“…e nell’89 sono uscito per la prima licenza. Al momento il mio fine pena era il 2010 con… diciamo nell’89 avevo 21 anni scontati circa e altri 21 da scontare. Ho avuto la mia prima licenza, la prima volta sono rientrato, ho avuto la seconda, la seconda sono rientrato, e le cose, diciamo così, si stavano mettendo a posto, avevo richiesto il lavoro, per l’articolo 21… non l’articolo 21, la semilibertà proprio… queste cose qua. Però quando sono stato in licenza ho trovato dei compagni che erano in carcere con me all’epoca, durante il periodo delle lotte, e in questo periodo, quando ero fuori, erano in semilibertà – di giorno erano fuori, lavoravano, e la sera tornavano in carcere. E mi fecero un’impressione penosa, cioè pensai: “noi che abbiamo passato una vita a cercare di distruggere le carceri, di uscire dalle carceri, e ora suoniamo il campanello per entrare”. E ho avuto, come dire, questa crisi personale e ho deciso di non rientrare. Mi sembrava una contraddizione, dico: “vada come vada, questo, la scelta di essere io a diventare il mio carceriere, non la posso fare”. E non sono rientrato.”
|
Horst Fantazzini, 1999
|
PER HORSTHorst non è “un ingenuo che non è stato capace di essere generoso con se stesso” come una compagna ha affermato. L’ingenuità è uno stato di incoscienza che non è mai appartenuto al bagaglio ideale ed alla coerenza del suo essere anarchico, tutt’altro. Tanti possono definirlo poeta, scrittore, pittore, io penso che è semplicemente un’intelligenza viva che riesce ad avere una visione critica, costruttiva, comunicativa, come pochi altri possono permettersi; in lui tutto è naturale, spontaneo, umano, ricco di quella ricchezza interiore che lascia stupiti tutti. Personalmente ho avuto il piacere ed il privilegio di conoscerlo nel 1974. Lui arrivava dal carcere di Sulmona dopo una tentata evasione che gli aveva procurato una frattura, per cui fu trasferito al centro clinico del carcere di Perugia dove ci conoscemmo. Sull’ingessatura che immobilizzava la sua gamba aveva scritto: “free…free…free….I want to be free” la cosa mi colpì molto e non avendo nozioni di lingua inglese gli domandai il senso di quella scritta e da allora tutti i giorni andavo a fargli compagnia,in quelle occasioni conobbi anche Libero(suo papà). L’opportunità non andò per le lunghe,in conseguenza di una protesta fui trasferito a San Gimignano, persi quasi del tutto i contatti con Horst,qualche cartolina per salutarci,le nostre strade si divisero ed ognuno visse il dramma delle carceri di rigore e dei manicomi giudiziari. Nonostante la brevità di tempo, quest’uomo che ingenuo non era,fu capace di imprimere con il confronto quotidiano,il seme dell’Anarchia nella mia coscienza ideale. Un patrimonio prezioso che ancora oggi conservo con cura,aldilà delle contraddizioni che in certi momenti vivo. Non intendevo parlare di me,ma ho dovuto accennare a degli episodi per spiegare meglio la conoscenza del carissimo compagno Horst. Umanità e coscienza politica non si possono scindere altrimenti è un fallimento ideale ed umano dell’individuo. Aldilà della retorica posso affermare,senza paura di essere smentito,che Horst appartiene a quella schiera di uomini coraggiosi,intrepidi,sensibili,idealisti,coerenti e coscienti della propria forza, delle proprie ragioni e principalmente delle proprie azioni,anche sapendo di dover pagare un prezzo troppo alto,è stato indomito,mai un cedimento,mai un compromesso ed io per questo lo ammiro e gli dedico un mio pensiero. La vita è un gioco, giochiamoci la vita. Ognuno gioca la sua partita nel modo che ritiene più opportuno. Tanti per paura di perdere quello che “hanno” rinunciano al gioco ed inermi assistono in modo passivo, altri con molta cautela giocano cercando d’ imitare l’ avversario per farselo “amico” ed emulare le loro nefandezze, pochi giocano d’azzardo con la coscienza di sapere anche di poter perdere. Perdere non vuol dire uscire sconfitto dalla contesa, non dipende dalla volontà o incapacità soggettiva. Il gioco è duro, l’ avversario è spietato, crudele, baro, bisogna stare molto attenti per prevenire ed evitare il bluff! In ogni modo vale la