L’idea di un fronte unito rivoluzionario viene solitamente fatta risalire agli albori della rivoluzione russa, ed attribuita al Partito Bolscevico in generale e a Trotsky in particolare. Ecco perché i dibattiti più conosciuti su questo argomento scoppiarono soprattutto a partire dal 1919.
Stenko Razine (Luigi Galleani)
Lo Scisma liberatore
Siamo ad una brusca svolta della storia: il Partito Socialista Internazionale rinnegando tutti i giorni un po’ delle sue origini e della sua ragione d’essere è alla vigilia del fallimento; lo sciame vermiglio delle speranze che ne aveva annunziato l’aurora gloriosa dilegua in un livido crepuscolo d’inutili rimpianti e di sterili maledizioni; domani non sarà più che il ricordo d’una frode immane e desolata.
Le origini? Non sono così remote che non rivivano luminose alla memoria di coloro che vi lessero gli auspici indefettibili della risurrezione.
Al cospetto della democrazia classica che la soluzione del problema sociale, urgente minaccioso da ogni orizzonte, s’arrovellava a cercare nella Repubblica di Ledru Rollin e di Mazzini, in un utopico governo di popolo che il suffragio universale doveva erigere sulle impossibili armonie tra capitale e lavoro, era apparsa improvvisa, in quel 1848 che seppe tutte le audacie del pensiero e dell’azione, una turbe sbarazzina di pensatori e di lavoratori che i simboli e le are della vecchia repubblica avevano atterrato in un delirio iconoclasta di perdizione, e dall’accademia e dall’officina, dall’ateneo e dalla miniera, gridava profetica una voce nuova del mondo e della vita:
«I vecchi partiti hanno fallito la loro missione: il suffragio universale è un’atroce menzogna convenzionale; lo vedremo spirar domani sgozzato da Morny sotto il tallone dell’ultimo Bonaparte.
L’alleanza tra capitale e lavoro che voi sognate è schiaffeggiata come la più impudente delle frodi da tutta la storia del mondo, una storia bieca di lotte oscure, feroci, implacabili, incessanti tra coloro che hanno accaparrato i beni della terra e coloro che ne sono stati diseredati, lotte fatali che non quieteranno finché le cause del secolare dissidio non siano avulse. E poiché la costituzione politica di una nazione non è che l’esponente della sua costituzione economica, è un miraggio il governo di popolo, la repubblica a cui raccomandate l’eguaglianza, la fratellanza e la libertà. La fratellanza tra schiavi e padroni è un non senso, l’uguaglianza politica innestata sull’ineguaglianza economica è un assurdo.
E dove l’armonia s’instauri sulla sparizione delle classi costellate nella solidarietà degli interessi comuni, il vostro governo di popolo, ogni forma di Stato, diventa un anacronismo.
L’emancipazione dei lavoratori non può essere l’opera dei partiti che l’arca santa della proprietà non hanno il coraggio di toccare, sarà l’opera dei lavoratori che a beneficio di tutti riconquisteranno i mezzi di produzione e di scambio di cui li privò nei secoli la più sciagurata delle rapine».
Così dove i vecchi repubblicani dicevano «missione della democrazia», opponevano Carlo Marx e l’Internazionale «l’emancipazione dei lavoratori deve essere opera dei lavoratori stessi»; dove diceva la vecchia democrazia «alleanza tra capitale e lavoro», gridava l’Internazionale «lotta di classe» inesorabile e spietata; dove dicevano i vecchi partiti «suffragio universale, conquista dei pubblici poteri», rispondevano i socialisti «lotta economica, espropriazione della borghesia»; dove quelli raccomandavano «repubblica, governo di popolo», rispondevano gli araldi della nuova umanità «distruzione violenta dell’attuale ordine di cose, abolizione dello Stato».
Era in questa antitesi geometrica di principi e di metodi la ragione d’essere del partito socialista, in queste sue aspirazioni sovversive la ragione del rapido sviluppo che attinse in meno di mezzo secolo.
