“Frammenti” per comprendere la critica antiautoritaria e abolizionista delle prigioni
PRESENTAZIONE
“Se mi chiedete cos’è il carcere, vi rispondo senza dubbio che è la discarica di un progetto socio-economico determinato, nel quale ammassano tutte quelle persone che disturbano la società… per questo il carcere ospita persone principalmente povere”
Conosco il carcere. Ho varcato varie volte la sua soglia. Per mia fortuna non ci sono rimasto a lungo… crimini minori, crimini a volte stupidi. Ciò nonostante, e correndo il rischio di paragonarmi sfacciatamente a chi a vissuto sulla propria carne l’isolamento per decenni, insisto nel dire che la peggiore gabbia non è il recinto nel quale ti rinchiudono, ma il fatto che ti privino di quello che sta succedendo fuori, ti astraggono dal mondo, ti levano la vita.
Anni fa notai che la vita era il concatenarsi preciso (confesso che per me era anche avventuroso) di una serie di eventi e azioni che precedevano altre che provenivano da tempo indietro, o detto in altro modo, che quello che si viveva in un determinato momento era stato possibile grazie al fatto che cento eventi paralleli erano confluiti, in catena, perché in quel istante la vita convergesse in un dato punto.
Tuttavia, per questo pensiero, c’era una situazione che interrompeva il flusso naturale di un destino ben preciso. Non c’era alcuna giustificazione o motivazione all’interno del destino sul perchè qualcuno veniva arrestato; non mi capacitavo di tale azione innaturale; non avrebbe senso di esistere o di essere giusto un qualcosa di inesistente (come lo Stato) che abbrevi in tal modo la vita stessa.
Buono o cattivo (questo non lo decide nessuno), l’uomo -come individuo di una specie- sta in questo mondo per svolgere un ruolo specifico in funzione al resto dell’umanità. Si ritiene che essere imprigionati, senza alcuna ragione apparente, porti a delle funzioni che fanno scattare altre nuovi funzioni: l’individuo è lasciato morire, è condannato al rogo il suo pensiero, gli si fa rivivere il Medioevo e la sua Santa -e riverita- inquisizione (da leggere con sarcasmo eh). E tutto in nome della “morale”, costruita dalla classe media e aiutata dalla Santa Madre Chiesa inquisitrice e assassina; e che più tardi, questa “morale”, è diventata legge.
Che qualcuno mi segnali la morale/legge, e quindi distrugga questo testo. Non possono indicarmela, perché non ne esiste una tanto positiva e infallibile nel cui nome si possano incarcerare migliaia di persone. Perché è un’invenzione di alcuni uomini che detengono il potere e le chiavi delle carceri per rinchiudere i diseredati che non accettano come loro questa morale, per annullare gli individui che non si sottomettono al servizio del potere. Cosa si credono questi difensori? Chi gli ha dato la potestà sulle nostre vite perché interrompano il corso del destino richiudendoci in carcere? Dio? Io direi piuttosto che è stato il denaro. Il capitalismo che è stato creato dai signori e capi del mondo. E da voi che credete a loro.
Quindi, non c’è niente da fare? Siamo vivi e fuori dal carcere, e pensiamo a quelli che vi rimangono dentro. Problema loro (dei borghesi) se ci riconoscono o no, ma qui stiamo cospirando contro di loro. La nozione borghese di Stato circoscrive i governati come di sua appartenenza (per questo il servizio militare è obbligatorio). Allo stesso modo, il territorio che occupa è suo e sta sotto la sua giurisdizione.
Noi usciamo dalla sua potestà, rinunciamo alla sua “cittadinanza”, i nostri spazi saranno autonomi nella misura del possibile.
Il principio delle/ei libertarie/i è semplice ma essenziale:
NON SI RICONOSCE CHI NON CI RICONOSCE COME INDIVUDUI E/O COLLETTIVI, in quanto nasciamo liberi e siamo liberi; la natura ci ha destinato una personalità a ciascuna/o di noi: Riconosci i tuoi simili, quelli che si sono impegnati perché lei (la natura) faccia quel che deve fare dentro noi stessi, in forma di spirito; questo è quanto più vicino alla definizione di solidarietà. Rifiuta quelli che credono di possedere il patetico paternalismo di Stato, perchè il nostro fine è distruggerli.
Il testo che segue è la controparte, la critica alla missione riformante dell’individuo –per chiamarla in qualche modo- che si attribuisce lo Stato nei confronti dei carcerati e le condizioni nella quali pretende di portare “felicemente” a termine questa missione. Un documento di un vicino/fratello separato da un confine immaginario e inesistente, ma che sentiamo più vicino che coloro che stanno dentro la “nostra casa” Colombia… Tutta l’umanità ha il dovere, o meglio IL DIRITTO di rinunciare a questa casa e rivelarsi e emanciparsi dai signori di questa magione: quanto segue è la sua apologia.
Maggio, 2010
M(A)rche Plum(A) Negr(A)
A MO’ DI PROLOGO
Il seguente scritto fu redatto da me 4 anni fa per un seminario su “Dirittu umani e carceri” della mia università. Ubbidisce all’inquietudine personale di realizzare un documento dove si riepiloga la critica anarchica alle carceri che si trovava dispersa in vari testi e opuscoli.
L’intenzione è che il testo serva da base ideologica per l’espansione dei gruppi anticarcerari nella regione venezuelana in modo che riesca a trascendere con buon esito la zona capitalina e radunare una discreto gruppo di attivisti. Ma comunque, questo testo rappresenta una buona introduzione per quei compagni che desiderano avventurarsi nella lotta anticarceraria nelle altre latitudini del globo, premendo per una speciale diffusione in paesi come Messico e Spagna.
In Colombia, il sistema carcerario presenta una quantità di problemi che raramente sono trattati dalla stampa sovversiva o libertaria. Le carceri colombiane sono costruite per una popolazione di 50.000 reclusi e, secondo le cifre ufficiali, ospitano invece più di 70.000 reclusi; la divisione delle zone di controllo fra “Paracos” e guerriglieri; la libertà d’agire del personale penitenziario da parte del FBI; la violenza con cui si attua il Gruppo di Reazione Immediata (GRI); la non-assistenza medica e la costruzione di nuovi bracci di reclusione con capitale dei nord americani sono solo alcune delle tematiche di cui si potrebbe discutere con maggiore frequenza nel ghetto anarchico o sulle quali si potrebbero solidificare forti campagne di rifiuto.
Bisogna dire che questo opuscolo soffre di un cancro terminale, che è il fatto che non porti a nessuna soluzione finale al conflitto del sistema penitenziario. Nel passato, in maniera infruttuosa, tentai di trovare una riposta a questo interrogativo in altri opuscoli ma devo riconoscere che la lavorazione non fu facile. Comunque, questa apertura o queste conclusioni aperte portano alla possibilità che ciascuno elabori la sua propria soluzione al problema. Questo permette, a sua volta, una decentralizzazione del pensiero e un’ appropriazione collettiva del tema, evitando qualsiasi tipo di illuminismo o cretinismo in cui si potrebbe cadere.
Bisogna anche dire che questo opuscolo è stato elaborato sotto il fine ultimo dell’anarchia come tappa finale dell’umanità, impostazione che oggi si trova oggetto di contraddizioni e che critico, per via del fatto che l’anarchismo è più una tendenza sociale ad una trasformazione collettiva e soprattutto individuale, che un progetto finito dell’umanità.
Questa è un’opera di tutti, dei compagni della sempre ribelle Patagonia passando per la nevera di Bogotà e per finire nei boschi dell’Oregon. Spero che quest’opuscolo contribuisca a una riscoperta della lotta abolizionista nella regione sorella Colombia.
Un speciale e affettuoso abbraccio di un veneco al compagno che compra o ruba questo opuscolo.
Rodolfo Montes de Oca
Dicembre 2009
Anarchismo: che cos’è
L’anarchismo è un congiunto di idee politiche, sociali e economiche che si oppone a qualsiasi classe gerarchica, sia se si è consolidata tramite la tradizione o consenso, sia se è imposta in forma coercitiva sulla società. La parola ANARCHIA proviene dal greco anas-archias che significa “senza potere”.
Gli anarchici credono che la maggiore vittoria dell’umanità sia la libertà dell’individuo per poter esprimersi e attuare senza che gli sia impedito da qualche forma di potere, sia questa terrena o soprannaturale, per cui è basilare abbattere ogni tipo di governo, lottare contro tutte le religioni o setta organizzata, in quanto queste rappresentano il disprezzo per l’autonomia degli uomini, abolire la schiavitù economica e combattere lo Stato come entità che reprime l’autentica libertà economica e personale di tutti i cittadini.
