Horst Fantazzini, 1999
“…e nell’89 sono uscito per la prima licenza. Al momento il mio fine pena era il 2010 con… diciamo nell’89 avevo 21 anni scontati circa e altri 21 da scontare. Ho avuto la mia prima licenza, la prima volta sono rientrato, ho avuto la seconda, la seconda sono rientrato, e le cose, diciamo così, si stavano mettendo a posto, avevo richiesto il lavoro, per l’articolo 21… non l’articolo 21, la semilibertà proprio… queste cose qua. Però quando sono stato in licenza ho trovato dei compagni che erano in carcere con me all’epoca, durante il periodo delle lotte, e in questo periodo, quando ero fuori, erano in semilibertà – di giorno erano fuori, lavoravano, e la sera tornavano in carcere. E mi fecero un’impressione penosa, cioè pensai: “noi che abbiamo passato una vita a cercare di distruggere le carceri, di uscire dalle carceri, e ora suoniamo il campanello per entrare”. E ho avuto, come dire, questa crisi personale e ho deciso di non rientrare. Mi sembrava una contraddizione, dico: “vada come vada, questo, la scelta di essere io a diventare il mio carceriere, non la posso fare”. E non sono rientrato.”
PER HORST
Horst non è “un ingenuo che non è stato capace di essere generoso con se stesso” come una compagna ha affermato. L’ingenuità è uno stato di incoscienza che non è mai appartenuto al bagaglio ideale ed alla coerenza del suo essere anarchico, tutt’altro. Tanti possono definirlo poeta, scrittore, pittore, io penso che è semplicemente un’intelligenza viva che riesce ad avere una visione critica, costruttiva, comunicativa, come pochi altri possono permettersi; in lui tutto è naturale, spontaneo, umano, ricco di quella ricchezza interiore che lascia stupiti tutti.
Personalmente ho avuto il piacere ed il privilegio di conoscerlo nel 1974. Lui arrivava dal carcere di Sulmona dopo una tentata evasione che gli aveva procurato una frattura, per cui fu trasferito al centro clinico del carcere di Perugia dove ci conoscemmo.
Sull’ingessatura che immobilizzava la sua gamba aveva scritto: “free…free…free….I want to be free” la cosa mi colpì molto e non avendo nozioni di lingua inglese gli domandai il senso di quella scritta e da allora tutti i giorni andavo a fargli compagnia,in quelle occasioni conobbi anche Libero(suo papà). L’opportunità non andò per le lunghe,in conseguenza di una protesta fui trasferito a San Gimignano, persi quasi del tutto i contatti con Horst,qualche cartolina per salutarci,le nostre strade si divisero ed ognuno visse il dramma delle carceri di rigore e dei manicomi giudiziari. Nonostante la brevità di tempo, quest’uomo che ingenuo non era,fu capace di imprimere con il confronto quotidiano,il seme dell’Anarchia nella mia coscienza ideale. Un patrimonio prezioso che ancora oggi conservo con cura,aldilà delle contraddizioni che in certi momenti vivo.
Non intendevo parlare di me,ma ho dovuto accennare a degli episodi per spiegare meglio la conoscenza del carissimo compagno Horst.
Umanità e coscienza politica non si possono scindere altrimenti è un fallimento ideale ed umano dell’individuo. Aldilà della retorica posso affermare,senza paura di essere smentito,che Horst appartiene a quella schiera di uomini coraggiosi,intrepidi,sensibili,idealisti,coerenti e coscienti della propria forza, delle proprie ragioni e principalmente delle proprie azioni,anche sapendo di dover pagare un prezzo troppo alto,è stato indomito,mai un cedimento,mai un compromesso ed io per questo lo ammiro e gli dedico un mio pensiero.
La vita è un gioco, giochiamoci la vita.
Ognuno gioca la sua partita nel modo che ritiene più opportuno. Tanti per paura di perdere quello che “hanno” rinunciano al gioco ed inermi assistono in modo passivo, altri con molta cautela giocano cercando d’ imitare l’ avversario per farselo “amico” ed emulare le loro nefandezze, pochi giocano d’azzardo con la coscienza di sapere anche di poter perdere. Perdere non vuol dire uscire sconfitto dalla contesa, non dipende dalla volontà o incapacità soggettiva.
Il gioco è duro, l’ avversario è spietato, crudele, baro, bisogna stare molto attenti per prevenire ed evitare il bluff! In ogni modo vale la pena di rischiare, in gioco c’è l’ essenza della propria dignità esistenziale racchiusa nella convinzione ideale del concetto di libertà e del profondo senso umano di fraterna solidarietà.
Giocare d’azzardo vuol dire essere vivi, palpitanti, partecipi anche se contro corrente in questa società prevaricante, oppressiva, discriminante, assassina, che vuole tutti allineati, ubbidienti, sottomessi al potere di pochi criminali che si arrogano il presunto diritto di voler governare gli altri; il loro unico scopo è la salvaguardia dei privilegi acquisiti con il terrore, la meschina potenza delle armi, il dominio psicologico delle menti. Il rischio dell’azzardo nasconde subdole e striscianti insidie, quasi sempre si paga un prezzo troppo alto, ciò è prevedibile, nonostante tutto, qualcosa dentro di te ti da quell’energia necessaria, quella convinzione profonda di difendere i tuoi diritti “costi quel che costi”.
L’azzardo è quel senso di responsabilità verso se stessi, quella sicurezza della convinzione che si irradia investendo tutto quello che ti circonda, è la coscienza dell’ essere di quello che si vuole, con la forza ed il coraggio di spendere tutte le tue energie per la realizzazione del fine preposto.
Unico, vero uomo con il coraggio della consapevolezza di restare bambino per una società diversa, tutta colorata, irradiando il mondo con un sorriso e le tue mani tese….