pena di rischiare, in gioco c’è l’ essenza della propria dignità esistenziale racchiusa nella convinzione ideale del concetto di libertà e del profondo senso umano di fraterna solidarietà. Giocare d’azzardo vuol dire essere vivi, palpitanti, partecipi anche se contro corrente in questa società prevaricante, oppressiva, discriminante, assassina, che vuole tutti allineati, ubbidienti, sottomessi al potere di pochi criminali che si arrogano il presunto diritto di voler governare gli altri; il loro unico scopo è la salvaguardia dei privilegi acquisiti con il terrore, la meschina potenza delle armi, il dominio psicologico delle menti. Il rischio dell’azzardo nasconde subdole e striscianti insidie, quasi sempre si paga un prezzo troppo alto, ciò è prevedibile, nonostante tutto, qualcosa dentro di te ti da quell’energia necessaria, quella convinzione profonda di difendere i tuoi diritti “costi quel che costi”. L’azzardo è quel senso di responsabilità verso se stessi, quella sicurezza della convinzione che si irradia investendo tutto quello che ti circonda, è la coscienza dell’ essere di quello che si vuole, con la forza ed il coraggio di spendere tutte le tue energie per la realizzazione del fine preposto. Unico, vero uomo con il coraggio della consapevolezza di restare bambino per una società diversa, tutta colorata, irradiando il mondo con un sorriso e le tue mani tese….
Sabatino |
Per Horst “ormai è fatta”, davvero…
|
Ricordando Horst Fantazzini Avevo sperato di conoscerlo, finalmente, il giorno in cui a Bologna uscì “Ormai è fatta”, il film tratto dal suo libro autobiografico. Ma ancora una volta, l’ennesima, per Horst Fantazzini non si volle concedere ciò che per altri sarebbe stato normale: neppure quel paio d’ore pomeridiane da trascorrere in una sala cinematografica, godendosi almeno una soddisfazione in un’intera vita agra.
|
Mercoledì 19 dicembre alle 13… vengono arrestati 2 individui nei pressi di una banca di Bologna, con l’accusa di tentata rapina aggravata. I due sono Carlo Tesseri e Horst Fantazzini. Poche ore dopo, gli sbirri perquisiscono le case in base all’articolo 352, applicato in casi di flagranza di reato e sequestrano libri, riviste, volantini, adesivi ed altro materiale di propaganda anarchica, oltre a lettere personali, agende, un computer e denaro in contanti. Dopo 32 anni di galera, Horst, aveva ottenuto da qualche mese la semi-libertà, con fine pena nel 2022. Carlo era stato liberato nel mese di luglio dopo 7 anni di carcere. Compagni anarchici che vivono una vita all’insegna della ribellione e della passione per l’anarchia, all’inseguimento di una vera libertà. Ultimamente i media si erano interessati -piuttosto miserabilmente, come al solito – alla storia di Horst trasformandola in una storiella di cronaca rosa e facendone un film. Davanti al gip che ha confermato gli arresti, i due compagni si erano avvalsi della facoltà di non rispondere. Horst e Carlo non hanno potuto ancora avere colloqui. I pochi giornali che hanno parlato dell’arresto lo hanno fatto secondo il solito odioso e miserabile copione dell’ ‘anarchico romantico’ arrestato durante l’ennesimo colpo. IERI, domenica 24 dicembre, ci arriva per telefono la notizia che Horst è morto. |
Per Horst Horst Fantazzini ha cessato di esistere. La notizia è di Per l’anarchia! NO CARCERE – NO STATO – NO CAPITALISMO Coordinamento Anarchico Genovese |
HORST, UNA VITA PER L’ANARCHIA In queste ore di rabbia e di angoscia per la morte del Croce Nera Anarchica |
NEL FRATTEMPO NON DIMENTICHIAMOCI DI CARLO: E’ RINCHIUSO NEL CARCERE DI BOLOGNA. SCRIVETEGLI. CARLO TESSERI, casa circondariale Dozza, Via del Gomito 2, 40136, Bologna. |
Horst… senza perder tempo… ci conoscevamo da troppo poco tempo io e horst… …horst picchiava sodo quando scherzava Attaccare il particolare nella sua concretezza, nella Horst non l’hanno spezzato con trent’anni di carcere. Non finisce qui. un anonimo anarchico “dall’altra parte del mondo”. |
—————————————— una vecchia intervista a Horst e una lettera della sua compagna, —————————————— A colloquio con Horst Fantazzini, una vita in carcere: fine pena 2022
