Giovedì 30 gennaio ore 17.30
Ateneo di Lecce, piano interrato
presentazione del dossier no tap
Giovedì 30 gennaio ore 17.30
Ateneo di Lecce, piano interrato
presentazione del dossier no tap
Dall’altra parte: contro il gasdotto tap e i suoi sostenitori
Dossier contro il gasdotto Trans Adriatic Pipeline
Per richiesta copie: Circolo anarchico, via Massaglia 62/b
73100 Lecce
Introduzione
Questo è un dossier che intende spingere alla lotta.
È un punto fermo che, i pochi lettori attenti che troverà, dovranno tenere sempre presente. La realizzazione di questo opuscolo mira esclusivamente a stimolare una opposizione e una lotta tese a contrastare l’ennesima nocività che si intende far passare, impunemente, sulle nostre teste.
Altro aspetto importante da chiarire è che non abbiamo pretese di obiettività; non aspiriamo quindi ad essere imparziali e a fornire indicazioni e informazioni oggettive. Al contrario, questo è un opuscolo assolutamente di parte, voluto e realizzato da alcuni individui che, trovatisi di fronte all’imposizione di un gasdotto da realizzare nel territorio in cui vivono, si sono schierati dall’altra parte rispetto a tutti coloro che quell’opera vogliono realizzare: che si tratti di una joint-venture di imprese multinazionali che risponde al nome di TAP (Trans Adriatic Pipeline) come di partiti che sostengono la necessità di tale progetto; che siano persone fisiche che intendano indorare la pillola – quali professori universitari, giornalisti, esperti ed imprenditori di turno – oppure astratti “interessi superiori” ad ogni singola persona, quali le necessità energetiche dell’intera Unione Europea. E se la nostra assoluta parzialità la rivendichiamo con orgoglio, è bene far luce da subito sul fatto che, chi agisce in senso opposto al nostro, sotto la tanto sbandierata oggettività, imparzialità e democraticità delle proprie scelte, tenta di celare i propri interessi, che sono gli interessi di un capitalismo transnazionale e di un’economia globalizzata che non possono coincidere con quelli della gente comune, ma sono finalizzati al profitto di pochi a discapito dei moltissimi. Sono interessi che, nel nome dell’accaparramento e del controllo di nuove fonti di energia in giro per il mondo, lasciano dietro di loro una lunga scia di sangue, di sfruttamento, di sottomissione e di controllo, se è vero – e a guardar bene ciò è innegabile – che nel loro nome si combattono la maggior parte delle guerre odierne, siano esse palesi – con interventi militari mascherati da “missioni umanitarie” o “operazioni di polizia internazionale” – o meno, garantendosi aree di influenza geografica e politica.
È un punto fermo che, i pochi lettori attenti che troverà, dovranno tenere sempre presente. La realizzazione di questo opuscolo mira esclusivamente a stimolare una opposizione e una lotta tese a contrastare l’ennesima nocività che si intende far passare, impunemente, sulle nostre teste.
Altro aspetto importante da chiarire è che non abbiamo pretese di obiettività; non aspiriamo quindi ad essere imparziali e a fornire indicazioni e informazioni oggettive. Al contrario, questo è un opuscolo assolutamente di parte, voluto e realizzato da alcuni individui che, trovatisi di fronte all’imposizione di un gasdotto da realizzare nel territorio in cui vivono, si sono schierati dall’altra parte rispetto a tutti coloro che quell’opera vogliono realizzare: che si tratti di una joint-venture di imprese multinazionali che risponde al nome di TAP (Trans Adriatic Pipeline) come di partiti che sostengono la necessità di tale progetto; che siano persone fisiche che intendano indorare la pillola – quali professori universitari, giornalisti, esperti ed imprenditori di turno – oppure astratti “interessi superiori” ad ogni singola persona, quali le necessità energetiche dell’intera Unione Europea. E se la nostra assoluta parzialità la rivendichiamo con orgoglio, è bene far luce da subito sul fatto che, chi agisce in senso opposto al nostro, sotto la tanto sbandierata oggettività, imparzialità e democraticità delle proprie scelte, tenta di celare i propri interessi, che sono gli interessi di un capitalismo transnazionale e di un’economia globalizzata che non possono coincidere con quelli della gente comune, ma sono finalizzati al profitto di pochi a discapito dei moltissimi. Sono interessi che, nel nome dell’accaparramento e del controllo di nuove fonti di energia in giro per il mondo, lasciano dietro di loro una lunga scia di sangue, di sfruttamento, di sottomissione e di controllo, se è vero – e a guardar bene ciò è innegabile – che nel loro nome si combattono la maggior parte delle guerre odierne, siano esse palesi – con interventi militari mascherati da “missioni umanitarie” o “operazioni di polizia internazionale” – o meno, garantendosi aree di influenza geografica e politica.