Sabatino
Per Horst “ormai è fatta”, davvero…
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Ricordando Horst Fantazzini Avevo sperato di conoscerlo, finalmente, il giorno in cui a Bologna uscì “Ormai è fatta”, il film tratto dal suo libro autobiografico. Ma ancora una volta, l’ennesima, per Horst Fantazzini non si volle concedere ciò che per altri sarebbe stato normale: neppure quel paio d’ore pomeridiane da trascorrere in una sala cinematografica, godendosi almeno una soddisfazione in un’intera vita agra.
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Mercoledì 19 dicembre alle 13… vengono arrestati 2 individui nei pressi di una banca di Bologna, con l’accusa di tentata rapina aggravata. I due sono Carlo Tesseri e Horst Fantazzini. Poche ore dopo, gli sbirri perquisiscono le case in base all’articolo 352, applicato in casi di flagranza di reato e sequestrano libri, riviste, volantini, adesivi ed altro materiale di propaganda anarchica, oltre a lettere personali, agende, un computer e denaro in contanti. Dopo 32 anni di galera, Horst, aveva ottenuto da qualche mese la semi-libertà, con fine pena nel 2022. Carlo era stato liberato nel mese di luglio dopo 7 anni di carcere. Compagni anarchici che vivono una vita all’insegna della ribellione e della passione per l’anarchia, all’inseguimento di una vera libertà. Ultimamente i media si erano interessati -piuttosto miserabilmente, come al solito – alla storia di Horst trasformandola in una storiella di cronaca rosa e facendone un film. Davanti al gip che ha confermato gli arresti, i due compagni si erano avvalsi della facoltà di non rispondere. Horst e Carlo non hanno potuto ancora avere colloqui. I pochi giornali che hanno parlato dell’arresto lo hanno fatto secondo il solito odioso e miserabile copione dell’ ‘anarchico romantico’ arrestato durante l’ennesimo colpo. IERI, domenica 24 dicembre, ci arriva per telefono la notizia che Horst è morto. |
Per Horst Horst Fantazzini ha cessato di esistere. La notizia è di Per l’anarchia! NO CARCERE – NO STATO – NO CAPITALISMO Coordinamento Anarchico Genovese |
HORST, UNA VITA PER L’ANARCHIA In queste ore di rabbia e di angoscia per la morte del Croce Nera Anarchica |
NEL FRATTEMPO NON DIMENTICHIAMOCI DI CARLO: E’ RINCHIUSO NEL CARCERE DI BOLOGNA. SCRIVETEGLI. CARLO TESSERI, casa circondariale Dozza, Via del Gomito 2, 40136, Bologna. |
Horst… senza perder tempo… ci conoscevamo da troppo poco tempo io e horst… …horst picchiava sodo quando scherzava Attaccare il particolare nella sua concretezza, nella Horst non l’hanno spezzato con trent’anni di carcere. Non finisce qui. un anonimo anarchico “dall’altra parte del mondo”. |
—————————————— una vecchia intervista a Horst e una lettera della sua compagna, —————————————— A colloquio con Horst Fantazzini, una vita in carcere: fine pena 2022
D. Qual è al momento la tua situazione giudiziaria e quando prevedi di poter uscire dal carcere almeno in semilibertà? R. Al momento la mia scarcerazione dovrebbe verificarsi nel 2022, anno più o meno. Nella classificazione delle tipologie penso d’essere stato inserito nella categoria “dinosauri e tartarughe“. Credo che, più che di comitati di liberazione dell’area anarchica, di me dovrebbe interessarsi il WWF, sezione “specie in via d’estinzione...”. Questa situazione assurda é venuta a determinarsi tramite l’applicazione, in modo restrittivo, del cosiddetto “cumulo giudico”, che funziona così: sono computate e sommate tutte le condanne e se il risultato é superiore ai 30 anni, che è la pena considerata massima, la condanna complessiva viene fissata in 30 anni. D. Molte compagne e compagni ci hanno chiesto se ti consideravi anarchico anche prima di venire arrestato. R. Questa é una bella domanda. Tu eri amica di Libero, mio padre, e mi hai incontrato fisicamente circa undici anni fa. È indubbio che io mi sia sempre definito anarchico e come tale mi sono rivendicato e mi rivendico processualmente. D. Puoi parlare delle tue lotte durante la lunga detenzione? Nel film questo aspetto viene eluso. R. Parlare di lotte in carcere oggi è come riesumare dolcemente ricordi da un sarcofago, tanto è il cambiamento verificatosi, negli ultimi quindici anni, del luogo e dei suoi disperati abitanti. D. Durante queste lotte hai dovuto scontrarti non solo con il potere carcerario ma anche con il “contropotere”. Vuoi raccontarci come è andata ? R. Tra la fine degli anni settanta e la metà degli anni ottanta, le carceri erano piene di compagni. Le carceri speciali erano una decina: Cuneo, Novara, Fossombrone, Trani, Termini Imerese, Favignana, Pianosa, l’Asinara e Nuoro. Voghera per le compagne. “La miseria esistenziale dell’intellettuale è il suo essere dilaniato dalla contraddizione tra l’universalità del suo sapere ed il particolarismo della classe dominante di cui è il prodotto. E così si dibatte incarnando l’hegeliana “coscienza infelice” tra referenti da abbandonare e da conquistare… E con questa cattiva coscienza, sorgente del suo malessere, s’allinea ora con il proletariato, ora con i marginali, ora con il terzo mondo, cercando punti fermi sui quali rifondare le proprie rovine, riproponendosi sempre come soggetto attivo, come intellighentia che, rispetto ai fenomeni sviscerati e sezionati col microscopio del sapere, si autopropone come avanguardia esterna dall’alto di quel sapere rubato ai suoi antichi padroni. Tra alterne sorti si dibatte nella disperazione d’essere un eterno orfano. Orfano dei padroni abbandonati senza rifiutarne i privilegi. Orfano del proletariato che sempre lo ha istintivamente rigettato come corpo estraneo. Orfano del terzo mondo che non ha tempo per sintonizzarsi su intelligenti analisi dovendo risolvere, giorno dopo giorno, i suoi urgenti problemi di sopravvivenza. D’esclusione in esclusione, d’elisione in elisione, d’erosione in erosione, s’è ritrovato con altri in un unico ghetto. Allora, spaventati e coinvolti dalle variabili impazzite uscite dalle loro teorizzazioni, hanno incominciato a negoziare la resa sulla pelle di tutti: per reintegrare la loro iniziale posizione di intellighentia. Miserie nella miseria, plagianti plagiati, ma privilegiati che da sempre trovano il nido caldo del figliol prodigo che ritorna alle sue origini… “ Costoro col pentimento o la dissociazione oppure coi benefici dello stato che intendevano combattere “senza tregua!”, ora sono quasi tutti fuori. D. Senza voler essere invadente: è stata più volte rilevata la trasparenza e la serenità del personaggio di Anna nel raccontare quello che era il vostro rapporto prima e dopo i tuoi arresti. Hai voglia di parlarne? R. Con l’ultima domanda mi metti in crisi. Pochi giorni fa mi ha intervistato una giornalista per conto della trasmissione Frontiere di RAI 2. Tra le altre domande, ad un certo punto mi ha chiesto se mi sento pentito. —————————————————- (29 novembre 2000) Carissime compagne e compagni, finalmente dopo tante vicissitudini la lunga storia carceraria di Horst Fantazzini sembra volgere al termine.
