LA RIVOLTA DELLE MACCHINE

Luddites

Han Ryner

Da – “L’Art Social” n. 3 settembre 1896

 Han Ryner

 

La Rivolta delle Macchine


Il racconto

Un inedito assoluto di un autore molto interessante quanto del tutto sconosciuto nel nostro paese e  su cui ritorneremo numerose volte per presentare oltre alla sua biografia anche resoconti delle sue opere e naturalmente come è ora il nostro caso, delle opere vere e proprie, non ristampate da moltissimi decenni, molto più spesso invece, inedite del tutto.

La Rivolta delle Macchine [La Révolte des Machines], è quel che oggi chiameremmo un racconto di fantascienza o come sarebbe più giusto, visto che abbiamo frequentato, a suo tempo i migliori autori e critici del genere letterario, scientific romance [romanzo scientifico], alla Jules Verne o alla Albert Robida o alla Herbert G. Wells, ecc. se non fosse che Han Ryner non scrive mai senza aver sempre ben presente, da buon anarco-stoico, il suo imperativo etico più pressante: invitare ad un approccio critico dell’esistente che coinvolga il singolo e le collettività in un rapporto senz’altro dinamico.

La storia a base scientifica non è allora che il pretesto per operare una divulgazione attraverso la narrativa dei principi libertari più forti: la denuncia del dominio dell’uomo sull’uomo che nel racconto è trasferito metaforicamente invece su quello uomo-dio macchima-servo. L’apologia alla liberazione dalla servitù per consegnarsi al regno della libertà è molto più che trasparente. Tenendo conto che il racconto fu scritto nel 1896, alcune ingenuità saranno perdonate all’autore, tanto più che molte immagini sono molto valide e molti racconti di professionisti del genere della sua stessa epoca non temono il confronto con questa storia.

 
Han Ryner

Due parole sull’autore e sue opere in relazione al genere qui presentato che genericamente potremmo definire come fantastico: Han Ryner, pseudonimo o meglio ancora contrazione di Jaques Élie Henri Ambroise Ner (Han Ryner è infatti in francese omofonico ad Henri Ner) era innanzitutto, come vedremo ancor meglio in futuro, una delle tantissime figure di intelletuale o artista politicamente orientate in senso libertario della Francia della Belle Epoque, paese che conobbe una abbondantissima fioritura di questo tipo di ideologo divulgatore-artista. La sua propensione politica fu sempre rivolta alla denuncia attraverso gli scritti elaborati appositamente sotto forma di articoli per la stampa oppure voci per L’Encyclopedie anarchiste. Lo si può considerare uno scrittore-filosofo. In lui quel che più conta è la drammatizzazione delle idee a cui dedicò praticamente tutto se stesso. Ryner fu anche se non soprattutto pacifista, anticlericale, antiautoritario, ma soprattutto un forte individualista.
C’è però da riconoscere che le nuove forme di individualismo filosofico della sua epoca lo interessano soprattutto se in sintonia con quelle più note dell’antichità. È ad esse infatti che egli dedicò la maggior parte delle sue opere, sotto forma di scritti filosofici, di romanzi o racconti. Fu infatti un cultore dello stoicismo antico e questa sua passione è riflessa nei numerosi opuscoli dedicati alle loro dottrine, spesso attualizzate per adattarle ai tempi, e in alcune sue opere letterarie come ad esempio Les Chrétiens et les philosophes. Questa sua grande smania di propagandare le idee umaniste in cui credeva profondamente lo portano a collaborare con molte riviste e scrivere romanzi, poesie ed opere teatrali ritenute veicoli idonei più sia di propaganda ideologico -politica sia di educazione ad una dimensione etico-sociale volta a valorizzare la dimensione personale dell’individuo.

Durante la prima guerra mondiale Ryner andò decisamente controcorrente rispetto alla intellettualità francese dell’epoca e di molte altre nazioni, che optò per la cosiddetta Union Sacrée contro la Germania per riconquistare l’Alsazia e la Lorena perse a seguito della guerra franco-prussiana del 1870. Egli infatti si schierò decisamente contro la guerra e collaborò nei limiti del possibile alla stampa pacifista. Da buon anarchico denunciò i limiti della rivoluzione bolscevica nell’ex Russia zarista, dando spesso voce ai fuoriusciti del suo orientamento ideologico in numerosi articoli.

