Il vostro “ordine” e il nostro “disordine”

pietro goriiiiiiiiiiiiii

Pietro Gori

(1896)

 

Tutti, voi l’avrete sentita e letta le mille volte questa calunnia, incosciente spesso ma spesso anche cosciente, con cui l’ideale dell’anarchia viene aggredito da’ suoi nemici, e da quanti o ne temono per i propri privilegi l’ azione guaritrice o son così piccini di cuore e di cervello da non saperne afferrare l’intimo senso, pur così semplice da esser compreso dallo scienziato e dall’analfabeta, a condizione che nel primo la scienza sia avida di sapere e nel secondo l’ignoranza sia veste di cui anela spogliarsi, e che nell’uno e nell’altro desiderio della verità sia accompagnato dalla sete insaziabile di giustizia, di amore, di benessere, di pace e di libertà per tutti.

Questa calunnia, che i dizionari hanno sanzionata, è che anarchia significhi disordine. Fin da quando, nei più remoti templi della civiltà ellenica, le libere città della Grecia furono spogliate del loro diritto e i tiranni misero il pesante piede su Sparta ed Atene, la parola anarchia fu adoperata in senso di scherno e di vituperio per indicare i momenti di interregno, fra la morte di una despota e la nomina o l’ assunzione al trono del suo successore, momenti che l’abitudine della schiavitù faceva forse sembrare di confusione, come se tirannide fosse sinonimo di ordine, come se l’ordine mantenuto dalla frusta fosse preferibile al disordine naturale che nei primi istanti suol seguire la caduta d’una tirannide!

Fautori di disordine, si dice a quanti fanno professione di fede rivoluzionaria. Ma, di grazia, ordine è forse questo che non reggerebbe neppure un giorno se non fosse sostenuto dalla violenza, questo che i governi difendono con tanta brutalità di mezzi polizieschi e militareschi? È ordine forse la società in cui viviamo, nella quale il benessere, anzi l’orgia dell’esistenza è permessa soltanto a pochi privilegiati che non lavorano e che quindi nulla producono, mentre la moltitudine dei lavoratori, condannati alla fatica ed agli stenti, poco o nulla possono godere di tante ricchezze soltanto da essi create? Se ordine fosse, perché la forza delle armi, delle manette, della prepotenza governativa in una parola per mantenerlo?

L’ordine ammirabile della natura ha egli bisogno di altre leggi, all’infuori di quelle rigide ed inviolabili da cui dipende tutta l’esistenza delle cose, e lo sviluppo dei fatti e dei fenomeni? No! Perché questo è l’ordine vero; e le sue leggi sono ubbidite dappertutto senza bisogno di gendarmi, poiché se qualcuno si mette contro di loro trova nella sua disobbedienza il castigo meritato. Provate a ribellarvi alla legge di gravità, ad agire come se essa non fosse; lanciatevi nel vuoto senza altro sostegno e la caduta sarà inevitabile. Appunto per ciò nessuno pensa, all’infuori dei pazzi, di agire in contrasto con le leggi di natura, quelle che veramente sono tali e non, si capisce, le altre che per tali ci vuol gabellare, e non sono, la morale artificiale delle superstizioni religiose.

Qual governante, per esempio, all’infuori e al di sopra delle evoluzioni fatali della forza e della materia, oserebbe e saprebbe mandar poliziotti o far sentire in qualsiasi modo la sua autorità estranea per regolare il roteare dei mondi negli spazi, o il succedersi irrevocabile delle stagioni e degli eventi?

La realtà è invece che i governi esistono oggi, col pretesto di garantire l’ordine, perché questo non è l’ordine vero. Se fosse veramente ordine, ripeto, non avrebbe bisogno di armi e di manette, della violenza autoritaria dell’uomo sull’uomo per reggersi! Tutto all’opposto di ciò che credono i più, l’ordine difeso contro di noi, iconoclasti impenitenti, con tanta profusione di leggi restrittive della libertà e di gendarmi, è il caos legalizzato, la confusione regolamentata, la iniquità codificata, il disordine economico, politico, intellettuale e morale eretto a sistema.

Si dice che le leggi ed i governanti che le eseguiscono, son là a mantenere l’ordine nell’interesse dei deboli contro i forti. Ma chi è che ci crede sul serio? Chi è che non vede che dappertutto avviene tutto il contrario? Ditemi, per esempio, in quale sciopero, in quale conflitto fra capitale e lavoro, le forze del governo hanno seriamente difeso gli operai, che sono i più deboli, contro i loro padroni che sono i più forti? Non solo non l’hanno fatto mai, ma, a sentire ciò che i governanti dicono, essi stan lì, neutrali, a sorvegliare che né gli uni né gli altri escano con la violenza dai limiti della contesa pacifica e civile; come se fosse buona ed onesta neutralità assistere alla lotta di un fanciullo debole e disarmato con un uomo robusto, e impedire che altri corra in aiuto del primo o che il ragazzo adoperi altre armi che non quelle dei suoi poveri muscoli infantili. E ciò nella ipotesi più favorevole e meno corrispondente al vero; giacché, malgrado la loro vantata neutralità nelle lotte fra capitale e lavoro, sempre i governanti intervengono fraudolentemente o apertamente in aiuto del primo contro il secondo, del forte contro il debole.