Poi, sotto il fuoco dell’esperimento quotidiano, la preparazione rivoluzionaria si era urtata a rischi, a pericoli, a disinganni, a persecuzioni furiose da tramutarla in calvario; la lotta economica, lotta acerba ed inesorabile, d’ogni ora e di ogni giorno, si chiudeva ad ogni tentativo, ad ogni guerriglia, coll’inevitabile sacrificio delle avanguardie spregiudicate e derise, schiacciate per una parte dalla mostruosa potenza di un’organizzazione mille volte secolare, abbandonate per l’altra dalla massa sfiduciata ed inerte degli schiavi cui l’abito della secolare schiavitù aveva spento anche la speranza più discreta di risurrezione.
Per converso la lotta politica — anche e particolarmente per il sollecito adattarsi delle leggi e degli istituti sociali alle nuove contingenze ed all’improrogabile necessità d’incanalare le irrompenti energie popolari — blandiva ai mezzi cuori, ai mezzi caratteri, alle mezze coscienze, con tutte le lusinghe degli onori, della fortuna, delle cariche e degli agi inaspettati.
Così mentre per un lato le masse diffidenti, inerti, misoneiste, guardavano sospettose al movimento socialista, dall’altra tutti gli elementi piccolo-borghesi che non trovavano nella loro classe da collocare utilmente le loro ambizioni, i loro calcoli, la loro libidine d’arrivismo, intravidero sagacemente la carriera e vi si buttarono a capofitto.
Abbiamo avuto i primi dissidi gravi e, corollario della scissione, l’esperimento parlamentare e con esso il graduale e progressivo abbandono di quanto costituiva il fondamento, l’essenza ed il carattere del socialismo.
A parlar di lotta di classe, di lotte economiche, di espropriazione della borghesia, di rivolta, di sciopero generale, di violenta distruzione dell’ordine sociale giusta i termini rigidi del Manifesto Comunista v’era da farsi linciare allegramente dai marxisti fin di secolo che in parlamento asserivano la lotta di classe largheggiando i mansueti voti di fiducia ai ministeri da Stato d’Assedio; e a parlar di catastrofi livellatrici nei congressi del Partito c’era da farsi relegare nel solaio tra il ciarpame del periodo eroico, tra i vecchi fucili a pietra, dagli interpreti modernissimi del socialismo scientifico insaccati nella livrea del cortigiano o del boia, curvi ai baciamani inverecondi dinnanzi all’imperial Maestà di Nicola II, od anelanti, come al supremo degli onori, all’indulgente invito di Vittorio Emanuele III re d’Italia.
Il suffragio universale, il vecchio sogno di Ladru Rollin, la conquista dei pubblici poteri — anche senza la repubblicana intransigenza del povero Mazzini — la lenta graduale elevazione del proletariato con una savia e cauta riforma della legislazione, come raccomandavano Jules Simon e Bismarck, Berti, Grimaldi o Leone XIII, rinviata definitivamente all’anno duemila ogni discussione sul programma massimo, è stato in questi ultimi trent’anni il vangelo del Partito Socialista Internazionale.
Che, senza punto avvedersene, è rinculato passo passo al 1848, sostituendosi con minor larghezza di vedute e minor audacia di rinnovamento a quella democrazia contro la quale sessant’anni fa era insorto.
Manca dunque al Partito Socialista Internazionale così com’è la funzione storica e politica, manca ogni ragione della sua esistenza; la sua scomparsa è una fatalità ineluttabile della logica e della storia.
E muore.
L’antitesi dei suoi elementi nemici onde s’intesse la compagine del Partito Socialista Internazionale — la grande maggioranza dei proletari che intende alla propria emancipazione economica contro la minoranza borghese che intende soltanto alla propria fortuna politica — antitesi che la ferrea disciplina del partito (amputato saviamente al Congresso di Genova della sua parte più intransigente, più combattiva e più vivace) si era illusa, se non di dirimere, di placare colla graduale militarizzazione del partito socialista sotto la sovrana autorità del Gruppo Parlamentare, e che si era già accusata in forma violenta, pur mascherandosi di acri competizioni personali, nell’eterna polemica tra riforme e rivoluzione; e si era momentaneamente sopita nell’espediente obliquo dell’integralismo; è riapparsa acerba ed inconciliabile collo spuntare, il crescere ed il diffondersi del sindacalismo, il quale non ha né può avere altro significato se non questo: poiché dopo quasi trent’anni di lotte parlamentari non siam giunti che a creare in mezzo a noi una breve e presuntuosa oligarchia di borghesi che subordina alla lotta ed alle riforme legislative e politiche tutta la nostra aspirazione alle lotte ed alle conquiste economiche, torniamo all’Internazionale del Lavoro, al sindacato operaio da cui ogni infido elemento borghese sia rigidamente bandito.