Questo ultimo diventa una necessità immediata e la scomparsa dello statosi considera un obbiettivo rivoluzionario a breve termine per molti anarchici.
Spesso questa teoria è usata per definire il caos sociale, governi incostituzionali, camorrismo, distruzione e terrorismo. Come possiamo vedere, tutti aggettivi caotici e in generale violenti, che sono usati per descrivere questo pensiero. Ma in definitiva, gli anarchici non utilizzano la parola anarchia con questo fine, ma con un altro: una società totalmente libera che basa i suoi principi nella solidarietà, il mutualismo e l’autogestione.
I professori Alfredo Vallota e Nelson Mendez, nel libro “Bitácora de la Utopía: Anarquismo para el siglo XXI” descrivono l’anarchismo come:
“Giustificazione dell’utopia razionale e possibile di un ordine sociale autogestito, con democrazia diretta, senza burocrazia autoritaria ne gerarchia permanente.
Messa in discussione radicale dello Stato quale massima della concentrazione autoritaria del potere, critica alla delegazione del potere e delle figlie istituzioni e alle tasse sulla società.
Chiamata a una cambio rivoluzionario- prodotto dell’azione diretta, cosciente e organizzata dalla maggioranza che conduce alla scomparsa immediata dello Stato e rimpiazzato da un’ organizzazione sociale federale con basi locali. Difesa dell’internazionalismo e rifiuto del concetto di “patria”, in quanto legato al concetto di Stato – Nazione” (1)
Il celebre anarchico Rafael Barret, più romantico, definisce il suo anarchismo:
“Mi basta il significato etimologico: Assenza di governo.
Bisogna distruggere lo spirito dell’autorità e il prestigio delle leggi. Questo è tutto. Gli ignoranti si immaginano che l’anarchia sia disordine e che senza governo la società si tramuti sempre in caos. Non considerano altro ordine che non sia quello imposto esternamente dal terrore delle armi.” (2)
Altri autori preferiscono vedere l’anarchismo come una costante e perpetua tensione, pertanto, è un modo di interpretare la vita è il contesto sociale in cui si svolge, invece di essere una teoria per instaurare un sistema politico, sociale e culturale distinto dall’odierno. Questa è, principalmente, l’interpretazione che viene data alla corrente dell’anarchismo conosciuta come Insurrezionalismo (3).
Il carcerato anarchico Gabriel Pombo da Silva fa una piccola e semplice introduzione su come alcuni anarchici vedano la propria ideologia come una tensione e non come una teoria contraria all’esistente:
“L’anarchia è molto più che un movimento politico-sociale, è una tensione permanente verso l’esistenza tanto nel proprio (interno/individuale) quanto verso il prossimo (l’esterno/sociale).
Sono troppe/i coloro che danno per scontato che basta “militare” (o essere affiliate/i) ad una organizzazione specifica anarchica, vestirsi da anarchici e parlare di anarchismo per “essere” un anarchico… È così? L’anarchia è “una cosa” che va sentita raccontare o che va vissuta? Mi riferisco al fatto che riduciamo l’anarchia a una filosofia da salotto, a una storia nostalgica del passato e/o un’estetica marginale. Cosa ci rimane di lei?
L’anarchia non si riduce ad essere raccontata in tutte le sue forme ed espressioni… non si limita ad essere un oggetto passivo, alcune idee mummificate, dei rituali asettici, vani e ripetitivi come nell’epoca pre-filosofica, dove il mito soppiantava il pensiero razionale.
L’anarchia, una volta compresa e assimilata, richiama la sua sperimentazione, per la sua realizzazione: oggi, qui , ora, in e con noi e la nostra forma di intenderla sentirla… Non basta parlare di azione, bisogna essere azione! Non basta sognare l’anarchia, bisogna essere l’espressione del significato di anarchia.” (4)
Come abbiamo visto, l’anarchismo non è una sistema o una teoria politica unica, con un piano concreto di azione per intraprendere un cambiamento sociale, come previsto invece da altre tendenze ideologiche come il comunismo o il cristianesimo. Tutto il contrario. L’anarchismo è dinamico e gode di vita propria, ci sono tante tendenze e interpretazioni dell’anarchismo come delle specie vegetali sulla Terra. Dai Plataformistas, più vicini al comunismo e che credono che si debba creare una partito globale anarchico che detti le direzione per tutte le individualità libertarie, agli anarco-primitivisti, che vogliono tornare all’epoca di raccolta e caccia, senza alcun tipo di tecnologia e civilizzazione.
L’anarchismo gode di una grande e varia gamma di idee e differenti interpretazioni, ma tutte con un denominatore comune: la libertà come valore fondamentale e insindacabile della natura umana e il rifiuto del modello di produzione capitalista e dello Stato come organizzazione.
Ma tentare di sintetizzare le teorie anarchiche come una dottrina politica che lotta contro lo Stato, il capitale e le religioni, sarebbe ipocrita. L’anarchismo è già più alto di questi piani e propone una lotta non solo contro queste tre istituzioni, ma va anche contro l’esercito, le guerre, il patriarcato, il machismo, il conformismo, la monotonia e, per forza di cose, l’anarchismo va contro il carcere in quanto generatore di ingiustizie, violenza e repressione.
Dal suo inizio il movimento anarchico ha sofferto sulla propria carne la repressione, in alcuni casi prodotta dall’azione violenta di alcuni libertari (come per esempio gli acratas (5) che portavano la tattica del sabotaggio e del terrorismo conosciuta come propaganda con i fatti (6)) o come vittime della criminalizzazione alla quale fu sottomessa questa idea (per esempio Sacco e Vanzetti (7) o il pedagogo Francisco Ferrer i Guardia (8), fra gli altri). Quest’ultimo scriverà in carcere:
“Ogni uomo che abbia voluto migliorare la sua patria sociale e culturale è passato, come minimo, per una prigione (9)”
Inoltre, il carcere è l’istituzione punitiva dello Stato e rappresenta in sé una struttura gerarchica di dominio e privazione della libertà, valori questi rifiutati dall’idea libertaria. Gli anarchici impegnano i loro sforzi nel cercare misure alternative alla prigione e prpongono la distruzione totale del sistema carcerario.
In generale gli anarchici considerano la distruzione del sistema carcerario come una cosa necessaria per la tanto agognata rivoluzione sociale. A riguardo, il filosofo e attivista più importante dell’anarchismo, Michail Bakunin, disse: “Potremo sentirci liberi solamente quando non ci saranno più reclusi.” (10)
È attraverso i giornali, incontri, libri e scritti che i libertari propongono la distruzione del sistema penitenziario per gettare le fondamenta di un sistema più umano e giusto. Forse l’autore libertario che maggiormente si occupò di questa tematica fu il principe Petr Kropotkin nei suoi lavori, “Le prigioni” e “La legge e l’Autorità”. Ma è nel 1905 che si organizza quello che potremmo considerare l’iniziativa anarchica incaricata nel lottare contro le carceri, conosciuta nel mondo col nome della Croce Nera Anarchica o Anarchist Black Cross.
Questa iniziativa ha le sue origini nella Russia Zarista, Una Croce Rossa Anarchica venne formata per aiutare in modo solidale i prigionieri politici e le loro famiglie. Più avanti cambiò il suo nome in Croce Nera per evitare confusioni con la Croce Rossa ufficiale che distribuiva soccorsi nel paese. Inizialmente la prima CNA incentrò le sue attività su due fronti: il primo, organizzare la solidarietà con i prigionieri politici e specialmente con i libertari, e il secondo fu l’organizzazione di autodifesa in alcune popolazione rurali contro le incursioni cosacche (11).
L’organizzazione iniziale riuscì a mantenersi grazie al supporto di individualità e collettivi anarchici che vivevano negli Stati Uniti del Nord America, specialmente quelli della città di Chicago.
Dopo l’arrivo della cosiddetta Rivoluzione d’Ottobre (12) e il trionfo dei bolscevichi in Russia, l’organizzazione fu costretta a trasferirsi a Berlino pur di mantenersi in salvo da costanti persecuzioni e assassinii dei propri attivisti da parte di vecchi compagni passati al potere. Da li in poi, continuarono aiutando le vittime del regime sovietico, così come quelle del fascismo italiano e simili. Ma la disgrazia sembrò accanirsi sull’organizzazione iniziale, e dopo poco anche la Germania caddè nel regime nazista, che iniziò rapidamente una brutale repressione contro il movimento anarchico tedesco, includendo la Croce Nera Anarchica. Questo, unito alla recessione economica che si faceva strada in quegli anni negli Stati Uniti, principale fonte di aiuto per la CNA, e in tutta Europa, causò un deterioramento dell’organizzazione. Gli aiuti economici per le iniziative iniziarono a scarseggiare, si produsse una immensa ondata di gente bisognosa e la CNA finì col crollare.