Puglia: servitù di passaggio e terra di accumulazione di fonti energetiche
Trovandoci a discutere del progetto del gasdotto TAP e delle modalità da porre in campo per provare a contrastarne la realizzazione, ci siamo chiesti – tra l’altro – i motivi per cui la Puglia si trovi ad essere utilizzata come servitù di passaggio e accumulazione di fonti energetiche. Una domanda, questa, che chiunque abbia l’accortezza di guardarsi attorno dovrebbe porsi, se solo prestasse attenzione alle enormi distese di pannelli solari che hanno soppiantato i campi agricoli e alle torri eoliche che hanno modificato l’orizzonte e il nostro modo di guardare, cambiando quindi la relazione sociale che intercorre tra i nostri sensi e il modo di percepire l’ambiente circostante.
La posizione geografica della regione ha senz’altro contribuito a creare queste condizioni, così come accaduto anche altrove. Per esempio, tutte le regioni meridionali sono state colonizzate dal fotovoltaico, un po’ per ragioni ovvie, quali il fatto che le giornate e la quantità di sole che si riesce a sfruttare sono maggiori rispetto ad altre zone d’Italia, ma non solo. La Puglia, insieme alla Sicilia, sono regioni che nello scacchiere europeo occupano posizioni di rilievo, essendo le zone più periferiche che si aprono verso nuovi mercati – energetici e non – e verso aree del mondo non ancora “pacificate” secondo quelli che sono i parametri occidentali. Appropriarsi e sfruttare le loro fonti energetiche è un buon modo per imporre la propria egemonia. Non è un caso che in Sicilia arrivino gasdotti provenienti da giacimenti nordafricani e in Puglia sia previsto l’approdo di uno – TAP appunto – proveniente dal Mar Caspio e da una ex repubblica sovietica. E non basta, perché TAP è solo uno dei gasdotti che potrebbero approdare in Puglia, essendone previsto un altro a Otranto (IGI Poseidon, sempre proveniente dal Mar Caspio) ed un altro ancora da Israele, chiamato East Med. Questi per adesso.
Un altro buon motivo per puntare sulla Puglia è senz’altro quello del ricatto economico che, nel Mezzogiorno depresso, è certo un buon incentivo per molti. Svendere i propri terreni per la durata di vent’anni, per esempio, rendendoli sterili e guadagnando una parte infima rispetto ai profitti di chi lo gestirà, è scrupolo che non turba i sogni di molti. E siccome ad impiantare i pannelli sono per lo più immigrati schiavizzati e spesso non retribuiti, come negli anni si è dolorosamente constatato, e che gli altri posti di lavoro sono quasi esclusivamente quelli legati al controllo degli impianti ad opera di istituiti di vigilanza (e talvolta al loro furto, ma questo non è ponderato nella voce “posti di lavoro” nelle statistiche…), furbescamente gli imprenditori hanno capito che questo era un tasto su cui battere. L’ex presidente di Confindustria, Marcegaglia, per esempio, ha impiantato a Taranto l’azienda per produrre i pannelli solari, così come la multinazionale danese Vestas ha fatto per l’eolico ma ora, ad alcuni anni di distanza, con la chiusura di questi impianti, la maschera del ricatto occupazionale sta cadendo definitivamente. TAP sta giocando, paradossalmente, proprio la stessa carta per cercare di farsi accettare, parlando di un numero imprecisato di posti di lavoro da offrire ad aziende o persone locali, sia in fase di costruzione del gasdotto che di gestione della futura centrale di depressurizzazione del gas. A parte la fumosità, interessata, dei dati forniti da TAP riguardo al numero delle ipotetiche unità lavorative, non viene chiarito che per realizzare e gestire una simile opera sono richieste figure professionali di altissima specializzazione, e non certo dei comuni disoccupati; si tratterà, nella pratica, non solo di figure che non risentono certo di disoccupazione e crisi economiche, ma di individui che per percorso di studi, specializzazione e ruolo sociale, impongono una tecnicizzazione della vita che ci rende sempre più succubi dei pochi che, appunto, ne detengono le conoscenze, e dell’idea di sviluppo e di progresso di cui sono portatori.