D. Qual è al momento la tua situazione giudiziaria e quando prevedi di poter uscire dal carcere almeno in semilibertà? R. Al momento la mia scarcerazione dovrebbe verificarsi nel 2022, anno più o meno. Nella classificazione delle tipologie penso d’essere stato inserito nella categoria “dinosauri e tartarughe“. Credo che, più che di comitati di liberazione dell’area anarchica, di me dovrebbe interessarsi il WWF, sezione “specie in via d’estinzione...”. Questa situazione assurda é venuta a determinarsi tramite l’applicazione, in modo restrittivo, del cosiddetto “cumulo giudico”, che funziona così: sono computate e sommate tutte le condanne e se il risultato é superiore ai 30 anni, che è la pena considerata massima, la condanna complessiva viene fissata in 30 anni. D. Molte compagne e compagni ci hanno chiesto se ti consideravi anarchico anche prima di venire arrestato. R. Questa é una bella domanda. Tu eri amica di Libero, mio padre, e mi hai incontrato fisicamente circa undici anni fa. È indubbio che io mi sia sempre definito anarchico e come tale mi sono rivendicato e mi rivendico processualmente. D. Puoi parlare delle tue lotte durante la lunga detenzione? Nel film questo aspetto viene eluso. R. Parlare di lotte in carcere oggi è come riesumare dolcemente ricordi da un sarcofago, tanto è il cambiamento verificatosi, negli ultimi quindici anni, del luogo e dei suoi disperati abitanti. D. Durante queste lotte hai dovuto scontrarti non solo con il potere carcerario ma anche con il “contropotere”. Vuoi raccontarci come è andata ? R. Tra la fine degli anni settanta e la metà degli anni ottanta, le carceri erano piene di compagni. Le carceri speciali erano una decina: Cuneo, Novara, Fossombrone, Trani, Termini Imerese, Favignana, Pianosa, l’Asinara e Nuoro. Voghera per le compagne. “La miseria esistenziale dell’intellettuale è il suo essere dilaniato dalla contraddizione tra l’universalità del suo sapere ed il particolarismo della classe dominante di cui è il prodotto. E così si dibatte incarnando l’hegeliana “coscienza infelice” tra referenti da abbandonare e da conquistare… E con questa cattiva coscienza, sorgente del suo malessere, s’allinea ora con il proletariato, ora con i marginali, ora con il terzo mondo, cercando punti fermi sui quali rifondare le proprie rovine, riproponendosi sempre come soggetto attivo, come intellighentia che, rispetto ai fenomeni sviscerati e sezionati col microscopio del sapere, si autopropone come avanguardia esterna dall’alto di quel sapere rubato ai suoi antichi padroni. Tra alterne sorti si dibatte nella disperazione d’essere un eterno orfano. Orfano dei padroni abbandonati senza rifiutarne i privilegi. Orfano del proletariato che sempre lo ha istintivamente rigettato come corpo estraneo. Orfano del terzo mondo che non ha tempo per sintonizzarsi su intelligenti analisi dovendo risolvere, giorno dopo giorno, i suoi urgenti problemi di sopravvivenza. D’esclusione in esclusione, d’elisione in elisione, d’erosione in erosione, s’è ritrovato con altri in un unico ghetto. Allora, spaventati e coinvolti dalle variabili impazzite uscite dalle loro teorizzazioni, hanno incominciato a negoziare la resa sulla pelle di tutti: per reintegrare la loro iniziale posizione di intellighentia. Miserie nella miseria, plagianti plagiati, ma privilegiati che da sempre trovano il nido caldo del figliol prodigo che ritorna alle sue origini… “ Costoro col pentimento o la dissociazione oppure coi benefici dello stato che intendevano combattere “senza tregua!”, ora sono quasi tutti fuori. D. Senza voler essere invadente: è stata più volte rilevata la trasparenza e la serenità del personaggio di Anna nel raccontare quello che era il vostro rapporto prima e dopo i tuoi arresti. Hai voglia di parlarne? R. Con l’ultima domanda mi metti in crisi. Pochi giorni fa mi ha intervistato una giornalista per conto della trasmissione Frontiere di RAI 2. Tra le altre domande, ad un certo punto mi ha chiesto se mi sento pentito. —————————————————- (29 novembre 2000) Carissime compagne e compagni, finalmente dopo tante vicissitudini la lunga storia carceraria di Horst Fantazzini sembra volgere al termine.