Ed abbiamo assistito a questo sintomatico episodio di divergenza costante ed accelerata; più la massa proletaria del partito, sfiduciata dell’azione parlamentare e legislativa, s’allontanava dal programma e dal seno del Partito socialista accentuando le sue simpatie pel sindacalismo, e moltiplicando i suoi tentativi di sciopero generale; più dal seno e dal programma del Partito, accentuando le sue preferenze pel radicalismo e pel liberalismo, si allontanavano gli emeriti piccolo-borghesi, frettolosi di rientrare nei ranghi dell’ordine cui si raccomandavano colle numerose confessioni di patriottismo e di lealismo e coll’espressa dichiarazione di esser pronti ad assumere nei consigli del Re e nel governo della borghesia la loro parte di responsabilità.
Smessa da una parte la speranza di ricondurre tutta la massa del partito sotto le bandiere dell’ordine, i borghesi del partito socialista hanno abbandonato per sempre quanto della dottrina socialista è inconciliabile coll’ordine borghese, diventando sempre più borghesi.
Dall’altra, guariti dall’amara esperienza, dell’ubbia già denunciata dal Marx che i borghesi possano sacrificarsi a tutto vantaggio della classe lavoratrice, i lavoratori sono tornati sotto il glorioso vessillo dell’Internazionale a chiedere ai lavoratori soltanto, e soltanto alla rivoluzione sociale, alla violenta distruzione del presente ordine di cose, la loro emancipazione economica.
Lo scisma definitivo, liberatore, non poteva determinarsi che là dove l’involuzione del socialismo parlamentare piccolo—borghese aveva raggiunto il limite estremo, in Francia, dove la partecipazione dei cosiddetti socialisti al governo della repubblica aveva più brutalmente accusato la contraddizione tra il regime borghese, sintesi di tutte le oppressioni e di tutte le vergogne del passato, ed il socialismo libertario, aspirazione a tutta la giustizia e a tutta la libertà del domani.
Così è che dalla Francia ci è venuto in questi giorni l’appello di Gustavo Hervé per la costituzione di un nuovo partito rivoluzionario:
«Tutti i partiti parlamentari sono screditati e disprezzati. Essi nauseano gli stessi parlamentaristi, e se avessero altro mezzo di sussistenza all’infuori dei quindicimila franchi della medaglietta, sarebbero oggi centinaia coloro che seguirebbero l’esempio di Labori e di Lasies.
Il partito socialista? Non soltanto esso non è più un partito rivoluzionario ma non è neppur più un partito di opposizione, non è più che una gamella. (…)
Bisogna approfittar del disgusto universale.
Un partito rivoluzionario è necessario, indispensabile.
È necessario per che cosa?
Anzitutto per difendere quel po’ di libertà pubblica, quel po’ di libertà individuale conquistataci dagli avi, a difenderla contro l’arbitrio e l’oppressione del governo, dei suoi magistrati, dei suoi birri, dei suoi manigoldi. Poiché nessun partito parlamentare è più in grado di assolvere questo compito, un partito rivoluzionario deve assumerlo.
È necessario poi per la sicurezza propria di noi militanti. Può da un momento all’altro, e quando meno ce l’attendiamo, prodursi l’avvenimento più grave: uno sciopero generale, una dichiarazione di guerra. Se l’una o l’altra di queste previsioni dovesse oggi avverarsi, noi saremmo sorpresi come lo sono stati i nostri compagni di Barcellona…
e senza un forte partito rivoluzionario ci toccherebbe o starcene mogi mogi o farci mitragliare come cani.
È necessario, infine, per determinare la costituzione di un partito identico in altri paesi, in cui i berrettoni del socialismo parlamentare lavorano a spegnere ogni spirito di rivolta, ciò che costituisce un vero e proprio pericolo internazionale.