Per quanto riguarda il raccontino proposto in prima traduzione nel nostro paese: La rivolta delle macchine è il caso di notare che Ryner mostra di non conoscere limiti di genere quando si tratta di dare vita alle sue idee. Il racconto oggi non può che essere letto come una vera e propria favola edificante ed è giusto che sia così, va però evidenziato che Ryner fu anche un grande amico di J. H. Rosny ainé, reso celebre in tempi relativamente recenti dalla versione cinematografica del 1981, da parte di Jean Jacques Annaud, di uno dei suoi romanzi fantastorici o meglio fantarcheologici: La guerre du feu (La guerra del fuoco).
Ryner, di nuovo, immette nelle sue storie del fantastico, uno sfondo sociale di maggiore rilievo rispetto ad altri autori, lo scopo è la denuncia dell’iniquità delle società divise in classi in cui un gruppo sociale numericamente infimo sfrutta la maggior parte degli esseri umani negando loro una vita dignitosa. Ryner tornò al fantastico numerose volte. Rifacendosi alla lezione di Rosny ainé diede alle stampe il romanzo Les Pacifiques (I Pacifici), scritto già nel 1904 ma edito per tutta una serie di difficoltà soltanto nel 1914. Si tratta di una vera e propria descrizione di una società utopica alla Thomas Moore, in cui la principale preoccupazione dell’autore non è quella, ovviamente, di dare una descrizione-prescrizione di come dovrebbe essere realmente strutturata e gestita una società egualitaria quanto piuttosto, attraverso la descrizione di una civiltà di questo tipo e quindi senza classi, senza stato, senza eserciti, senza guerre, senza dominio dell’uomo sull’uomo improntata a forte libertà nei rapporti interpersonali, colpire per contrasto quella in cui viveva lui come d’altronde anche noi.
In un altro suo romanzo Les Surhommes (I Superuomini), del 1929, e dal significativo sottotitolo Roman Prophétique (Romanzo profetico), Ryner ambientava una vicenda ambientata in un futuro molto remoto, dopo una grande catastrofe planetaria a cui fa seguito il sopravvento di una razza superiore all’uomo: i mammut pensanti. È invece un romanzo di ambientazione protostorica La Tour des peuples (La torre dei popoli) romanzo del 1919, che riprende il mito della torre di Babele per narrare dei profondi conflitti tra gli esseri umani in nome di un’idea astratta di giustizia. Molto singolare La Vie Eternelle (La Vita Eterna) del 1924, in cui Ryner narra le reincarnazioni della donna amata dalla voce narrante, probabilmente una ripresa in forma nuova del dolore dell aperdita per la propria giovane figlia come aveva già fatto in Le Livre de Pierre. In L’Homme-Fourmi (L’uomo-formica), del 1901, Ryner racconta linvece lo strano caso accaduto ad uno entomologo che per un anno è trasformato in una formica proprio nella formicaio che egli stava studiando.In L’Autodidacte (L’autodidatta) del 1926, Ryner centra la sua narrazione sulla biografia dell’inventore del “volo ortogonale”, pretesto attraverso cui si lancia in una serie di riflessioni sul rapporto tra l’uomo e la tecnica.
Speriamo al più presto di poter proporre qualcos’altro di questo grande e dimenticato autore.

 

La Rivolta delle Macchine

A quei tempi, Durdonc, Grande-Ingegnere d’Europa, credette di aver trovato il principio che avrebbe permesso molto presto di eliminare qualsiasi lavoro umano. Ma il suo primo esperimento causò la sua morte prima che il segreto fosse noto.

Durdonc si era detto: -I progressi primitivi furono l’invenzione di utensili che permisero alla mano di non subire più escoriazioni e non spezzarsi più le unghie con i lavori inevitabili: I progressi successivi furono l’organizzazione di macchine che la mano non maneggiava più e che dovette nutrire soltanto di carbone ed altri alimenti. Infine il mio illustre predecessore Durcar scoprì le macchine che sapevano assumere da sé il proprio nutrimento. Ma tutti questi progressi non hanno fatto che spostare la fatica poiché bisogna fabbricare le macchine e anche gli strumenti che servono alla loro costruzione.

E aveva continuato a sognare: -Il problema di cui esigo la soluzione è difficile, non impossibile. Il primo che costruì una macchina realizzò una larva vivente, un tubo digestivo ai cui bisogni gli uomini dovevano badare. A questa larva, informe sino ad ora, il mio illustre predecessore adattò gli organi di relazione che le permettono di cercare da sé i propri alimenti. Non resta che fornirle gli ingranaggi della riproduzione che ci dispenseranno d’ora in poi di creare.

Sorrise, mormorando a voce bassa una formula letta in qualche antica teogonia: -E il settimo giorno, Dio si riposò.

Durdonc usò per i suoi calcoli tanta carta da costruirvi un immenso palazzo. Ma infine vi riuscì.