Sono passati tantissimi anni e la pellaccia di Horst ha passato il confine tra la vita e la morte almeno due volte in carcere ed un’altra da latitante; ha conosciuto le catene delle prigioni francesi, l’isolamento, la tortura, i pestaggi delle carceri speciali in Sardegna, un quasi plotone d’esecuzione a Fossano; ed ancora il dolore per non poter essere presente nemmeno ai funerali dei suoi genitori, Bertha e Libero; e poi in tempi più “morbidi” (ma non più di tanto) la normalità di un carcere che vorrebbe apparire umano, ma che umano non è, è sempre un carcere di merda. LIBERO FANTAZZINI! LIBERI TUTTI! Patrizia “Pralina” Diamante e Horst Fantazzini estratti dal sito: http://www.ecn.org/filiarmonici/fantazzini.html |
29 novembre 2000 Carissime compagne e compagni, finalmente dopo tante vicissitudini la lunga storia carceraria di Horst Fantazzini sembra volgere al termine. Sono passati tantissimi anni, Horst era rinchiuso dagli anni ’60, per la precisione dal 1968 (anche se precedentemente, cioè dal 1960, si era già fatto alcuni anni di galera), ma con la prospettiva di rimanerci ancora fino al 2017 e dintorni. Secondo alcuni calcoli, fino al 2021 o anche 2024, dato che ancora le condanne si sommavano e in fila indiana davano un risultato fantascientifico. Le calcolatrici del potere si erano divertite a sommare, fino a raggiungere il primo posto nel “guinness dei primati” di ogni detenzione qui in Europa e forse nell’intero pianeta. Ma, anziché vergognarsene, lo tenevano in naftalina, trasferendolo di tanto in tanto da un carcere all’altro e nel frattempo Horst cercava sempre di scappare e qualche volta ci riusciva ma per poco; intanto le condanne crescevano e il “fine pena” lievitava… Sono passati tantissimi anni e la pellaccia di Horst ha passato il confine tra la vita e la morte almeno due volte in carcere ed un’altra da latitante; ha conosciuto le catene delle prigioni francesi, l’isolamento, la tortura, i pestaggi delle carceri speciali in Sardegna, un quasi plotone d’esecuzione a Fossano; ed ancora il dolore per non poter essere presente nemmeno ai funerali dei suoi genitori, Bertha e Libero; e poi in tempi più “morbidi” (ma non più di tanto) la normalità di un carcere che vorrebbe apparire umano, ma che umano non è, è sempre un carcere di merda. Ma qualcosa nell’animo di Horst – l’Abate Faria, come a volte si definiva scherzosamente – ha sempre resistito, lui ha sempre sperato che le cose cambiassero, che potesse riacquistare la tanto amata Libertà. E la speranza ha avuto il volto dei suoi familiari, di suo padre Libero, della compagna di Libero, Maria Zazzi, dei suoi figli Loris e Luigino, della sua ex-moglie Anna, delle sue compagne che l’hanno seguito e dei suoi amici dentro e soprattutto fuori del carcere che in tutto questo tempo l’hanno sostenuto ed aiutato. Un mondo straordinario di gente emarginata, sfigata, ma bellissima. Dal bellissimo libro “Ormai è fatta!” edito dal bravo Giorgio Bertani, che tutti ci stanno chiedendo ma che Horst per motivi personali non ha intenzione di ripubblicare, è stato tratto un film diretto da Enzo Monteleone del quale molto si è parlato e che recentemente è stato trasmesso su Tele+. Una cosa tira l’altra, sono venuti molti articoli su giornali, recensioni, interviste televisive. Il film, che ha avuto una pessima distribuzione, ha ricevuto ottimi premi per le interpretazioni di Stefano Accorsi, di Emilio Solfrizzi e Giovanni Esposito. In realtà quella era solo una delle tante “finestre” sulla vita di Horst così sfortunata ma anche ricchissima a livello umano. Ora Horst non vuole più tornare sul passato, tanto si è detto sulla “primula rossa” ricercata in mezza Europa o del “bandito gentile” che mandava le rose alle cassiere; e non vuole più parlare di carcere, in realtà ne ha parlato pochissimo anche prima, perché il suo mondo, la sua vita, sono sempre stati fuori, altrove. Ora che gli vengono concessi i primi permessi-premio e che gli verrà concessa la semilibertà, insieme con me che sono diventata sua moglie e che non ho mai smesso di sostenerlo in questi ultimi quattro anni, stiamo sistemando la casa bolognese che fu di Libero e di Maria che diventerà anche il nostro “Archivio Fantazzini”, e stiamo progettando la nostra vita futura, E, alla faccia di chi ci vuole male, facciamo l’amore tutto il giorno! Sono tantissime le cose che ci uniscono, ora che finalmente possiamo assaporare la vita in comune; la nostra felicità sta proprio nella scoperta di quello che il carcere ci aveva tolto, separandoci l’uno dall’altra e rendendoci persino reciprocamente odiosi. Sono strani e contorti i meccanismi che il carcere mette in moto, riuscendo