Un piccolo contributo dai membri prigionieri della Cospirazione delle Cellule di Fuoco sulla Solidarietà (2011) it/gr

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Tratto da

http://culmine.noblogs.org/

 

testo originale, in greco, pubblicato il 6 aprile: athens.indymedia.org

Fino a che giunga il giorno, restiamo con la testa in alto…

1. La solidarietà è la nostra arma
Molto s’è scritto e detto sulla solidarietà. Spesso quando s’è parlato tanto e quando sono circolati molti testi su un tema, esso diviene banale, prevedibile e non eccessivamente interessante. Sembra come se il suo contenuto si sia svuotato, continuando a ripetersi.
Noi consideriamo che non ci sono pratiche che siano banali, ma v’è che i ragionamenti sono banali. In modo particolare adesso, in questi tempi sospetti in cui stiamo vivendo quando ci sono decine di guerriglieri urbani e di anarchici in carcere, dobbiamo affilare la lama della solidarietà ed allontanarla dai reiterati stereotipi che la racchiudono in un marcio circolo della “solidarietà con tale o talaltro compagno”.
In questa maniera alcuni nomi cambiano e si aggiungono, mentre altri vengono dimenticati e la solidarietà entra in una fase di stanca e spesso diviene un privilegio di relazioni, cioè di amicizie personali o “pubbliche”.
Ma nel momento in cui i nomi dei lottatori imprigionati ed i loro casi personali vengono leggiucchiati come quando si sbircia un volantino pubblicitario, il Potere guadagnerà un’importante scommessa: quella dell’annientamento etico dei suoi rivali politici. Riuscirà a stabilire il carcere dentro di noi come se si trattasse di una naturale accettazione.

2. Dalla difesa all’attacco
Comunque, non possiamo parlare di solidarietà senza riferirci prima alla repressione. E’ indiscutibile che la repressione si sta ristrutturando e sta alzando il tiro a livello militare (per esempio, con il nuovo corpo di sbirri come il DIAS), tecnico-scientifico (banca dati del DNA), propagandistico (scenari di terrore da parte dei media) e legale (nuove clausole della legge antiterrorista). Il nemico cerca in questa maniera di interiorizzare la paura come una condizione che si sente tra i circoli che lottano contro il regime e non solo essi.
Ma prima di addentrarci nell’analisi della difesa contro la carica repressiva, dobbiamo vedere quel che è accaduto precedentemente. Perché solo la la nostra conoscenza e la nostra memoria che tesaurizza i dati possono vincere la paura.
Da alcuni anni, assieme ai momenti esplosivi del dicembre 2008, la guerriglia urbana già anarchica nel suo carattere manifesta una continua presenza che ha portato a delle morti da ambo i lati di questa guerra. Lo fa in seguito ai coordinati attacchi incendiari, alle infrastrutture organizzate del sabotaggio e l’articolazione di un discorso sovversivo che cerca la rivoluzione qui ed ora.
Dal lato opposto abbiamo la repressione che è in permanente posizione di guerra contro le forze della sovversione. La loro ristrutturazione offensiva non è sorta come un’iniziativa dello Stato che scaturisce di colpo in un periodo neutrale, bensì come una risposta al crescente sviluppo della nuova guerriglia urbana e naturalmente come uno scudo di difesa contro le impetuose opposizioni dell’automatismo sociale (crisi economica, disoccupazione, scioperi… ).
Focalizzando l’attenzione sulle nostre stesse opzioni della nuova guerriglia urbana possiamo dire con certezza che la repressione funziona seguendo la conseguenza logica del fenomeno azione/reazione. Pertanto, noi stessi non ci vediamo come in una posizione difensiva.
Anche adesso che siamo nella condizione di prigionia scegliamo di rovesciare i termini di una capitolazione o di una sconfitta, al contrario ci assumiamo con orgoglio la responsabilità della nostra azione, difendendo le posizioni ed i valori della Cospirazione delle Cellule di Fuoco alle quale apparteniamo, pianificando nuovi progetti della sovversione, attacchi e sabotaggi.
Pertanto, la repressione non è un fantasma che si eleva sopra di noi, ma la risposta dello Stato alla guerra che gli abbiamo dichiarato. Per questo consideriamo che i nuovi compagni e collaboratori latitanti non devono affrontare il Potere come un nemico onnipotente che sa tutto, piuttosto come una sfida contro la quale si possono lanciare delle nuove ed ancor più dure battaglie. Inoltre, i successi del nemico hanno spesso a che vedere con i nostri stessi errori, ma questo è già un altro discorso e lo lasciamo per il futuro.
In questa maniera la nostra posizione è ben lungi dai complessi della difesa e della paura, la nostra posizione è quella dell’attacco permanente. Ed a quelli che si precipitano a parlare della sconfitta, tenendo a mente i numerosi arresti avvenuti recentemente, noi rispondiamo che il risultato di un avvenimento non può mettere in discussione il contenuto di una scelta. Inoltre, il vero valore della libertà non sta nel conservarla ad ogni costo, ma nel metterla in gioco cercando il meglio, lottando per una vita genuina che è fuori dalle leggi.

