Io sono un animale strano. Vivo tra i pidocchi e mi nutrisco di baccalà. Abito quei sudici ed opprimenti penitenziari che si chiamano «caserme» ed imparo ad uccidere. In questi lunghi anni di abbrutimento e di strage, ho perduto la mia coscienza d’uomo. Per questo me ne vado tristemente per le grandi città, col mio grigio-verde sbrindellato ed i miei scarponi ferrati.
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Chi mi chiama «fante glorioso»? La gran gloria, perdio! Perchè ho vissuto quattro anni tra i cadaveri e il sangue, perchè mi sono scagliato mille volte all’assalto ubriaco di un odio non mio, voi mi chiamate «glorioso»! Via da me questa gloria infame! Non posso dimenticare i grandi occhi dei morti, le immense ferite cancrenose, le pozze di sangue che mi hanno per sempre imbrattato le mani e il cervello.
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Posso forse ancora amare io? Posso ancora stringere fra le braccia il piccolo figlio innocente? Non vedete che ho negli occhi una perpetua visione di strage? Chi ha vissuto quattro anni fra i morti può forse amare ancora?
Ieri…. (quanto è lontano questo ieri!) affondavo il vomere nella terra grassa e cantavo a gran voce tra l’oro del sole e il profumo delle mèssi. Venne la chiamata, la trincea, i mille agguati della morte. Era duro il pane del lavoro. L’alterigia del padrone lo rendeva scarso e amato. Ma le braccia eran forti e il cuore pulsava fiducioso. Ora invece son quì, col vuoto nel cervello e la rilassatezza nei nervi.
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La guerra è finita. Ma ancora sono prigioniero, ancora vado su e giù per le grandi vie assolate, con lo zaino pesante e il fucile maledetto. Ancora echeggiano comandi e squilli di tromba e ancora obbedisco bestialmente. La mamma? I bimbi? Ma li ho io forse?
Sono cosa d’altri ormai. Son divenuto il «fante glorioso».
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O buona terra! Mai più questo tuo figlio scaverà solchi nel tuo seno e canterà tra ’l sole. Verrò, verrò il gran giorno, e tu mi accoglierai fra le braccia, buona terra odorosa, e farai germogliare sul mio capo le timide viole.
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Eppure…. Ricordo la furia travolgente degli assalti. Perchè combattevo e morivo? Perchè le mie vene non conoscevano il terrore?
Ho ancora il fucile d’ieri, come ieri il cuore mi batte a grandi colpi. Perchè allora non rinnovo l’assalto travolgente verso il più vero, il più malvagio nemico? Perchè sono diventato vigliacco?
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È suonata la ritirata. Ritorno nella triste caserma, mi butterò sul giaciglio aspettando la pace del sonno. Ho guardato morire il sole. Il cielo pareva una immensa chiazza di sangue, una mostruosa ferita aperta nel ventre dell’infinito.
E la terra mi ha parlato. Mi ha sussurrato parole dolci d’esortazione. Osare…. ha detto. E osare ripeteva il vento, e osare stormivano le foglie…. E pure gli ultimi squilli di tromba parvero dire trionfalmente: osare, osare!
Quando saprò osare!
dall’ICONOCLASTA!
Bruno Filippi