terrorismo”, senza contare il resto delle condanne con aggiunta di altri anni di carcerazione che avrebbero potuto comminargli, (secondo verbali del Ministero dell’Interno, reperiti da Enzo Monteleone nel 1999) nel febbraio 2.017 era stabilito il “fine pena”. Per ipotetica somma si sarebbe potuto arrivare al 2.024, ma Horst ha deciso di evadere una volta per tutte.
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Horst was born in Altenkessel in the Saar region of Germany on 4th March 1939, son of Alfonso “Libero” Fantazzini, a Bolognese anarchist partisan and bricklayer, and Bertha Heinz, a factory worker.
The name Horst means “refuge” and this was the name chosen by his father who was himself a political refugee.
Libero barely managed to provide for his family as he was forced to be forever on the run, having robbed a bank in order to finance the Resistance and being hunted by the fascist police all over Europe, including the Gestapo.
His elder sister, Pauline, was sent to live with relatives in Bologna before the end of the war.
Bertha struggled to survive and provide for the young Horst by working at the fruit and vegetable market by day and sewing bags by night.
Horst at 18 years old |
Horst spent the early years of his life under the bombardments and in 1945 came back to Italy. Bologna was destroyed. This devastating experience was to mark him for his whole life.
He tried his hand at boxing and at cycling, something he was quite successful at, even winning regional competitions.
Due to the extremely difficult conditions which affected his family, he left school and started work at an early age as a porter, or working in factories or offices. But his miserly wages and the humiliating work conditions led him to abandon the life of a wage slave. Before making his big leap, he carried out a series of small thefts, of bicycles and morotbikes, and then cars.
When he was 18 worked as barman and married a very young girl, Anna, who – two years later – was pregnant with their first child. In order to provide a decent standard of living for his young family, he carried out his first robbery with a toy pistol at the Corticella post office. He was arrested in a stolen car and was sentenced to 5 years in prison. That was 1960.
In 1965, while out on leave, his second child was conceived, but due to the adverse conditions Anna was suffering from health problems and left Horst in order to go back to her home town, Naples, where she received hospital treatment.
Free once again, Horst worked for a while as a pizza chef and barman, but then went back to robbing banks, this time a bank in Genoa. However, he was unsiccessful and was arrested even before he got into the bank.
He spent a few months in prison, during which he learnt that his mother had died from a heart attack, but he was not allowed to go to her funeral. Horst decided to escape for the first time, using that most classic of methods – bedsheets tied together.
It was 1967 and Horst had been on the run for months. He carried out several robberies in northern Italy. During one of these, he became known as the “kind bandit” – one of the cashiers fainted during the robbery, and the next day he sent her a bunch of roses. After that, he decided to leave the country and went to stay with relatives in Germany.
Between 1967 and 1968 he wrote a series of mocking letters to the Italian police and he was labelled the “Red Pimpernel”. And what was this dangerous criminal wanted by half the police in Europe doing? As soon as he reached Paris he went to the Louvre to see the Mona Lisa. He lived in a luxury villa in Mannheim with his young partner… a refined dandy, the height of elegance, driving sports cars, hopping between France, Germany and Italy acquiring millions which he carried around with him on his first-class air flights.
In 1968 he was again arrested while trying to rob a bank in Saint-Tropez. After several years of turture and harassment in French prisons (which were particularly inhuman – after one prison revolt in Clairveaux, several detainees were guillotined) he attempted once again to escape to Aix-en-Provence with his wrists still chained together. After that, Van Gogh’s little brother didn’t run for quite some time. From that moment on the doors to his cage were closed for ever: he was never again to be quite free.
Horst continued to jeer the judges, calling them “guard-weasels” (a reference to their ermine robes) during hearings, something which was to win him (many) more years in prison.
In 1972, thanks to a lawyer, Leone, he was extradited to Italy where he once again say Anna and his children. Them in 1973 he made an attempted escape from Fossano prison, near Cuneo, injuring three guards and keeping another two pinned down, but it was just a bluff: he was armed only with a small-calibre Mauser and had only a couple of bullets left after injuring the other guards. All hell broke loose: as he was leaving the prison with the two hostages, just before he got to the car which would drive him out the prison gates he was attacked by the guard dogs and almost killed when marksmen opened fire on him. In fact, it was only thanks to one of the dogs that he wasn’t hit fatally. After the incident he became deaf in one ear and the aneurism that eventually killed him was probably also a result of this incident.
He was operated on but the doctors failed to remove all the bullets, some of which remained in his body for years. He then began a long series of visits to half the prisons in Italy: he would be held in one prison infirmary only to be released and sent to a different infirmary in a different prison, and so on for months, without ever receiving the proper treatment and without his family or even his lawyers ever knowing where he was.
In Sulmona in 1974 he once more tried to escape. He climbed over the 5-metre-high boundary wall and with both feet broken he managed to crawl to the nearest church, holding the priest as hostage in exchange for agreement by the authorities that he could have the operation he needed.