Sono passati tantissimi anni e la pellaccia di Horst ha passato il confine tra la vita e la morte almeno due volte in carcere ed un’altra da latitante; ha conosciuto le catene delle prigioni francesi, l’isolamento, la tortura, i pestaggi delle carceri speciali in Sardegna, un quasi plotone d’esecuzione a Fossano; ed ancora il dolore per non poter essere presente nemmeno ai funerali dei suoi genitori, Bertha e Libero; e poi in tempi più “morbidi” (ma non più di tanto) la normalità di un carcere che vorrebbe apparire umano, ma che umano non è, è sempre un carcere di merda. LIBERO FANTAZZINI! LIBERI TUTTI! Patrizia “Pralina” Diamante e Horst Fantazzini estratti dal sito: http://www.ecn.org/filiarmonici/fantazzini.html |
29 novembre 2000 Carissime compagne e compagni, finalmente dopo tante vicissitudini la lunga storia carceraria di Horst Fantazzini sembra volgere al termine. Sono passati tantissimi anni, Horst era rinchiuso dagli anni ’60, per la precisione dal 1968 (anche se precedentemente, cioè dal 1960, si era già fatto alcuni anni di galera), ma con la prospettiva di rimanerci ancora fino al 2017 e dintorni. Secondo alcuni calcoli, fino al 2021 o anche 2024, dato che ancora le condanne si sommavano e in fila indiana davano un risultato fantascientifico. Le calcolatrici del potere si erano divertite a sommare, fino a raggiungere il primo posto nel “guinness dei primati” di ogni detenzione qui in Europa e forse nell’intero pianeta. Ma, anziché vergognarsene, lo tenevano in naftalina, trasferendolo di tanto in tanto da un carcere all’altro e nel frattempo Horst cercava sempre di scappare e qualche volta ci riusciva ma per poco; intanto le condanne crescevano e il “fine pena” lievitava… Sono passati tantissimi anni e la pellaccia di Horst ha passato il confine tra la vita e la morte almeno due volte in carcere ed un’altra da latitante; ha conosciuto le catene delle prigioni francesi, l’isolamento, la tortura, i pestaggi delle carceri speciali in Sardegna, un quasi plotone d’esecuzione a Fossano; ed ancora il dolore per non poter essere presente nemmeno ai funerali dei suoi genitori, Bertha e Libero; e poi in tempi più “morbidi” (ma non più di tanto) la normalità di un carcere che vorrebbe apparire umano, ma che umano non è, è sempre un carcere di merda. Ma qualcosa nell’animo di Horst – l’Abate Faria, come a volte si definiva scherzosamente – ha sempre resistito, lui ha sempre sperato che le cose cambiassero, che potesse riacquistare la tanto amata Libertà. E la speranza ha avuto il volto dei suoi familiari, di suo padre Libero, della compagna di Libero, Maria Zazzi, dei suoi figli Loris e Luigino, della sua ex-moglie Anna, delle sue compagne che l’hanno seguito e dei suoi amici dentro e soprattutto fuori del carcere che in tutto questo tempo l’hanno sostenuto ed aiutato. Un mondo straordinario di gente emarginata, sfigata, ma bellissima. Dal bellissimo libro “Ormai è fatta!” edito dal bravo Giorgio Bertani, che tutti ci stanno chiedendo ma che Horst per motivi personali non ha intenzione di ripubblicare, è stato tratto un film diretto da Enzo Monteleone del quale molto si è parlato e che recentemente è stato trasmesso su Tele+. Una cosa tira l’altra, sono venuti molti articoli su giornali, recensioni, interviste televisive. Il film, che ha avuto una pessima distribuzione, ha ricevuto ottimi premi per le interpretazioni di Stefano Accorsi, di Emilio Solfrizzi e Giovanni Esposito. In realtà quella era solo una delle tante “finestre” sulla vita di Horst così sfortunata ma anche ricchissima a livello