a distruggere persino gli affetti più consolidati. Si affonda nella diffidenza e nell’incomprensione. L’amore può facilmente diventare odio. Bisogna avere una grande forza per resistere al logoramento prodotto da queste dinamiche infernali. Ogni volta che andavo a colloquio mi sembrava l’ultima volta, ma quando vedevo il muso sorridente di Horst, magari nervoso, ma sempre contento di vedermi, non potevo dire “basta”, mi si sarebbe spezzato il cuore. Può sembrare strano che un uomo a 61 anni abbia voglia di costruire la sua vita da zero con l’entusiasmo e la fantasia di un ragazzino, la maggior parte degli uomini a quest’età va a giocare a carte in qualche circolo o si “gratta la prostata” davanti al televisore come direbbe – per scherzo – mia madre, ma la storia di Horst è stata tutta incredibile, lui ha una forza e una dolcezza fuori dell’ordinario. La mia più grande gioia è di vederlo felice e sorridente in mezzo alle persone che ama, accanto a suo figlio Loris che è come un grande orsetto pieno di amore per suo padre. E qui ringrazio tutti i compagni e le compagne che hanno organizzato iniziative – alcune delle quali riuscite oltre ogni aspettativa – da Bassano del Grappa a Lecce, ringrazio un po’ meno quelli che si sono divertiti a mandargli lettere anonime con insulti e bugie offensive su di me, per tormentarlo e rendergli ancora più penosa la detenzione in un momento particolarmente difficile. Ma sono solo una caccola in un mare di luce. In realtà il movimento anarchico ha dimostrato spontaneamente il suo affetto e la sua solidarietà in molti modi, con la proiezione del film e del video con l’intervista, l’incontro con i protagonisti del film, il presidio sotto la prefettura di Alessandria, le mostre delle sue opere grafiche al computer , le serate per Horst, il giornalino con la sua intervista, la rinnovata attenzione sulla nostra stampa, i concerti di sottoscrizione (1.500.000 per le spese del comitato), i ponti radio, i telegrammi, i libri regalati con dedica, le numerose lettere con i saluti e le firme di tutti, ecc. A tutte/i GRAZIE! Ma la nostra gioia più grande sarà quando non resterà più neanche un compagno e una compagna in carcere. Fino ad allora non si potrà mai smettere di lottare. LIBERO FANTAZZINI! LIBERI TUTTI! |
Patrizia “Pralina” Diamante e Horst Fantazzini
Fonte: lettera aperta datata 29.11.2000 indirizzata “a tutti coloro che hanno organizzato iniziative per Horst”.
Da “Umanità Nova” n. 1 del 13 gennaio 2002
Ricordando…Horst FantazziniLIBERI TUTTI. Con questo striscione che ne precedeva il carro funebre, Horst Fantazzini ha lasciato i compagni, le compagne, amici e parenti. Si é svolto sabato 29 dicembre il funerale in forma a-religiosa. Presso il cimitero della Certosa di Bologna si sono riunite oltre 200 persone, in massima parte compagne e compagni anarchici. Nella sala del Pantheon si é svolta la cerimonia di commiato dove hanno preso la parola Patrizia, Chiara, Giorgio, Sabatino, Salvatore, Laura e Walter, ognuna ed ognuno con un ricordo di Horst. Si é poi formato un piccolo corteo che ha accompagnato per un breve tratto il carro funebre, con le note di “Addio Lugano bella” prodotte dalla fisarmonica di Gloria e dalla tromba di Giorgio e lo striscione “Liberi tutti” che apriva il corteo. C’era anche lo striscione dei compagni del Movimento Anarchico Fiorentino “né stati, né religioni, né servi, né padroni”. C’erano tante bandiere ed ovviamente anche quella della Federazione Anarchica Bolognese che suo padre, Alfonso “Libero”, aveva lasciato ai compagni. Horst é morto il 24 dicembre intorno alle 20 a causa di un aneurisma addominale. La morte lo aveva colpito nel carcere della Dozza dove dimorava ormai da due anni. Ma la sua condizione di detenuto era cambiata. Dopo un breve periodo di semilibertà, di vita seminormale, da alcuni giorni era tornato ad essere un detenuto a tempo pieno, un rapinatore “gentile”, un bandito dalla società. Il 19 dicembre, infatti, era stato arrestato assieme a Carlo Tesseri, in fondo a via Mascarella con l’accusa di aver tentato una rapina alla Banca Agricola Mantovana. Al diffondersi della notizia della morte di Horst si sono diffuse le voci più varie, anche quelle di una sua morte “incidentale”. L’autopsia che si é svolta alla presenza di un medico di parte nominata dai figli Luigi e Loris e le testimonianze di alcuni reclusi, hanno fugato ogni dubbio e preoccupazione. Horst é stato subito soccorso e rianimato ma un secondo, fatale attacco, lo ha stroncato. Una morte banale ma una fine dignitosa di una vita in cui la dignità con la quale ha affrontato mille traversie é stato il tratto caratteristico della sua figura.