Un altro amo lanciato per abbindolare gli allocchi è quello del risparmio economico che ne deriverebbe sulla bolletta del gas ma, a parte la spudorata menzogna, perché il metano è destinato al mercato europeo, se anche fosse, saremmo disposti a chiudere gli occhi in cambio delle briciole che ci lasciano cadere dal loro ricco banchetto? Cedere se stessi, le proprie vite e i territori a chi crede che tutto possa essere comprato, è solo la più abietta forma di prostituzione.
La posizione geografica della regione ha senz’altro contribuito a creare queste condizioni, così come accaduto anche altrove. Per esempio, tutte le regioni meridionali sono state colonizzate dal fotovoltaico, un po’ per ragioni ovvie, quali il fatto che le giornate e la quantità di sole che si riesce a sfruttare sono maggiori rispetto ad altre zone d’Italia, ma non solo. La Puglia, insieme alla Sicilia, sono regioni che nello scacchiere europeo occupano posizioni di rilievo, essendo le zone più periferiche che si aprono verso nuovi mercati – energetici e non – e verso aree del mondo non ancora “pacificate” secondo quelli che sono i parametri occidentali. Appropriarsi e sfruttare le loro fonti energetiche è un buon modo per imporre la propria egemonia. Non è un caso che in Sicilia arrivino gasdotti provenienti da giacimenti nordafricani e in Puglia sia previsto l’approdo di uno – TAP appunto – proveniente dal Mar Caspio e da una ex repubblica sovietica. E non basta, perché TAP è solo uno dei gasdotti che potrebbero approdare in Puglia, essendone previsto un altro a Otranto (IGI Poseidon, sempre proveniente dal Mar Caspio) ed un altro ancora da Israele, chiamato East Med. Questi per adesso.
Un altro buon motivo per puntare sulla Puglia è senz’altro quello del ricatto economico che, nel Mezzogiorno depresso, è certo un buon incentivo per molti. Svendere i propri terreni per la durata di vent’anni, per esempio, rendendoli sterili e guadagnando una parte infima rispetto ai profitti di chi lo gestirà, è scrupolo che non turba i sogni di molti. E siccome ad impiantare i pannelli sono per lo più immigrati schiavizzati e spesso non retribuiti, come negli anni si è dolorosamente constatato, e che gli altri posti di lavoro sono quasi esclusivamente quelli legati al controllo degli impianti ad opera di istituiti di vigilanza (e talvolta al loro furto, ma questo non è ponderato nella voce “posti di lavoro” nelle statistiche…), furbescamente gli imprenditori hanno capito che questo era un tasto su cui battere. L’ex presidente di Confindustria, Marcegaglia, per esempio, ha impiantato a Taranto l’azienda per produrre i pannelli solari, così come la multinazionale danese Vestas ha fatto per l’eolico ma ora, ad alcuni anni di distanza, con la chiusura di questi impianti, la maschera del ricatto occupazionale sta cadendo definitivamente. TAP sta giocando, paradossalmente, proprio la stessa carta per cercare di farsi accettare, parlando di un numero imprecisato di posti di lavoro da offrire ad aziende o persone locali, sia in fase di costruzione del gasdotto che di gestione della futura centrale di depressurizzazione del gas. A parte la fumosità, interessata, dei dati forniti da TAP riguardo al numero delle ipotetiche unità lavorative, non viene chiarito che per realizzare e gestire una simile opera sono richieste figure professionali di altissima specializzazione, e non certo dei comuni disoccupati; si tratterà, nella pratica, non solo di figure che non risentono certo di disoccupazione e crisi economiche, ma di individui che per percorso di studi, specializzazione e ruolo sociale, impongono una tecnicizzazione della vita che ci rende sempre più succubi dei pochi che, appunto, ne detengono le conoscenze, e dell’idea di sviluppo e di progresso di cui sono portatori.