umano. Ora Horst non vuole più tornare sul passato, tanto si è detto sulla “primula rossa” ricercata in mezza Europa o del “bandito gentile” che mandava le rose alle cassiere; e non vuole più parlare di carcere, in realtà ne ha parlato pochissimo anche prima, perché il suo mondo, la sua vita, sono sempre stati fuori, altrove. Ora che gli vengono concessi i primi permessi-premio e che gli verrà concessa la semilibertà, insieme con me che sono diventata sua moglie e che non ho mai smesso di sostenerlo in questi ultimi quattro anni, stiamo sistemando la casa bolognese che fu di Libero e di Maria che diventerà anche il nostro “Archivio Fantazzini”, e stiamo progettando la nostra vita futura, E, alla faccia di chi ci vuole male, facciamo l’amore tutto il giorno! Sono tantissime le cose che ci uniscono, ora che finalmente possiamo assaporare la vita in comune; la nostra felicità sta proprio nella scoperta di quello che il carcere ci aveva tolto, separandoci l’uno dall’altra e rendendoci persino reciprocamente odiosi. Sono strani e contorti i meccanismi che il carcere mette in moto, riuscendo a distruggere persino gli affetti più consolidati. Si affonda nella diffidenza e nell’incomprensione. L’amore può facilmente diventare odio. Bisogna avere una grande forza per resistere al logoramento prodotto da queste dinamiche infernali. Ogni volta che andavo a colloquio mi sembrava l’ultima volta, ma quando vedevo il muso sorridente di Horst, magari nervoso, ma sempre contento di vedermi, non potevo dire “basta”, mi si sarebbe spezzato il cuore. Può sembrare strano che un uomo a 61 anni abbia voglia di costruire la sua vita da zero con l’entusiasmo e la fantasia di un ragazzino, la maggior parte degli uomini a quest’età va a giocare a carte in qualche circolo o si “gratta la prostata” davanti al televisore come direbbe – per scherzo – mia madre, ma la storia di Horst è stata tutta incredibile, lui ha una forza e una dolcezza fuori dell’ordinario. La mia più grande gioia è di vederlo felice e sorridente in mezzo alle persone che ama, accanto a suo figlio Loris che è come un grande orsetto pieno di amore per suo padre. E qui ringrazio tutti i compagni e le compagne che hanno organizzato iniziative – alcune delle quali riuscite oltre ogni aspettativa – da Bassano del Grappa a Lecce, ringrazio un po’ meno quelli che si sono divertiti a mandargli lettere anonime con insulti e bugie offensive su di me, per tormentarlo e rendergli ancora più penosa la detenzione in un momento particolarmente difficile. Ma sono solo una caccola in un mare di luce. In realtà il movimento anarchico ha dimostrato spontaneamente il suo affetto e la sua solidarietà in molti modi, con la proiezione del film e del video con l’intervista, l’incontro con i protagonisti del film, il presidio sotto la prefettura di Alessandria, le mostre delle sue opere grafiche al computer , le serate per Horst, il giornalino con la sua intervista, la rinnovata attenzione sulla nostra stampa, i concerti di sottoscrizione (1.500.000 per le spese del comitato), i ponti radio, i telegrammi, i libri regalati con dedica, le numerose lettere con i saluti e le firme di tutti, ecc. A tutte/i GRAZIE! Ma la nostra gioia più grande sarà quando non resterà più neanche un compagno e una compagna in carcere. Fino ad allora non si potrà mai smettere di lottare. LIBERO FANTAZZINI! LIBERI TUTTI! Patrizia “Pralina” Diamante e Horst Fantazzini Fonte: lettera aperta datata 29.11.2000 indirizzata “a tutti coloro che hanno organizzato iniziative per Horst”. |