È nota, soprattutto ai lettori di Umanità Nova, la sua vicenda umana. Giovane operaio alla fine degli anni sessanta mise in pratica le considerazioni di Bertold Brecht “é più criminale fondare una banca che svaligiarla”. Ma, contrariamente alle cronache rosa-nere che lo hanno reso famoso non fu mai un uomo della “mala”. Agiva sempre da solo o con pochi amici. Rispondeva sempre in prima persona del suo operato, non incitava altri ad emularne le gesta, non usava armi da fuoco e prendeva ciò che riteneva “strettamente necessario”. La sua lunga detenzione é iniziata nel 1973 dopo il suo tentativo di evasione dal carcere di Fossano culminato con il suo linciaggio da parte dei carabinieri del generale Dalla Chiesa. Questo fatto era stato da lui raccontato nel libro “Ormai é fatta” dal quale é stato tratto l’omonimo film proiettato in pochissime sale cinematografiche nell’estate del 1999. Aveva conosciuto le galere europee già diverse volte negli anni precedenti. Ma ha fatto 16 anni di carcere continuativo e senza permessi, fatto talmente raro da averne fatto un caso giudiziario. Aveva infatti ottenuto un permesso nell’inverno del 1989 e ne aveva approfittato per riprendersi un po’ della sua vita. Era stato nuovamente arrestato nell’estate del 1991 in un’operazione che aveva dato il via alle montature antianarchiche degli anni ’90. Da questo episodio la sua nomea di “terrorista” che ha portato molti giornali ad accomunarlo o addirittura ad affiliarlo alle Brigate Rosse. Proprio lui che, attivo partecipe di tutte le rivolte carcerarie, aveva combattuto non solo il potere dei secondini “di stato” ma anche quello dei secondini del “potere rosso” e, per questo, era stato oggetto di percosse da parte di detenuti istigati dal “fronte delle carceri”. Un uomo libero, indomito fino alla fine. Una vita vissuta con dignità, una dignità che, alla fine, gli hanno dovuto riconoscere anche i forcaioli ed i borghesi. Se qualche ombra resterà sulla sua vita, questa sarà determinata esclusivamente dalla sua grande generosità.
Per chi volesse approfondire le tematiche consultare la lunga intervista pubblicata su Umanità Nova nel numero 3 del 30 gennaio 2000 ed ora sul sito www.ecn.org/contropotere . Sul numero 19 di U.N. del 30 maggio 1999, commentando l’uscita nelle sale cinematografiche del film “Ormai é fatta” scrivevamo: “Un giorno o l’altro vi tedierò con la loro storia. Così come della storia di Horst né il libro né il film dicono tutto quel che c’è da sapere ma, Ormai é fatta.” Per ora, gli eventi ci hanno impedito di entrare più diffusamente sulla questione ma, rinnoviamo l’impegno e, per altro, segnaliamo l’attività del Dizionario Biografico degli anarchici italiani sulle cui pagine é prossima la pubblicazione della scheda su Alfonso “Libero” Fantazzini e dove, ormai, sarà presto curata anche una scheda su Horst, suo figlio, che “libero” lo é stato per brevi periodi. redb |
Da “Umanità Nova” n.19 del 30 maggio 1999
Ormai é fatta
Un film sulla vicenda del compagno Horst Fantazzini
Ormai é fatta é il titolo del film in proiezione in questi giorni, nelle prime visioni delle città italiane. Tratto dall’omonimo “romanzo autobiografico” edito dal veronese Bertani nel 1974, il film racconta del tentativo di evasione intrapreso da Horst il 23 luglio del 1973 dal carcere di Fossano, della tragedia umana, oltre che sociale e politica della detenzione che ieri come oggi segna il confine del dominio e dello sfruttamento e del tragico epilogo di quella giornata che voleva essere di libertà.
Per chi non conosce la vicenda, il film richiama alla memoria la vicenda di quest’uomo, di questo nostro compagno, che si era ribellato alla società dello sfruttamento e che per questo, per la sua irriducibile sete di giustizia sociale e per la dignità con la quale aveva affrontato magistrati, poliziotti e secondini era divenuto un pericoloso criminale.
In realtà, come il film racconta e come il regista (Enzo Monteleone) richiama nei titoli di coda, quest’uomo non ha mai ucciso nessuno, eppure é in carcere da 30 anni e dovrebbe rimanervi, secondo la magistratura italiana fino al 2024. Cinquantaquattro anni di carcere perché Horst, poco più che ventenne, dopo diversi anni di lavoro in fabbrica aveva pensato di rispondere ai suoi bisogni sociali parafrasando Bertold Brecht e affermando praticamente che …”é più criminale fondare una banca che rapinarla”. Horst aveva compiuto una serie di rapine in giro per le banche del nord Italia e si era conquistato gli onori della cronaca come “bandito cortese” e “ladro gentiluomo”. Sì perché Horst non aveva né la stoffa, né la testa del criminale incallito così come vogliono gli stereotipi borghesi e benpensanti. Si presentava in una banca con una pistola giocattolo, chiedeva gentilmente che gli fossero consegnati i contanti che stavano nel cassetto e se ne andava senza spargere né terrore né violenza. Horst aborriva la violenza perché considerava gli atti violenti come atti autoritari, di disprezzo e sopraffazione nei confronti di altri lavoratori come lui che, date le circostanza, stavano semplicemente dall’altra parte del banco.
Chi non conosce la vicenda si chiederà a questo punto come mai, per delitti contro il patrimonio, una persona per quanto disgraziata ed invisa ai potenti debba farsi 50 e più anni di carcere. Il fatto é che Horst quando fu preso (e tutte le volte che fu arrestato non ebbe mai gesti di resistenza per non dover ingenerare situazioni violente) non recitò la parte contrita del condannato ma anzi denunciò a gran voce la natura di classe della giustizia statale, il suo carattere fascista ed autoritario tanto da beccarsi già nella prima sentenza una aggravante per oltraggio alla corte. Da allora la lunga collezione di condanne fu determinata dal fatto che Horst non si rassegnava a passare la sua vita in carcere, non voleva sottostare ai tempi ed ai riti della giustizia statale e borghese. Prima dei fatti raccontati in Ormai é fatta, aveva portato a termine 2 evasioni. Nel luglio del ’73 era agli sgoccioli della sua pena detentiva eppure quando gli si presentò l’occasione tentò nuovamente la fuga. Il film richiama sommariamente il clima ed il contesto nel quale i fatti si svolsero e questa mia ricostruzione, lungi dal voler essere reducistica, serve a tagliare l’oblio con il quale la storiografia ufficiale ha voluto nascondere quegli anni di sovversione e speranze rivoluzionarie. Nelle carceri della Repubblica si manifestavano spesso sommosse contro la detenzione, il regime carcerario e la società autoritaria. Horst era uno dei protagonisti. Nelle scuole, nelle fabbriche e nei quartieri la sovversione sociale sembrava allo stesso potere incontenibile. Horst ebbe la disgrazia di imbattersi nel famigerato generale Dalla Chiesa e nelle sue costituende bande di assassini e divenne la vittima sacrificale da immolare sull’altare della supremazia dello stato. Come il film, in parte ricostruisce, la ferocia dei carabinieri fu al di sopra di ogni concepibile atrocità che i militari possano commettere. Solo il caso (e forse il rimorso del magistrato per essere stato complice della bravata di Dalla Chiesa) fece sì che Horst potesse salvare la pelle non senza una difficilissima e dolorosissima serie di operazioni chirurgiche. Ancora oggi porta nel suo corpo schegge del piombo sparatogli dai carabinieri dei corpi speciali.