La CNA tornò ad acquistare forza quando alla fine degli anni 60 viene incarcerato, dal regime spagnolo di Francisco Franco, l’anarchico Stuart Christie, di soli 18 anni. Questo anarchico andò in Spagna con l’intenzione di collaborare assieme ad altri libertari spagnoli a perpetrare un attentato contro il Generale Franco. Ma questa operazione fallisce e per questo è condannato e incarcerato nel carcere Carabanchel(Madrid).
In questo carcere scoprì con orrore che l’immensa maggioranza degli aiuti che dalla strada arrivava fino a dentro la prigione erano amministrati con metodi discutibili dal Partito Comunista Spagnolo (PCE). La maggioranza di questi aiuti finiva nella mani di questo partito, senza che nessuno badasse ai prigionieri anarchici o di altre organizzazioni rivoluzionarie. L’incarcerazione di Christie suscitò un grande scandalo internazionale e una grande propaganda per il movimento anarchico. In tutto il mondo si organizzarono manifestazioni, discorsi pubblici, incontri, sabotaggi e petizioni affinché questo libertario venisse messo in libertà. In poco tempo la campagna internazionale fece effetto e Christie ritornò in libertà, tornò in Gran Bretagna, dove decise di aiutare i carcerati politici spagnoli. Per questo progetto si mise in contatto con l’anarchico inglese Albert Meltzer, ex pugile e tipografo di professione, che da alcuni anni di dedicava all’aiuto e appoggio dei prigionieri asiatici con una organizzazione chiamata Mutuo Aiuto (Ayuda Mutua).
Entrambi i personaggi si misero d’accordo e decisero di rifondare la già antica Croce Nera Anarchica. Il primo intervento della ricostruita CNA fu ottenere la libertà dell’anarchico spagnolo Miguel Garcìa, al quale mancava poco per compiere la sua sentenza, che non significava la libertà automatica, e il quale, all’uscita dal carcere si unì al gruppo CNA a Londra per organizzare quella che venne chiamata la Croce Nera Anarchica Internazionale. Da qui in poi si crearono nuovi gruppo di CNA in differenti parti del mondo, le più importanti in Germania e Italia, paesi che certamente potevano contare su vari compagni libertari.
Questa nuova riattivazione della CNA portò con sé un’ondata di repressione contro la CNA, la più emblematica di queste fu l’assassinio del segretario generale della CNA in Italia, Giuseppe Pinelli, il quale, dopo stato detenuto dalla polizia italiana, fu assassinato da questa stessa istituzione, venendo gettato da una delle finestre del commissariato.
Sull’assassinio di Pinelli e le oscure cause che lo provocarono, commenta il carcerato anarchico italiano Claudio Lavazza in un articolo:
“Non si può dimenticare che l’Italia era sul punto di un Golpe di Stato (Strategia della Tensione), con bombe fasciste nei treni, nella stazioni (Bologna, 80 morti), bombe provocatorie delle quali i mass media in generale ci attribuivano la colpa, e l’anarchico PINELLI pagò con la sua vita (morendo assassinato in un commissariato di Milano).” (13)
L’assassinio di Pinelli sarebbe poi stato raccontato dallo scrittore e direttore teatrale Dario Fo. Nella sua famosa opera “Morte Accidentale di un Anarchico”.
Un altro caso che causò ancora grande commozione fu quello dell’anarchico tedesco Georg Von Rauc, segretario della CNA di Berlino(Germania). Questi morì anch’esso in circostanze strane in mano della polizia.
In una intervista realizzata dal giornale anarchico mensile CNT, alludendo alla presentazione della biografia di Stuart Christie, quest’ultimo commentava la CNA e Pinelli:
“Fondai la Croce Nera. Nell’ultimo libro parlo di questo e del Congresso Internazionale a Carrara, dove diventò, assieme a Pinelli, un’ organizzazione internazionale. Oltre ad appoggiare i prigionieri, era una organizzazione che si dedicava a compiti di investigazione e raccolta di informazioni. Nel caso di Pinelli, lui conosceva i movimenti dei neo-fascisti italiani col fine di infiltrarsi nella Croce Nera Anarchica.” (14)
A metà degli anni 70, il militante delle Pantere Nere Lorenzo Ervin Komboa, che si trovava in galera e che qui avrebbe cambiato ideologia avvicinandosi all’anarchismo, avrebbe scritto l’opuscolo: “A New Draft Proposal for the Anarchist Black Cross”. Opera di grande diffusione dei mezzi libertari statunitensi che avrebbe ottenuto la riattivazione di un’estesa rete della CNA negli Stati Uniti del Nord America.
All’inizio degli anni 80 cominciò un proliferare significativo di differenti gruppi delle CNA in tutto il mondo, ottenendo largo consenso in vari paesi d’Europa e Stati Uniti.
Attualmente ci sono gruppi della CNA in Inghilterra, Danimarca, Belgio, Spagna, Francia, Stati Uniti, Costa Rica, Colombia, Argentina e Venezuela.
Oggi le differenti CNA che coesistono nel mondo sono una delle multiple espressioni del pensiero anarchico, che tratta di cercare una soluzione al problema della delinquenza senza la necessità delle carceri. Queste iniziative combinano le loro attività in difesa e solidarietà con i prigionieri politici o sociali e lo studio, raccolta e diffusione di una alternativa reale e pacifica e libera al problema delle carceri.
Bisogna dire che le CNA non sono l’unica espressione dell’anarchismo contro le prigioni, in generale quasi tutte le iniziative, gruppi, federazioni e sindacati libertari appoggiano l’eliminazione del sistema penitenziario, considerato come una triste eredità di un triste passato (15). Vela la pena menzionare, fra gli altri, il collettivo Kamina Libre (16) del Cile, il Comitato Difesa Anarchica in Italia (17), la Anarchist Prisoners’ Legal Aid Network (APLAN) o la Missouri Prisoners Labor Union (18) (MPLU) degli Stati Uniti.
Il movimento libertario conosce la realtà penitenziaria e si oppone completamente a essa. Purtroppo, manca di un testo unitario dove si esponga in forma chiara e concisa le differenti critiche e soluzioni che propone l’ideologia al sistema carcerario. Da qui in poi ci concentreremo nell’esporre le differenti critiche, visioni e raccomandazioni che caratterizzano il pensiero libertario sul tema delle prigioni.
ROTTURA GIUDIZIARIA – PRIMO PASSO VERSO LA NEGAZIONE DEL SISTEMA PENITENZIARIO
Per capire questo lavoro è importante introdurre il principio anarchico conosciuto come Rottura Giudiziaria. Questa posizione del movimento anarchico è poco conosciuta e diffusa nell’ambito libertario.
Il movimento antiautoritario in generale rinnega le leggi positive come sistema normativo dell’individuo. Si consideri che le leggi sono limiti creati dallo stato per mantenere e preservare l’ordine esistente. Questo non implica che siano contro l’ordine sociale, tutto il contrario: gli anarchici accettano altri sistemi di regolazione della società come lo sono i costumi e soprattutto la morale dell’individuo. Si potrebbe dire che gli anarchici antepongono il Diritto Naturale, giusto ed equo prodotto della ragione umana contro il diritto positivo retto e codificato.
Tanto repellente risulta il diritto per gli anarchici, che ricorriamo al principe Kropotkin per chiarire un po’ il tema:
“Vediamo una razza confezionatrice di leggi legiferare senza sapere su cosa, votare oggi una legge sul risanamento della popolazione senza avere la più piccola nozione di igiene; domani regolamentare gli armamenti dell’esercito senza conoscere un fucile, fare leggi sull’insegnamento e l’educazione onorevole dei suoi figli, legiferare senza arte ne parte, ma senza dimenticare mai la penale per i poveri, le carceri e le galere che danneggeranno uomini mille volte meno immorali di quanto siano loro, i legislatori. Vediamo, in fine, nel carceriere la perdita del sentimento umani, la polizia convertita in cane da caccia, la delazione convertita in virtù, la corruzione eretta a sistema; tutti i vizi, tutto il male della natura umana favorito, coltivato per il trionfo della legge.