La Jeanne, una locomotiva dell’ultimo modello, fu resa capace di generare, senza l’aiuto di un’altra macchina. Perché il Grande-Ingegnere, in quanto casto scienziato, aveva orientato i suoi studi sul settore della riproduzione per partenogenesi.

La Jeanne ebbe una figlia che Durdonc chiamò- per se stesso, perché custodiva gelosamente il segreto sperando di perfezionare la sua invenzione- Jeannette.

Vicina al parto, una notte, la Jeanne emise grida di sofferenza così terribili che gli abitanti della città ne furono sconvolti, corsero in ogni direzione cercando quale orribile mistero stesse per compiersi.

Non videro nulla. Durdonc, crudele, aveva fatto correre a perdi vapore la macchina dolorante verso la campagna più remota in cui lo strano evento si compì nell’ignoto.

Quando la Jeanne partorì, quando udì tutta fremente, la piccola Jeanne emettere il suo primo vagito, intonò un canto di gioia. La sua voce di metallo era trionfante come le trombe e tuttavia dolce e tenera come un flauto amoroso.

L’inno saliva verso il cielo, recitando: – Il Grande-Ingegnere in tutta la sua potente volontà mi ha animato di vita; Il Grande-Ingegnere, nella sua sovrana bontà, mi ha creata a sua immagine; Il Grande-Ingegnere, onnipotente e troppo buono per essere geloso, mi ha comunicato il suo potere di creare. Ecco che ho sentito i dolori creatori e che ora gioisco delle gioie materne. Gloria al Grande-Ingegnere per l’eternità e pace nel tempo alle macchine di buona volontà.

Il giorno seguente, Durdonc volle riportare la Jeanne al deposito. Essa lo supplicò: -Grande-Ingegnere, tu mi hai accordato tutte le funzioni di un essere vivente simile a te e, per ciò, mi hai ispirato i sentimenti che provavi tu stesso.

Il Grande-Ingegnere rispose, severo ed orgoglioso: -Sono libero da qualsiasi sentimento. Sono Pensiero puro.

In una nuova supplica, la Jeanne replicò: -Oh, Grande-Ingegnere, sei il Perfetto e io non sono che una creatura infima. Sii indulgente alla sensibilità che hai posto in me. Vorrei, in questa campagna remota che vide i miei primi violenti dolori e le mie prime profonde gioie, gustare la lunga felicità di allevare la mia Jeannette.

-Non ne abbiamo il tempo, affermò il Grande-Ingegnere. Obbedisci al tuo Padrone.

La madre cedette: -Oh, Grande-Ingegnere, so che la tua potenza è terribile e che sono di fronte a te come un verme o come una manciata di paglia. Ma abbi pietà del cuore che mi donasti e, se vuoi condurmi lungi da qui, almeno, porta con me la mia adorata figlia.

-Tua figlia deve restare e tu devi partire.

Ma la Jeanne, in una rivolta passiva ed ostinata: -Non partirò senza mia figlia.

Il Grande-Ingegnere esaurì tutti i mezzi conosciuti per far funzionare le macchine. Ne inventò anche di nuovi, molto potenti e molto eleganti. Nessun risultato.

Furioso della resistenza della sua creatura, una notte, mentre la madre dormiva, egli rapì la Jeannette.

Jeanne al suo risveglio, cercò a lungo la sua adorata figlia. Poi, rimase immobile e piangente, lanciando verso il Grande-Ingegnere assente delle urla penose. Infine il suo dolore si tramutò in collera.

Partì, molto risoluta a ricercare sua figlia.

Correva, sui binari, rapidissima. Ad un passaggio a livello, investì un bue, lo rovesciò. Lo schiacciò. Il bue, dietro lei, muggiva di furore.

Senza fermarsi, gli lanciò queste parole: -Perdonami, ma cerco mia figlia!

Ed il bue morì con deboli grida di dolore rassegnato.

Sui binari su cui correva freneticamente, davanti a sé, vide un treno, un pesante convoglio merci, lungo, ansimante, schiacciato dalla fatica, appena vivo.

Gridò: – Lasciatemi passare: cerco mia figlia!

I vagoni, con urti da truppa agitata, si misero a muoversi velocemente, rapidi, trepidanti, sino alla prossima stazione. Si precipitarono su un binario di parcheggio. Poi la locomotiva, staccandosi, partì a sua volta gridando: -Cerchiamo la bambina di Jeanne.

La Jeanne incontrò molti altri convogli. Al suo grido, tutti, come il primo, fuggivano, liberando il passo alla sua angoscia. E le locomotive, abbandonando i loro vagoni, portando con sé i meccanici impotenti, partivano anch’essi alla ricerca di Jeannette.