Horst at Sulmona in 1974 |
In 1975, the Verona publisher, Giorgio Bertani, published Horst’s book, “Ormai è fatta”, a detailed recounting of his escape from prison on 23rd July 1973 from Fossano prison, which Horst took 48 hours to write on a small typewriter. The book was recently re-published by El-Paso/Nautilus.
Back in Bologna, Libero Fantazzini led his own battle against the journalists and once occupied the Torre degli Asinelli to protest against State repression of comrades.
They were intense times, the years of solidarity with prisoners which saw anarchists and many communists mobilizing for Fantazzini. His partner at the time, Valeria Vecchi, was sentenced to 7 years in prison for attempting to free him. Even the anarchist tennis player, Monica Giorgi, was subjected to fierce repression, accused of being a member of Azione Rivoluzionaria.
In the mid-’70s, thanks to General Dalla Chiesa, the Fornelli dell’Asinara bunker was inaugurated and was where all the rebels, communists and anarchists were sent. This led to the beginning of a collaboration between all the comrades, including the Brigate Rosse and Prima Linea, based on friendship and prisoner solidarity. But the legend as reported in the newspapers about Horst being a Brigate Rosse sympathiser was rubbish: he was close to some of its members, as people, but ideologically he was too distant from them and never embraced their cause. He always considered himself and individualist anarchist.
In 1978, following a serious beating at the hands of the police which left him nearly in a coma, he managed to smuggle out (against the advice of the Brigate Rosse) a document on the Asinara Revolt which was later published by Anarchismo under the title “Speciale Asinara” successively “L’ipotesi armata”.
There followed years of prison with periodic hard revolts in penitentiaries all over Italy, from Trani to Termini Imerese, from Palmi to Varese. Things were only to improve slightly over after the abolition in 1985 of the “special regime”.
Widespread grassing by convicts and heroin were to lead to a decade where the struggles fell apart with a loss of all the drive, communication and passion where turned out to be far more deadly that any cruel coercive method.
Horst spoke out against the grass system and those who turned (with a series of wonderful satirical poems, many of which have unfortunately been lost) and re-worked an old prison saying: “As long as a man does not give up, he can still be won back”.
In 1985, his eldest son was imprisoned for nearly two years on the word of an idiot. The grand old man Libero Fantazzini couldn’t withstand the shock and died (the cruelty of the repressive system would not allow Horst even to go to the funeral), followed in 1993 by his anarchist partner from Piacenza, Maria Zazzi, who had fought in the war in Spain.
Bologna, during a license, 1989 |
In 1989, Horst had still not lost heart nor the will to live. He studied while in prison in Busto Arsizio and was close to getting his degree in literature from the University of Bologna when his old fondness for escape got the better of the books and led him to escape while out on leave. He would stay on the run for a year during which he carried out three more robberies, until he was re-captured in 1991 not far from Rome (despite not offering any resistence at his arrest – he was walking his dog at the time – the Messaggero newspaper described him as a dangerous terrorist) and transferred to Alessandria prison where he would remain for 10 years.
In Alessandria, he worked and dreamt at his computer that he was able to buy with the prize money from a literary competition in 1993, which he had won with a short story entitled “L’uomo cancellato” (The man who was wiped out). He worked as an advertising graphic designer for the Alessandria City Council and produced some excellent posters, designs and pamphlets, but above all many wonderful paintings which were also exhibited.
In 1999 he was moved to Bologna. Freedom was getting nearer thanks to a film called “Ormai è fatta“, directed by Enzo Monteleone and inspired by Horst’s book. Horst himself enthusiastically approved the screenplay for the film. A campaign was also launched for his release by his last partner, Pralina, and his eldest son, a campaign which atracted the whole anarchist movement and brought a great deal of attention to Horst’s story. But at the Dozza prison too, his conditions were difficult and he was subjected to many arbitrary decisions, such as being refused a job. For a while, Horst agreed to be a part of the editorial committee of “May day” and thanks to his experience in graphic design he produced some magnificent works for the prison printing room, such as a book of recipes. On the request of Horst, his lawyer Luca Petrucci lodged an appeal for a pardon. Horst was then interviewed by various newspapers and television channels and there were two parliamentary interrogations. He received his first leaves and later semi-freedom.
Bologna, March 2001 |
He was living with Pralina and surrounded by his friends in the house in Via Roncrio that his father Libero had built. He found it very difficult to find a job as he was considered by many to be “untrustworthy”, even by some fellow anarchists who treated him with a certain amount of diffidence, despite liking him.
Pralina & Horst, May 2001 |
At any event, in 2001 he got a job thanks to some “communist comrades” working in the stockroom at the Altercoop, which deals with recycled paper. It was a job for which he was paid not by the Altercoop (because of its regulations), but by the prison service, which often made him wait a long time before actually paying him. And the job was also unsuited to his physical condition and to his character, where something requiring more imagination and technical skill – remember, he was very skilled in the use of computers. However, it was the only job available and, more importantly, the only way he was able to get out of prison.