Un altro amo lanciato per abbindolare gli allocchi è quello del risparmio economico che ne deriverebbe sulla bolletta del gas ma, a parte la spudorata menzogna, perché il metano è destinato al mercato europeo, se anche fosse, saremmo disposti a chiudere gli occhi in cambio delle briciole che ci lasciano cadere dal loro ricco banchetto? Cedere se stessi, le proprie vite e i territori a chi crede che tutto possa essere comprato, è solo la più abietta forma di prostituzione.
Accanto al ricatto salariale, è possibile che i vari specialisti che indagano il tessuto sociale abbiano identificato nella popolazione pugliese, e salentina in particolare, una notevole dose di rassegnazione e fatalismo, effettivamente presente – purtroppo – in buona parte di essa. Da troppo tempo abituata ad una gestione clientelare della vita, per cui ci si rivolge al famoso “santo in paradiso” per ottenere qualunque cosa, decenni di pacificazione sociale hanno intorpidito le menti e sclerotizzato i cuori di molti, incapaci di pensare che lottando, e non mendicando, sia possibile ottenere quanto si vuole. Non riuscire a percepire come un nemico chi voglia imporre le proprie scelte sulla propria testa o credere che sia troppo grosso per poterlo combattere, è una mentalità che porta inevitabilmente alla rassegnazione o alla delega, pensando che altri – e non noi in prima persona – possano tutelare le nostre vite meglio di noi stessi.
La sciagura di avere un Governatore considerato persona sensibile e che vanta tra il nome del suo partito la parola “ecologia”, ha anch’essa incrementato l’accumulo di nocività energetiche in Puglia. Il fatto che alcune fonti di energia – quali appunto eolico e solare – vengano considerate “rinnovabili”, ha permesso la loro proliferazione ben al di là di quelle che potevano essere le esigenze private dei singoli, trasformando la regione in una fabbrica di produzione ed accumulazione di energia e, per conseguenza, in una riserva di sfruttamento a disposizione di qualunque industria. Col metano che TAP intende far approdare a San Foca accadrà lo stesso, se pensiamo che anche questo tipo di gas viene considerato una “energia pulita”. Bisogna infatti subito sciogliere un equivoco alimentato ad arte dai sostenitori del gasdotto, perché il gas che trasporterà non servirà certo ad accendere le poche lampadine a risparmio energetico che abbiamo in casa, né potrà sostituire altre fonti energetiche considerate più dannose – quali il carbone utilizzato nella centrale di Cerano – ma, semplicemente, andrà ad affiancare tutto ciò che già è presente; in pratica, servirà solo alle fabbriche per incrementare le loro produzioni di merci inutili che ci rendono sempre più dipendenti da “beni” di cui, fino al giorno prima, non avevamo bisogno, alimentando nuove forme di nocività in una spirale senza ritorno né vie d’uscita. Basti pensare alla MAT, un elettrodotto ad altissima tensione in costruzione in Spagna, che ha lo scopo di trasportare l’energia prodotta in eccesso in varie zone d’Europa, contro la quale si è sviluppata una forte opposizione, in quanto portatrice di nuove nocività e malattie.
Alla luce di tutto ciò, si capisce come la Puglia, e il Salento con essa, sia sottoposta ad una vera e propria opera di colonialismo energetico perché, se le parole hanno ancora un senso, il colonialismo altro non è che una politica di dominio imposta da alcune potenze a danno di un determinato territorio e popolazione.
La sciagura di avere un Governatore considerato persona sensibile e che vanta tra il nome del suo partito la parola “ecologia”, ha anch’essa incrementato l’accumulo di nocività energetiche in Puglia. Il fatto che alcune fonti di energia – quali appunto eolico e solare – vengano considerate “rinnovabili”, ha permesso la loro proliferazione ben al di là di quelle che potevano essere le esigenze private dei singoli, trasformando la regione in una fabbrica di produzione ed accumulazione di energia e, per conseguenza, in una riserva di sfruttamento a disposizione di qualunque industria. Col metano che TAP intende far approdare a San Foca accadrà lo stesso, se pensiamo che anche questo tipo di gas viene considerato una “energia pulita”. Bisogna infatti subito sciogliere un equivoco alimentato ad arte dai sostenitori del gasdotto, perché il gas che trasporterà non servirà certo ad accendere le poche lampadine a risparmio energetico che abbiamo in casa, né potrà sostituire altre fonti energetiche considerate più dannose – quali il carbone utilizzato nella centrale di Cerano – ma, semplicemente, andrà ad affiancare tutto ciò che già è presente; in pratica, servirà solo alle fabbriche per incrementare le loro produzioni di merci inutili che ci rendono sempre più dipendenti da “beni” di cui, fino al giorno prima, non avevamo bisogno, alimentando nuove forme di nocività in una spirale senza ritorno né vie d’uscita. Basti pensare alla MAT, un elettrodotto ad altissima tensione in costruzione in Spagna, che ha lo scopo di trasportare l’energia prodotta in eccesso in varie zone d’Europa, contro la quale si è sviluppata una forte opposizione, in quanto portatrice di nuove nocività e malattie.