E dato che noi vediamo tutto ciò, è per questo che invece di ripetere stupidamente la vecchia formula “Rispettare la legge!” gridiamo “Disprezziamo la legge e i suoi attributi!”e questa frase: “Obbedire alla legge!” la sostituiamo con “Ribelliamoci contro tutte le leggi!” (19)
Ma la Rottura Giudiziaria va più in la di un semplice rifiuto della legge. Significa la rottura finale con l’ordine giuridico esistente nella società capitalista. È una dichiarazione di volontà. È come un’ obiezione di coscienza ma molto più radicale. È la totale negazione, da parte degli anarchici, della giurisdizione stabilita. La CNA-Bogotà(Colombia) considera la Rottura Giudiziaria come:
“L’atto supremo di dignità realizzato da un prigioniero contro il sistema che ingiustamente si attribuisce il diritto di giudicarlo. Consiste nel non riconoscere come legittimi i giudici, la polizia, il sistema carcerario e in generale tutto lo Stato. Questa rottura si da dall’inizio del processo giudiziario negando di collaborare con indagini, non osservando rispetto davanti alla pretesa autorità dei giudici e polizia e accettare la gravi conseguenze che ciò comporta come parte della vendetta del sistema.”(20)
Questo è dimostrabile quando sono portati a giudizio alcuni anarchici come responsabili di certi atti di violenza. Per esempio: l’anarchico greco Nikos Maziotis, che al suo processo dichiarò:
“Prima di tutto, non voglio passare per una persona onorata di stare in questo luogo dove sono stato costretto a venire. Non chiederò perdono perché non mi considero un criminale. Sono un rivoluzionario. Non ho nulla di cui pentirmi. Sono orgoglioso di quello che ho fatto. Le uniche cose di cui mi pento sono l’errore tecnico di aver lasciato le mie impronte digitali sulla bomba, grazie a cui sono finito qui, e l’errore che ciò che avete trovato non doveva stare a casa mia, ma in un altro posto.” (21)
Un altro esempio è quello dell’anarchica spagnola Carolina Forné Roig, che prima della sentenza che le toccava per vari atti di sabotaggio e vandalismo, dichiarerà:
“Non chiediamo il permesso per essere liberi. Per questo non chiederemo perdono.” (22)
Ma l’importante, per questo lavoro, non è se gli anarchici sono o no d’accordo con le leggi, bensì il fatto che negare il sistema giuridico porta implicitamente la negazione al carcere come sistema coercitivo. Quindi, il negare un’istituzione porta a negare l’altra. Tutte sono intimamente legate e il disprezzo per una porta automaticamente al disprezzo per l’altra.
Per questo si considera che la Rottura Giudiziaria proposto da alcuni anarchici sarebbe l’anticamera dell’abolizionismo carcerario.
Continua nella Seconda Parte
Note
(1) http://espora.org/biblioweb/bitacora.html
(2) http://www.banderanegra.canadianwebs.com/barrett.html
(3) Teoria recente e di grande diffusione in Italia. Il suo principale esponente è Alfredo Maria Bonanno.
(4) Pombo da Silva Gabriel, “Diario e Ideario de un Delincuente, Consideraciones innecesarias para la revuelta anárquica”. Gennaio del 2005.
(5) Sinonimi dell’anarchismo: Libertario e Antiautoritario.
(6) La strategia insurrezionale proposta dagli anarchici durante un congresso in Svizzera, stabiliva l’idea che un atto violento contro ogni figura che rappresentava il potere e/o l’autorità, faceva aumentare il consenso tra la gente per battersi sotto la bandiera rivoluzionaria. Tali atti dovevano portare ad una serie di omicidi mirati contro i presidenti e rappresentanti di alto livello della burocrazia statale europea. Tra questi troviamo il presidente degli Stati Uniti William McKinley o il Re d’Italia Umberto I. Dopo questi atti di violenza intenzionale e indiscriminata, si è cominciata a usare la parola violenza come sinonimo di anarchia.
(7) Questi famosi anarchici italiani furono processati negli Stati Uniti per una presunta aggressione ed omicidio che non avevano commesso. Il loro processo era stato un circo mediatico e dopo l’esecuzione sulla sedia elettrica, si era dimostrata la loro innocenza. Erano diventati martiri e simboli della repressione contro il movimento anarchico.
(8) Francisco Ferrer i Guardia era stato uno dei pensatori più illuminati dell’anarchismo iberico; era stato il precursore di un innovativo sistema di educazione per i bambini, noto come “La Escuela Moderna”, la quale basava i suoi insegnamenti su un modello di pedagogia libertaria. Venne accusato di essere il principale istigatore di una rivolta popolare in Spagna, conosciuta come la “Semana tragica”, e per questo venne fucilato. Dopo la sua morte, si era dimostrata la sua innocenza.
(9) VVAA, “Extrema Violencia, Extrema indigencia”. Kutre-Art Forever. 30 Agosto 2002.
(10) VVAA, “Extrema Violencia, Extrema indigencia”. Kutre-Art Forever. 30 Agosto 2002.
(11) Il corpo repressivo utilizzato dalla monarchia russa, famoso per la sua sete di sangue e la crudeltà contro la popolazione. Usato spesso contro le manifestazioni pubbliche.
(12) Forma informale e romantica che utilizzano i leninisti per definire il colpo di stato avvenuto nel mese di ottobre del 1917 in Russia, da parte del partito bolscevico, con il supporto dei militari contro il governo parlamentare di Kerenski. Questo atto avrebbe portato alla prima formazione di un governo socialista in tutto il mondo.
(13) Folleto, “Montaje Marini, crónicas y unas pocas reflexiones”. Settembre del 1997.
(14) http://periodicocnt.org/307dic2004/16/
(15) http://www.antorcha.net/biblioteca_virtual/derecho/prisiones/prisiones.html
(16) Il Colectivo Kamina Libre, ffu un’iniziativa nata nel carcere di massima sicurezza (CAS) del Cile, nel quale vi erano diversi prigionieri politici. Facevano parte del gruppo maoista conosciuto come MAPU-LAUTARU, ma la loro permanenza in carcere li aveva avvicinati all’anarchismo. Più di un anno fa, quattro dei suoi componenti avevano iniziato uno sciopero della fame per chiedere la propria liberazione. Tale sciopero era stato seguito dai familiari e dagli amici che stavano fuori dal carcere. Col passare del tempo e la pressione da parte dell’opinione pubblica, erano riusciti a ottenere la propria libertà. Fonte: http://www.nodo50.org/kaminalibre/
(17) http://www.ecn.org/elpaso/cda/
(18) Il Missouri Prisoner Labor Union (MPLU) è un sindacato creato dentro la Prigione del Missouri (USA) dal prigioniero anarchico Jerone White Bey, la cui intenzione è contrastare gli abusi lavorativi commessi dalle guardie carcerari e dall’amministrazione della prigione. Fonte: http://www.mplu-support.tk/
(19) Petr Kropotkin, “La Ley y la Autoridad”.
(20) Solo Cusumbo, “La Ruptura, una cuestión de dignidad”. Fonte: http://www.nodo50.org/anarcol/forum/read.php?f=7&i=1&t=1
(21) Maziotis Nikos, “Solidaridad Revolucionaria, guerra social en todos los frentes”. Playfulviolence. Madrid. 7 de Junio de 1999.
(22) http://direct.action.at/freedom/
Anarchismo e Carceri di Rodolfo Montes De Oca -Seconda parte
NON C’È ABOLIZIONE SENZA RIVOLUZIONE
Come abbiamo detto in precedenza, l’abolizione del sistema penitenziario è uno degli aspetti per i quali si dovrà compiere la rivoluzione anarchica, sia questa in forma pacifica per semplice volontà della maggioranza degli abitanti del pianeta, o sia per mezzo dell’azione diretta e violenta da collettivi e gruppi libertari affini e uniti da un vertice: la costruzione dell’utopia anarchica. Kropotkin commenterà in merito:
“Il primo dovere del rivoluzionario sarà abolire le carceri.” (23)
La futura società anarchica non si può concepire con l’esistenza di centri penitenziari e istituzioni psichiatriche, giacché queste assorbono e rubano la genesi di tutta la trasformazione libertaria, che è, come già abbiamo ripetuto un’infinità di volte, la libertà dell’individuo.