 

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Lo Stato, il potere esecutivo, quello giudiziario, l’amministrativo, e tutte le ruote grandi e piccole di questo mastodontico meccanismo autoritario, che le anime deboli credono indispensabile, non fanno che comprimere, soffocare, schiacciare ogni libera iniziativa, ogni spontaneo aggruppamento di forze e di volontà, impedire insomma l’ ordine naturale che risulterebbe dal libero giuoco delle energie sociali, per mantenere l’ordine artificiale disordine in sostanza della gerarchia autoritaria assoggettata al loro continuo e vigile controllo. Ben definisce lo Stato Giovanni Bovio:

«…oppressura dentro e guerra fuori. Sotto specie di essere l’organo della sicurezza pubblica è, per necessità, spogliatore e violento; e col pretesto di custodire la pace tra’ cittadini e tra le parti, è provocatore di guerre vicine e lontane. Chiama bontà l’obbedienza, ordine il silenzio, espansione l’eccidio, civiltà la simulazione. Esso è, come le Chiese, figlio della comune ignoranza e della debolezza de’ più. Agli uomini adulti si manifesta qual è: il nemico maggiore dell’uomo dalla nascita alla morte. Qualunque danno possa agli uomini derivare dall’anarchia, sarà sempre minore del peso dello Stato sul collo».

I governanti fanno credere, e il pregiudizio è antico, che il governo sia strumento di civiltà e di progresso per un popolo. Ma, per chi bene osservi, la verità invece è che tutto il movimento in avanti dell’umanità è dovuto allo sforzo dei singoli individui, della iniziativa anonima delle folle, dell’azione diretta del popolo. Il mondo ha camminato sempre fin qui non con l’aiuto dei governi, ma loro malgrado, e trovando in essi l’ostacolo continuo diretto ed indiretto al suo fatale andare. Quante volte i più gloriosi rinnovatori nella scienza, nell’arte, nella politica non si trovarono sbarrato il cammino, oltre che dai pregiudizi e dall’ignoranza delle masse, anche e soprattutto dai bavagli e dalle persecuzioni governative?

Quando il potere legislativo ed il governo accettano e soddisfano sotto forma di legge o di decreto qualche nuova domanda sorta dalla coscienza pubblica, ciò è sempre in seguito a reclami innumerevoli, ad agitazioni straordinarie, a sacrifici non indifferenti del popolo. E quando i governanti si sono decisi a dire di sì, a riconoscere un diritto nei loro sudditi, e mutilato ed irriconoscibile, lo promulgano nelle carte, nei codici, quasi sempre quel diritto è già sorpassato, l’idea è già vecchia, il bisogno pubblico di quella tal cosa non è più sentito; e la nuova legge serve allora a reprimere altri bisogni più urgenti che si affacciano, che devono attendere di essere sterilizzati, ipertrofici, prima di essere riconosciuti da una legge successiva. Chi ha studiato e osservato con passione i parti curiosi e bizzarri del genio legislativo, le leggi passate e le presenti, resta sorpreso dalla frode sottile che riesce a gabellare per diritto il privilegio, per ordine il brigantaggio collettivo, per eroismo il fratricidio della guerra, per ragione di stato la conculcazione dei diritti e degli interessi popolari, per protezione degli onesti la vendetta giudiziaria contro i delinquenti che, come dice il Quetelet, non sono che gli strumenti e le vittime nel tempo stesso delle mostruosità sociali. Ora, noi che tutti questi mali, causa ed effetto insieme di tanta infamia e di tanti dolori, vogliamo combattere per abbattere tutto ciò che ostacola il trionfo della giustizia, noi siamo chiamati fautori del disordine.

Certo, proprietà, stato, famiglia, religione sono istituzioni di cui alcune meritano il piccone demolitore, altre aspettano il soffio purificatore che le faccia rivivere sotto altra forma più logica ed umana. Ma ciò potrà dirsi sul serio passaggio dall’ordine al disordine? E chi non desidererebbe allora, se si desse un così contrario significato alle parole, il trionfo del disordine? Ma se le parole conservano il loro significato, non gli anarchici possono essere chiamati amici del disordine; e ciò neppure se lo si vuol considerare dal solo punto di vista di rivoluzionari. In questo periodo storico di sfacimento e di transizione, fra una società che muore ed una che nasce, gli odierni rivoluzionari sono veri elementi di ordine. Essi hanno negli occhi fosforescenti la visione delle idealità sublimi che fanno palpitare il cuore dell’umanità, che l’avviano sull’infinito ascendente cammino della storia.

Dopo il rombo del tuono, torna sul capo degli uomini il bel cielo luminoso e sereno; dopo la vasta tempesta che purifichi l’aere pestifero, questi militi dell’avvenire sognano le primavere fulgenti della famiglia umana, soddisfatta nella uguaglianza, e ingentilita dalla solidarietà e dalla pace dei cuori.

 

Note

Questo testo è estratto da una conferenza tenuta da Pietro Gori nella “Bersaglieri Hall” di San Francisco. L’autore affronta in maniera passionale ma anche lucida il mito calunnioso dell’anarchia come disordine e mostra come il vero originatore del disordine sociale sia lo stato con tutto il suo apparato di repressione della libertà e di concessione di privilegi.