Alla luce di tutto ciò, si capisce come la Puglia, e il Salento con essa, sia sottoposta ad una vera e propria opera di colonialismo energetico perché, se le parole hanno ancora un senso, il colonialismo altro non è che una politica di dominio imposta da alcune potenze a danno di un determinato territorio e popolazione.
Perché siamo contro il gasdotto TAP
Il gasdotto che si vuole realizzare è una nocività. Lo consideriamo tale anche a prescindere da tutte le singole caratteristiche che si possono analizzare, come faremo, quale per esempio l’inquinamento che esso causerà. Nel senso che, se anche i suoi difensori potessero mai dimostrare – e non possono farlo – che quest’opera è assolutamente non inquinante, essa resterebbe pur sempre una nocività in virtù dell’idea che la sorregge, nel senso che è già di per sé un pensiero nocivo credere giusto costruire un’opera mastodontica, attraversando territori di ogni tipo per quasi 900 km, per trasportare gas e produrre energia di cui non esiste nessun bisogno, se non quello economico di pochi profittatori.
Per quanto provino ad affermare il contrario, il gasdotto è certamente un’opera inquinante, da quando nasce nel mar Caspio fino al suo ipotizzato arrivo nel Salento e non può essere diversamente, a prescindere dai dati tecnici forniti dalla multinazionale che intende realizzarlo. È infatti impossibile il contrario, sia perché perforare il suolo in profondità, tagliarlo per mare e per terra per centinaia di km comporta inevitabilmente inquinamento, compreso quello dei mezzi che lavorano per anni per realizzare l’opera, nonché quello causato dalle perdite di gas – nei mari, nel sottosuolo e in aria – che, seppure in percentuali minime, è ammesso dalla stessa TAP. Per non parlare, una volta sbarcato nel Salento, della centrale di depressurizzazione che andrebbe ad occupare un’area di 12 ettari e rilascerebbe comunque emissioni inquinanti, tanto che è stabilita una fascia di sicurezza attorno ad essa. A guardar bene, l’appropriazione di larghe fasce di territorio ad opera di una multinazionale non è da considerarsi anch’essa una forma di inquinamento, ambientale e sociale?
Il fatto è che, quando ci si trova di fronte ad interessi miliardari, tutto ciò non viene preso in considerazione; l’opera va imposta sulla testa di una popolazione che, secondo gli studi di chi vuole imporla, va considerata – testualmente – come una “variabile non significativa”. Ecco, questa imposizione e questo essere considerati variabili e per di più non significative, dovrebbero da sole essere sufficienti a spingerci ad opporci a coloro che, con affermazioni simili, si manifestano per ciò che realmente sono: dei colonizzatori pronti a tutto pur di affermare i loro interessi. Dimostrare che siamo individui vivi, pensanti e significativi, con una dignità da difendere, mostrando loro tutta la nostra più viscerale ostilità, sarebbe davvero il minimo per non sentirsi sviliti e sconfitti nelle proprie vite e incapaci di fronte ai potenti e prepotenti di turno.
Qualora dovessimo decidere di farlo, c’è un aspetto che non possiamo ignorare. Da sempre, i potenti sono difesi da chi tutela le loro persone ed i loro interessi: lo Stato, che lo fa per mezzo del suo braccio armato, ovvero eserciti e polizie. Uno degli aspetti da considerare quando si costruiscono grandi opere è, infatti, l’inevitabile incremento di repressione e militarizzazione dei territori coinvolti. Si tratta, in pratica, di un pezzo di mondo in guerra che viene a trovarci nel giardino di casa nostra. Si badi che questa non è una esercitazione retorica del linguaggio, ma un dato di fatto reale. Se volgiamo lo sguardo a quanto avviene nel territorio in cui si sta realizzando un’altra grande opera in Italia – e cioè la Val di Susa – vedremo come i militari e i mezzi impiegati nel controllo del territorio siano gli stessi che fanno rientro dall’Afghanistan. Insomma, i padroni del vapore ci fanno la guerra quotidianamente: è faccenda da tenere in considerazione nel valutare le risposte che vogliamo dare.
