Di recente la scena politica italiana è stata accusata di essere composta da ologrammi, immagini che vengono create in maniera artificiale, proiettate tridimensionalmente e fatte passare per reali, tangibili, materiali. Il riferimento era al Palazzo e ai suoi teatrini, è ovvio, ma ci sembra che la considerazione sia calzante pure per la piazza e la sua militanza. In fondo anche qui, in mezzo a nauseanti cumuli di spazzatura politica, si aggirano parecchi ologrammi di ologrammi. Un notevole esempio lo si può osservare in questi giorni a Firenze, dove si sta avviando a conclusione un processo a carico di un’ottantina di imputati.
Chi è agli ordini del potere ha proiettato l’immagine virtuale di una associazione a delinquere che per fomentare il conflitto sociale avrebbe organizzato buona parte degli episodi «illegali» (diurni o notturni, singolari o collettivi) avvenuti negli ultimi anni nella patria dell’attuale capo del governo. Mescolando in un unico calderone rivendicazioni costituzionali ed utopie sediziose, gli inquirenti sono riusciti a modo loro ad unire tutte le anime del cosiddetto movimento senza preoccuparsi del fatto che gli imputati provengano dai contesti più disparati e talvolta persino contrapposti (alcuni non si conoscono nemmeno fra di loro, non si sono mai incontrati, ed è assai probabile che si disprezzino reciprocamente). Che razza di associazione è mai questa, unita non dall’appartenenza ad uno stesso gruppo e nemmeno dalla partecipazione ad un movimento specifico di lotta, ma dalla mera compresenza nella medesima città?
Davanti a tale assurdità, a sua volta chi è agli ordini del contro-potere ha proiettato l’immagine virtuale di un brutale attacco intenzionale alle lotte sociali, alle proteste studentesche, all’antifascismo, alle rivendicazioni di casa e lavoro, all’antirazzismo… insomma, a tutti i cavalli di battaglia della sinistra nemmeno tanto estrema, ben sapendo che tutta l’inchiesta nasceva da ben altro e mirava a ben altro.
Non stupisce affatto che di questo processo non si sia parlato poi molto, per quanto l’azzardo tentato dalla magistratura fiorentina, qualora riuscisse, costituirebbe un vertiginoso salto in avanti della repressione, dalle conseguenze quasi inimmaginabili per tutti, nessuno escluso. A tale relativo silenzio ha contribuito l’imbarazzante consapevolezza che gli ologrammi, per essere resi credibili, devono essere proiettati per un attimo e possibilmente a distanza. Più lontana appare l’immagine e per meno tempo possibile, più è probabile che venga scambiata per vera. Altrimenti il trucco è palese e tutti potranno accorgersi che di reale e concreto, qui, non v’è nulla.
Chi scrive fa parte degli imputati ma non ha mai presenziato ad una udienza, non ha mai partecipato ad un incontro o ad un’assemblea relativi all’inchiesta, non ha seguito la vicenda giudiziaria. Non conosciamo molti dei nostri coimputati né ci interessa conoscerli, e siamo sicuri che questo disinteresse sia corrisposto. Non abbiamo mai parlato del processo in corso con nessuno di loro, né con un avvocato. Auspichiamo, forse sbagliando, che l’assurdità delle accuse, formulate, riformulate e poi ancora riaggiustate, sia sufficiente per evitare qualsiasi condanna nei confronti di chiunque e ponga fine a una vicenda tragicomica. E ci saremmo risparmiati anche di prendere qui la parola se non fosse che l’imminenza della sentenza ha sollecitato qualche regista militante a tenere audizioni in giro per l’Italia raccontando il suo canovaccio preferito a nome di tutti gli imputati.
Ora, che sia la magistratura a metterci accanto a comunisti autoritari, sindacalisti, rappresentanti di liste cittadiniste e quant’altro, passi. In fondo i coimputati sono come la merda negli Stati Uniti — capitano. Ma che in nome del «ad un attacco unitario bisogna rispondere in maniera unitaria», siano costoro a farci passare per loro compagni di lotta a favore dei diritti e della democrazia…
Eh no, cazzo! A tutto c’è un limite.
