E’ or4mai passato un anno da quel 4 agosto 2009 in cui Franco Mastrogiovanni morì, dopo 4 giorni di torture, legato ad un letto dell’ospedale di Vallo della Lucania. Se non fosse stato per la determinazione di parenti, amici e solidali, la sua vicenda avrebbe aggiunto solo un numero alle statistiche che tanto scandalizzano sociologi e benpensanti: quello sui suicidi nelle carceri italiane (circa 60 ogni anni), o sul numero di persone (oltre 10.000 nel 2006) che ogni anno vengono legate ad un letto in nome della “avanzatissima legge Basaglia”. Le stesse informazioni ufficiali, spesso contengono cifre che fanno gridare allo “scandalo” sono responsabili (come se McDonald dicesse “il nostro cibo è una merda!”). In realtà non c’è nessuno scandalo.
E ‘ la normalità dei rapporti di potere, per cui ogni psichiatra può trasformare un paziente in “malato di mente”, ogni secondino può trasformare un morto in un suicida e ogni questurino può torturae un individuo dopo averlo etichettato come delinquente.
Se qualche volta la polvere esce da sotto il tappeto, ciò è dovuto all’insistenza di chi, colpito nei propri affetti, si impegna in prima persona nella ricerca della verità. Escono così dall’omonimo delle statistiche una piccola parte di nomi delle persone uccise dalla brutalità psichiatrico-poliziesca: Marcello Lonzi, Federico Aldrovandi, Giuseppe Casu, Edhmund Hiden, Roberto Melino, Stefano Cucchi, Marco Toriello, Stefano Frapporti, Sorin Calin, Giuseppe Uva. Tantissimi gruppi di solidarietà sono nati negli ultimi anni intorno a vicende che si assomigliano tutte in modo drammatico, così come si assomigliano le istanze dei vari comitati “Verità e Giustizia”.
Senza nulla togliere alla nostra solidarietà umana e politica ad ogni lotta contro il torpore e l’indifferenza che ci circondano, pensiamo che gli obiettivi di queste lotte vadano sottoposti ad una critica. Infatti, una delle caratteristiche principali della nostra epoca è la perdita di significato delle parole (si pensi ad espressioni come “guerra umanitaria o “energia pulita”) e poche altre parole sono così tanto inflazionate quanto le succitate “verità” e “giustizia”. Ci chiediamo come sia possibile associare queste parole all’attività di un tribunale, o di qualsiasi altro organo dello Stato, in ultima analisi, è il primo mandante di questi omicidi. E’ paradossale oggi chiedere al tribunale di Vallo di rendere a Franco Mastrogiovanni, da morto, quella verità e quella giustizia che egli non ricevette da vivo.
Lo Stato non processa sé stesso. Consapevoli di questo, una quarantina di anni fa, gli anarchici, Giovanni Marini e Franco Mastrogiovanni cercavano fuori dai tribunali la verità sulla morte dei compagni Gianni Aricò, Angelo Casile, Franco Scordo, Luigi Lo Celso e Annalise Borth, investiti da un tir il 26 settembre 1970, mentre portavano a Roma un dossier sulla strage di Gioia Tauro, avvenuta qualche mese prima. E proprio per aver messo in luce questa verità, ovvero la responsabilità fascista sull’ “incidente” dei cinque anarchici calabresi succitati, Marini e Mastrogiovanni furono aggrediti sul lungomare salernitano dai fascisti Carlo Falvella e Giovanni Alfinito. Franco venne accoltellato ad una gamba ma, fortunatamente, Giovanni Marini riuscì a disarmare Falvella, uccidendo quest’ultimo con la lama del suo stesso coltello. Marini sconterà svariati anni di carcere in isolamento, Franco sarà assolto ma perseguitato per tutto il resto della vita. Da quel momento infatti, cominciarono le persecuzioni da un lato delle camice nere, dall’altro di polizia e carabinieri che non perdevano occasione per provocarlo ed incriminarlo. Né è un esempio il fatto avvenuto nel 1999: per aver osato protestare per una multa, Franco viene arrestato, pestato e minacciato in caserma; imprigionato ai domiciliari per resistenza e oltraggio,viene continuamente visitato dagli stessi carabinieri responsabili del pestaggio, visite che lo porteranno alla fuga e quindi all’evasione. Dopo diversi mesi di carcere e domiciliari. Franco giunge al processo, dal quale uscirà nuovamente indenne grazie anche alla solidarietà della popolazione locale che testimonierà a suo favore. Non c’è da meravigliarsi del fatto che Franco avesse sviluppato una forte avversione ed intolleranza nei confronti dei “tutori” della legge e che preferisse evitarli, come non stupisce che quest’ultimi non mancassero occasione per vendicarsi attraverso aggressioni e provocazioni, magari lontano da occhi indiscreti.
Dopo i fascisti ed il carcere, sia Giovanni che Franco, dovranno fare i conti con uno strumento di annientamento ancora più potente: la psichiatria.
