Prigionieri – Lettere di Mauro Rossetti Busa dal carcere di terni

Innocence - Photo by Claudio Allia

Riceviamo dalla Cassa Antrirepressione delle Alpi Occidentali e diffondiamo:

Lettera dal carcere di Terni
Reparto AS2

Apprendo da info-action dell’arresto di alcuni compagni, Monica e Francisco, perché accusati dell’attentato alla chiesa del Pilar in Saragoza, Spagna, e di Valeria che, apprendo, è stata rilasciata su cauzione. Ho appreso queste notizie con ritardo. Comunque voglio esprimere tutta la mia solidarietà e vicinanza, anche al compagno Kabu, con la speranza che siano tutti fuori.
Sono ormai un paio di mesi che ho la corrispondenza con l’amico ribelle Davide Delogu, che qui saluto caramente con il pugno chiuso! Davide tra un mese, cioè il 3 febbraio 2014 finirà di scontare il regime 14bis, augurandogli che non gli venga rinnovato. Dopo aver scontato sei mesi di 14bis, Davide dovrà scontare 45 giorni di isolamento: rinnovo l’appello ai compagni/e di continuare a far sentire la loro presenza. Ciao Davide, il libro che ti ho mandato è un modo per dimostrarti quanto è grande la mia solidarietà, perché in te vedo la forza e la determinazione di un vero ribelle combattivo. Sii fiero di quello che sei e di quello che fai, soprattutto non mollare mai: “hasta la victoria siempre”!

Con affetto rivoluzionario anarchico,
Rossetti Busa Mauro
Terni, 14-01-2014

Alcune precisazioni in merito al mio arresto nel 1988

“Prima che venissi arrestato nell’anno 1988 già frequentavo il centro sociale l’Indiano’ che, se ricordo bene, fu occupato prima dai punk e poi, successivamente, dagli antagonisti nell’87/’88 (ci tocca correggere i ricordi di Mauro: l’occupazione punk anarchica dell’Indiano venne sgomberata nel 1991, la successiva concessione agli antagonisti durò fino all’inizio degli anni 2000 – nota dei trascrittori).
Nel 1982 venni arrestato per rapina a mano armata, detenzione di armi e sequestro di persona. Venni condannato con altre due persone a sei anni e mezzo e due anni di libertà vigilata.
Finii di scontare l’intera condanna nel carcere di Pianosa: nel 1988 uscii, sottoposto alle misure di sicurezza di libertà vigilata, firmavo tre volte al giorno alle 8.00 del mattino, alle 15.00 e alle 19.30.
Dopo essere stato in caserma a firmare, mi recai al centro sociale l’Indiano dove rimasi per un paio d’ore e poi mi diressi verso casa. Dopo una settimana vengo fermato in Santa Maria Novella dai carabinieri in borghese e portato in caserma dove mi viene notificato l’avviso di garanzia per gli attentati incendiari che avvennero ad aprile e maggio dell’88 contro il presidente dell’Unione commercianti Valentino Giannotti e contro le reti televisive di proprietà di Berlusconi. Ero a conoscenza di questi fatti, tra l’altro rivendicati dai “Nuclei Proletari di Resistenza e Attacco”, perché li lessi nei quotidiani. Subii una perquisizione nella mia abitazione, in cui cercavano armi, che però dette esito negativo. Mi venne sequestrata una bandiera del Che Guevara, varie lettere di alcuni compagni prigionieri, una macchina da scrivere Olivetti e due bollettini clandestini “Oltre la frontiera”. Questo è quanto mi venne sequestrato. Dopo una settimana, il 23 maggio ’88, mi notificarono il mandato di cattura emesso dal Procuratore Pier Luigi Vigna e venni associato al carcere di Sollicciano. Nel mandato di cattura ero indicato come unico autore degli attentati incendiari e della rivendicazione a nome della sigla N.P.R.A., sigla che , a loro dire, sarebbe esistita solo nella mia mente. Strano ma vero, venni arrestato in base al contenuto del bollettino in cui, a quanto mi dissero, c’era un volantino di rivendicazione. È probabile che sia stato rinvenuto un volantino all’interno del bollettino, che però non lessi. Dopo due giorni dal mio arresto qualcuno, con una telefonata anonima all’ansa del quotidiano “La Nazione”, fece ritrovare in una cabina telefonica il volantino in cui si attribuivano i fatti contestati a me, dicendo però che non ero parte della loro organizzazione. L’associazione sovversiva non faceva parte dei capi d’imputazione. All’interrogatorio mi avvalsi della facoltà di non rispondere.
Nel mese di luglio mi vennero concessi gli arresti domiciliari, da cui evasi dopo una settimana. Mi rimisero in carcere, mi notificarono il mandato di cattura per evasione dagli arresti domiciliari, attentato incendiario alla ditta Panerai e associazione sovversiva.
In un primo momento scrissero che la sigla che avevo usato per rivendicare gli attentati era frutto della mia fantasia, e in un secondo momento che coloro che si sarebbero attribuiti gli attentati incendiari, tra l’altro scagionandomi, forse potevano essere amici miei e che forse l’unico ruolo che avevo avuto all’interno del gruppo era stato quello di postino, e quello di aver partecipato attivamente agli attentati. Tutto forse, come forse, a loro dire, era tutto frutto della mia fantasia. E forse per questo ho fatto diciotto mesi di carcerazione preventiva per poi essere stato prosciolto con formula dubitativa, come scrissero nel quotidiano “La Nazione”, secondo il quale saremmo stati i nipotini del ’68 di Renato Curcio. Continuai ad avvalermi della facoltà di non rispondere. Mi fecero girare tre carceri in meno di due settimane. Mi trasferirono nel manicomio di Montelupo fiorentino e, dopo due settimane, mi trasferirono al carcere di Livorno e, di nuovo, dopo altre due settimane, ad Ancona. Dopo tre settimane, su delega della Procura di Firenze, subisco una perquisizione dalla Digos di Ancona con tanto di avviso di garanzia per il reato di propaganda sovversiva o antinazionale. Infine fui trasferito nel carcere speciale di Voghera”.

