Insurrezionismo o evoluzionismo?

machorka28

 Errico Malatesta

 

È vecchio tema quello di rivoluzione e evoluzione, continuamente discusso, e continuamente rinascente, a causa soprattutto dell’equivoco prodotto dal vario significato che si può dare alle due parole. La parola evoluzione a volte si prende nel senso generico di cambiamento ed allora afferma un fatto generale della natura e della storia sul quale si può discutere dal punto di vista della scienza, ma che non è messo in dubbio da nessuno nel campo della sociologia; a volte si prende nel senso di cambiamento lento, graduale, regolato da leggi fisse nel tempo e nello spazio, che esclude ogni salto, ogni catastrofe, ogni possibilità di essere affrettato a ritardato e sopratutto di essere violentato e diretto dalla volontà umana in un senso o nell’altro, ed allora essa vuole contrapporsi alla parola ed all’idea di rivoluzione.

E la parola rivoluzione essa pure, secondo che meglio torna alla tesi che si vuol sostenere, ora si prende nel senso di cambiamento radicale, profondo delle istituzioni sociali ed in quel senso tutti — meno forse i religiosi i quali credono che le cose sono quali sono per volontà di Dio e saran sempre così — tutti possono dirsi rivoluzionari solo che usino la prudenza di rimandare a tempi lontanissimi (a tempi maturi, come dicono) l’attuazione dei cambiamenti auspicati; ed ora si prende nel senso di cambiamento violento, fatto per forza contro le forze conservatrici, ed allora implica lotta materiale, insurrezione armata, con il corteggio di barricate, bande armate, sequestro dei beni della classe contro cui si combatte; sabotaggio dei mezzi di comunicazione, ecc. E perciò si è discusso e si torna a discutere senza mai arrivare ad intendersi (o non intendersi) in modo chiaro e definitivo.

In realtà la vecchia discussione non è stata mai altra cosa, nel campo della contesa sociale, che il tentativo di giustificazione teorica di precedenti propositi; e la «scienza», la «filosofia della storia» ed altre parole grosse non han servito che ad intorbidire la questione, ed a nascondere il pensiero e le intenzioni vere dei contendenti.

Noi, in presenza di certe idee che si sono manifestate nel campo nostro e che potrebbero essere il germe di una nuova deviazione (da aggiungersi al parlamentarismo, al cooperativismo, all’educazionismo, ecc.), e produrre un nuovo arresto del nostro rinascente movimento, crediamo bene mettere ancora una volta in discussione il vecchio argomento, e per essere più chiari, invece di contrapporre rivoluzione ed evoluzione, diremo insurrezione ed evoluzione: e ciò non tanto nella speranza di metter tutti d’accordo, quanto col desiderio di evitare confusioni e distinguere bene tra coloro che la rivoluzione la vogliono fare oggi, domani, il più presto possibile insomma, e quindi vogliono lavorare a prepararla, e quelli che predicando che la rivoluzione la dovran fare i nostri figli o i nostri nipoti, inducono la gente, sia pure involontariamente, a cercar di cavare il più che si può dalle circostanze attuali, a non pensare più ad una rivoluzione oramai rimandata alle generazioni future e quindi a trovarsi sorpresi ed impreparati quando capitano le occasioni.

La questione è questa.

Per produrre un cambiamento politico-sociale è egli necessario che il regime vigente sia esaurito e che nella coscienza di tutti, o almeno della maggioranza, si sia formato un desiderio ed un concetto chiaro della specie di cambiamento da produrre? Ed è possibile che in un dato regime sociale, si formi una coscienza universale favorevole al cambiamento fondamentale di detto regime?

O non è vero piuttosto che ogni regime, nato per imposizione forzata sulle masse, ricalcitranti forse ma incapaci di azione collettiva e cosciente con scopi predeterminati, tende a consolidarsi e farsi accettare, correggendo i suoi difetti, compensando nel miglior modo possibile i mali che produce e creando una mentalità pubblica adatta al suo mantenimento; e quindi è tanto più forte quanto più ha durato? Non è egli vero che le rivoluzioni, i progressi di tutte le specie, si fanno per opera di minoranze, spesso sparute, che alterando di fatto (colla forza quando si tratta di istituzioni che colla forza negano alle minoranze il diritto di agire) le condizioni ambientali, e utilizzando gli istinti oscuri, i bisogni incoscienti delle masse, le trascinano con loro e le incamminano sopra una via novella?

I marxisti, che tanta influenza hanno avuto, e tanta nefasta, sulle tendenze del socialismo contemporaneo, han cullato i malcontenti ed i ribelli coll’idea che il sistema capitalista portava in sé i germi di morte, e colla concentrazione della ricchezza il numero sempre più piccolo di persone e colla miseria crescente, menava fatalmente alla trasformazione sociale.

E gli educazionisti, d’altro lato, han creduto e credono ancora che a forza di propagar l’istruzione, di predicare il libero pensiero, la scienza positiva, ecc., di istituire università popolari e scuole moderne, si possa distruggere nelle masse il pregiudizio religioso, la soggezione morale al dominio statale, la credenza dei diritti sacrosanti delle proprietà, e rendere così insopportabile a tutti, e quindi incapace di reggersi, il regime di menzogna, d’ingiustizia e di oppressione che si mira a distruggere.

E ora si aggiunge il sindacalismo dottrinario, il quale pretende che l’organizzazione operaia, il sindacato, conduca per sua virtù propria, automaticamente, alla distruzione del salariato e dello Stato.