L’elemento per costruire il nuovo partito non manca…
Si può coscrivere tra i socialisti insurrezionali,… tra i sindacalisti rivoluzionari,… tra i libertari e gli anarchici. Non bisogna contare sugli anarchici individualisti pei quali l’io è l’ombelico del mondo, e neanche sui comunisti libertari più dottrinari che uomini d’azione, che sono compagni eccellenti e teorici audaci ma che dall’azione si tengono lontani; ma sulla massa dei comunisti anarchici… pronti a metter da banda tutte le teorie per far dell’azione pratica, che sono assetati d’azione positiva e comprendono che per fare dell’azione occorre un minimum di disciplina consentita e che gli aggruppamenti temporanei per certi scopi determinati non possono resistere all’azione d’insieme metodica e perseverante d’un partito solidamente organizzato e provvisto di risorse finanziarie come il Partito Socialista parlamentare».
Che cosa sarà il nuovo partito?
«Sarà partito di propaganda, d’agitazione, d’azione.
Partito di Propaganda, diffonderà nel paese colle conferenze coi giornali cogli opuscoli l’idea della espropriazione violenta della borghesia; scalzerà i pregiudizi religiosi, politici, morali, legalitari, parlamentari che servono di ridotto alla classe possidente e dirigente; approfitterà dell’effervescenza dei periodi elettorali, non facendo però uso del voto, per dimostrare l’impotenza rivoluzionaria dei parlamenti e per far la prova che in materia di riforme immediate i Parlamenti obbediscono soltanto alla pressione esterna, all’azione diretta delle minoranze irrequiete ed attive; giustificherà dinnanzi ai piccoli proprietari della campagna, i cui figli sono la metà nell’esercito, le rivendicazioni degli operai della città…
Partito d’Agitazione, approfitterà delle infamie padronali, governamentali, giudiziarie, poliziesche, clericali, per iniziare meeting imponenti, per scendere nella strada a risvegliare così lo spirito di rivolta nelle masse abbrutite.
Partito d’Azione agiterà coll’esempio rialzando il morale di un popolo che quarant’anni di delusioni parlamentari hanno fatto scettico dimostrando colla vita privata e pubblica dei suoi militanti, colla loro abnegazione, il loro coraggio, il loro spirito di solidarietà, che un’umanità migliore sarà possibile il giorno in cui la Bastiglia capitalista sarà atterrata».
Mettiamo da banda subito come un assurdo l’idea di costituire un partito rivoluzionario e di dettargli un decalogo, iniziando un compito generoso di ribellione con un atto dogmatico d’esclusivismo chiudendo le porte agli individualisti dell’anarchismo, che se vaneggiano nel verbalismo idolatra del loro io unico e sognano le aurore fantastiche del dominio, in fondo della società presente non vogliono ed a distruggerla lavorano col nostro stesso fervore.
Se Hervé ed i compagni che sono con lui pensassero che a questa nostra meta comune di espropriazione della borghesia e di distruzione dello Stato, che a questo nostro metodo comune di astensionismo elettorale e parlamentare, di sciopero generale insurrezionale, e di violenta distruzione dell’ordine costituito, molti socialisti — pur convinti che non v’è altra salvezza, pur scorati e nauseati dal tradimento dei tutori — non si conciliano perché la disciplina e la carità di partito hanno soffocato in essi lo spirito d’indipendenza e li hanno fatto indulgenti di tutte le indulgenze ai sacerdoti, e che dallo slancio ribelle li trattiene la paura del sacrilegio, la fede giurata al programma; che il fissare al pensiero ed all’azione comune un indirizzo ed un vangelo è già comprimere nel suo rigoglioso divenire questo volontario e cosciente riprendersi delle masse appena liberate dal giogo e dalla ferula dei sinedri; e che se la confidente concordia dell’azione non scaturirà mai da un consentimento di disciplina anche minima, si comporrà invece indissolubilmente ed attingerà un’intensità tanto più fattiva quanto più spontanea eromperà dalla adesione solidale delle singole iniziative, andrebbero forse più cauti a raccomandarci il partito, il programma e la disciplina.
Tanto più che l’argomento è secondario.
L’essenziale, quello che davvero importa, che conforta ed anima all’agitazione ed alla perseveranza dell’azione, è questo:
Che, dopo quarant’anni di aberrazione e d’ibridismo, il proletariato internazionale spezza violentamente i vincoli obliqui della solidarietà che l’ha fino a ieri, attraverso la menzogna losca del socialismo parlamentare, avvinto al carro delle classi dominanti; e si riprende, educato dalla sanguinante esperienza, a non credere, a non sperare, a non cercare che in sé i mezzi e la forza del proprio riscatto.