3. Che la libertà sia la lima che permetta di fuggire da entrambi i lati del muro
La solidarietà rivoluzionaria è una mappa viva sui cui si registrano i fatti e le opinioni che l’idioma del Dominio vuole metodicamente cancellare dalla memoria, eliminare dalla coscienza ed annullare come se non fossero mai esistiti.
Pur tuttavia, al contempo la solidarietà è una sempre valida proposta delle condotte, delle relazioni e della progettazione dei valori della rivoluzione qui ed ora.
E’ un modo d’esistere collettivo contro la società della solitudine e delle separazioni.

La solidarietà costituisce una larva ardente che fluisce nelle vene di tutti quelli che, ciascuno alla sua maniera, sono contro la propria epoca e contro l’ordine delle cose esistenti. In seguito al suo impeto, diviene evidente un fatto indiscutibile: colui che combatte il Potere non dev’essere un nostro amico, ma si guadagna, naturalmente non la nostra illimitata accettazione, ma certo il nostro cordiale appoggio. Questo ragionamento ispira tutti i nostri attacchi e tutte le azioni che noi che facciamo parte della Cospirazione delle Cellule di Fuoco realizziamo come individualità autonome.
Comunque, è molto importante renderci conto che la solidarietà rivoluzionaria espressa in seguito alla scelta dell’attacco permanente non è nata dall’immaginario di una presunta identificazione con certe idee e pratiche. E questo perché frequentemente la solidarietà resta mal interpretata e viene percepita come un accordo totale tra i prigionieri ed i solidali per quel che concerne la teoria e l’azione.
Al contrario. E’ nata come una risposta ad un permanente dilemma della nostra epoca: o stai con lo Stato o stai con la rivoluzione. Il fatto di riconoscere questo dato di fatto, non significa che nasconderemo le armi della critica o ridimensioniamo il nostro discorso, per divenire più gradevoli a quelli con i quali abbiamo delle discrepanze. La solidarietà senza critica è come una rivoluzione senza azione. Con la critica approfondiamo l’essenza della causa. In questa maniera riconosciamo alcuni punti che abbiamo in comune, ma anche i diversi punti di riferimento che ognuno di noi ha. Ci siamo evoluti nel nostro pensiero, nella nostra pratica e stiamo attenti alle caratteristiche peculiari delle diverse tendenze che costituiscono l’ambito che lotta contro il regime. Anche questa è la bellezza della rivoluzione: non c’è nessuna verità unica, di una sola facciata, nemmeno una tradizione ortodossa che dica quel che è corretto e quel che non lo è.
Al contrario. L’ambito antiautoritario è un mosaico delle negazioni che si connettono, s’intrecciano, entrano in rivalità e si completano l’una con l’altra, ma sempre all’insegna della dialettica. Si tratta della dialettica della solidarietà che non dimentica mai chi è il nemico, chi sono quelli che devastano la nostra esistenza, chi sono quelli che vogliono liberarsi di noi “seppellendoci” nelle tombe del cemento carcerario.