On 19th December 2001, with his accomplice and long-time friend C. T., he tried to rob his last bank – a bank which had in reality been one of his first, the Agricola e Mantovana Bank. He was arrested before going in and he desperately tried to flee on his bicycle. Unfortunately out of his pocket fell a paper-cutter and a stocking and so in the space of a few short hours the fragile dream he had was shattered with unimaginable violence. His house was searched and he was sent back to prison, this time suspected of “terrorist activities”. Apart from the enormous shock, his partner, Pralina, (they were not officially married) was also faced with the insurmountable problem of getting to speak to Horst.
Bologna 2001, 19th December |
Although Horst was not beaten up (the bruises on his body were the result of the fragility of his minor blood vessels), his health took a turn for the worst due to the stress caused by the arrest and his condition quickly worsened. He died in the hospital wing of Dozza prison on 24th December at 7.30pm. The cause of death was given as an “abdominal aortic aneurism”.
During the arraignment to confirm his arrest, knowing that he was nearing the end of his life Horst told his lawyer that he wanted to “leave the house to Pralina”, but there wasn’t enough time for the lawyer to visit him again with a new will.
A non-religious funeral for Horst was held in Bologna on 29th December 2001 while at the same time there was a demonstration held outside Dozza prison.
Horst was cremated. At least this wish was respected.
For all the complicated legal goings-on, the various charges against him made somewhat worse by the acusation of “terrorism”, meant that Horst would probably have spent years and years in prison (according to Home Affairs Ministry papers that Enzo Monteleone managed to obtain in 1999, Horst was destined for release in February 2017). Adding to that the other recent charges, it seems that Horst could have been in prison until 2024, but he mamanged to escape for good… one last time.
traduzione di Nestor McNab
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Biographie de Horst
Horst Fantazzini : destin muré et miroir carcéral
vendredi 24 décembre 2010, par ZeroS
« Nous ne pouvons juger le degré de civilisation d’une nation qu’en visitant ses prisons. » (Fiodor Dostoïevski)
Au moment où traitement pénal et carcéral sont les seuls placebos prescrits par le Léviathan néolibéral pour canaliser l’indigence et la pauvreté qu’il génère lui-même [1], ces paroles poussiéreuses de Dostoïevski ont des accents tristement prophétiques. La vie carcérale de l’anarchiste italien Horst Fantazzini condense à elle seule l’incapacité d’une société à faire preuve d’auto-réflexivité. Nous la résumons ici, suivie de la traduction d’un pamphlet politique quasi-foucaldien rédigé au cours des « années de plomb » et des révoltes carcérales des années soixante-dix. Il y parle de la réforme gestionnaire de l’administration carcérale et de l’organisation des résistances politiques internes par les prisonniers [2]. Témoignage d’une époque, certainement pas révolue.
Lignes de vie:
« La prison est un miroir. Notre société n’aime pas s’y regarder ; pourtant il est fidèle. [3] » (Albert Jacquard)
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« Nous pouvons être reclus, mais non exclus de notre société : la prison appartient aussi à la société, elle nous interroge et en pointe les contradictions. » (Horst Fantazzini)
Horst Fantazzini naquit en 1939 dans la Saar du Troisième Reich d’une mère ouvrière et d’un père maçon, partisan anarchiste italien expatrié, Alfonso « Libero » Fantazzini [4]. Dès la naissance, son destin fut peut-être scellé, marqué par la signification-même de son prénom – « réfugié ». Il ne serait nulle part chez lui, ni d’ailleurs jamais vraiment libre.
Après la Seconde guerre mondiale, ses parents revinrent à Bologne en Italie, ville d’origine de son père, où il grandit. La famille était pauvre, et entre étudier et travailler tôt, le choix s’imposa de lui-même. L’amour de la littérature et des Humanités remplit difficilement des assiettes vides. A la majorité, jeune marié, cumulant emplois humiliants et précaires, Horst décida rapidement d’emprunter des chemins de traverse, notamment fasciné par l’aventure de la Bande à Bonnot [5]. Il commença par s’immiscer dans le trafic de motos et de voitures volées…
Sa première arrestation eut lieu en 1960 suite au braquage d’une poste avec un pistolet en plastique. Il fut condamné à cinq années de prison. A sa libération, sa femme malade s’éloigna. Après quelques emplois temporaires, Horst prépara le braquage d’une banque génoise, mais fut arrêté avant le hold up : de nouveau condamné. Alors qu’il purgeait sa peine, il apprit le décès de sa mère, et décida de s’évader de la manière la plus simple qu’il soit : par la fenêtre avec un drap noué. A partir de cette période, il transforma sa vie à la marge en acte politique radical et assumé, inspiré d’une réflexion rhétorique simple empruntée à L’Opéra de Quat’sous de Bertold Brecht : « Qui est le plus criminel, celui qui vole une banque ou celui qui en fonde une ? ».