Testo letto da Pralina al funerale di Horst. Queste sono poche righe davanti alla vita straordinaria di un uomo che non si è mai risparmiato, che non ha mai fatto calcoli, che non ha mai avuto paura davanti agli sbirri neanche quando gli sparavano addosso per ucciderlo, e non riuscendovi cercavano di seppellirlo in carcere, di disgregare i suoi affetti e la sua vita con mille ricatti e mille metodi coercitivi, ricatti affettivi squallidi… Horst non si è mai piegato davanti al potere, ha soltanto mostrato il suo lato tenero, il suo lato di bambino indifeso che urlava “IL RE È NUDO!!” e per questo suo lato l’ho amato disperatamente e noi tutti gli abbiamo voluto bene. Pur conoscendo la sua vita e la sua storia e non essendo sempre d’accordo con le sue scelte. Negli ultimi tempi, Horst aveva una voglia incredibile di avere una vita “normale”, la vita “normale” non è quella vita insulsa vuota da ogni tensione esistenziale, ma una vita che rendesse giustizia anche al bambino che era in lui, anche all’artista che era in lui, che usciva dopo 40 anni di carcere, e anche a me, che avevo subito tante pesanti umiliazioni ma non per questo piegata o doma, e che per questo potevo comprendere più di tutti la condizione di disgregazione familiare e di carcerazione umana che va ben al di là dell’istituzione carcere. La tua Pralina Fantazzini |
Da “Umanità Nova” n. 1 del 13 gennaio 2002
Ricordando…Horst FantazziniLIBERI TUTTI. Con questo striscione che ne precedeva il carro funebre, Horst Fantazzini ha lasciato i compagni, le compagne, amici e parenti. Si é svolto sabato 29 dicembre il funerale in forma a-religiosa. Presso il cimitero della Certosa di Bologna si sono riunite oltre 200 persone, in massima parte compagne e compagni anarchici. Nella sala del Pantheon si é svolta la cerimonia di commiato dove hanno preso la parola Patrizia, Chiara, Giorgio, Sabatino, Salvatore, Laura e Walter, ognuna ed ognuno con un ricordo di Horst. Si é poi formato un piccolo corteo che ha accompagnato per un breve tratto il carro funebre, con le note di “Addio Lugano bella” prodotte dalla fisarmonica di Gloria e dalla tromba di Giorgio e lo striscione “Liberi tutti” che apriva il corteo. C’era anche lo striscione dei compagni del Movimento Anarchico Fiorentino “né stati, né religioni, né servi, né padroni”. C’erano tante bandiere ed ovviamente anche quella della Federazione Anarchica Bolognese che suo padre, Alfonso “Libero”, aveva lasciato ai compagni. Horst é morto il 24 dicembre intorno alle 20 a causa di un aneurisma addominale. La morte lo aveva colpito nel carcere della Dozza dove dimorava ormai da due anni. Ma la sua condizione di detenuto era cambiata. Dopo un breve periodo di semilibertà, di vita seminormale, da alcuni giorni era tornato ad essere un detenuto a tempo pieno, un rapinatore “gentile”, un bandito dalla società. Il 19 dicembre, infatti, era stato arrestato assieme a Carlo Tesseri, in fondo a via Mascarella con l’accusa di aver tentato una rapina alla Banca Agricola Mantovana. Al diffondersi della notizia della morte di Horst si sono diffuse le voci più varie, anche quelle di una sua morte “incidentale”. L’autopsia che si é svolta alla presenza di un medico di parte nominata dai figli Luigi e Loris e le testimonianze di alcuni reclusi, hanno fugato ogni dubbio e preoccupazione. Horst é stato subito soccorso e rianimato ma un secondo, fatale attacco, lo ha stroncato. Una morte banale ma una fine dignitosa di una vita in cui la dignità con la quale ha affrontato mille traversie é stato il tratto caratteristico della sua figura.