Inoltre, il pensiero libertario considera il carcere come uno dei pilastri sui quali si sostiene tutto il sistema socio-economico capitalista. A tal proposito, il prigioniero anarchico Federico Pais Sardo scriverà:
“Attaccare il carcere è attaccare il capitale!” (24)
Nel giornale anarchico, Obrero Prisionero, voce della Federazione Iberica della CNA, nel suo editoriale di aprile- maggio del 2002, commenta:
“Forse dovremmo ricordare a tutta la gente che milita in una maniera o nell’altra nel movimento anarchico, che questa lotta è sempre stata uno dei punti fondamentali fra quelli che sostenevano le nostra aspirazioni per un cambio di sistema e l’anarchica, che questa non è una nuova lotta e che prima di noi, altri l’hanno già combattuta. I nostri veterani impostarono, ai loro tempi, che tutta la rivoluzione dovesse avvenire per l’eliminazione completa delle prigioni e che, finché quel giorno non fosse arrivato, avremmo dovuto lavorare nell’assistenza e l’appoggio ai compagni incarcerati e alle loro famiglie fuori, che è quel che alcune organizzazioni tentano di fare non senza problemi di ogni genere.” (25)
Con questo possiamo concludere che il movimento libertario in generale è cosciente nel sapere che non può ottenere una distruzione del sistema penitenziario senza una precedente distruzione del sistema capitalista e dello Stato.
Ma l’istituzione carceraria non è vista dal movimento come la causa di tutti i mali che flagellano il genere umano, ma come una conseguenza del sistema capitalista. Per noi, attaccare il sistema penitenziario significa a sua volta attaccare le strutture del capitalismo e dello Stato. Lo scrittore italiano Costantino Cavalleri ci da una visione più ampia di come gli anarchici vedono questo punto della discussione:
“Per quel che mi riguarda, intendo la lotta in tutti i suoi aspetti come l’attacco al dominio. Nel caso della lotta contro il carcere, intendo come attacco al potere dello Stato-Capitale per imporre l’abolizione del regime di incarcerazione speciale (isolamento), la fine della dispersione dei carcerati, la scarcerazione di questi ultimi con infermità incurabili.
Il contenuto della lotta specifica contro il carcere, ovviamente non impedisce l’obbiettivo che ci sollecita alla lotta: la distruzione delle prigioni.” (26)
IL DILEMMA SULLA PRIVAZIONE DELLA LIBERTA’
Le carceri in principio non furono concepite come l’istituzione punitiva per eccellenza dello Stato. Al contrario, le carceri appaiono come un meccanismo con il fine di assicurare il trasgressore fin tanto che si fosse compiuta la pena (espulsione, pena di morte, mutilazione, galera…). La prigione fu creata come mezzo processuale e non come istanza punitiva per la società (27). È con il passare dei tempi e con l’arrivo del modello capitalista, e della società classista che la sostiene, che le carceri passano da essere luoghi di attesa -mentre si commutava la sentenza- a luoghi dove si compirà la pena e dove l’individuo avrebbe dovuto riabilitarsi mentre espiava le sue colpe. Questa nuova realtà e natura delle carceri porta il movimento anarchico, amante della libertà e della solidarietà, a mettere in discussione l’essenza delle prigioni, dunque l’idea libertaria capì che come movimento sociale e politico non avrebbe potuto permettere che un essere umano, pur con i danni ed errori commessi, fosse privato della libertà.
Su questo dilemma Kropotkin dirà:
“Il principio di tutte le carceri è sbagliato alla base, perché priva l’uomo della libertà. Privando l’uomo della sua libertà, non si riuscirà a migliorarlo.” (28)
L’IPOCRISIA DEL REINSERIMENTO SOCIALE
Secondo l’articolo 2 della legge del Regime Penitenziario:
“Il reinserimento sociale del condannato costituisce l’obbiettivo fondamentale del periodo di compimento della pena” (29)
Lo stesso si trova nell’articolo 272 della Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela che dice:
“Lo Stato garantirà un sistema penitenziario che assicuri la riabilitazione dell’internato o internata” (30)
In altre parole, il fine primordiale di tutta l’istituzione penitenziaria è riabilitare il criminale condannato.
Le carceri moderne hanno come fine ultimo due cose primordiali che sono: la riforma del delinquente e impedire che l’atto antisociale si ripeta. Ma, veramente il carcere riabilita coloro che vi entrano? La risposta di molti, basata sulle proprie esperienze, conoscenze e sulle statistiche, è un chiaro NO.
Questo è diventata uno degli argomenti di punta dall’abolizionismo carcerario proposto dagli anarchici. Kropotkin dirà:
“L’uomo che è stato in carcere, tornerà in carcere” (31)
Le prigioni nel mondo sono diventate vere sequele di delitti. La storia ha dimostrato che nella maggioranza dei casi, quando qualcuno esce dal carcere, oltre a tornarci presto, torna con accuse più gravi di quelle per cui entrò la prima volta, dimostrando così il fallimento dalla presunta riabilitazione sociale che il sistema carcerario pretende di ottenere nei carcerati.
Il principe Kropotkin nello stesso testo segnalato sopra, dirà:
“È inevitabile, le statistiche lo dimostrano. Le informazioni annuali dell’amministrazione di giustizia in Francia mostrano che la metà di coloro che compaiono davanti ai giurati e due quinti di quelli che annualmente compaiono davanti gli organi minori ricevono la loro educazione in carcere. Quasi metà dei giudicati per omicidio, e tre quarti dei giudicati per furto con scasso sono recidivi. Per quanto riguarda le carceri modello, più di una terzo dei prigionieri che escono da questa istituzione cosiddetta correttiva tornano in carcere nel giro di dodici mesi dopo la liberazione.” (32)
Nel suo opuscolo “Il Carcere e la sua influenza morale sui carcerati” (33) Kropotkin scriverà:
“Il carcere non impedisce che si producano atti antisociali. Moltiplica il loro numero. Non migliora coloro che passano fra i suoi muri. Per quanto possa riformarsi, il carcere continuerà ad essere sempre un luogo di repressione, mediante artifici, come i monasteri, e renderà il condannato sempre meno adatto a vivere nella comunità. Non raggiungono il loro fine dichiarato. Degradano la società. Devono sparire. È solo barbarie mischiata a filantropia gesuita.” (34)
Un altro punto importante riguardo al reinserimento sociale, visto dal punto di vista anarchico, è: Chi è o chi si crede lo Stato per permettersi il lusso di riabilitare un individuo? In che consiste la sua riabilitazione? Perché lo Stato deve riabilitare? Per noi, questa è un’altra chiara violazione della libertà e autonomia di ogni individuo che fa parte della società, da parte dell’istituzione penitenziaria.
Il carcerato anarchico Federico Pais, in un articolo commenta:
“I medici, le guardie, gli psicologi, gli psichiatri, le distinte amministrazioni penitenziarie parlano di riabilitazione, ma come può riabilitarsi un individuo che a forza è stato privato della propria libertà personale e quando all’interno della prigione vi sono norme che privano il carcerato della propria dignità? Umilianti perquisizioni personali, distruzione delle nostre celle durante le perquisizioni fatte per garantire un vivere tranquillo nel carcere, continui trasferimenti per fare in modo che nessuno si senta in un ambiente proprio e socializzi con gli altri carcerati… E insensati regolamenti che, secondo una logica assurda, vorrebbero garantire l’ordine interno delle distinte carceri.
Chiamano trattamento rieducativo lo stare chiusi dentro ad una cella 20 ore al giorno senza fare nulla… dove la vita del prigioniero nella cella è appesantita da provocazioni continue e tensioni che con frequenza sfociano in auto-lesioni e in qualsiasi momento (e questo le distinte amministrazioni lo sanno molto bene) possono sfociare in mille altre forme di violenza. Violenza che nasce e si alimenta in tali condizioni di reclusione.” (35)
Senza dubbio alcuno, quello che il sistema capitalista pretende di chiamare reinserimento sembra più un cinico e macabro racconto, che ci narrano, per tentare di coprire una realtà tanto oscura e complessa come la nostra esistenza. L’anarchico nord-americano Harold Thompson, che ha vissuto molti dei suoi anni fra le sbarre, amplia ancora l’ipocrisia del reinserimento:
“Le prigioni sono istituzioni disegnate per insegnare lezioni di violenza attraverso l’abuso di coloro che vi sono confinati. Questa violenza insegnata è, a volte, riflessa sulla società, luogo in cui il prigioniero viene liberato. Amarezza, rabbia accumulata, collera, devono uscire in qualche modo per liberarsi ed esplodere, quasi sempre nel momento di esasperazione e in maniera autodistruttiva, mandando gli individui ad “una seconda bevuta” nei pozzi delle prigioni.
Le vittime della brutalità istituzionalizzata ne creano ancora, assicurando la continuità del circolo vizioso nel momento della liberazione nella società e il ritorno alla disumanizzante esistenza nella pena. La prigione non fa diminuire i crimini, non protegge la gente da essi, al contrario li perpetra. La persona diventa generalmente una minaccia per la società, più di quando entrò in carcere.” (36)
Dal punto di vista libertario, non è solamente impossibile riformare una persona, ma è ancora più impossibile riformare quelle persone che sono state carcerate per il loro attivismo politico e che quindi stanno in prigione per attività o delitti collegati ad una idea politica.