Questo importa: lo scisma liberatore che l’affranca dai tutori rinnegati, dai capitani traditori, per restituirgli il coraggio e la confidenza della propria forza.
Questo importa: che — avanti assai di ogni idea di costituire un nuovo partito rivoluzionario — socialisti rivoluzionari, sindacalisti insurrezionali, comunisti libertari e individualisti dell’anarchismo, si sono sentiti cuore a cuore, gomito a gomito, collo stesso proposito, di fronte allo stesso nemico, collo stesso tacito impegno di sbaragliare, insieme alla vecchia tirannia che agonizza, la nuova che tempra alla fiamma cupa delle frodi sapienti i ceppi ed i supplizi del domani.
Questo urge: inasprire quello scisma, approfondire quell’abisso, così che tra il passato e l’avvenire nessun ponte, nessun compromesso, nessuna transazione sia possibile.
Ed avremmo lavorato per la comune redenzione più utilmente che non erigendo per gli affrancati di ieri un nuovo concilio, un nuovo vangelo, un nuovo ordine, ancora una catena.
[Cronaca Sovversiva, anno VIII, n. 15 del 9 aprile 1910]
Contro un Partito Rivoluzionario Internazionale
Noi non diamo la nostra adesione alla proposta di costituire un partito Rivoluzionario Internazionale.
E ne diciamo francamente le ragioni, a cui abbiamo sommariamente accennato nell’articolo Lo Scisma Liberatore.
Diciamo «sommariamente» perché quell’articolo più che risovere il quesito posto da Gustavo Hervé intorno alla opportunità di costituire un nuovo partito rivoluzionario in cui possano arruolarsi socialisti rivoluzionari, sindacalisti insurrezionali e anarchici libertari, si limitava ad indicare il lento processo per cui gli strati del Partito Socialista Internazionale che hanno, soli, l’interesse di abbattere l’attuale ordine sociale, gli strati proletari, erano grado grado tornati alle gloriose origini rivoluzionarie che avevano tradito sotto il pungolo e la tutela, sempre più dittatoriale, degli elementi borghesi infiltratisi nel partito per evirarne l’acre spirito di classe, per mozzargli le unghie ed irregimentarlo alla retroguardia del partito radicale col quale avrebbe dovuto scalare il potere, chiedere allo Stato in una serie di progressive riforme il mantenimento dello status quo economico, attenuati appena appena gli antagonismi tra sfruttati e sfruttatori, da corrispondenti istituti di protezione, di filantropia, di carità.
La sintesi di quel processo consentiva una grata constatazione, rigogliosa di speranze e di fiducie rinnovate: dopo di essersi lacerati e dilaniati durante un quarto di secolo, proletari del socialsimo e proletari dell’anarchismo si erano trovati, senza una rinuncia all’ideale od alla dottrina, cubito a cubito, cuore contro cuore, schierati in più di un campo di fronte al comune nemico, nella lotta per la scuola moderna, nella lotta antiparlamentare.
Ma confessiamo apertamente che se da quella constatazione ci sentivamo confortati a trarre i voti e gli auspici migliori, avremmo anche gradito non andare più in là, né affrontare una discussione che inasprendo gli animi potrebbe ostacolare e ritardare quello che da una parte e dall’altra è vivamente e con uguale sincerità desiderato: che le occasioni di trovarsi l’una a fianco dell’altra si moltiplichino a diffondere ed a rinvigorire il sentimento della stima e della confidenza reciproca senza delle quali non è possibile né intesa feconda, né unità, né energia, né efficacia d’azione.
Perché è evidente: se Partito è l’accolta di persone e di gruppi che, a sorreggere ed a realizzare una determinata aspirazione politica od economica, sono da un programma concorde disciplinati ad un’azione comune, è chiaro che la proposta di un partito in cui si accolgano socialisti, sindacalisti ed anarchici, comunisti collettivisti e mutualisti, fautori cioè dell’autonomia dell’aggruppamento spontaneo e volontario, della libera produzione e del libero consumo per una parte, e fautori per l’altra dello Stato, dell’organizzazione autoritaria, dell’obbligazione e della sanzione, di programmni, di decreti, di disciplina e di obbedienza — si risolve, dirò così, in un assurdo per definizione.