Avvicinatevi all’ologramma, se siete curiosi di dargli una occhiata più da vicino. L’inchiesta in questione non è nata affatto per stroncare le lotte sociali, a partire dalle frange più radicali del movimento studentesco per poi continuare ad altre mobilitazioni come la lotta per la casa, i diritti dei lavoratori, l’antifascismo, l’antirazzismo, blablabla. Macché, questa è la favoletta raccontata per esigenze di propaganda. Prendendo spunto dal sabotaggio di alcuni bancomat, l’inchiesta nasce nel 2009 e si alimenta non solo delle nuove azioni di disturbo — individuali e collettive — avvenute ma anche di timori investigativi (non ultimo, l’apertura nella primavera del 2010 di un altro spazio anarchico). I poliziotti, temendo che l’intrecciarsi di tutte queste iniziative potesse scaldare alcune teste locali, hanno visto la possibilità di costruire una associazione, inizialmente definita terroristica, a carico di anarchici e di qualche «cane sciolto». Tuttavia, in relazione ai controlli polizieschi, mentre gli anarchici del Trivio dei Tumultuosi, del Panico e della Riottosa, hanno dato ben poche soddisfazioni alle microspie piazzate dagli inquirenti, qualcuno fra i virgulti dello Spazio liberato 400 colpi (talmente liberato da essere stato concesso dall’Università, il che spiega la ritrosia degli scampati alla retata del maggio 2011 ad occuparlo la sera stessa degli arresti, dopo che gli erano stati apposti i sigilli) si è rivelato in possesso di una loquacità torrenziale. Gli inquirenti si sono ritrovati così sommersi da una valanga di nomi, riferimenti, aneddoti, allusioni. Frammenti che però sono riusciti a ricucire addosso solo a chi li aveva forniti, ovvero ad una preda assai diversa rispetto a quella per cui era iniziata la caccia. A finire in manette il 4 maggio 2011 non sono stati quindi né il bersaglio originario degli inquirenti né l’anello forte del movimento fiorentino, ma semplicemente quello più ingenuo. Con in mano il tesoretto di quelle intercettazioni — con fine astuzia pubblicamente confermate dai diretti interessati — gli inquirenti hanno subito capito che per farlo fruttare dovevano accantonare gli anarchici malfamati (per altro in più circostanze disprezzati e boicottati dai 400 colpi) e concentrarsi sul resto del movimento fiorentino, trasformando i connotati dell’inchiesta. Resto del movimento che si è visto costretto a cercare di limitare i danni, con notevole malumore e gigantesco imbarazzo per essere stato letteralmente trascinato in una inchiesta giudiziaria che non lo riguardava e per di più mediaticamente presentata come indirizzata «contro gli anarchici» (il peggiore degli insulti per gli esegeti del marxismo-leninismo), per altro non sempre riuscendoci (basti pensare agli arresti scattati il 13 giugno dopo la manifestazione del 21 maggio, allorquando alla polizia è bastato agitare l’esca di una sede di partito sguarnita per pescare nuovi imputati accusandoli di aver partecipato all’assalto collettivo). Il risultato finale è un elenco di 86 imputati dove dentro c’è di tutto, ma proprio di tutto.
Va da sé che per molti non è facile digerire il fatto di essere finiti nel mirino della magistratura di rimbalzo, solo perché il colpo partito contro pochi sporchi anti-autoritari è stato deviato in corsa da una fessa sponda contro molti candidi autoritari. Capiamo bene quindi perché tanti imputati preferiscano strillare contro la repressione che ancora una volta si abbatte contro chi lotta per i diritti, il posto di lavoro, la casa, la buona scuola, l’antifascismo… Le buone intenzioni non vanno confuse con quelle cattive, che infatti nel frattempo sono state rimosse del tutto. Non è un caso se la campagna a favore degli arrestati è stata portata avanti fin da subito nella maniera più consona, con raccolte di firme, comitati di genitori, cene con preti di strada e via intristendo. Né è un caso se fra gli arrestati del 4 maggio, una volta rimessi in libertà, c’è chi ha strappato un applauso assembleare rendendo merito alla magistratura di aver capito che loro no, non sono anarchici, e chi ha privatamente precisato di non poter permettersi il lusso di finire in galera («per voi anarchici è diverso, ma noi abbiamo una carriera davanti e un’immagine da difendere»). Per non parlare della dichiarata intenzione di indire una conferenza stampa in cui dissociarsi da un’azione della Federazione Anarchica Informale (intenzione abortita per puro calcolo politico, avendo scoperto che se lo avessero fatto non avrebbero più potuto usare gli zerbini anarchici sempre disponibili a pulire i piedi di ogni antagonista salito alla ribalta).
Dunque, il ritornello che da anni viene ripetuto fino allo sfinimento è che le buone intenzioni di chi vuole difendere i diritti non vanno confuse con quelle cattive di chi vuole distruggere lo Stato. E noi siamo più che d’accordo. Ecco perché — dopo tribunali ed assemblee — diserteremo anche la manifestazione prevista a Firenze per il prossimo 9 aprile, quella che vedrà sfilare lo zoo politico locale e nazionale, che ha tutto l’interesse di cristallizzare un movimento in una mortifera sintesi unitaria. Dietro a quegli striscioni ci sarà posto per molti, senza alcun dubbio, ma di certo non per noi. Con la nostra assenza faremo senz’altro un favore agli organizzatori che ci considerano dei porta-grane, veri e propri paria da cui stare alla larga. Ma dopo tutto questo lungo periodo in cui siamo rimasti zitti, loro però adesso facciano un favore a noi: che la smettano di parlare a nome di tutti facendo passare anche noi, e chi non ci sta, per elemosinatori di diritti.
Di tutti gli imputati, un paio almeno
Firenze, marzo 2016
http://finimondo.org/node/1802