Iconoclasta

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Sì, mia cara, ho commesso un delitto, un delitto che ti riempirà d’orrore. Io te lo confesso col cinismo che mi è abituale, con quel cinismo che gli antropofaghi dicono essere la caratteristica dei delinquenti.

Dunque senti. L’altra notte ero di guardia. Seduto su uno sgabello, guardavo distrattamente le pareti della camerata che una fioca lampada illuminava bizzarramente. Pensavo a

te. Guardavo nelle acque glauche della rimembranza e sospiravo, pensando al presente. Tolsi di tasca la tua fotografia e mi misi a fissarla dicendoti tante cose dolci col pensiero e con gli occhi. Ti chiamai in quel momento, e certo, se tu fossi venuta, il delitto non sarebbe accaduto. Ma tu non venisti, io mi tolsi da quella contemplazione, sentii il russare plebeo della camerata, il passo cadenzato della ronda nella via, e tutto questo fu come un getto gelido d’acqua. Accesi una sigaretta, e ad un tratto, acutissimo, improvviso, sentii un odio, un odio atroce verso te….

Un seguito di pensieri cattivi, ostili, succedeva a quel primo scatto, ed io fumando nervosamente, distruggevo senza pietà tutto il roseo edificio dei nostri sogni. Uh! La casettina bianca! La mogliettina fedele che ti attende la sera!… Che cose stantie, borghesi! Fedele, poi! Che parolona! Chi è fedele al giorno d’oggi? Chi sa che la sorella non avesse ragione. Va bene che parlava per gelosia, ma quando piangendo si era quasi gettata ai miei piedi, scongiurandomi di crederla…. e faceva dei nomi alla fine!…

Io invece, stupido, la mandai via dicendole: «Non mi fare la Lidya Borelli!»

E poi quella moda! Sempre parlarmi, parlarmi di cappelli, fiocchi, nastri…. che noia. Decisamente ciò era indice di leggerezza. M’amava davvero, alla fine? Si può forse dire con certezza che una donna ami? Forse era più per ambizione, per poter dire alle amiche: Sapete, il tal dei tali, quel famoso ecc. – Sì Ebbene? – Ebbene, esso mi ama!

Fenomeno comune, questo, tra le donne. Quante volte non l’avevo io visto? E poi quell’affettuosità così intensa, l’idolatria con cui mi circondava, erano magari caricature. Figurarsi dirmi se volevo, ch’essa morisse! Questa è buffa! Mi credeva così cretino da credere alle sue frasi melodrammatiche?

Il mozzicone della sigaretta mi bruciò le dita. Lo gettai rabbiosamente e mi misi a passeggiare.

Sì, sì. Valeva meglio finirla senz’altro. Vivere soli, senza femmine tra i piedi…. Libero, libero! Sono stufo di avere il cervello schiavo.

Accesi un cerino e appiccai il fuoco alla sua fotografia. Poi la guardai consumarsi lentamente e ridursi infine ad un informe mucchietto di cenere. Vi misi il piede sopra, e poi risi, risi convulsamente. La camerata russava. Uno in sogno si mise a gridare: Ohè! Padrone, che mi porta da bere?

 

Bruno Filippi