A tal proposito, esiste un aspetto che proprio non riusciamo a comprendere e che ci sembra surreale e grottesco: se nell’imporre un’opera, a tutela dei colonizzatori di turno c’è lo Stato, come dimostrato, come può ritenersi pensabile che, rivolgendosi a pezzi di quello stesso Stato questi possano essere dalla nostra parte ed andare contro se stessi? Una risposta difficile da fornire…
Insomma, chi davvero intendesse giocare la partita contro il gasdotto, dovrà tenere in conto che opporsi ad esso significherà anche, necessariamente, opporsi allo Stato e all’intero sistema economico e sociale. Possiamo infatti affermare che la realizzazione di quest’opera è assolutamente rappresentativa del sistema in cui viviamo o, per meglio dire, che ci governa. Esattamente come per l’energia che dovrebbe produrre, l’intero sistema economico è fondato su un meccanismo di cui non abbiamo bisogno, ma a cui non possiamo sottrarci, ovvero su una produzione sempre maggiore di merci e di beni – materiali ed immateriali – fondamentalmente inutili ma che ci sono resi necessari con l’induzione coatta di necessità fittizie. Tutto ciò ha contribuito a creare una società sempre più energivora, in cui la quantità di energia richiesta per mandarla avanti, sempre più veloce verso il baratro, è destinata a non diminuire mai, e in cui questa energia viene sperperata nell’inutile tentativo di produrne ulteriormente, accompagnando ad essa la creazione di nuove fonti di morte e di nocività. Basti pensare a quanto avviene con una qualunque centrale nucleare o – per restare vicino a noi – all’Ilva, che spreca quantità enormi di acqua ed energia per produrre cancro e tubi in acciaio, magari proprio quelli che saranno utilizzati nella costruzione del TAP…
Appare chiaro, quindi, che l’opposizione al gasdotto che si vuole far approdare a San Foca deve accompagnarsi ad una concezione della lotta più generale, e non per difendere il proprio orticello a discapito di quello del vicino, magari considerato già compromesso; si pensi all’ipotesi, più volte e da più parti ventilata, di spostarne il terminale a Brindisi. La logica che ci accompagna non deve essere quella localistica del “padroni a casa nostra”, bensì quella solidale del NO al gasdotto né qui né altrove, perché una nocività impiantata lontano da casa nostra resta pur sempre una nocività che danneggia qualcun altro, un altro in cui bisogna necessariamente identificarsi e riconoscersi, in quanto vittima delle stesse logiche di profitto che danneggerebbero noi ed il Salento.
Per quanto provino ad affermare il contrario, il gasdotto è certamente un’opera inquinante, da quando nasce nel mar Caspio fino al suo ipotizzato arrivo nel Salento e non può essere diversamente, a prescindere dai dati tecnici forniti dalla multinazionale che intende realizzarlo. È infatti impossibile il contrario, sia perché perforare il suolo in profondità, tagliarlo per mare e per terra per centinaia di km comporta inevitabilmente inquinamento, compreso quello dei mezzi che lavorano per anni per realizzare l’opera, nonché quello causato dalle perdite di gas – nei mari, nel sottosuolo e in aria – che, seppure in percentuali minime, è ammesso dalla stessa TAP. Per non parlare, una volta sbarcato nel Salento, della centrale di depressurizzazione che andrebbe ad occupare un’area di 12 ettari e rilascerebbe comunque emissioni inquinanti, tanto che è stabilita una fascia di sicurezza attorno ad essa. A guardar bene, l’appropriazione di larghe fasce di territorio ad opera di una multinazionale non è da considerarsi anch’essa una forma di inquinamento, ambientale e sociale?