En 1967, après avoir apeuré une employée de banque lors d’un de ses multiples braquages dans le nord de l’Italie, il s’excusa en envoyant dès le lendemain un énorme bouquet de roses. Il devint pour les journalistes « il bandito gentile » et « il rapinatore solitario » [6]. Ces sobriquets sympathiques soulignaient un style et une manière d’agir singulière, produit d’une réaction à l’inertie et à la convenance des milieux anarchistes qu’il fréquentait. A l’aube des années soixante, il souhaitait voler les banques pour alimenter les luttes anarchistes et revitaliser l’économie des presses libertaires. Sa proposition excentrique de modus operandi effraya ses camarades. Il décida d’agir seul avec une déontologie propre, nourrie par « une gentillesse naturelle intacte et non affectée » [7] par la rudesse de son existence.
Il quitta un temps l’Italie et mena durant deux années une existence de dandy entre l’Allemagne, la France et l’Angleterre. Il envoyait régulièrement des lettres cyniques à la police italienne, et obtint le surnom de « primula rossa » [8]. En 1968, il fut arrêté à la sortie d’une banque à Saint-Tropez, et eut le loisir de découvrir les galères inhumaines à la mode française. Reclus aux Baumettes à Marseille, il suivit à distance les émeutes de prisonniers de Clairvaux, qui se terminèrent par l’exécution à la guillotine de deux révoltés. Peu soucieux du respect de l’ordre, il invectiva les juges lors de son procès et sa peine fut allongée. À partir de cette période, les portes de sa cellule se refermèrent définitivement : il ne bénéficiera plus jamais d’une liberté inconditionnelle. Il tenta de s’échapper à Aix-en-Provence, menottes aux poignets. En vain.
En 1972, il est extradé vers l’Italie, rapproché de ses fils, puis réalise une spectaculaire tentative d’évasion de la prison de Fossano. Il blesse trois gardes et tire sur deux autres avec un Mauser de petit calibre, prend brièvement quelques otages, mais est grièvement blessé au moment de franchir les murs. Opéré négligemment, les médecins ne lui enlevèrent pas tous les débris de projectiles. Par la suite, il fut transporté de prison en prison à travers toute l’Italie sans soins appropriés et sans que ses proches et son avocat soient avertis des transferts.
Cette mésaventure ne mit pas fin à sa soif de liberté. L’année suivante à Sulmona, il s’enfuit une fois de plus en sautant d’un mur d’enceinte de cinq mètre. Les pieds fracturés, il se traîna jusqu’à l’église la plus proche, séquestrant le prêtre et demandant d’être opéré en échange. Dans et hors les murs, de nombreux anarchistes et communistes se mobilisèrent pour le soutenir, cependant il resta incarcéré.
De violentes révoltes éclatèrent dans les prisons italiennes. Elles furent renforcées par une ébullition politique et une forte solidarité entre les prisonniers qui dénonçaient les conditions d’incarcération et les incuries de l’État. Au milieu des « années de plomb », le bunker Fornelli dell’Asinara [9] est inauguré par le général Dalla Chiesa [10]. Tous les rebelles, communistes et anarchistes, y sont expédiés. Dans cet enfer, partageant une situation contingente, Brigades rouges et Première ligne [11] commencèrent à collaborer. Les journalistes firent courir la rumeur que Horst Fantazzini était sympathisant des Brigades, même si, anarchiste individualiste, il ne partageait pas toutes leurs convictions idéologiques.
En 1975, l’éditeur de Vérone Giorgio Bertani s’intéresse au destin du personnage et lui propose d’écrire la chronique de sa spectaculaire évasion de 1973 – Ormai è fatta ! [12] –, afin de la publier. Horst commence à se jouer des mots dans des textes toujours empreints de sa condition d’éternel prisonnier. Cette dernière fut d’une extraordinaire dureté jusqu’à l’abolition du régime spécial en 1985. Mais plus que les méthodes coercitives les plus cruelles, la repentance dilettante et la diffusion de l’héroïne parmi les compagnons contribuèrent à l’effritement des luttes carcérales [13].
En 1989, alors qu’il s’apprêtait à se diplômer en Littérature à la faculté de Bologne, préférant l’air libre aux livres, il décida de s’échapper. Il fut repris en 1991 sur le littoral romain après avoir été décrit par certains journaux, notamment Il Messagero, comme un dangereux terroriste. Il écopa de dix années supplémentaires. Son image de bandit d’honneur s’était depuis longtemps évaporée. De nouveau incarcéré, il s’adonna pleinement à l’écriture [14], se diplôma, soutint les projets d’autres détenus, et travailla comme graphiste pour une commune. En 1995, il reçut un prix pour son poème : « L’uomo cancellatto » [15]. De plus, certains de ses dessins fantaisistes furent exposés dans quelques villes italiennes. L’adaptation de son roman, Ormai è fatto !, en film par Enzo Monteleone en 1999 fut l’occasion d’une campagne de libération très médiatisée et orchestrée par sa dernière compagne, Patrizia « Pralina » Diamante [16]. D’importantes maisons d’édition (Feltrinelli Einaudi et Baldini & Castoldi) s’intéressent à la réédition de son ouvrage. Sans suite. Il finit par être libéré, en conditionnelle.