4. Le armi della critica e la critica della “critica”
Dopo questo prisma in diversi periodi ci siamo avvalsi dell’esercizio della critica, in taluni casi anche abbastanza dura, contro i progetti, le altre organizzazioni, le case occupate, certe pratiche e tradizioni di lotta. Tuttavia, sappiamo sempre dove guardiamo con ostilità e verso quale obiettivo rivolgiamo le nostre armi. Non abbiamo mai dimenticato che tra i rivoluzionari ed il nemico c’è una linea divisoria molto netta, precisa e determinata. Continuiamo a credere che all’interno dell’ambito antiautoritario, malgrado i nostri disaccordi, contraddizioni, differenze e tensioni, sono molte più le cose che ci uniscono che quelle che ci dividono. Basta apprendere che la dialettica si basa sulla reciprocità e sull’onestà delle intenzioni e delle motivazioni per la promulgazione della guerra rivoluzionaria, e non in alcune sciocche ambizioni di ascesa personale all’interno delle gerarchie informali dei circoli sovversivi. In questi casi l’unica cosa che ci si merita è la nostra violenta avversione.
A partire da questo punto, noi ci consideriamo parte della tendenza anarco-individualista e nichilista della corrente antiautoritaria, e puntiamo al carattere polimorfico della rivoluzione anarchica. Agendo in pubblico, o con le nostre strutture clandestine, sia come membri prigionieri della Cospirazione, abbiamo l’obiettivo sia d’esercitare la critica che di accettarla. Non abbiamo mai sostenuto di possedere una verità esclusiva ed assoluta sulla rivoluzione, e nemmeno che vogliamo conservarla per noi stessi. Siamo convinti che la genuina espressione dell’autocritica e della critica da parte di una solidarietà rivoluzionaria non possa che contribuire alla causa sovversiva. Le verità dogmatiche “si fanno scendere dalla croce”, si configurano nuovi concetti, si trasferiscono esperienze, si formulano questioni e problemi, si aprono comunicazioni, si arricchiscono accordi e disaccordi, e si compone una nuova prospettiva per ciascuno di noi, nella comunità dei rivoluzionari.

5. Momenti di lotta contro il vento
In questo modo, la solidarietà con ogni sua espressione può essere la ragione per un terreno fertile della dialettica e del dialogo tra i solidali ed i prigionieri. Ma può anche essere la scintilla affinché si ottenga qualcosa in più; in modo che si riesca a trovare una nuova via d’uscita per le azioni coordinate che non si limitino esclusivamente al tema della reclusione. Questione sulla quale torneremo con una nostra successiva presa di posizione.

Seguendo le tracce delle esperienze storiche del passato, c’imbattiamo in alcuni dei più salienti momenti di lotta. Quando i solidali ed i prigionieri hanno appreso gli uni dagli altri, si sono organizzati ed insieme hanno dato il via a dei piani sovversivi contro la reclusione ed il patto del Potere. La solidarietà è un insieme di tutti questi momenti (Uruguay, Inghilterra/Irlanda, Germania, Italia, Spagna, ecc.) in cui i guerriglieri urbani incarcerati e molti altri degni prigionieri, nonostante tutte le loro differenze ed i loro conflitti, si sono collegati ed uniti nel mosaico -pieno di diverse tendenze- di una corrente che lotta contro il regime. Dalle esecuzioni dei rappresentanti del regime e dai sequestri di politici e di imprenditori alle assemblee solidali, e dalle mostre di controinformazione e dagli slogan dipinti sulle mura agli attacchi incendiari e dinamitardi… sono state effettuate decine di evasioni, sul serio e simboliche.
Ed anche oggi una bomba o un ordigno incendiario, con le macerie che ne seguono, sono accompagnati da un messaggio di solidarietà o uno striscione di sostegno, un presidio davanti ad un carcere o una lettera o un testo. I solidali si trasformano così in quei pochi “amici” fedeli che un prigioniero ha al suo fianco nella sua battaglia contro la reclusione.
Queste azioni sono la miglior risposta alla democrazia dei dirigenti, che c’è stata costruita addosso con delle tombe di sbarre e cemento armato. E’ la solidarietà che ci mantiene liberi, anche se imprigionati. L’oblio, al contrario, è una forma di morte per il prigioniero, visto che i giorni non trascorrono come dovrebbero, ma s’impoveriscono, divengono più piccoli e si svuotano di qualsiasi contenuto.
In questo modo, una dimensione critica della solidarietà cessa di essere un processo ripetitivo e poco produttivo, e certamente s’allontana molto dall’umanesimo cristiano che dinanzi al nemico parla il linguaggio della supplica.