“Non avrebbero dovuto dire che non facevo parte del loro gruppo, perché lo sapevo anche io, e che ‘forse’ non avevo compiuto nemmeno quegli attentati: ho avuto più occasioni di essere ascoltato dai Magistrati e avrei potuto benissimo difendermi dalle accuse che mi venivano contestate. Ma ho sempre mantenuto la mia linea nel dire: mi avvalgo della facoltà di non rispondere in quanto non vi riconosco perché servitori dello Stato e oppressori. Mi chiesero più volte di collaborare promettendomi la libertà sotto protezione e che avrei usufruito dei colloqui con i miei familiari. Dissi loro: grazie dell’offerta ma non mangiamo lo stesso pane.
Che abbia fatto parte del gruppo oppure no, diciotto mesi di carcerazione li ho fatti io…”.

Ho fatto un riassunto del mio arresto che avvenne nell’88 a Firenze per contraddire nuovamente quello che scrisse il quotidiano “La Nazione” e la tesi accusatoria dei miei nemici. Hanno costruito un castello accusatorio sul “forse”, e quel “forse” è stato sufficiente a spiccare un mandato di cattura gratis solo per levarmi dalla circolazione, perché per questi “Gentilissimi Signori” autoritari e servitori dello Stato sono sempre stato, per loro e per la società, una spina nel fianco.
Continuerò a essere per loro una spina nel fianco, continuerò a turbare il loro ordine democratico e il loro sonno. Continuerò a essere per loro un falso brigatista/vero brigatista. Non devo spiegazioni ai miei nemici (…).
Pendevano su di me altre due inchieste nel ‘98/’99 dalla Procura fiorentina senza aver mai ricevuto gli avvisi di garanzia. Seppi di una di queste inchieste tramite un amico che lo apprese su “La Nazione”, che ero sospettato degli attentati ai tralicci e che avevo avuto una corrispondenza con il compagno Marco Camenisch. Di questa inchiesta non se ne parlò più. Poi, nel marzo del 2002, mentre ero detenuto, subii una perquisizione della Digos fiorentina e nell’avviso di garanzia appresi che ero indagato per associazione sovversiva per aver fatto parte di un’organizzazione armata anarco-insurrezionalista e di aver inviato nel 2001 un plico esplosivo all’ex prefetto Achille Serra, ecc. Ci sono voluti cinque anni per l’archiviazione del reato. Anche in questa occasione mi venne chiesto di collaborare in cambio della libertà. La cosa assurda è che mi fecero vedere due nominativi di due compagni anarchici: volevano a tutti i costi che indicassi uno di loro. Uno di questi compagni era un mio amico, di cui non faccio il nome.
Su di loro ne dissero di tutti i colori, che erano drogati, che scippavano le borsette alle vecchiette, che mi avrebbero abbandonato in carcere, addirittura che erano loro ad accusarmi.
Mi alzai e ritornai in cella.

Mauro Rossetti Busa
Terni, 15-12-2013
Reparto G/B AS2


Per scrivergli:

Mauro Rossetti Busa    

Via delle Campore
32

05100 Terni

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