Après de multiples galères, Horst trouva du travail en 2001 dans une coopérative tenue par des « camarades communistes ». Un travail faiblement rémunéré pour des raisons réglementaires, intrinsèquement liées à son statut. De la même manière, il était obligé de passer par l’administration pénitentiaire pour se faire soigner, alors que son état de santé ne cessait de se détériorer.
Le 19 décembre 2001, avec un complice, il attaqua une dernière banque, mais fut interpelé avant d’y pénétrer. Il essaya de fuir à bicyclette, mais fut arrêté, puis battu en prison, suspecté de « terrorisme ». Ses conditions de santé se dégradèrent très rapidement, et il mourut le 24 décembre. Sa dernière et définitive évasion… peut-être plus enviable que de dépérir lentement dans une cellule jusqu’en 2017 ou 2024, comme le prévoyaient les procédures judiciaires amorcées.
« Fiers d’être coupables » / Traduit de l’italien
D’une porcherie appelée « Centre clinique » – Regina Coeli, 23.02.1979.
Les prisons spéciales ont toujours existé, leur histoire suit celle du pouvoir. Change, en se rationalisant, la « spécialité » de la détention. Prométhée, enchaîné à la roche et maudissant les Dieux, symbolise l’insubordination au pouvoir, symbolise les incarcérations spéciales. L’insubordination au pouvoir nécessite des traitements spéciaux, elle n’est pas la même chose que la transgression des lois : cette dernière est « conciliable », l’autre est un acte de guerre.
Chaque institution spéciale est une aire privilégiée du pouvoir – de tous les pouvoirs – là où actionner, avec les moyens les plus variés, des menaces pour ramener les « déviants » à la norme, signifie accepter ces Lois qui sanctionnent la domination d’une classe sur le reste des citoyens.
Les « déviants » sont divisés en deux catégories : relatifs et absolus. Est déviant relatif celui qui se soumet à la punition en acceptant la logique dépersonnalisante, celui qui collabore à la « récupération » sociale. Est déviant absolu le rebelle, le compagnon, le révolté, ces magnifiques prolétaires dont le parcours carcéral a toujours été spécial. Durant des années, la division du « traitement » a été exercée d’une manière plus ou moins clandestine, puisque celle-ci n’était validée par aucune législation « écrite ». Les rebelles, les compagnons, les irréductibles, étaient liés à des directeurs « volontaires » qui avaient pour tâche de « les dompter ». […]
L’accentuation de la crise économique, la diffusion des comportements illégaux de masse, la prolifération d’une jeunesse refusant de se laisser exproprier quotidiennement de sa propre joie de vivre et le phénomène de la lutte armée ont fait enfler les files des déviants absolus. La résolution des problèmes ne pouvait plus être laissée au zèle de tel ou tel directeur, fonctionnaire ou autre bourreau de l’État. Le problème était politique et devait être résolu comme tel.
Avec la « réforme » de 1975 a été introduit, pour la première fois, le principe de « traitement différencié », l’acte de naissance officiel et légal des « prisons spéciales ». […]
Une nouvelle phase s’était ouverte, le pouvoir avait opéré un saut qualitatif : nous devions apprendre à vivre, résister et lutter, dans des conditions complètement différentes de celles du passé. Ces dix années de lutte à l’intérieur des prisons, durant lesquelles nous avions atteint les niveaux d’opposition les plus élevés, avec des prisons brûlées, détruites, des compagnons tués, des évasions de masse, des siècles de galères distribués aux révoltés, appartenaient désormais au passé.
La nouvelle phase imposait des séries d’analyses, de réflexions, d’organisations de masse, pour amorcer dans le « circuit spécial » un processus irréversible qui ne devait pas, comme dans le passé, s’épuiser dans de violents « embrasements » de courte durée, mais devenir une spirale continue d’opposition au pouvoir, une lutte complexe. La prison, qui avait toujours exprimé une opposition partielle, devait se recomposer avec ses propres réalités externes, avec ses propres réalités de classes, dans une lutte qui devait trouver unies toutes ces strates sociales qui, majoritairement frappées par la crise et les exclusions sociales, contestaient le programme forcé de « paix sociale ». […]
Prométhée, dans sa lutte solitaire, exprime l’irréductibilité de l’individu au pouvoir. Nous déviants absolus, prolétaires antagonistes sans intermédiaires au pouvoir, nous ne devons pas nous complaire dans notre irréductibilité, mais nous unir, à l’intérieur et à l’extérieur des prisons, pour engager une lutte de longue durée contre nos ennemis communs. Seul et avec les autres. Sans prétentions à « guider » et néanmoins en déléguant à d’autres nos missions. Organisons-nous, donc. Mais comment ?
Le cycle de luttes initié à l’été ’78 à Asinara et poursuivi durant des mois, s’élargissant en faisant tâche d’huile et impliquant tous les nombreux prisonniers spéciaux mais aussi certains dit normaux, a constitué un moment très important. Comme travail révolutionnaire de masse et comme indicateur pour le futur. Le pouvoir, pris à l’improviste par la continuité et l’importance de cette lutte, a adopté une ligne apparemment « souple », moment tactique pour gagner du temps et se préparer au passage à une nouvelle phase de gestion beaucoup plus rationnelle.