E’ da anni che la parte incendiaria dell’anarchia per la gran parte s’è racchiusa in se stessa all’insegna d’una solidarietà auto-referenziale, che dopo le rivendicazioni degli attacchi fatte con una chiamata telefonica ripassava nuovamente lo stereotipo della “libertà per tale compagno”. In questa maniera ciascun caso si personalizza, ed in maniera ineludibile la significativa connessione dell’opzione (incendio, assalto, vandalismo durante un corteo) per cui era stato processato il compagno si separa dalla portata di qualsiasi altra personalità autonoma che voleva scoprire i significati che avrebbe potuto avere in comune con quell’opzione. In questa maniera la solidarietà si trasforma in una causa che ha a che vedere solo con alcuni amici più vicini al prigioniero e funziona secondo “il barometro della simpatia” di cui questo gode.
Consideriamo che durante gli ultimi anni il passaggio dalle opportune azioni offensive alla creazione dei gruppi d’azione diretta e delle infrastrutture organizzate ha liberato la solidarietà incendiaria dai suoi stereotipi ed ha iniziato a produrre un insieme di un discorso con i comunicati, le analisi ed i testi che presentano ciascuna pratica rivoluzionaria clandestina come una proposta aperta a chiunque la voglia conoscere, sia per adattarla, per ripudiarla o soprattutto svilupparla.
Lo stesso accade con alcuni determinati processi assembleari che senza offrire ad ogni compagno prigioniero “il diritto d’asilo” d’un equivocato eroismo, gli offrono la possibilità di parlare egli stesso, sia con delle pubblicazioni o con delle conversazioni telefoniche, permettendo di creare una spazio vivo di dialogo, accordi e differenze.
Perché la scommessa non è quella di creare un vasto movimento di solidarietà che “corra dietro” ai casi di ciascun prigioniero, ma quella di costruire un autentico canale di comunicazione che in termini di significato demolirà le mura che ci separano.
Allo stesso tempo vediamo molto importante aprire la solidarietà ad un livello globale. La proposta aperta di dar vita alla Federazione Anarchica Informale / Fronte Anarchico Internazionale contribuisce proprio a questa prospettiva. E’ una maniera di rompere nella prassi il silenzio e la disinformazione su quel che accade in una lontana “altra parte” e collettivizzare tutti quei momenti d’ogni luogo del mondo che dicono “No” al Potere, che non chinano la testa dinanzi allo Stato, che camminano contro il vento della nostra epoca e progettano tutti quei terreni utopici della terra liberata in cui la guerra rivoluzionaria è cosi necessaria come lo è il sole per la vita…
Viva la Federazione Anarchica Informale/Fronte Rivoluzionario Internazionale
Nulla meno che il tutto
Lotta armata per la rivoluzione

Cospirazione delle Cellule di Fuoco
Olga Ikonomidou
Panagiotis Argyrou
Haris Hadzimihelakis
Giorgos Nikolopoulos
Giorgos Polydoros
Hristos Tsakalos
Gerasimos Tsakalos
Damianos Bolano
Mihalis Nikolopoulos