È nota, soprattutto ai lettori di Umanità Nova, la sua vicenda umana. Giovane operaio alla fine degli anni sessanta mise in pratica le considerazioni di Bertold Brecht “é più criminale fondare una banca che svaligiarla”. Ma, contrariamente alle cronache rosa-nere che lo hanno reso famoso non fu mai un uomo della “mala”. Agiva sempre da solo o con pochi amici. Rispondeva sempre in prima persona del suo operato, non incitava altri ad emularne le gesta, non usava armi da fuoco e prendeva ciò che riteneva “strettamente necessario”. La sua lunga detenzione é iniziata nel 1973 dopo il suo tentativo di evasione dal carcere di Fossano culminato con il suo linciaggio da parte dei carabinieri del generale Dalla Chiesa. Questo fatto era stato da lui raccontato nel libro “Ormai é fatta” dal quale é stato tratto l’omonimo film proiettato in pochissime sale cinematografiche nell’estate del 1999. Aveva conosciuto le galere europee già diverse volte negli anni precedenti. Ma ha fatto 16 anni di carcere continuativo e senza permessi, fatto talmente raro da averne fatto un caso giudiziario. Aveva infatti ottenuto un permesso nell’inverno del 1989 e ne aveva approfittato per riprendersi un po’ della sua vita. Era stato nuovamente arrestato nell’estate del 1991 in un’operazione che aveva dato il via alle montature antianarchiche degli anni ’90. Da questo episodio la sua nomea di “terrorista” che ha portato molti giornali ad accomunarlo o addirittura ad affiliarlo alle Brigate Rosse. Proprio lui che, attivo partecipe di tutte le rivolte carcerarie, aveva combattuto non solo il potere dei secondini “di stato” ma anche quello dei secondini del “potere rosso” e, per questo, era stato oggetto di percosse da parte di detenuti istigati dal “fronte delle carceri”. Un uomo libero, indomito fino alla fine. Una vita vissuta con dignità, una dignità che, alla fine, gli hanno dovuto riconoscere anche i forcaioli ed i borghesi. Se qualche ombra resterà sulla sua vita, questa sarà determinata esclusivamente dalla sua grande generosità.
Per chi volesse approfondire le tematiche consultare la lunga intervista pubblicata su Umanità Nova nel numero 3 del 30 gennaio 2000 ed ora sul sito www.ecn.org/contropotere . Sul numero 19 di U.N. del 30 maggio 1999, commentando l’uscita nelle sale cinematografiche del film “Ormai é fatta” scrivevamo: “Un giorno o l’altro vi tedierò con la loro storia. Così come della storia di Horst né il libro né il film dicono tutto quel che c’è da sapere ma, Ormai é fatta.” Per ora, gli eventi ci hanno impedito di entrare più diffusamente sulla questione ma, rinnoviamo l’impegno e, per altro, segnaliamo l’attività del Dizionario Biografico degli anarchici italiani sulle cui pagine é prossima la pubblicazione della scheda su Alfonso “Libero” Fantazzini e dove, ormai, sarà presto curata anche una scheda su Horst, suo figlio, che “libero” lo é stato per brevi periodi. redb |
Da “Umanità Nova” n.19 del 30 maggio 1999
Ormai é fatta
Un film sulla vicenda del compagno Horst Fantazzini
Ormai é fatta é il titolo del film in proiezione in questi giorni, nelle prime visioni delle città italiane. Tratto dall’omonimo “romanzo autobiografico” edito dal veronese Bertani nel 1974, il film racconta del tentativo di evasione intrapreso da Horst il 23 luglio del 1973 dal carcere di Fossano, della tragedia umana, oltre che sociale e politica della detenzione che ieri come oggi segna il confine del dominio e dello sfruttamento e del tragico epilogo di quella giornata che voleva essere di libertà.
Per chi non conosce la vicenda, il film richiama alla memoria la vicenda di quest’uomo, di questo nostro compagno, che si era ribellato alla società dello sfruttamento e che per questo, per la sua irriducibile sete di giustizia sociale e per la dignità con la quale aveva affrontato magistrati, poliziotti e secondini era divenuto un pericoloso criminale.
In realtà, come il film racconta e come il regista (Enzo Monteleone) richiama nei titoli di coda, quest’uomo non ha mai ucciso nessuno, eppure é in carcere da 30 anni e dovrebbe rimanervi, secondo la magistratura italiana fino al 2024. Cinquantaquattro anni di carcere perché Horst, poco più che ventenne, dopo diversi anni di lavoro in fabbrica aveva pensato di rispondere ai suoi bisogni sociali parafrasando Bertold Brecht e affermando praticamente che …”é più criminale fondare una banca che rapinarla”. Horst aveva compiuto una serie di rapine in giro per le banche del nord Italia e si era conquistato gli onori della cronaca come “bandito cortese” e “ladro gentiluomo”. Sì perché Horst non aveva né la stoffa, né la testa del criminale incallito così come vogliono gli stereotipi borghesi e benpensanti. Si presentava in una banca con una pistola giocattolo, chiedeva gentilmente che gli fossero consegnati i contanti che stavano nel cassetto e se ne andava senza spargere né terrore né violenza. Horst aborriva la violenza perché considerava gli atti violenti come atti autoritari, di disprezzo e sopraffazione nei confronti di altri lavoratori come lui che, date le circostanza, stavano semplicemente dall’altra parte del banco.
