“dalla parte di chi ruba nei supermercati”
Brevi considerazioni su esproprio, etica del farlo e terrorismo mediatico.
Questo nostro bieco mondo occidentale ha certamente un dogma imperante su tutti gli altri: se non hai denaro sei escluso.
Escluso dagli agi e dai confort consumistici (che nulla hanno a che vedere con la gioia) ma anche dai servizi essenziali per la sopravvivenza nel mondo urbano (ospedale, mobilità, luce-acqua-gas in casa etc).
Senza denaro sei inutile, sei dannoso e sei eliminabile, anzi, è auspicabile che tu venga eliminato il prima possibile.
Senza denaro non mangi. In un mondo in cui la filiera produttiva e distributiva degli alimenti passa (quasi) esclusivamente dalle catene di grande produzione-distribuzione, se non puoi pagare il “prodotto” non avrai di che riempirti lo stomaco.
Il nostro mondo occidentale è un corollario di vetrine, negozi, magazzini straripanti di merce, tra cui il cibo.
I supermercati, gli ipermercati, i grandi magazzini, i “mall” alla yankee sono le grandi cattedrali del consumo: lì trovi di tutto, dai vestiti alla pizza surgelata, passando per i prodotti di cosmesi per animali domestici. Va da se che anche in queste cattedrali del consumismo senza denaro sei un ospite indesiderato.
Sono numerosi oramai (molti più di quanti non passino nei giornali) gli esempi in cui alcuni avventori entrano in un supermercato, prendono ciò che vogliono ed escono senza pagarlo.
Furto. Esproprio. Taccheggio.
Il concetto è tanto elementare quanto criminoso cercano di farlo apparire i tutori della legge: ho voglia/bisogno di qualcosa, non ho il denaro che mi dite che mi necessita per averlo, lo prendo lo stesso. Lineare come un filo a piombo.
C’è stato un tempo in Italia in cui gli espropri dei supermercati e dei negozi di lusso era una pratica collettiva rivendicata: quei benedetti anni ’70 in cui l’orda d’oro dava il suo assalto al cielo. Ma senza scomodare i nonni, basta andare nella grecia del 2010 (e anche di oggi a dire il vero) e queste azioni, rivendicate come atti politici contro il denaro, sono cosa comune.
Prendere la merce, in tanti, non pagarla, distribuirla fuori nelle strade, goderne in collettività.
Oggi i fatti di cui parlano i giornali (“beccata mentre rubava la bistecca alla Conad”) sono essenzialmente espressione individuale di un bisogno: cibo o vestiti che il singolo o al massimo una coppia attuano di nascosto.
Di nascosto, sempre, per non finire al gabbio per aver fregato una bottiglia di vino da un maledetto scaffale che ne vomita centinaia ogni mese; di nascosto dalle videocamere di sorveglianza, dai guardioni, dagli infami “finti clienti” pronti a fare la spia e di nascosto dai clienti veri, più sbirri degli sbirri, che ti denunciano alle cassiere in nome del rispetto della legalità. I servi più odiosi sono quelli che si sostituiscono al padrone nell’imporre il suo ordine.
Quando poi succede che becchino qualcuno c’è sempre l’attenuante o l’aggravante riguardo al tipo di bene che è stato rubato e all’identità del reo : se di prima necessità, ovvero cibo, allora la legge è più incline alla magnanimità, come a sottolineare il fatto che se sei un morto di fame un po’ di compassione la posso avere.
Se sei la vecchietta italiana con la pensione minima c’è che è perfino disposto a pagarti la spesa ma se sei la rumena clandestina sei fortunata se non ti linciano sul posto.
La legge prende in considerazioni che ci sono sempre più “morti di fame” e quindi la soglia di tolleranza per non esacerbare le condizioni di crisi socio-economica può tendere al rialzo.
Ma i casi in cui vengono sorpresi ladri “di lusso”, che magari taccheggiano una bottiglia di spumante o un profumo costoso allora apriti cielo. Il furto questa volta è inaccettabile perchè non più espressione di una necessità impellente, ma di un piacere e soprattutto non è recuperabile. Chi ruba la bistecca per disperazione, nel momento in cui la caritas o un ennesimo servizio assistenziale para-statale si proporrà di aiutarlo, molto probabilmente accetterà, ma chi ruba col gusto di farlo, per il piacere di sottrarre al proprio censore un bene di cui godere, difficilmente si farà convincere a smettere con la promessa del minimo garantito.
Sì ho rubato per il gusto di un prodotto non necessario alla mia sopravvivenza, ma per godere di qualcosa di piacevole che la società fondata sulla ricchezza mi proibisce di avere!
Il furto con gioia è un attentato troppo potente alla civiltà della merce, alla santità della proprietà privata, all’idolatria del denaro: questo tipo di furto non deve passare liscio mai.
Non crediamo sia un caso che abbiano da poco cambiato le leggi su furto e rapina, aumentando le pene per entrambi i reati.
Da anarchici ci sembra fondamentale ribadire che l’esproprio è sempre giustificato, giustificabile (e soprattutto godereccio!) quando mosso da un principio di classe: rubare ai ricchi.
La catena di “furti in appartamento” o “truffe agli anziani” di cui si legge sui giornali locali da anni a questa parte è l’ennesimo tassello di quella guerra tra poveri che distrugge il senso di solidarietà tra sfruttati.
L’esproprio ai danni di un nemico, se mosso da consapevolezza, è qualcosa di più del riprendersi ciò che la società di classe mi toglie per semplice condizione di povertà, è un gesto di insubordinazione contro la logica del privilegio.
Io povero, io sfruttato, io escluso (o io che per scelta decido di non farne parte) dal ciclo di benessere del capitalismo mi riprendo da te che sei parte attiva della mia sottomissione, un po’ di quello che desidero.
Ma il furto acritico, mosso dai poveri contro altri poveri (vedi i furti d’oro o della pensione sotto il materasso al vecchietto di turno) non ha nulla di tutto questo.
La necessità porta a non farsi troppi scrupoli, questa è una realtà vecchia come il mondo, ma è proprio l’assenza di questa sensibilità che concorre al mantenimento di questo mondo sempre più razzista, sempre più insensibile, sempre meno solidale in cui gli sfruttati si scannano tra loro lasciando tranquilli gli sfruttatori.
Senza nessun generico richiamo a una mitica appartenenza dei “poveri” tutti in una grande famiglia, basterebbe la semplice consapevolezza che ci sono dei responsabili della nostra condizione di disagio, di oppressione, di repressione tanto economica quanto sociale: questi responsabili sono coloro che mantengono le redini del dominio e della proprietà.
Attaccare la loro proprietà, invece che rifarsi più facilmente delle briciole di un altro dominato, ci pare un minimo gesto di consapevolezza e il potenziale inizio di una critica più profonda alla proprietà privata nel suo insieme.