Un dossier anarchico contro il carcere ci dice:
“Anche questo gruppo è molto ampio (riferendosi ai delitti politici), potremmo definirlo come tutte quelle azioni al margine della legge che si realizzano come effetto di una presa di coscienza e con un obbiettivo politico chiaro, come l’insubordinazione, l’occupazione e altri tipo di lotta. In questo caso, parlare di reinserimento è una fesseria: se esiste una idea sulla società del modello politico, in che modo una persona può riabilitarsi in qualcosa contro cui sta lottando? Il vero sentimento dell’applicazione, in questo caso, ha una doppia lettura: l’intenzione dello Stato di segnare il cammino delle lotte, ma dentro le strutture statali, pur che alla fine tutto continui uguale e, allo stesso tempo, reprimere qualunque insurrezione pericolosa per il sistema.” (37)
La teoria anarchica in generale rifiuta il principio della riabilitazione, considerata come una forma deliberata di intromissione dello Stato, per rieducare gli individui che il potere e il capitale considerano problematici. La riabilitazione è vista anche come la contrapposizione di un principio basilare della pedagogia libertaria, quella della libertà e l’autonomia dell’individuo.
L’ipocrisia del reinserimento sociale deve diventare uno dei principali argomenti utilizzati dal movimento anarchico per combattere contro l’istituzione penitenziaria.
Dal momento in cui è reso chiaro che il carcere non compie il suo obbiettivo primordiale (riabilitare il criminale), troviamo un altro punto ideologico indispensabile per la causa: l’inutilità delle carceri. Come direbbe Kropotkin:
“Non è possibile migliorare una prigione. Salvo qualche piccola miglioria senza importanza, non c’è assolutamente altro da fare se non distruggerla.” (38)
LA PRIGIONE COME STRUMENTO DI CONTROLLO SOCIALE
Per l’anarchismo le carceri sono usate dal potere e gli Stati (senza distinzione di alcun tipo dalla democrazia borghese fino quelli chiamati Stati socialisti) come strumenti repressivi per spaventare tutti i tipo di dissidenza che proliferano dentro al suo territorio. Secondo la logica libertaria, le prigioni sono strumenti usati dal potere per alienare e scoraggiare colore che decidono di cambiare lo stato delle cose.
Su questo, il carcerato libertario iberico, Xose Tarrio, in uno scritto, dirà:
“La prigione non può essere intesa se non come uno strumento repressivo dell’apparato governante, mediante il quale, questo rafforza il suo potere. Così possiamo affermare che sorge la necessità di questo potere di controllare il popolo, la necessità di regolarlo, di ordinarlo , di mantenerlo sotto una libertà condizionata , soggetta ad un codice penale, con la minaccia costante della prigione pendente sopra la sua testa.” (39)
Per il ramo abolizionista nell’anarchismo, il carcere cerca solamente di far desistere le persone a commettere qualsiasi azione che lo Stato consideri imprudente o immorale, convertendosi a sua volta in una minaccia costante per le persone che vivono nella società.
Per capire meglio questa posizione dell’anarchismo sulla prigione, ricorriamo di nuovo a Xose Tarrio:
“L’ idea della prigione sorge nella storia come mezzo con il quale rinchiudere e isolare dalla società quelle persone che le autorità consideravano moleste e sovversive alla legge di vigilanza. Nella storia della prigione e le sue celle, questa idea è stata applicata in varie forme, ma sempre, assolutamente sempre, si è ben costituita nell’era medievale. Nell’era moderna e contemporanea è uno strumento del potere costituito, e mezzo coercitivo dei re, militari e politici. La prigione diventa un mezzo legale per castigare la mala condotta dentro alla società ed è un mezzo efficace per eliminare avversari politici e frenare le attitudini sovversive. Con questo, le persone elette a furor di popolo si arrogavano il diritto di castigare e dirimere.” (40)
E più avanti dirà:
“Abbiamo l’origine politica della prigione: il monopolio da parte del potere dell’uso della repressione e della violenza verso il prossimo, in esclusiva. La sua funzione: far valere le sue leggi per mezzo del terrore e della tortura. Il suo fine: La distruzione dei nemici del sistema vigente e di quelle persone insofferenti a leggi e codici.” (41)
Che questo sia il tema più sviluppato dall’ambito libertario è dovuto al fatto che la criminalizzazione è stata vissuta in prima persona. Attualmente, la maggior parte delle CNA nel mondo e altri collettivi che lottano contro le carceri, hanno focalizzato l’attenzione nella lotta per la libertà dei compagni carcerati.
La Federazione Iberica delle CNA in Spagna, ha redatto un documento che trascriveremo in seguito, e che servirà da guida per poter capire perché è tanto importante per gli anarchici aiutare i compagni detenuti:
“Quando un compagno o una compagna viene incarcerato/a, non possiamo dimenticarci di lui o di lei sotto alcun frangente. Dallo stesso istante in cui vengono detenuti, torturati e alla fine incarcerati, stabiliamo un compromesso con loro, ma è meglio spiegare il perché non possiamo lasciare i carcerati e le carcerate soli. Quando un compagno viene incarcerato cambia radicalmente la sua vita, non è più come noi, esseri semi-liberi, ma passa ad essere un numero, una foto, dei dati, analisi su chi è, e perché è violento e osa scontrarsi con lo Stato. In una parola, passa a dipendere dalla volontà dei suoi controllori e carcerieri e dal loro umore.
Le relazioni umane più comuni vengono compromessi: la famiglia, i rapporti, gli amici e le amiche e con chi ama di più; le visite vengono controllate arbitrariamente, il contatto con i famigliari, ecc. Tutto ciò pianificato fino al minimo dettaglio per provocare l’isolamento sociale più crudele nel prigioniero e la prigioniera con un unico fine: debellarli e far loro rinunciare alla dignità, alle loro idee…
I compagni e le compagne carcerati e carcerate diventano ostaggi dello Stato (e non importa che tipo di Stato sia) con i quali mantiene il terrore, facendo in modo che la loro situazione si rifletta su chi combatte per le strade con un unico fine: perpetuare il clima di terrore e mantenere sottomesse le persone con la paura di finire carcerate se escono dal cammino che lo Stato ha già tracciato per loro.
Al diventare, i compagni e le compagne, da carcerati a ostaggi dello Stato, si perpetua lo status di repressore e guardiano dell’ordine costituito, mostrando contemporaneamente che tutto funziona e che per verificarlo basta guardare le carceri, tutte le persone chi si trovano li sono frutto dell’efficienza dello Stato e del suo apparato politico-giuridico, per dare a intendere che questo funziona, che non ci sono problemi e che lo Stato ha dei meccanismo superiori per eliminare chi molesta e osa dissentire.
La tortura a chi è sottomesso e sottomessa fa in modo che la gente che lotta per le strade si chieda quale futuro oscuro possa avere se si scontra con lo Stato. La paura e la tortura, delle botte, delle condanne e di finire incarcerati, in modo che la gente teoricamente più progressista retroceda poco a poco e desista dall’occuparsi dei carcerati, concentrandosi in dinamiche puramente sindacali, politiche, ecc… o come molti, mobilitandosi quando uno dei loro membri viene incarcerato, com’è successo non molto tempo fa a tesalònica.” (42)
Talvolta il principio libertario che più concorda con l’imperante necessità del movimento anarchico di proteggere e difendere i suoi compagni incarcerati, èil principio della Solidarietà, considerato da molto anarchici come uno dei loro pilastri fondamentali che sostiene l’ideologia libertaria. Talmente importante e fondamentale è la solidarietà dentro all’ambito anarchico che l’antiautoritario Costantino Cavalleri, commenta il valore che ha questa pratica umana, per gli anarchici, nella sua lotta contro il carcere:
“La solidarietà nell’ambito rivoluzionario è il momento in cui, oltre alle differenze esistenti, le entità rivoluzionarie, individuali e collettive, si manifestano e si rafforzano riconoscendo reciprocamente la validità di ognuna. Tale manifestazione di solidarietà può essere espressa in mille maniere; dal contributo economico per finanziare le attività portate avanti, fino alla corrispondenza con chi è stato colpito dalla repressione; da gli sporadici di sabotaggio, fino all’intervento nelle piazza pubbliche.