Ora, sta avvenendo invece che il capitalismo si allarga e si rafforza: ed i marxisti, rinunciando in pratica se non in teoria ai dogmi della scuola, si danno a predicare e favorire riforme che, quando fossero possibili, non farebbero che consolidare il capitalismo stesso, mitigandone gli effetti omicidi, e sostituendo alla lotta di classe un accordo tra lavoratori e capitalisti, che renderebbe più stabili e più sicure le condizioni degli uni e degli altri e tenderebbe ad evitare quei conflitti dai quali potrebbe nascere la rivoluzione. E dove il capitalismo individuale si mostra impotente a garantire la stabilità sociale, cioè la perpetuazione del privilegio, già sta per essere sostituito dal capitalismo di Stato, in cui i privilegiati invece di capitalisti si chiamerebbero funzionari, ed il popolo di lavoratori sarebbe ridotto a gregge, forse un po’ meglio pasciuto, forse un po’ meno esposto alle alee della disoccupazione e della vecchiaia, ma più schiavo che in regime capitalista.

Da un altro lato il movimento operaio, a misura che si allarga e si normalizza, tende a salvaguardare gl’interessi immediati come si può, mediante gli accordi coi padroni, e, peggio ancora, tende a creare privilegi e quindi rivalità di categorie ed a preparare un quarto stato, una nuova classe di privilegiati, che lascerebbe sotto di sé la grande massa più oppressa e più incapace di riscossa che mai.

E gli educazionisti debbono pur vedere quanto sono impotenti i loro sforzi generosi, paralizzati dalla scarsezza dei mezzi, dalle persecuzioni, o quanto meno dall’opposizione sorda dei poteri pubblici, e sopratutto dall’influenza dell’ambiente; e debbono con gran dolore e grande disillusione osservare come l’oscurantismo, clericale e laico, tiene trionfalmente il campo contro il progredire e il propagarsi della scienza.

Non v’è dunque, secondo noi, da illudersi, finché durano le condizioni economiche e politiche attuali, di poter elevare sensibilmente la coscienza delle masse e trasformare l’ambiente in modo da renderlo atto alla realizzazione dei nostri ideali.

Ma il mondo non resta immobile per questo.

Fortunatamente v’è in ogni tempo ed in ogni luogo delle minoranze che sfuggono, in un grado più o meno grande, all’influenza dell’ambiente e sono capaci di rivolta morale, che poi si trasforma in rivolta di fatto e può trionfare quando le circostanze si prestano e le minoranze sparse sappiano intendersi e concorrere all’opera comune.

E se lo scopo fosse una semplice rivoluzione politica, un semplice cambiamento di governo, o anche un cambiamento più profondo ma fatto per opera di governo, l’insurrezione trionfante di queste minoranze basterebbe ad attuarne il programma, come è bastato nelle rivoluzioni passate e contemporanee. Ma noi vogliamo una rivoluzione profonda, che trasformi tutte le condizioni della vita, che metta tutto il popolo, cioè tutti gl’individui che formano il popolo, in grado di concorrere direttamente alla costituzione delle nuove forme di convivenza sociale, e perciò dall’insurrezione noi non ci aspettiamo, non possiamo aspettarci, l’attuazione immediata e generale delle nostre idee, ma solo la creazione di circostanze più favorevoli alla nostra propaganda ed alla nostra azione, il principio insomma della nostra Rivoluzione. E questo noi potremo conseguire, poiché, quando il governo attuale sarà abbattuto da una insurrezione, quando non avremo più contro tutte le forze dello Stato, che si sommano nella forza materiale dell’esercito e della polizia, anche se gli altri partiti che avranno concorso all’insurrezione mirano, come certamente mireranno, alla costituzione di nuovi governi, di nuovi organismi autoritari ed oppressivi, noi non prometteremo al popolo di fare il suo bene, ma lo spingeremo a farselo da sé stesso, a prendere possesso della ricchezza, a esercitare di fatto la libertà conquistata, in modo che esso popolo senta immediatamente i vantaggi della rivoluzione e sia interessato al suo trionfo e stia, almeno in parte, con noi per opporsi al nuovo giogo sotto cui lo si vorrebbe mettere.

Praticamente: dovunque in Italia si è fatto della propaganda con una certa attività ed una certa costanza si è riusciti a cavar fuori dei nuclei anarchici più o meno numerosi. Sperare che questi nuclei abbiano ad ingrossare indefinitamente fino a comprendere tutta quanta la popolazione di ciascuna località, o la più gran parte di essa, sarebbe andare incontro ad una sicura disillusione. Ogni località contiene, in date circostanze, un numero limitato d’individui più o meno suscettibili di comprendere e far sue le nostre aspirazioni, quindi più grande è la propaganda che si è fatta in un posto e più difficili sono i progressi ulteriori.

Ma noi siamo lungi di aver raccolti, anche nelle località più lavorate, tutti gli elementi disponibili e di averli coltivati quando è possibile — e quel che è più, vi è in Italia un numero infinito di località, vi sono intere regioni, in cui la propaganda anarchica non è mai penetrata. Perciò la rivoluzione, ma una rivoluzione in cui sia ben marcata l’impronta anarchica, può apparire oggi difficile o impossibile. Ma se noi lavoreremo con attività e costanza, se intensificheremo la nostra propaganda nei luoghi dove già esistiamo, se faremo tutto il possibile per penetrare, di vicino a vicino, nei paesi dove siamo ancora ignorati, noi potremo presto coprire gran parte d’Italia di una rete di gruppi anarchici capaci d’intesa e d’azione concentrata. E allora, se avremo la volontà ferma di fare la rivoluzione, di farla noi, di farla oggi, allora le occasioni non mancheranno… e se mancheranno le creeremo.

 

 

[Volontà, 1 novembre 1913]