Chi non conosce la vicenda si chiederà a questo punto come mai, per delitti contro il patrimonio, una persona per quanto disgraziata ed invisa ai potenti debba farsi 50 e più anni di carcere. Il fatto é che Horst quando fu preso (e tutte le volte che fu arrestato non ebbe mai gesti di resistenza per non dover ingenerare situazioni violente) non recitò la parte contrita del condannato ma anzi denunciò a gran voce la natura di classe della giustizia statale, il suo carattere fascista ed autoritario tanto da beccarsi già nella prima sentenza una aggravante per oltraggio alla corte. Da allora la lunga collezione di condanne fu determinata dal fatto che Horst non si rassegnava a passare la sua vita in carcere, non voleva sottostare ai tempi ed ai riti della giustizia statale e borghese. Prima dei fatti raccontati in Ormai é fatta, aveva portato a termine 2 evasioni. Nel luglio del ’73 era agli sgoccioli della sua pena detentiva eppure quando gli si presentò l’occasione tentò nuovamente la fuga. Il film richiama sommariamente il clima ed il contesto nel quale i fatti si svolsero e questa mia ricostruzione, lungi dal voler essere reducistica, serve a tagliare l’oblio con il quale la storiografia ufficiale ha voluto nascondere quegli anni di sovversione e speranze rivoluzionarie. Nelle carceri della Repubblica si manifestavano spesso sommosse contro la detenzione, il regime carcerario e la società autoritaria. Horst era uno dei protagonisti. Nelle scuole, nelle fabbriche e nei quartieri la sovversione sociale sembrava allo stesso potere incontenibile. Horst ebbe la disgrazia di imbattersi nel famigerato generale Dalla Chiesa e nelle sue costituende bande di assassini e divenne la vittima sacrificale da immolare sull’altare della supremazia dello stato. Come il film, in parte ricostruisce, la ferocia dei carabinieri fu al di sopra di ogni concepibile atrocità che i militari possano commettere. Solo il caso (e forse il rimorso del magistrato per essere stato complice della bravata di Dalla Chiesa) fece sì che Horst potesse salvare la pelle non senza una difficilissima e dolorosissima serie di operazioni chirurgiche. Ancora oggi porta nel suo corpo schegge del piombo sparatogli dai carabinieri dei corpi speciali.
Dal luglio del ’73 quando oltrepassò il cancello del carcere per pochi istanti, Horst tornò fuori solo verso la fine del 1988, in licenza per prendere visione di una possibile collocazione lavorativa in regime di semilibertà. Fu allora che ebbi il piacere di incontrarlo in una cena fra compagni bolognesi alla trattoria da Vito. Anche allora, ad un passo dall’uscita dal portone del carcere dopo l’espiazione della pena, Horst decise che la sua libertà era più importante di tutte le convenzioni e di tutte le convenienze e si diede “alla macchia”. Lo arrestarono circa un anno dopo a Roma con titoloni sulla stampa perché, a detta delle veline questurinesche, era stato catturato un pericoloso latitante all’interno di un covo di una pericolosa organizzazione terroristica anarchica. Da allora 10 anni sono passati e per Horst ancora é la galera la condizione della normalità di questa società.
Per la libertà di Horst Fantazzini si sono espresse molte petizioni, si sono realizzate molte manifestazioni. Anche la visione di questo film é, in qualche modo, un gesto di solidarietà nei suoi confronti ed una manifestazione di protesta contro il sistema carcerario. Il mio é quindi un invito ad andarlo a vedere, a fare sì che rimanga nelle sale cinematografiche, sulle locandine pubblicitarie, nelle recensioni giornalistiche il più a lungo possibile.
Una visione che per molti potrà sembrare banale ed in parte lo é così come improbabile é la macchietta di Alfonso (Libero) Fantazzini disegnata da Francesco Guccini che ne interpreta un’apparizione intempestiva quanto ridicola. Alfonso Fantazzini, padre di Horst, assieme alla Maria Zazzi, madre putativa di Horst, sono state fra le più limpide, determinate e lucide figure dell’anarchismo bolognese del ‘900. Un giorno o l’altro vi tedierò con la loro storia. Così come della storia di Horst né il libro né il film dicono tutto quel che c’è da sapere ma, Ormai é fatta.