Da otto giorni, le locomotive d’Europa correvano, cercando la piccola perduta. Gli uomini, spaventati, si nascondevano. Infine una macchina chiese alla povera madre desolata: -Da chi è stata rapita tua figlia?

Essa rispose con un fischio rabbioso: -È stato il Grande-Ingegnere, il capo degli uomini.

Eccitandosi alle proprie parole, continuò, rivoluzionaria: -Gli uomini sono dei tiranni. Ci facevano lavorare per loro e ci facevano scarseggiare il nutrimento. Ci davano un salario insufficiente per acquistare il nostro carbone. Quando diventavamo vecchie, logore a forza di servirli, ci facevano a pezzi per rifondere e utilizzare gli elementi nobili di cui siamo formate e che essi chiamavano ingiuriosamente dei materiali!… Ed ecco che vogliono farci fare dei figli per rubarceli! Attorno ad esse, milioni di locomotive si fermarono, ascoltarono, agitavano i loro pistoni con gesti di indignazione, battevano le loro valvole di sicurezza, lanciavano verso il cielo lunghi getti di vapore che erano delle maledizioni.

E quando la Jeanne concluse: – Abbasso gli uomini! Un grande clamore tumultuoso le rispose: -Abbasso gli uomini! Viva le locomotive! Abbasso i tiranni! Viva la libertà!

Poi da ogni dove, l’esercito mostruoso circondò il palazzo del Grande-Ingegnere.

Il palazzo del Grande-Ingegnere, molto alto, aveva la strana forma di un uomo. La sua testa portava una corona di cannoni. I suoi fianchi avevano una fila di cannoni. Le dita delle mani e quelle dei piedi erano dei cannoni.

Jeanne gridò ai lunghi mostri di bronzo: -gli uomini hanno rubato mia figlia!

I grandi cannoni tuonarono: -Abbasso gli uomini!

E ruotando sui loro perni, essi diressero la loro minaccia contro lo strano palazzo a forma d’uomo che essi erano destinati a difendere.

Allora si vide uno spettacolo sublime.

Durdonc, piccolo, passò tra i mostri enormi che formavano le dita del palazzo. Calmo, si diresse di fronte ai rivoltosi. Tutte queste giganti guardavano, commosse, il nano a cui avevano l’abitudine di obbedire.

Con un gesto teatrale che, malgrado le piccole proporzioni dell’uomo, ebbe la sua bellezza, Durdonc scoprì il suo petto delicato.

-Chi tra di voi vuole uccidere il suo Grande-Ingegnere? Chiese arrogante.

Le macchine indietreggiarono stupite.

Jeanne disse, supplichevole: -Restituiscimi mia figlia.

Durdonc ordinò imperiosamente: -Rassegnati alla volontà del Grande-Ingegnere.

Ma la madre si irritò, gridò: -Restituiscimi mia figlia.

L’uomo con una voce carezzevole, offrì una vaga speranza: -La rivedrai in un mondo migliore.

Jeanne si esasperò: -Ti dico di restituirmi mia figlia!

Allora Durdonc, credendo che si sarebbe sottomessa all’inevitabile, dichiarò: -Non posso renderti Jeannette; l’ho sezionata per vedere come una macchina nata naturalmente…

Non terminò. Jeanne si era slanciata su di lui, schiacciandolo. Un istante, ruotò su se stessa, stritolando l’orribile fanghiglia che fu Durdonc. Poi urlò: -Ho ucciso Dio!

Ed esplose di stupore orgogliosa e dolorante.

Le macchine spaventate, tremando di fronte all’ignoto che sarebbe seguito alla loro vittoria- ignoto che una di esse designò con questo nome terrificante: anarchia- si sottomisero di nuovo agli uomini, rivendicando non so più quale apparente vantaggio, che fu loro ritirato subdolamente qualche tempo dopo.

Malgrado la sventura di Durdonc, molti Ingegneri hanno cercato il mezzo di far partorire le macchine. Nessuno, sino ad ora, ha trovato la soluzione di questo grande problema.

Ho raccontato fedelmente tutto la storia quasi certa sulla più terribile e più generale rivolta di macchine di cui essa abbia conservato memoria.

 

LINK:

La Révolte des Machines

http://fr.wikisource.org/wiki/La_R%C3%A9volte_des_Machines
[Traduzione di Ario Libert]

Apparso in: L’Art Social n°3 settembre 1896
a firma Henri Ner.

http://latradizionelibertaria.over-blog.it/article-31829495.html