Il fatto è che, quando ci si trova di fronte ad interessi miliardari, tutto ciò non viene preso in considerazione; l’opera va imposta sulla testa di una popolazione che, secondo gli studi di chi vuole imporla, va considerata – testualmente – come una “variabile non significativa”. Ecco, questa imposizione e questo essere considerati variabili e per di più non significative, dovrebbero da sole essere sufficienti a spingerci ad opporci a coloro che, con affermazioni simili, si manifestano per ciò che realmente sono: dei colonizzatori pronti a tutto pur di affermare i loro interessi. Dimostrare che siamo individui vivi, pensanti e significativi, con una dignità da difendere, mostrando loro tutta la nostra più viscerale ostilità, sarebbe davvero il minimo per non sentirsi sviliti e sconfitti nelle proprie vite e incapaci di fronte ai potenti e prepotenti di turno.
Qualora dovessimo decidere di farlo, c’è un aspetto che non possiamo ignorare. Da sempre, i potenti sono difesi da chi tutela le loro persone ed i loro interessi: lo Stato, che lo fa per mezzo del suo braccio armato, ovvero eserciti e polizie. Uno degli aspetti da considerare quando si costruiscono grandi opere è, infatti, l’inevitabile incremento di repressione e militarizzazione dei territori coinvolti. Si tratta, in pratica, di un pezzo di mondo in guerra che viene a trovarci nel giardino di casa nostra. Si badi che questa non è una esercitazione retorica del linguaggio, ma un dato di fatto reale. Se volgiamo lo sguardo a quanto avviene nel territorio in cui si sta realizzando un’altra grande opera in Italia – e cioè la Val di Susa – vedremo come i militari e i mezzi impiegati nel controllo del territorio siano gli stessi che fanno rientro dall’Afghanistan. Insomma, i padroni del vapore ci fanno la guerra quotidianamente: è faccenda da tenere in considerazione nel valutare le risposte che vogliamo dare.
A tal proposito, esiste un aspetto che proprio non riusciamo a comprendere e che ci sembra surreale e grottesco: se nell’imporre un’opera, a tutela dei colonizzatori di turno c’è lo Stato, come dimostrato, come può ritenersi pensabile che, rivolgendosi a pezzi di quello stesso Stato questi possano essere dalla nostra parte ed andare contro se stessi? Una risposta difficile da fornire…
Insomma, chi davvero intendesse giocare la partita contro il gasdotto, dovrà tenere in conto che opporsi ad esso significherà anche, necessariamente, opporsi allo Stato e all’intero sistema economico e sociale. Possiamo infatti affermare che la realizzazione di quest’opera è assolutamente rappresentativa del sistema in cui viviamo o, per meglio dire, che ci governa. Esattamente come per l’energia che dovrebbe produrre, l’intero sistema economico è fondato su un meccanismo di cui non abbiamo bisogno, ma a cui non possiamo sottrarci, ovvero su una produzione sempre maggiore di merci e di beni – materiali ed immateriali – fondamentalmente inutili ma che ci sono resi necessari con l’induzione coatta di necessità fittizie. Tutto ciò ha contribuito a creare una società sempre più energivora, in cui la quantità di energia richiesta per mandarla avanti, sempre più veloce verso il baratro, è destinata a non diminuire mai, e in cui questa energia viene sperperata nell’inutile tentativo di produrne ulteriormente, accompagnando ad essa la creazione di nuove fonti di morte e di nocività. Basti pensare a quanto avviene con una qualunque centrale nucleare o – per restare vicino a noi – all’Ilva, che spreca quantità enormi di acqua ed energia per produrre cancro e tubi in acciaio, magari proprio quelli che saranno utilizzati nella costruzione del TAP…
Appare chiaro, quindi, che l’opposizione al gasdotto che si vuole far approdare a San Foca deve accompagnarsi ad una concezione della lotta più generale, e non per difendere il proprio orticello a discapito di quello del vicino, magari considerato già compromesso; si pensi all’ipotesi, più volte e da più parti ventilata, di spostarne il terminale a Brindisi. La logica che ci accompagna non deve essere quella localistica del “padroni a casa nostra”, bensì quella solidale del NO al gasdotto né qui né altrove, perché una nocività impiantata lontano da casa nostra resta pur sempre una nocività che danneggia qualcun altro, un altro in cui bisogna necessariamente identificarsi e riconoscersi, in quanto vittima delle stesse logiche di profitto che danneggerebbero noi ed il Salento.
