La specie umana ha sempre avuto durante la sua evoluzione forze negative in opposizione a forze attive. E cioè, minoranze ribelli ad ogni forza costituita in maggioranza per far rispettare un loro programma sia colla forza della violenza, sia con leggi di sottomissione abituale, chiamate regole morali.
Ma noi possiamo riscontrare ben più indietro,
nella storia, la lotta delle minoranze contro le maggioranze. E secondo le teorie darwiniane possiamo risalire ai primordi della manifestazione della vita, e seguendo la sua trasformazione constatiamo: ogni generazione nuova più adatta alla vita ed alla trasformazione di essa costringe la vecchia razza generatrice ad atrofizzarsi ed a scomparire addirittura. Così, via via di trasformazione in trasformazione, arrivare al punto da non conoscere più i nostri antenati. Ed infatti l’uomo del giorno d’oggi ancora si domanda: se veramente derivi dalla scimmia, secondo la scienza, o se sia una creazione soprannaturale, secondo le religioni.
Molti fra gli uomini, e taluni fra gli anarchici, credono alla evoluzione della specie, perché è scienza; ma la convinzione vera e pura resta nei loro cervelli un dubbio, ed alle volte anche un mistero. Così tanti oggi si plasmano anarchici individualisti, poiché questo appellativo significa la più grande concezione filosofica dell’individuo, e a loro sembra d’essere così più belli, più esteti, più grandi e più intelligenti degli altri; ma la vera concezione individuale, la vita dell’individuo sul pianeta dove vive, i suoi rapporti colla natura e con tutto ciò che può procurargli l’immenso piacere, la sensibile soddisfazione del godimento fisico e psicologico; ahimé! anche questa concezione resta il più sovente una banale concezione, quando non sia un enigma incomprensibile.
Ma non corriamo, ritorniamo un po’ indietro per seguire le minoranze nelle lotte di distruzione. Sia nelle lotte religiose che guerresche, politiche che economiche, in qualunque epoca, c’insegna la storia, esse condannarono le maggioranze a disparire per instaurarsi ai loro posti, per attuare un programma di benessere, di salute spirituale, di salute pubblica, d’umanità.
Evidentemente ogni minoranza ed in qualunque epoca, salendo al potere ha portato un miglioramento ma ciò è naturale, è un adattamento dell’epoca, una necessità dell’evoluzione.
Ma io constato in tutti questi succedersi di minoranze un fenomeno, ed anche un grave fenomeno oso dire. Ogni minoranza trionfante, per affermarsi ha dovuto a sua volta divenire conservatrice e reazionaria al medesimo tempo, contro quelle minoranze che osavano affermare nuovi diritti e nuovi benesseri. Di questo passo possiamo arrivare fino all’epoca contemporanea senza aver bisogno di citare tutti i fatti, però uno tipico e straordinario di questi fenomeni mi piace ricordarlo: Fu durante la grande rivoluzione francese.
Allorquando il popolo, tanto delle città, quando delle campagne, si sentì soffocato dalle orge degenerate della nobiltà e del clero francese, in uno scatto di ribellione insorse per distruggere a morte eterna il pesante dominio, subito si fece strada fra mezzo al popolo una corrente (che doveva poi essere la borghesia), con a capo Robespierre, la quale appena abbattuto il vecchio regime feudale doveva prendere le redini dei destini della Francia, e sostenere due lotte d’un sol colpo. L’una di conservazione contro il vecchio potere che minacciava di ritornarvi; l’altra di reazione contro i Danton, i Marat e tutti gli arrabbiati, che erano insoddisfatti della nuova conquista borghese, e che tendevano all’affermazione dei loro individui.
Come vedete dunque, sempre le minoranze furono trionfatrici, ma sempre però presentarono il pericolo di nuovi regimi incrostatisi al potere, contro i quali furono necessarie altre forze ed altre lotte, per far loro subire la sorte dei primi.
Ed eccoci all’epoca presente. Si possono considerare quattro minoranze lottanti contro i governi dominanti: socialismo, sindacalismo, comunismo e individualismo. Debbo però subito dichiarare che non ne considero che tre, essendo il sindacalismo un miscuglio d’uomini di differenti idee, che non ha nessun principio e tanto meno uno scopo. Esso serve solo a dare delle battaglie corporative per mantenersi il più possibile in equilibrio colle esigenze della vita, senza un’iniziativa di trasformazione della società attuale, e se lo Stato durasse in eterno il sindacalismo si troverebbe sempre nelle medesime condizioni di lotta senza mai cambiare niente. È perciò che lo scarto a priori senz’altro.
