Il Proletario

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Il Proletario
• giornale anarchico •

INTRODUZIONE

Preceduto da un numero unico di saggio datato 1 maggio 1922, il 5 giugno del medesimo anno esce a Pontremoli il primo numero de Il Proletario — periodico curato da alcuni individualisti anarchici.
Apparve in un momento in cui la situazione sociale si stava facendo a dir poco incandescente, come è facile immaginare, giacché le squadre fasciste spadroneggiavano ovunque e gli incidenti e gli scontri erano ormai all’ordine del giorno. Mussolini si stava preparando alla marcia su Roma — il 28 ottobre di quello stesso anno — che avrebbe sancito il cambio della guardia al potere, la sostituzione di una classe dirigente dimostratasi incapace di tenere a freno un proletariato che solo due anni prima aveva dato vita al movimento delle occupazioni nelle fabbriche.
Da parte sua il movimento anarchico, ancora scosso dalle polemiche sorte dopo l’attentato al Diana avvenuto l’anno precedente, cercava di salvare il salvabile portando avanti le due maggiori testate anarchiche di quel periodo — il quotidiano Umanità Nova ed il settimanale di Pisa L’Avvenire anarchico, (nella cui tipografia verrà stampato anche Il Proletario), che esprimevano rispettivamente le idee degli anarchici vicini all’Unione Anarchica Italiana e quelle dei cosiddetti antiorganizzatori (definizione peraltro da loro stessi rifiutata) e che assieme agli altri giornali libertari cercavano di arginare il dilagare del fascismo.
Un discorso a parte va fatto per gli anarchici individualisti, perennemente alle prese con le dispute e le incomprensioni che scaturivano dall’interpretazione delle loro idee in merito alla concezione dell’individuo. A grandi linee si può dire che c’erano due tendenze fra gli individualisti.
Da una parte quelli che facevano del culto dell’io un soggetto di ricerca intima e filosofica, rinchiudendosi in una torre d’avorio che li escludeva dal contesto delle lotte sociali; i maggiori sostenitori di questa tendenza, Carlo Molaschi e Leda Rafanelli, dopo aver dato vita alla rivista Nichilismo, smussarono le proprie posizioni individualiste per accostarsi, con la rivista Pagine Libertarie, al programma dell’UAI, nella speranza di superare così la propria astrattezza e pervenire ad una maggiore concretezza. Dall’altro lato, c’erano i sostenitori dell’anarchismo eroico ed iconoclasta — come veniva chiamato in quel periodo — dell’individuo che non solo evita come la peste i programmi politici, da qualsiasi parte questi provengano, ma che non esita ad attaccare, armi in pugno, l’odiata società. Di questa seconda tendenza uno degli esponenti più noti fu indubbiamente Renzo Novatore, uomo d’azione e di pensiero, che collaborò e contribuì a dar vita a varie pubblicazioni, l’ultima delle quali fu appunto Il Proletario, di cui uscirono in tutto cinque numeri, finché la sua morte e la distruzione della tipografia pisana “Germinal” ad opera dei fascisti, non decretarono la fine anche di questo giornale.
Esperienza interessante, quella de Il Proletario, che si può considerare un tentativo di risposta alle eterne critiche di mancanza di “incisività so¬ciale” che venivano rivolte agli individualisti. Queste critiche venivano — e lo sono tuttora — regolarmente espresse dai sostenitori di una struttura organizzata sulla base di un preciso programma politico, o quanto meno da chi ha fatto dell’efficientismo la propria ossessione.
La ridicola alternativa “o la torre d’avorio o il partito”, in cui caddero i compagni di Pagine Libertarie, venne chiaramente respinta da Il Proletario dove, accanto a degli articoli più riflessivi, possiamo leggere dei redazionali legati alla situazione sociale contingente, analisi e commenti, spesso brevi, dei fatti che accadevano in quel periodo in Italia e nel mondo, oltre alla particolare attenzione rivolta al movimento anarchico.
Per fare un esempio di quanto siano infondate le accuse di astrattezza lanciate ad un certo individualismo, basta considerare la differenza che intercorre fra l’analisi del fascismo (e del socialismo) fatta da Novatore in “Bandiere nere” — un suo scritto qui pubblicato — e le solite generiche condanne per la brutalità delle camicie nere che in quei tempi si spreca¬vano.
D’altro canto, è proprio la prospettiva individualista dei brani qui inclusi che ne consente oggi una loro riproposizione, che ci permette di leggerli e di apprezzarli malgrado i settant’anni trascorsi.