Dal luglio del ’73 quando oltrepassò il cancello del carcere per pochi istanti, Horst tornò fuori solo verso la fine del 1988, in licenza per prendere visione di una possibile collocazione lavorativa in regime di semilibertà. Fu allora che ebbi il piacere di incontrarlo in una cena fra compagni bolognesi alla trattoria da Vito. Anche allora, ad un passo dall’uscita dal portone del carcere dopo l’espiazione della pena, Horst decise che la sua libertà era più importante di tutte le convenzioni e di tutte le convenienze e si diede “alla macchia”. Lo arrestarono circa un anno dopo a Roma con titoloni sulla stampa perché, a detta delle veline questurinesche, era stato catturato un pericoloso latitante all’interno di un covo di una pericolosa organizzazione terroristica anarchica. Da allora 10 anni sono passati e per Horst ancora é la galera la condizione della normalità di questa società.
Per la libertà di Horst Fantazzini si sono espresse molte petizioni, si sono realizzate molte manifestazioni. Anche la visione di questo film é, in qualche modo, un gesto di solidarietà nei suoi confronti ed una manifestazione di protesta contro il sistema carcerario. Il mio é quindi un invito ad andarlo a vedere, a fare sì che rimanga nelle sale cinematografiche, sulle locandine pubblicitarie, nelle recensioni giornalistiche il più a lungo possibile.
Una visione che per molti potrà sembrare banale ed in parte lo é così come improbabile é la macchietta di Alfonso (Libero) Fantazzini disegnata da Francesco Guccini che ne interpreta un’apparizione intempestiva quanto ridicola. Alfonso Fantazzini, padre di Horst, assieme alla Maria Zazzi, madre putativa di Horst, sono state fra le più limpide, determinate e lucide figure dell’anarchismo bolognese del ‘900. Un giorno o l’altro vi tedierò con la loro storia. Così come della storia di Horst né il libro né il film dicono tutto quel che c’è da sapere ma, Ormai é fatta.
Nato ad Altenkessel (regione della Saar, Germania) il 4 marzo 1939, da Alfonso “Libero” Fantazzini, partigiano anarchico bolognese, muratore, e Bertha Heinz, operaia.
Horst significa “rifugio” e questo nome è scelto dal padre, rifugiato politico.
Il padre Libero riesce ad occuparsi a malapena della sua famiglia, costretto in una condizione di eterno latitante, ricercato delle polizie fasciste di mezza Europa, Gestapo compresa.
Trascorre i primi anni della sua vita nella Germania martoriata dalla guerra, nel 1945 il suo ritorno in Italia. Bologna è stata distrutta dai bombardamenti. Porterà sempre dentro di sé il ricordo della distruzione.
Tenta un riscatto nel pugilato, e nel ciclismo che pratica con ottimi risultati, vincendo gare regionali.
A causa delle condizioni difficili che attraversa la sua famiglia, abbandona gli studi per lavorare giovanissimo, come fattorino, operaio, impiegato. Ma la misera paga non lo convince.
A 18 anni si sposa con Anna, che è incinta del primo figlio, per garantire alla sua giovane famigliola condizioni dignitose, compie la sua prima rapina con una pistola giocattolo all’ufficio postale di Corticella. Viene arrestato sull’automobile rubata, gli vengono inflitti 5 anni di carcere. E’ il 1960.
Nel 1965 durante una licenza concepisce il secondo figlio, ma a causa delle avverse condizioni, Anna che soffre di grave esaurimento nervoso lo lascia per tornare nella sua città, Napoli, dove viene ricoverata per cure.
Horst di nuovo in libertà definitiva lavora per qualche tempo come pizzaiolo e barista, ma torna a rapinare le banche: è la volta di una banca di Genova. Non riesce, perché viene arrestato prima di compiere il colpo.
Trascorre qualche mese in galera, durante i quali apprende che la madre è morta per infarto, ma non gli consentono di andare al suo funerale. Horst decide di evadere per la prima volta usando il più classico dei modi: lenzuola annodate.
E’ il 1967, resosi latitante, compie numerosi colpi nel nord Italia durante uno dei quali per una galanteria alla cassiera svenuta (gli inviò un mazzo di rose) diventa “il bandito gentile”; poi decide di espatriare rifugiandosi dai parenti in Germania.
Tra il 1967 e il 1968 scrive lettere di scherno alla polizia italiana, è “la primula rossa”. Risiede a Mannheim in una lussuosa villa con la sua giovane compagna, dandy raffinato, elegantissimo, alla guida di macchine sportive, fa la spola tra Francia, Germania e Italia incassando parecchi milioni che porta con sé nei voli in prima classe.
Nel 1968 è di nuovo arrestato, mentre cerca di rapinare una banca di Saint Tropez, trascorre alcuni anni torturato e vessato nelle galere francesi (dove vige ancora la pena di morte in alcuni casi per sedare le rivolte più violente), tentando ancora di evadere persino con le catene ai polsi. Da allora le porte della gabbia si chiudono definitivamente: da quel momento non avrà mai più la libertà definitiva.