E il tentativo si risolverebbe in un disastro.
Si ha un bel dire che le questioni di dottrina sono problemi del domani remoto: la via che oggi battiamo è segnata dalla meta che vogliamo attingere, ed ogni nostro passo che non voglia essere mimica sterile e puramente formale è un urto contro tutto ciò che, pensiero od azione, contrasta ai nostri propositi, alle nostre aspirazioni fondamentali.
A prescindere quindi, ché ci porterebbe lontano, da ogni considerazione intorno al pericolo materiale e morale che dall’enorme accentramento di così diverse e così diffuse energie potrebbe conseguire, è manifesto che il nuovo partito non potrebbe erigersi né mantenersi se non a prezzo di impossibili rinunzie essenziali ed assidue; e siamo tutti d’accordo, io credo, nel ritenere che vigore ed impeto d’azione non possano dalla rinuncia scaturire. E se ammettiamo che nel partito ciascuna frazione possa mantenere i suoi caratteri e la sua fisionomia, avremo allora un’arena forsennata di contrasti e di antagonismi, di competizioni caine foriere per una parte di mortificanti necessità disciplinari ed autoritarie, foriera per l’altra di eresie, di rivolte, di scismi nuovi, di nuove e più dolorose divisioni.
Non dimentichino i compagni, i lavoratori di una parte e dell’altra, che se gli elementi sani del Partito Socialista Internazionale hanno dovuto evadere, cercare alla loro onesta aspirazione socialista e rivoluzionaria uno scampo fuor dell’ambiente eviratore della caserma del partito, una, se non la fondamentale, delle cause va ricercata appunto nella etereogeneità degli elementi costitutivi, nella disciplina, nella coercizione, nella subordinazione passiva e rassegnata della massa ai suoi delegati, rappresentanti, deputati, divenuti nella consuetudine dell’ispirazione, della tutela, del comando, i loro padroni, i loro mali pastori.
E non dimentichino che, se dopo tanti anni di antagonismo sciagurato, sfuggiti appena al giogo del partito ed alla ferula dei tutori, cotesti elementi sani, sinceri, vigorosi del Partito Socialista Internazionale hanno guardato a noi come a fratelli con cui si possa insieme fare un po’ dell’aspro cammino, si è perché in noi hanno ritrovato una fede, un’energia, una forza, un fervore d’attività e d’iniziativa che le consuetudini della libertà, l’orrore per ogni forma di disciplina e d’autorità, hanno sviluppato, educato, rinvigorito.
Della strada insieme se ne può fare, utilmente, e ne faremo.
Ma condizione indispensabile a stringere nei momenti di crisi il buon patto di guerra e di distruzione, è la sincerità: la condizione indispensabile a fecondare tra le diverse falangi proletarie la simpatia, la fiducia reciproca, la solidarietà che innerva le vittorie della rivoluzione, è ancora la sincerità; e alla sincerità, all’azione, alla vittoria si rinuncia a nostro avviso quando da una parte o dall’altra si rinuncia all’integrità delle proprie aspirazioni, si nasconde un lembo della propria anima, si ammaina un’audacia del proprio pensiero e della propria bandiera in omaggio ad una disciplina che si ripudia o ad una fede in cui non si crede.
Oh se ciascuno di noi rimanga quello che è, e sia quello che millanta di essere, le occasioni dell’azione non mancheranno. Se gli scioperi generali catalani dell’ultimo luglio avessero trovato un’eco solidale in ogni lembo della vecchia Europa, non avrebbe sogghignata beffarda e vittoriosa dagli spalti di Montjuich, tra il fumo dei nuovi roghi ed il sangue dei nuovi martiri, l’Inquisizione spagnola.
Così del Messico, così dell’Argentina, se l’all’erta! di quelle sentinelle perdute della rivoluzione sociale alle prese cogli avamposti del nemico, invece di cadere tra le diatribe irose delle “tendenze” socialiste o tra le beghe accademiche ed i triviali turpiloqui del lazzaronismo anarchico, ci avesse trovati colla fede alta nei cuori e sulle fronti, coll’ascia d’arembaggio nel pugno.
Se quelle sconfitte e quei supplizi sono la nostra vergogna, sappiamo lavarla al primo squillo delle diane imminenti!
[Cronaca Sovversiva, anno VIII, n. 17 del 23 aprile 1910]