Ce moment d’apparente faiblesse du pouvoir a déterminé un excès d’optimisme faisant fleurir les slogans triomphalistes tels que « Pouvoir rouge à l’intérieur des camps [17] », qui n’avaient pas et n’ont pas de réelle correspondance dans la réalité.
Les espaces conquis, s’ils ne se sont pas enracinés conjointement dans de larges secteurs populaires, peuvent être engloutis facilement par le pouvoir. Le mois en cours (février 1979) signe le début d’un mouvement de « gestion » du carcéral.
L’arrestation en masse de compagnons/-gnes de diverses prisons collectives et de familles de détenus, coupables d’être notre « voix » dans le mouvement, à l’extérieur, coupables d’information – de contre-information –, est un fait d’une extrême gravité, comme est extrêmement préoccupante cette intimidation du pouvoir (en arrêter 30 pour en intimider 3.000).
[…]
Nous, compagnons anarchistes, unis aux compagnons [18] autonomes et aux divers compagnons communistes et prolétaires prisonniers particulièrement rebelles et conscients, nous nous battons pour construire une ligne d’organisation réellement de masse qui – surtout – soit l’expression réelle des besoins des prolétaires prisonniers, de nos besoins de liberté, d’autonomie, de communisme. Nous ne portons pas un discours « avant-gardiste », si cher aux crypto-léninistes. Par conséquent, notre référent extérieur n’est pas le fait de telle ou telle O.C.C. [19] […], mais plutôt du mouvement révolutionnaire étendu qui exprime quotidiennement son désaccord actif – par tous les moyens – à la nauséabonde domination du capital.
Notre objectif immédiat, comme mouvement des prolétaires prisonniers, est de chercher à créer, de façon collégiale, débats et discussions avec tout le tissu social contestataire (quartiers ghettos, écoles, marginaux, travailleurs précaires, esclaves du travail au noir, chômage des jeunes, etc.) qui, comme nous, n’ont rien d’autre à perdre que leurs chaînes et portent dans leur cœur un monde nouveau à édifier.
Ce travail de recomposition entre prison et territoire sera difficile et long, mais est l’unique route vers la victoire. La libération des masses exploitées ne peut advenir que d’une lutte portée vers l’avant et gérée par les exploités eux-mêmes. Les prêtres avant-gardistes, guides et consciences des masses, ont déjà donné leurs fruits historiques, et ce sont des fruits amers.
Un autre de nos objectifs, comme compagnons anarchistes, est d’intervenir à l’intérieur du mouvement anarchiste. En déplaçant les eaux stagnantes. Stimuler les comportements réellement subversifs, au détriment léger de la pureté idéologique qui plaît énormément à nos intellectuels, a suffisamment d’incidence sur les réalités sociales qui nous entourent. Nous voulons obliger le mouvement anarchiste à reconnaitre que dans les camps de l’État il y a aussi des compagnons anarchistes. Des compagnons qui n’entendent pas endosser ce rôle qui depuis tant d’années semble être le seul accepté par les anarchistes incarcérés : innocents et victimes du pouvoir (mais est-ce un mérite, pour un révolutionnaire d’être innocent envers le pouvoir ?).
Nous sommes fiers d’être coupables envers l’État, nous ne nous lamentons pas de pourrir dans des camps, à notre mesure nous combattons quotidiennement pour la liberté et la révolution sociale.
[…]
Salutations révolutionnaires !
Notes
[1] L’ouvrage publié aux éditions Raisons d’agir en 1999, Les prisons de la misère, de Loïc Wacquant reste d’actualité, ainsi que Punir les pauvres. Le gouvernement de l’insécurité sociale, Agone, 2004.
[2] Dans le contexte actuel, la dépolitisation des prisonniers reflète l’état général d’une opposition inexistante aux outils qui renforcent la subjectivité néolibérale.
[3] Extrait d’Un monde sans prison ?, Éditions du Seuil, 1993.
[4] Personnage qui eut une certaine notoriété dans les milieux anarchistes, ce qui contribua à rendre crédible les prises de position radicales de son fils.
[5] Sur la bande à Bonnot, il est conseillé de lire l’épopée Sans l’ombre d’un remord de l’auteur libertaire italien Pino Cacucci.
[6] Respectivement « le gentil bandit » et « le voleur solitaire ».
[7] Selon ses propres termes.
[8] Littéralement « la primevère rouge ».
[9] Lieu symbolique de la répression des luttes politiques radicales de gauche en Italie, où 2.000 prisonniers furent déportés très rapidement.
[10] Personnalité loyale et fidèle à un certain ordre. Résistant de 1943 à 1945, après l’Armistice de Cassibile, il refusa de réprimer les partisans. Il fut assassiné en 1982 par la Cosa Nostra alors qu’il était Préfet de Palerme.
[11] Deuxième groupe armé militant après les Brigades rouges. Auto-dissout en 1981 suite à une vague d’arrestations.
[12] L’ouvrage est inédit en France. Il vient d’être republié en Italie par les éditions El Paso – Nautilus.