Di entrambi, si dirà che soffrivano di manie di persecuzione. Franco, conosciuto e stimato maestro elementare, verrà definito da un lato “pericoloso anarchico”, dall’altro “soggetto psicotico”, etichette che lo porteranno negli anni a subire diversi T.S.O. (trattamenti sanitari obbligatori). Il T.S.O. è un provvedimento emanato dal Sindaco che dispone che una persona sia sottoposta a cure psichiatriche contro la sua volontà, normalmente attraverso il ricovero presso i reparti di psichiatria degli ospedali generali (SPDC – Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura). Il sindaco può emanare l’ordinanza di TSO nei confronti di un libero cittadino solo in presenza di due certificazioni mediche che attestino che:
1 – la persona si trova in una situazione di alterazione tale da necessitare urgenti interventi terapeutici;
2 – gli interventi proposti vengono rifiutati;
3 – non è possibile adottare tempestive misure extraordinarie. Le tre condizioni di cui sopra devono essere presenti contemporaneamente.
Nessuna di queste, invece, sussisteva il 31 luglio 2009 quando Franco venne braccato da polizia municipale, carabinieri, guardia costiera e infermieri nel campeggio di San Mauro Cilento, dove si trovava in vacanza. Franco tentò di sottrarsi a questa caccia all’uomo, è vero: ma non si oppose alla somministrazione di medicinali, per cui non c’era alcuna necessità di trasferirlo in ospedale. Di fronte al trasferimento coatto, si limitò ad un commento drammaticamente profetico: “Se mi portano all’ospedale di Vallo, non ne esco vivo”. Cos’ è stato.
Per quanto ci riguarda l’unico mistero di questa storia è dove trovino la faccia tosta per continuare parlare di malattia mentale gente come il sindaco di Pollica Angelo Vassallo che ha emanato il T.S.O. e il dottor Luigi Pizza, attuale direttore del Dipartimento di salute mentale della ASL Salerno. Quest’ultimo, ha definito il T.S.O. che ha ucciso Franco “più che giustificato” […] in quanto la persona interessata era in condizioni di eccitazione psicomotoria, con comportamento eteroaggrassivo, e di scarsa consapevolezza della malattia”.
E’ lampante il circolo vizioso, tipico della pseudo coscienza psichiatrica, di etichettatura e di conseguente patologizzazione dei comportamenti umani: ogni comportamento che si distingue da quelli normali e standardizzati viene definito “folle”, “maniacale” “schizofrenico” e necessita dell’intervento di qualche esperto che lo riporti sulla “retta via”. Il “paziente” viene privato della sua libertà e le sue reazioni vengono tenute in nessuna considerazione, perché “non è consapevole della malattia”. Cos’ lo psichiatra ha campo libero per la disumanizzazione e l’annientamento delle personalità attraverso farmaci, contenzioni, lungo-degenze forzare nei reparti (e qualcuno parla ancora di chiusura dei manicomi…), farmaci agli studenti “iperattivi”, cibi drogati nelle carceri e nei lager per starnieri clandestini, sino ad arrivare a pratiche disumane come quella dell’elettroshock o della lobotomia.
E’ evidente come la pratica psichiatrica sia utilizzata sempre più spesso ed in maniera più decisa come strumento di repressione e di controllo sociale, piuttosto che come cura o risoluzione di qualche sofferenza. Non c’è alcun fondamento medico che possa stabilire quali stati d’animo sono “normali” e quali “malati”, esistono piuttosto delle norme sociali imposte che decretano quali comportamenti sono accettabili e quali no. Questi ultimi sono determinati da logiche di potere piuttosto che dall’etica; se un nostro amico ci ordina di stare a guardia della casa sotto la pioggia, gli diremo che è pazzo, se ha farlo è un generale con tanto di mostrine dovremmo dirgli “signorsì” .
Franco non è morto di malsanità ma di troppo efficiente repressione, ucciso da un sistema di potere che coinvolge ogni apparato dello Stato: dal sindaco Vassallo, che ha firmato l’ordinanza di T.S.O., ai dottori Pellegrino e Di Matteo che l’hanno sottoscritto, al giudice che l’ha convalidato fino agli esecutori materiali dell’omicidio, ovvero 6 medici e 8 infermieri che hanno tenuto Franco in reparto legato al letto per 80 ore, senza permettergli di mangiare e di bere e provocandogli ferite ai polsi e caviglie profondi fino a 4 cm.
Ai suddetti medici ed indagati sono stati contestati i reati di morte come conseguenza di altro delitto, il sequestro di persona, e per i soli medici, il falso ideologico in atti pubblici (per aver omesso la contenzione della cartella clinica). Questi “professionisti” sono stati tutti sospesi dal servizio, grazie anche al polverone mediatico che si è sollevato ed il reparto di Vallo della Lucania è momentaneamente chiuso per lavori di ristrutturazione. Il processo a carico degli imputati è cominciato lo scorso 28 giugno ed è già stato rimandato a marzo 2011.
Non ci imbarchiamo in una richiesta di processi equi e incarcerazioni dei colpevoli: questo è compito che lasciamo a chi ha fiducia nelle istituzioni democratiche: nello Stato e nel suo braccio armato, coloro i quali sono in definitiva i primi responsabili di questo assassinio. Franco li ha sempre temuti odiati e da loro è stato costantemente perseguitato. Franco non avrà giustizia in un’aula di tribunale, non avrà giustizia fin quando un altro uomo o un’altra donna saranno vittima del carcere e della psichiatria.
(estratto da “LA MICCIA”, luglio, agosto 2010)