Il socialismo ed il comunismo presentano un carattere diverso da quelle minoranze che abbiamo esaminato più sopra. Essi assumono infatti una forma internazionale, ciò che vorrebbe dire i medesimi diritti ed i medesimi doveri da parte di tutti gli uomini esistenti sulla madre terra.
Ma vediamo però che il socialismo divenuto puramente una minoranza di conquista dei pubblici poteri non presenta nessuna garanzia per lo sviluppo individuale, anzi viola le decisioni dei congressi internazionali e agisce in ogni paese secondo le esigenze per arrivare più presto al dominio, non dimenticando di affermare soprattutto la difesa nazionale, anche contro altri socialisti quando questa fosse necessaria.
E se un regime collettivista venisse sostituito a qualunque governo del giorno d’oggi, l’individualista, in quali condizioni si troverebbe? Nelle medesime di prima se non peggio. Il socialismo, forma di società più perfezionata di quelle esistenti, apporterebbe nuove libertà e cioè quelle libertà socialiste che avranno un valore per coloro che si sottomettono e si accontentano, ma la libertà individuale? Oh! questa non esiste, anzi sarà repressa più severamente che in ogni altra società. Là non si deve pensare che a lavorare per lo sviluppo ed il benessere del collettivismo, le aspirazioni, i godimenti, le gioie dell’individuo devono essere soffocate, sacrificate, altrimenti ci penserebbe il governo a sopprimerle.
E il Comunismo? Forma di società più che perfetta, applicabile anche al mondo intero, non soffocherebbe più selvaggiamente d’ogni altro regime il manifestarsi dell’azione e dell’affermazione individuale? In questo nuovo regime di vita, essendo abolita la proprietà privata e collettiva, non si dovrà produrre che per il comunismo. E infatti i qualche esempi di colonie comunistiche c’insegnano così bene come l’individuo sia obbligato a sacrificarsi per la comunità. Ma se l’individualista ancora una volta si dichiara insoddisfatto, ancora una volta si ribella a questa forma di società, che non ha nulla di comune coi suoi sentimenti, colle sue aspirazioni avide di libertà, colla sua libera iniziativa di creazione e di vita, che deve fare? Ancora una volta sopprimere il proprio Io, se non vuol vedersi morir di fame. Parrà strano a qualcuno, eppure affermo: morir di fame.
Poiché se nelle società precedenti poteva ancora l’individuo vivere coll’astuzia, col furto, con tutto ciò che gli era possibile, pur di sottrarsi alla potenza ed al dominio degli oppressori, per affermare la sua Unità, nel comunismo ove tutto è abolito a beneficio dell’umanità, non gli resta altro dilemma che: sottomettersi all’abitudine morale diventata legge, o trovarsi nell’impossibilità di vivere.
Questa sarebbe la sola giustizia.
Non rimanendo più all’individuo alcune speranze di affermarsi attraverso tutte le forme di società esaminate, quale sarà la sua azione nella lotta sociale? Quella di affermare se stesso dovunque. E come? Di negare ogni autorità. Essere refrattario a qualunque forma di società, che tenda ad impedire lo sviluppo dell’individuo od a menomare la sua libertà. L’individualista poi che si adatta all’ambiente, affermando che può godere pienamente la sua vita in qualunque società, io lo trovo un rinunciatario della lotta ed un cieco seguace della massima cristiana: «chi si contenta gode» e per conseguenza un collaboratore inconscio della repressione della sua stessa libertà.
E perché gl’individualisti non corrano il pericolo di diventare un giorno una minoranza «maggioranza» atta a reprimere altre idee nuove che si affacceranno nella lotta per la vita, come dovranno comportarsi? Distruggere e distruggere ogni ostacolo che inciampi il loro cammino, non creare nuovi programmi, non curarsi delle rovine che giaceranno dietro di noi, anche se queste seppelliranno delle opere d’arte; seppelliranno con esse le vecchie credenze, le superstizioni, i pregiudizi, le autorità, tutta la vecchia società corrotta e putrefatta, aprendo così ampia e libera la via all’individualista che senza occuparsi di edificare vivrà la sua vita giorno per giorno, ora per ora, istante per istante, respirando l’aria pura e profumata della natura, come potrà gioire dei progressi della scienza, gustare le delizie dell’arte. Potrà insomma e finalmente dire d’aver lavorato e vissuto non per gli altri, ma per il trionfo e la soddisfazione del proprio Io.
B. Elia
Parigi, dicembre 1913
[Gli Scamiciati, anno II, n. 23 del 20/2/1914, n. 24 del 20/3/1914]