Corsa al gas e accaparramento di fonti energetiche: su alcuni possibili motivi
A parte produrre merci, che scopo ha l’accaparramento e l’accumulazione di gas e fonti energetiche? Alla luce della folle corsa intrapresa, ci sembra una domanda di non poco conto.
Il motivo più banale che viene in mente, è quello di garantire standard di vita e comodità ormai irrinunciabili per chi vive nel mondo occidentale, contro le legittime aspirazioni di coloro che vivono nei cosiddetti paesi in via di sviluppo. Il metano, per esempio, serve anche ad alimentare riscaldamento e mobilità e la sua richiesta aumenta in maniera proporzionale alla diminuzione di riserve di petrolio e conseguente aumento del suo prezzo. Lo stesso mercato auto-mobilistico legato al metano è in costante crescita, così come gli utili ad esso correlati.
Ma oltre alle comodità ed al profitto economico legato a qualche particolare settore dell’industria, ancora più importante ci pare essere quello legato ad un tornaconto di tipo politico; negli scenari dei prossimi anni, infatti, con l’assottigliarsi sempre di più delle fonti di energia, fossile in particolare, chi ne avrà a disposizione di più potrà tenere in scacco e in condizioni di ricattabilità altre aree del mondo ed altre popolazioni, con tutto ciò che ne deriva in termini di Potere. Un Potere a cui, accettando di far arrivare il gasdotto nel Salento, ci si sottomette sempre più, contrariamente a quanto si è soliti credere. Se la falsa ipotesi di una diminuzione delle bollette porta infatti molti a vedere nel TAP una possibilità, cosa accadrà quando tutti saranno dipendenti dal gas e chi lo gestisce potrà praticare i prezzi che vuole, non essendo noi più in grado di pensare e garantirci alternative, per esempio per cucinare e scaldarci? Ed ancora, cosa succederebbe se, chi ha la mano sui rubinetti del gas, ad un certo punto decidesse di chiuderli per un motivo qualunque, per esempio per venderlo a più caro prezzo ad un altro acquirente più danaroso o per costringerci a cedere da una protesta o una rivolta?
Ipotesi che possono apparire fantascientifiche, ma su cui forse sarebbe necessario riflettere. Perché, come spesso si è visto, la fantascienza è un passo indietro alla realtà.
Il motivo più banale che viene in mente, è quello di garantire standard di vita e comodità ormai irrinunciabili per chi vive nel mondo occidentale, contro le legittime aspirazioni di coloro che vivono nei cosiddetti paesi in via di sviluppo. Il metano, per esempio, serve anche ad alimentare riscaldamento e mobilità e la sua richiesta aumenta in maniera proporzionale alla diminuzione di riserve di petrolio e conseguente aumento del suo prezzo. Lo stesso mercato auto-mobilistico legato al metano è in costante crescita, così come gli utili ad esso correlati.
Ma oltre alle comodità ed al profitto economico legato a qualche particolare settore dell’industria, ancora più importante ci pare essere quello legato ad un tornaconto di tipo politico; negli scenari dei prossimi anni, infatti, con l’assottigliarsi sempre di più delle fonti di energia, fossile in particolare, chi ne avrà a disposizione di più potrà tenere in scacco e in condizioni di ricattabilità altre aree del mondo ed altre popolazioni, con tutto ciò che ne deriva in termini di Potere. Un Potere a cui, accettando di far arrivare il gasdotto nel Salento, ci si sottomette sempre più, contrariamente a quanto si è soliti credere. Se la falsa ipotesi di una diminuzione delle bollette porta infatti molti a vedere nel TAP una possibilità, cosa accadrà quando tutti saranno dipendenti dal gas e chi lo gestisce potrà praticare i prezzi che vuole, non essendo noi più in grado di pensare e garantirci alternative, per esempio per cucinare e scaldarci? Ed ancora, cosa succederebbe se, chi ha la mano sui rubinetti del gas, ad un certo punto decidesse di chiuderli per un motivo qualunque, per esempio per venderlo a più caro prezzo ad un altro acquirente più danaroso o per costringerci a cedere da una protesta o una rivolta?
Ipotesi che possono apparire fantascientifiche, ma su cui forse sarebbe necessario riflettere. Perché, come spesso si è visto, la fantascienza è un passo indietro alla realtà.