Sono mille le maniere di far sentire solidarietà con la lotta dei carcerati. Senza dubbio, la manifestazione di solidarietà più efficace è quella di fare propria la lotta nella sua complessità, estendendola al sociale e nei territori, col fine di ingrandire i fronti di lotta dentro e fuori le carceri, senza per questo impedire o forzare chi crede che si debbano attuare secondo i propri metodi e sensibilità. (43)
LA PRIGIONE COME CENTRO DI ESTREMA MISERIA
Nelle carceri si trovano tanti tipi di miseria È l’istituzione più inumana e possessiva che ha concepito la mente umana (44). Secondo l’ultima informativa del programma Venezuelano di Educazione-Azione nei Diritti Umani (PROVEA) nel 2009 nella carceri venezuelane vi sono state più di 1.153 vittime di violenza carceraria, 619 di queste da arma da fuoco e delle quali 227 hanno portato morte, dimostrando così il grado di estrema violenza e indigenza che si vive nelle carceri, diventando il riflesso crudele e brutale della natura umana.
Nel carcere c’è fame, incuria, crudeltà e soprattutto violenza, sia questa proveniente dai reclusi verso gli altri reclusi o verso i vigilanti, o dai vigilanti contro i reclusi, convertendosi in un circolo continuo e perpetuo di violenza e brutalità umana. Non importa dove si trovi prigione, dall’industria carceraria all’isolamento cellulare come quello degli Stati Uniti, passando ai sistemi d’isolamento tanto insensibili come il tristemente celebre Fichero Interno de Especial Seguimento (F.I.E.S) in Spagna; dalle fabbriche di terrore delle nostre carceri sudamericane fino anche umane e avanguardistiche prigioni di paesi nordici. Tutte generano violenza, in una maniera o nell’altra.
Le carceri sembrano essere una sorta d’istituzione macabra che genera una classe di condotte antisociali e aberranti che contribuiscono solo a perpetuare il sistema penitenziario.
Continua nella Terza Parte
Note
(23) http://www.antorcha.net/biblioteca_virtual/derecho/prisiones/prisiones.html
(24) http://flag.blackened.net/pdg/
(25) Periódico editado por la Federación Ibérica de CNAs, “Obrero/a Prisionero/a”. Marzo/Aprile 2002.
(26) Cavalleri Constantini, “Contribución a la lucha contra La Cárcel”. Grupo “Granados y
Delgado”. Agosto del 2001.
(27) Conferenza fatta dal Dr. Elio Gómez Grillo, sopra i carceri della Repubblica Dominicana.
(28) http://www.antorcha.net/biblioteca_virtual/derecho/prisiones/prisiones.html
(29) Ley de Régimen Penitenciario. Ediciones Dabosan, C.A. Lunedì 19 Giugno del 2000.
(30) Constitución de la Republica Bolivariana de Venezuela.
(31) http://www.antorcha.net/biblioteca_virtual/derecho/prisiones/prisiones.html
(32) http://www.antorcha.net/biblioteca_virtual/derecho/prisiones/prisiones.html
(33) Questo testo è lo stesso de “Las Prisiones” dello stesso autore, ma con un nome differente
(34) http://www.angelfire.com/zine/libertad/krop.html
(35) http://flag.blackened.net/pdg/
(36) Thompson Harold, “¡Nunca nos detendrán!”. Grupo Editor La Tempestad. Argentina, Luglio 1996.
(37) Reincidentes por la Libertad. “Contra las Cárceles”.
(38) http://www.antorcha.net/biblioteca_virtual/derecho/prisiones/prisiones.html
(39) http://es.geocities.com/ovejanegraweb/que_es_la_carcel_tarrio.htm
(40) ibidem
(41) ibidem
(42) http://contrapoder.org.ve/pre.htm
(43) Cavalleri Constantini, “Contribución a la lucha contra La Cárcel”. Grupo “Granados y
Delgado”. Agosto del 2001
(44) Conferenza fatta dal Dr. Elio Gómez Grillo, sopra le carceri della Repubblica Dominicana
Anarchismo e Carceri di Rodolfo Montes De Oca -Terza parte
FINE DEL CONTRATTO SOCIALE
Il filosofo francese Michael Focault nella sua opera “Sorvegliare e Punire” dice:
“La prigione è multidisciplinare. L’ uomo deve lavorare, mangiare, dormire, educarsi, studiare, mantenersi pulito, divertirsi, amare, vivere integralmente. È continua, incessante, permanente, ininterrotta, persistente, assidua, inesauribile, opprimente, stancante, annienta senza proroghe ne ritardi di alcuna natura.” (45)
Le carceri furono concepite per isolare l’individuo dalla società, mantenerlo al margine di questa, e quando possibile, totalmente e assolutamente confinato in queste quattro pareti che formano la cella. Questo allontanamento permanente fa in modo che il carcerato si isoli totalmente dal mondo esteriore e dai valori che ci sono in lui, svuotando e inumanizzando il soggetto che è privato della libertà.
Kropotkin a riguardo dice:
“Chi progettò le nostre carceri fece tutto il possibile per tagliare tutte le relazione del carcerato con la società”
Per il movimento anarchico, il fatto che le carceri siano considerate come una ghigliottina che taglia le relazioni sociali, costituisce una delle conseguenze più gravi generate dalla prigione.
Su questo, Harold Thompson commenta:
“La prigione è ideata per isolare il prigioniero dalla sua famiglia e amici, distruggere la sua personalità per forzarlo, tramite livelli variabili di “tecniche di lavaggio del cervello”, a trasformarsi in un altro robot obbediente al capitalismo.” (46)
La prigione è un cosmo e una società totalmente distinta da quella che si trova fuori. Le carceri godono di proprie norme e regole, di proprie autorità tanto legali (autorizzate, come le guardie e i vigilanti) quanto illegali (non autorizzate, come bande o individuali). Che controllano il commercio illegale dentro ai padiglioni e nelle celle. Questa realtà è tale dalla Patagonia fino alla Groenlandia, dalla California fino a Taiwàn.
Ma il fatto che le carceri siano istituzioni tanto aberranti, fa in modo che il recluso vada isolandosi dai valori e costumi che reggono la società per quelli che vigono dietro alle sbarre. È per questo che gli anarchici considerano che il reinserimento del criminale sia una fandonia, in quanto con l’isolamento continuo e per lunghi periodi di tempo non si formano nuovi individui rieducati ma, al contrario, sono allontanati dalla realtà della comunità e si rompe contratto stabilito con la società.
CARCERIERI? NO, GRAZIE
Tanto detestabili e odiati dagli anarchici come lo Stato e il capitale, sono i carcerieri o le persone incaricate di mantenere l’ordine e custodia dentro ai penali. Sono visti dal movimento come esseri inumani e poco umanitari, non solo per il tratto e la psicologia violenta che impiegano contro i reclusi, ma perché sono lo strumento usato dal sistema per proteggere l’istituzione carceraria. Sono visti dai libertari come sequestratori della libertà delle persone ritenute sotto custodia. Tant’è che quando un anarchico viene carcerato, i suoi compagni non lo considerano un recluso, ma un sequestrato dallo Stato e capitale.
Kropotkin chiarisce alcuni punti:
“È facile scrivere nei giornali che bisogna controllare rigorosamente le guardie del carcere, che devono essere elette fra uomini buoni. Non c’è niente di più facile che costruire utopie amministrative. Ma l’uomo continuerà ad essere uomo, guardiano o carcerato.
E quando si condanna questi guardiano a passare il resto della loro vita in situazioni false, se ne soffrono le conseguenze. Diventano irritabili. Solo in monasteri e conventi ci c’è un spirito di cotanta meschinità. In nessuna parte abbondano tanti scandali come fra i guardiani delle carceri. Non si può dare a un individuo autorità senza corromperlo. Abuserà di questa autorità. E sarà meno scrupoloso e sentirà la sua autorità più di quanto gli sia concesso.
Obbligato a vivere in terreno nemico, il guardiano non può diventare un modello di bontà. Alla alleanza dei prigionieri si oppone quella dei carcerieri. È l’istituzione che li fa diventare questo: sicari spietati e meschini. Se mettessimo Pestalozzi (47) al suo posto, sarebbe un carceriere.” (48)
Con il testo di Kropotkin possiamo arrivare ad un’altra conclusione: come il potere diventa un fattore influente per pervertire la natura umana. Questo gioco di ruoli: (recluso/carceriere) che impiega il sistema penitenziario, contribuisce alla ripetitività del sistema. Per gli anarchici non ci sono carcerieri buoni, tutti sono cattivi, perché il sistema li ha pervertiti dandogli indiscriminatamente potere da far valore su altri essere umani.
Il film tedesco The Experiment spiega dettagliatamente questa situazione. Basata su fatti reali, questa pellicola mostra due squadre di studenti sono chiamati a fare un esperimento per comprovare quale sia l’attitudine dell’uomo di fronte al potere. Un gruppo impersona i carcerati e l’altro i carcerieri, tutti coscienti dell’esperimento. Nel giro di una settimana, tutto va fuori controllo e termina in modo tragico.