Horst continua a sfottere i giudici “gli ermellini da guardia” durante le udienze, e per questo aggiunge altri anni alla sua carcerazione.
Nel 1972 per interessamento dell’avvocato Leone viene estradato in Italia ritrovando Anna e i suoi figli, nel 1973 tenta di evadere dal carcere di Fossano (Cuneo) ferendo tre guardie e tenendone sotto tiro altre due, ma è un bluff: in realtà ha soltanto una Mauser di piccolo calibro, con pochissimi colpi in canna dei quali solo due rimasti dopo il ferimento degli sbirri. Invece per lui si scatena l’inferno: uscendo dal carcere con gli ostaggi, prima di riuscire a salire sull’agognata Giulietta che lo porterà fuori dalle mura, viene aggredito dai cani lupo e ferito quasi mortalmente con il fuoco dei tiratori scelti, si salva per miracolo. Rimane sordo dall’orecchio destro, e probabilmente con micro-lesioni tali da causare l’aneurisma che gli risulterà fatale.
Viene operato, ma non gli estraggono tutti i proiettili, che si porterà in corpo per molti anni in una miriade di schegge e scheggine. Inizia un calvario fra i penitenziari di tutta Italia, Horst viene tenuto in infermerie poi dimesso e spedito in un altro penitenziario, poi in un altro ancora, senza cure adeguate.
Un anno dopo a Sulmona, tenta di evadere di nuovo. Salta il muro di cinta di cinque metri, coi piedi fratturati si trascina nella chiesa più vicina sequestrando il prete, per chiedere in cambio di essere operato.
Nel 1975 Giorgio Bertani pubblica “Ormai è fatta”, cronaca di un’evasione (recentemente ripubblicato da El Paso – Nautilus) resoconto minuzioso e lucidissimo di quel 23 luglio 1973 a Fossano.
Libero Fantazzini occupa la Torre degli Asinelli per protestare contro lo Stato che imprigiona i compagni.
Sono anni intensi, di solidarietà coi prigionieri, gli anarchici si mobilitano per Fantazzini. La sua compagna di allora Valeria Vecchi viene condannata a 7 anni di carcere per avere tentato di farlo evadere. Anche la tennista anarchica Monica Giorgi è al centro di una feroce repressione, accusata di far parte di Azione Rivoluzionaria.
A metà degli anni ’70 grazie al generale Dalla Chiesa inaugura il bunker Fornelli dell’Asinara, dove vengono spediti tutti i ribelli, comunisti e anarchici. Inizia una collaborazione con tutti i compagni anche delle Brigate Rosse e di Prima Linea, basata sulla solidarietà di prigionieri nella situazione contingente, che vede le rivolte contro il regime inumano all’ordine del giorno. La leggenda poi riportata dai giornali, che Horst sarebbe stato simpatizzante delle Brigate Rosse è falsa: si avvicinò ai suoi militanti come uomo, mai sposò la loro causa, ritenendosi sempre anarchico individualista.
Nel 1978 dopo il feroce pestaggio della polizia che lo ridusse quasi in coma, fa uscire clandestinamente e contro il parere delle Brigate Rosse il documento sulla rivolta dell’Asinara, poi pubblicato dalle edizioni “Anarchismo” col titolo: “L’ipotesi armata”.
Seguono anni di carcere duro e di rivolte con le “moka esplosive” che fanno breccia nei muri, nei penitenziari di tutta Italia, da Trani a Termini Imerese, da Palmi a Varese, carcere reso più “morbido” solo nel 1985 con l’abolizione del regime speciale (simile al 41 bis odierno).
Nel 1985 suo figlio Loris viene incarcerato per quasi due anni sulla parola di un pentito, il grande vecchio Libero Fantazzini non regge il colpo e muore (la crudeltà dell’apparato repressivo non consente a Horst di andare al suo funerale); la sua compagna Maria Zazzi, anarchica piacentina combattente della guerra di Spagna, lo seguirà nel 1993.
Nel 1989 Horst che non ha mai perso il coraggio e la voglia di vivere sta per laurearsi in Letteratura presso la facoltà di Bologna, ma l’antico amore per la fuga vince quello sui libri e lo induce ad approfittare di una licenza per allontanarsi. Resterà latitante per un anno compiendo altre rapine, ripreso all’inizio del 1991 sul litorale romano (nonostante l’arresto sia avvenuto senza resistenza da parte sua, viene dipinto dai giornali come pericoloso terrorista) e trasferito nel carcere di Alessandria, qui rimarrà per dieci anni, lavorando al computer che si è guadagnato nel 1993 coi soldi del primo premio per un concorso letterario. Lavora come grafico pubblicitario per il Comune di Alessandria.
Di nuovo a Bologna, per merito di un film: “Ormai è fatta” per la regia di Enzo Monteleone, liberamente tratto dal suo libro, di cui Horst approva entusiasticamente la sceneggiatura, e di una campagna per la sua liberazione messa in atto dalla sua ultima compagna, Pralina e che coinvolge tutto il movimento anarchico. Il suo avvocato Luca Petrucci inoltra la richiesta di grazia. Ci sono due interrogazioni parlamentari. Gli vengono concesse le prime licenze. Poi la semilibertà. Abita nella casa in via Roncrio che costruì suo padre Libero. Difficile trovargli un lavoro, poiché considerato un “soggetto poco affidabile” anche dai suoi stessi compagni di fede che lo guardano con simpatia ma anche con diffidenza. Ad ogni modo nel 2001 per interessamento dei “compagni comunisti” lavora come magazziniere presso Altercoop, che si occupa di carta riciclata.