[13] Horst a toujours affirmé que « jusqu’à ce qu’un homme se repentisse, il est toujours récupérable » et condamné « ceux qui ont la seringue plantée à la place du cerveau ».
[14] Ce fut sa période la plus prolifique : essais, poèmes, textes politiques, contes, etc.
[15] Traduit et publié dans le premier numéro papier d’Article11.
[16] Celle-ci est aussi à l’origine du travail de compilation sur un site internet de toute l’œuvre de Horst.
[17] Horst Fantazzini emploie le terme allemand « lager » qui signifie littéralement « camp de concentration » en allemand. Celui-ci peut sembler excessif et marqué par un âpre contexte d’opposition idéologique et politique, cependant quelques éclairages sont à apporter quant à l’usage du mot. Le philosophe italien Giorgio Agemgen explique dans l’article « Qu’est-ce qu’un camp ? » du recueil Moyens sans fins (Publié chez Payot – Rivages.) que l’émergence historique des camps n’est pas un développement du droit carcéral mais de l’état d’exception et de la loi martiale.
Bien que la Prusse semble détenir la paternité juridique du concept de Schutzhaft (1850) – « détention protective » –, élaboré pour les périodes de guerre, des camps de concentration furent établis au préalable en pratique dans d’autres pays : par l’Espagne à Cuba pour parquer les populations de la colonie en 1896, par l’Angleterre pour les Bœrs en Afrique du Sud au début du XXème siècle, ou encore par la France en 1915. En Allemagne, l’émergence des camps pour prisonniers politiques en 1933 fut placée hors du droit carcéral et pénal grâce à la Schutzhaft.
Selon G. Agemben, « le camp est l’espace qui s’ouvre quand l’état d’exception commence à devenir la règle ». C’est un bout de territoire qui est placé en dehors du système juridique normal. Paradoxalement, malgré l’exclusion, l’état d’exception est intégré lui-même au système. Il devient une organisation permanente normale. En ce sens, le régime carcéral spécial italien, qui fut aboli en 1985, présentait bien les caractéristiques d’un lager, et ce qui choque le lecteur français contemporain dans l’emploi de ce terme est la confusion qu’il fait entre la forme paroxystique du camp d’extermination nazi et celle, historiquement plus fréquente, du camp de concentration. Cette forme de réduction métonymique est dangereuse. En se focalisant sur l’innommable, nous oublions quelques dimensions des conditions de sa production, notamment juridico-politiques. Il est entendu que la seconde prépare le terrain de la première, et que toutes deux sont totalement inacceptables. Pour citer G. Agemben sur les camps d’extermination : « Le camp n’est que le lieu où s’est réalisée la condition inhumaine la plus absolue qui ait jamais existé sur terre : c’est le fait qui compte, en dernière analyse, pour les victimes comme pour la postérité. »
En employant ce terme, Horst, éminemment provocateur, vise juste. Le terme lager n’a pas encore, en 1979, la charge mémorielle et symbolique qu’il possède aujourd’hui. Sa propre généalogie n’est pas totalement effacée, et la possibilité prospective de qualifier de lager les actuels camps européens de « détention protective » des immigrés non désirables a des antécédents juridiques et politiques.
[18] L’ami Serge Quadruppani précise en commentaire que le terme “compagnon” devrait plutôt être traduit par “camarade”. Il explique : « Les anars préfèrent dire “compagnon” plutôt que “camarade”, pour se distinguer des marxistes, mais là où on dit “compagno”en italien, il faut traduire généralement par “camarade” (le terme camerato étant réservé aux fascistes en italien). »
[19] Les Organisations Communistes Combattantes sont des groupes politiques militants radicaux dont les Comités de Lutte (C.d.L.) carcéraux ont essayé de s’inspirer quant à leur organisation politique interne.
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Biografía de Horst
HORST FANTAZZINI EL ÚLTIMO DE SU ESPECIE
Horst at 18 years old |
Compensa el ser humano sus errores y constituirse en material gastable con el premio del no olvido. Nos informó una página brasileña:
“Horst Fantazzini morreu nas mãos do Estado no natal de 2001, aos 62 anos, numa prisão de Bolonha [Itália]. Tinha o apelido de “ladrão gentil”, o “ladrão solitário”, pois atuava normalmente só, chegava a usar armas de brinquedo nas suas ações, e muitas vezes fugia de bicicleta. Amaba la bicicleta.
Horst at Sulmona in 1974 |
Sua intença vida começou na juventude, com as primeiras rapinagens, bancos eram seu alvo. Passou mais de 30 anos entrando e saindo das prisões italianas. Se lo conocía como “el ladrón de la bicicleta”.
Había nacido en Alemania en 1939, de padre italiano –héroe anarquista de la Guerra Civil española– y madre alemana.