LAVORARE NEL CARCERE, MODO DI TRARNE VANTAGGIO, METODO DI RIEDUCAZIONE O SEMPLICE SCHIAVITU’
L’articolo 15 della legge del reggimento penitenziario, dice:
“Il lavoro penitenziario è un diritto e un dovere. Avrà carattere formativo e produttivo e il suo oggetto primordiale sarà l’acquisizione, conservazione e perfezionamento della destrezza, attitudine e abitudine lavorativa con il fine di preparare la popolazione reclusa alla condizione di lavoro e libertà, ottenere un guadagno economico e fortificare le responsabilità personali e familiari.“ (49)
Per parte sua, l’articolo 17 della stessa legge dice:
“La remunerazione dei condannati sarà destinata, in proporzione stabilita dal regolamento, per acquisire oggetti di consumo e di uso personale, provvedere alle necessità dei familiari, formare il proprio piccolo capitale che verrà percepito all’uscita, comprare materiale utile e rinnovabile per il lavoro e, inoltre, per compensare parzialmente al costo dell’internamento a seconda della somma necessaria. Come possiamo vedere la nostra legislazione penitenziaria gode della possibilità che i reclusi lavorino.” (50)
Ma la rivendicazione degli anarchici riguardo al lavoro nelle carceri, è molto poco o per nulla conosciuta. Kropotkin nei suoi testi dirà:
“Tutti conosciamo l’influsso dannoso dell’ozio. Il lavoro realizza l’uomo. Ma ci sono molti lavori. Il lavoro del libero lo fa sentire parte dell’immenso; quello dello schiavo degrada. I lavori forzati si fanno forzatamente, solo per paura di un castigo peggiore. E questo lavoro, che non attrae per nulla in quanto non esercita nesuna delle facoltà mentali del lavoro, è tanto mal pagato che è considerato un castigo.
Quando i miei amici anarchici di Clairvaux facendo fascette e bottoni con i gusci e guadagnavano dodici quattrini per dieci ore di lavoro al giorno, e quattro li tratteneva lo Stato, possiamo comprendere molto bene la ripugnanza che questo lavoro produceva nel condannato.
Quando uno guadagna trentasei quattrini alla settimana, ha diritto di dire: “I ladri sono quelli che ci tengono qui, non noi!” (51)
Ma il problema non è il lavoro in sé, ma le condizioni nelle quali si svolge questo. In generale il livello di lavoro dentro le prigioni è pessimo, peggiore del lavoro nell’epoca del capitalismo classico (il che è tutto dire). In molti paesi non sono riconosciuti diritti lavorativi del recluso o sono riconosciuti mediamente. Ciò fomenta, in un certo modo, il rancore del recluso. Da parte sua e anche in Venezuela, il testo legale riconosce tutti i diritti lavorativi ai privati della libertà, nella pratica la situazione è un’altra.
Un altro punto importante è la poca diversità dei lavori dentro le carceri. In generale, sono poche le imprese che investono dentro le prigioni. L’unico caso eccezionali è negli Stati Uniti, ma di questo tratteremo più avanti.
Il fatto che ci siano poche imprese che investono i loro capitali nel creare fonti di impiego dentro le carceri, diminuisce la gamma di possibilità che ha un carcerato per scegliere un lavoro. Pertanto, il prigioniero deve limitarsi a fare quello che gli capita, gli piaccia o no; alimentando la sua frustrazione.
Un’altra critica mossa dagli anarchici contro le carceri è strettamente in relazione con il lavoro, è la continua e sistematica privatizzazione dei penali in mano a industrie private. Ciò accade soprattutto nelle prigioni statunitensi. Il carcerato anarchico nordamericano Harold Thompson commenta:
“Me prigioni sono una industria in ipercrescente, come il capitalismo, gonfiata con i soldi dei lavori in forma di imposte.
Certamente, è chiaro che il politico di professione s’interessa solo di riempirsi le tasche e non di alleviare il peso di colo che lo hanno eletto. L’industria privata è entrata nell’ambiente. Compagnie di medicine private sono state formate per provvedere ai prigionieri che necessitano medicinali e almeno uno stato, Tennesse, ha inserito un accordo per disporre di una compagnia privata per provvedere ai pasti dei prigionieri. Compagnie private d’amministrazione di prigionieri sono state conosciute nel mercato internazionale di schiavi per contratto per creare prigioni con guadagno in altri paesi. Un perfetto esempio di tale conclamato guadagno è la corporazione dei correzionali d’America, ubicata a Nashville, la quale è entrata in commercio con il Regno Unito con la speranza di maneggiare e operare nelle prigioni inglesi privatizzate. I benefici economici per lo Stato e il settore privato sono impossibili da quantificare. Quando la maggior parte delle altre aree del mercato libero sono in discesa, c’è una grande crescita e l’industria della correzione.” (52)
APPUNTI FINALI
Dopo tante critiche, quello che risulta chiaro è che il movimento anarchico, in generale è critico verso tutto ciò che concerne l’istituzione penitenziaria. La considerano come uno dei prodotti più dannosi creati dalla società capitalista e lo Stato.
Ma si può anche dire che in questo percezione il movimento è molto poco immaginativo, inoltre non è stato sufficientemente attivo abbastanza incompetente nel proporre una teoria ben elaborata e strutturata che possa contribuire ad eliminare e/o soppiantare l’attuale sistema penitenziario per uno più umano e giusto.
Di fatto, è frequente che quando viene questo a qualche anarchico come si dovrebbe sostituire il carcere, o cosa fare con le persone che commettono atti di vandalismo dentro una possibile società anarchica; questi non sanno cosa rispondere, o sicuramente rispondono: “Quando arriverà il giorno della rivoluzione, la società finalmente libera deciderà cosa fare con le carceri”. Dal mio punto di vista, è un’opinione molto superficiale e abbastanza ambigua e inoltre denota il grado di ingenuità e l’assenza di rigore scientifico che regna nella nostra idea.
In generale, gli anarchici pensano che abolire la proprietà privata e passare ad un sistema mutualista, collettivista o di produzione comunista, elimineranno i delitti contro la proprietà privata e relazionati ad essa. Pertanto, non ci sarà la necessità di rubare, perché tutto apparterrà alla collettività e sarebbe assurdo rubare. Ciò che sarebbe irrisolto sarebbe il cosiddetto crimine passionale, che sono prodotti dall’impulso emozionale che porta certi individui, in certe situazioni, a commettere atti di trasgressione contro altre persone.
Ma per questo caso, alcuni anarchici argomentano che la costruzione di una nuova società più giusta, civilizzata e umana, impedirà questo genere di attitudine dentro l’individuo; e coloro che commetteranno tali crimini saranno comunque trattati dalla collettività in maniera diversa e senza la necessità di privarli della libertà. Come vediamo, è abbastanza utopica e immaginativa la risposta di alcuni compagni. È necessario che, come libertari, pensiamo a nuove forme di organizzazione sociale, estranea a tutti i tipi di privazione di libertà. Creare, combattere, proporre e soprattutto pensare e attuare il pensiero libertario è un traguardo fondamentale e primordiale che devono compiere tutti gli antiautoritari. Il cammino è lungo e il tempo è poco, e si deve avere ben chiaro che è impossibile realizzare un cambio sociale senza un vera discussione sul sistema carcerario. Anzi, continueremo a vagare nel circolo vizioso alla mercé dello Stato- Capitale.
“SOTTO UN GOVERNO CHE INCARCERA QUALCUNO INGIUSTAMENTE, IL POSTO GIUSTO PER UNA PERSONA ONESTA È IL CARCERE” |
Note
(45) http://www.sindominio.net/versus/paginas/textos/textos_00/vigilar_y_castigar.htm
(46) Thompson Harold, “¡Nunca nos detendrán!”. Grupo Editor La Tempestad. Argentina, Luglio 1996.
(47) Era un famoso pedagogo svizzero, conosciuto per la sua gran umanità e per aver raccolto dalla strada numerosi bambini. Li alimentava e li educava in maniera gratuita.
(48) http://www.antorcha.net/biblioteca_virtual/derecho/prisiones/prisiones.html
(49) Ley de Régimen Penitenciario. Ediciones Dabosan, C.A. Lunedì 19 Giugno del 2000.
(50) ibidem
(51) http://www.antorcha.net/biblioteca_virtual/derecho/prisiones/prisiones.html
(52) Thompson Harold, “¡Nunca nos detendrán!”. Grupo Editor La Tempestad. Argentina, Luglio 1996.
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