Il 19 dicembre 2001 tenta di rapinare la sua ultima banca, Agricola e Mantovana, insieme al suo complice Carlo Tesseri, suo “fratello” e amico di sempre. Viene preso prima di entrare in banca mentre tenta una disperata fuga in bicicletta, perquisita la sua abitazione, sbattuto in carcere, alla sua compagna -perché non sono sposati ufficialmente- non viene dato il permesso di raggiungerlo a colloquio.
Nonostante non sia avvenuto alcun pestaggio (i lividi sul corpo sono causati dalla sua fragilità capillare) le condizioni di salute aggravate dallo stress dell’arresto lo portano rapidamente alla morte, sopraggiunta nell’infermeria della Dozza, il 24 dicembre alle 19.20 per “aneurisma aortico addominale”.
Al suo avvocato, come sue ultime volontà, dice che vuole “lasciare la casa a Pralina”.
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BIBLIOGRAFIA, INTERVISTE e FILMOGRAFIA ESSENZIALE
“Ormai è fatta!” cronaca di un’evasione, ed. Bertani Verona, 1976.
“L’ipotesi armata”, capitolo “La settimana rossa. I prigionieri del campo di concentramento dell’Asinara”, ed. Anarchismo, 1979.
Scritti di Horst che denunciano la situazione carceraria vengono pubblicati su “Anarchismo”, “Rivista Anarchica” e i giornali di controinformazione del Centro di Documentazione di Pistoia, negli anni ’70 e ’80.
Inserto di “Liberarsi dalla necessità del carcere”: testo integrale dell’intervista a Horst Fantazzini realizzata per il Maurizio Costanzo Show, a cura del Comitato per la liberazione di Horst Fantazzini – 1999.
Interviste per il settimanale “Boxer” a cura di Geraldina Colotti, 1999.
“Vita di un ladro gentile”, articolo di Costantino Cossu, “Diario” – 1999.
Film “Ormai è fatta” regia di Enzo Monteleone, con Stefano Accorsi, distribuito dalla Columbia Italia – 1999.
Mostra di arte postale internazionale itinerante “Bandito in Bicicletta”, 108 mail-artisti di tutto il mondo dedicano un’opera in memoria di Horst Fantazzini, anarchico ciclista.
“La rapina in banca. Storia. Teoria. Pratica.” saggio sulla rapina in banca, da Bonnie & Clyde a Horst Fantazzini, a cura di Klaus Schoenberg, DeriveApprodi – 2003.
“L’ultimo colpo di Horst Fantazzini” di Patrizia “Pralina” Diamante, romanzo biografico degli ultimi anni di Horst Fantazzini (contiene anche immagini inedite e bellissimi racconti di Horst) – Stampa Alternativa, 2003.
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Citava Bertold Brecht: “E’ più criminale fondare una banca che rapinarla”.
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E John Belushi: “Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”.
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Ricordava l’adagio pellerossa: “Prima di giudicare un uomo, fate 5.000 miglia nei suoi mocassini”.
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Degli intellettuali diceva: “Diffidare sempre degli intellettuali professionisti: tendono ragnatele pesanti come catene, sui sogni degli uomini liberi”.
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Dei giornalisti diceva: “Mio padre ne prese a schiaffi uno in Piazza Maggiore, ma non si può essere sempre così categorici. A quei pochi coraggiosi che non raccontano bugie, io parlo volentieri”.
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Delle carceri diceva: “Esistono tante carceri, il carcere scuola, il carcere fabbrica, il carcere famiglia: sono le carceri del nostro vivere quotidiano, e tutte hanno lo scopo di plagiarci la vita, di rubarci l’esistenza”.
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Dell’agire diceva: “Distruggere è facile, può essere anche divertente. Ma costruire è mille volte più difficile, per costruire ci vuole molta più intelligenza, molta più forza”.
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Della violenza diceva: “Ho sparato una sola volta in vita mia, ho fatto bene, ma sono stato troppo male. Sparare a un essere umano, vederlo cadere in ginocchio, è il gesto autoritario per eccellenza”.
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Dell’amore diceva: “La vita senz’amore è un deserto di ghiaccio” e ancora: “Se non avessi passato la vita in carcere, l’avrei passata a fare l’amore. Forse è per questo che mi hanno rinchiuso per tutto questo tempo”.
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Dell’arte diceva: “La prima cosa che ho fatto da latitante in Francia, sono andato a vedere il Louvre. Io amo la Gioconda. Spero che tu non sia troppo gelosa”.
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Horst è anarchico per DNA, dal padre Libero, dal nonno Raffaele socialista libertario.
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Horst non ha mai parlato di odio, ma di amore. La parola odio non esisteva nel suo vocabolario.
Sempre in fondo alle lettere scriveva: “Con tutto il mio amore per la vita e per la libertà”.
E’ questo sogno di libertà che l’ha sostenuto per tutta la sua vita.
Una libertà che non si può imporre, non si può insegnare, non si può indottrinare, non si può usare come ricatto morale, ma si può solo vivere, condividendola con le persone che liberamente scelgono di non lasciarsi intrappolare.
Perciò non aveva la presunzione di porsi come avanguardia di chicchessia. Non aveva la violenza parolaia di un comiziante, non le velleità di un leader clandestino e neanche la boria di uno storico dell’anarchismo. Non amava riesumare il passato. Né frequentava teorie astratte o cervellotiche analisi politiche, lasciando la parola agli specialisti delle teorie che non vogliono scendere in campo.
Horst non giudicava nessuno. Non si sentiva un gradino più in alto degli altri.
Non conosceva la dicotomia “anarchico o sbirro”, ma valutava le persone unicamente in base ai loro comportamenti e al loro agire quotidiano. Chiamava “compagno” chi stava a sinistra, senza distinzioni e senza pudori. Era rispettoso delle persone, nelle quali riconosceva il fratello e la sorella in base all’affinità.
Al movimento anarchico rimproverava d’essersi fossilizzato “nei soliti discorsi”.
Si è sempre definito anarchico. Ma liberamente anarchico, senza definizioni.
http://www.anarchaos.org/2008/12/24-dicembre-2001-e-morto-in-galera-horst-fantazzini/