El siguiente es el texto leído, en diciembre de 2001, por Patricia Diamante –Pralina–, su última compañera, cuando su funeral. Da luces sobre una personalidad que bien pudo haber sido la última de su especie:
Unas pocas palabras por la vida extraodinaria de un hombre que nunca se negó, ni calculó, ni tuvo miedo frente a los esbirros, ni siquiera cuando le disparaban para asesinarlo, y al no haberlo logrado intentaron sepultarlo en la cárcel, de apartarlo de sus afectos y de su vida, empleando miles de recursos y de métodos coercitivos, sutiles extorsiones afectivas. Horst jamás se doblegó frente al poder, sin embargo ha mostrado su lado tierno, el de niño indefenso que gritaba “el rey está desnudo”.
Por eso lo he amado intensamente y todos nosotros lo hemos querido, conociendo su vida y su historia y no siempre estando de acuerdo con sus elecciones.
En la última época, Horst tenía unas ganas increíbles de llevar una vida normal, la vida normal no es esa vida insulsa vacía de tensiones existenciales, sino una vida que fuese justa inclusive con el niño que él mismo era, el artista que era –que salía luego de pasar 40 años de cárcel– justa conmigo también que pasé por todas las condiciones de disgregación de la familia y de cárcel que supera en mucho a la institución carcelaria.
Estos últimos cinco años para nosotros fueron difíciles sin duda, pero hermosos, lleno de tensiones. La relación con Horst era de absoluta sinceridad, como decía él “eres la persona más pura que conocí y te quiero como un padre, porque para mí eres como una niña”. En la relación con Horst había mucha sensualidad, erotismo, juego, locura, proyectos a realizar, amistad; teníamos una hermosa casa inmersa en el verde y hace poco un perro, pero ningún lujo; tampoco vivíamos en la abundancia.
La hermosa casa que construyó Libero para él, y que él llamaba “nuestro nido” tenía constantes y urgentes problemas que necesitaban ser solucionados y esto lo saben bien sólo quienes la frecuentaban, los pocos que daban una mano para hacerla habitable. A falta de dinero, los trabajos se hacían lentamente y algunas veces reciclábamos los muebles que sacábamos de la basura, pero éramos felices. Pese a los miles de problemas, algunos lujos nos dábamos sin pedir nada a nadie. Nada más y nada menos que un almuerzo o una cena, Horst estaba cansado de comer la bazofia asquerosa de la cárcel.
Dignidad
Fuimos dignos en todo, deseábamos un bien inmenso, verdadero que no se pude cuantificar. Quizás el momento más difícil por el que pasábamos era cuando Horst salía de la cárcel a las seis de la mañana para ir a trabajar en la oscuridad y con el frío; trabajaba en un depósito, con la campera puesta para resguardarse del frío, tenia problemas de salud bastante serios que no había contado a nadie –porque cuando un preso en estado de libertad vigilada está enfermo vuelve la cárcel–; venía a casa unas horas, y volvía rigurosamente a las 10 de la noche no interesaba cómo estaba el clima, dormía solo dos o tres horas durante la noche porque en los sectores de presos en libertad vigilada hay muchos problemas.
Estaba muy cansado, dolorido, delgado y, en especial, dormía poquísimo.
Sin embargo, inclusive en esas condiciones –desconocida por la mayoría de los compañeros– hacía un poco de espacio para nosotros. Las simples cosas cotidianas: prepararle un café, un plato de tagliatelle con salsa casera, adquiría el significado de un verdadero hogar, de verdadera familia.
Bologna, March 2001 |
Le decía: ahora que luchamos tanto para que tengas semilibertad y que estamos esperando el perdón si cometieras alguna otra estupidez, no solo tirarías a la mierda a las pocas personas que han confiado en ti, sino que aruinarías todo.
Pralina & Horst, May 2001 |
El final
Pero evidentemente la tensión por la libertad era muy fuerte en él, y un dia sin haberme hecho partícipe, me enfrentó al hecho consumado. El llamado telefónico de su abogado, fue un golpe muy fuerte mientras regresaba a casa en tren con un dinero en el bolsillo. Acababa de vender dos retratos, estaba feliz porque él me alentaba a que dibujara, también porque teniamos esperanzas concretas para ambos detrás de esos encargos…
No lo juzgo, sino al gesto frágil y en el fondo ridículo de este sistema de mierda que no ha sabido ofrecerle otra cosa que un pesado trabajo en un depósito a su edad (62) y con tantos años de cárcel por delante. El dolor que siento frente a un fin tan injusto, absurdo, y tan normal, dado que en la cárcel se van así los pobres desgraciados… ¡No pueden imaginarlo siquiera!
Restan pequeñas y grandes humillaciones, nunca perdonadas ni olvidadas, que algún día publicaré. Horst, mi dulce y gracioso Horst, se fue para siempre, no volverá más a ninguna cárcel. Te llevaré siempre en mi corazón y siempre honraré tu memoria, tu coraje, lo que has escrito, lo que me has dicho, tu deseo de que yo sea una gran artista.
Junto a la memoria de mamá Berta, de María, de Líbero, con amor…
Gracias a todos ustedes que estuvieron cerca…
Libertad a todos,viva la Anarquía!
¡Chau ratoncito!
Bologna 2001, 19th December |
Tu Pralina Fantazzini
http://www.horstfantazzini.net/biografia.htm