Il Governo dei giudici e la fine del garantismo

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Pierleone Porcu

Viviamo ormai in un paese d’indagati e di indagatori, ove gli indagatori diventano a loro volta indagati. L’informazione non fa che registrare questa situazione nel modo più palese possibile, affermando tutto e il contrario di tutto, a seconda di quello che è l’andamento prevalente nel borsino di affari legato al governo della magistratura. E’ noto l’interscambio tra scoop, inchiesta giudiziaria e relativa denuncia, ora di questo ora di quell’indagato o indagatore per violazione del segreto istruttorio. Così si costruiscono le carriere tanto del giornalista quanto del magistrato, che corrono in questo modo in parallelo.

Grazie all’industria del pentitismo e del giustizialismo si è giunti ad una inversione dei rapporti tra potere giudiziario e potere politico fino al configurarsi di una situazione di netta predominanza del primo sul secondo e per conseguenza su tutti gli altri.
L’industria dell’informazione si è adeguata alla nuova situazione e si evidenzia nel suo farsi strumento della sovraesposizione del potere dei giudici.
I più rincoglioniti da questa democrazia nella loro verve di garantisti credono che il ruolo preminente attuale della magistratura finisca quando la classe politica sarà nuovamente legittimata dal voto, e quella nuova imprenditorialtecnocratica dal produttivismo legato alla ripresa economica del paese; ma tralasciano il fatto che la prima è già composta da ex-magistrati candidatisi nei vari partiti e la seconda è altrettanto rappresentata da ex-magistrati in veste di consiglieri legali.
Sarebbe bene, quindi, che tutti prendessero atto che si prospetta un governo definitivo sotto la tutela della magistratura, e che le scelte politico-istituzionali le faranno i giudici tramite la politica giudiziaria. Tutela che gode del consenso popolare,ha l’immagine di governo sancito dalla moralizzazione, e prospetta lo “Stato etico” interiorizzato nel buon cittadino, ligio e zelante verso tutte le leggi promulgate sottoforma di misure di prevenzione sociale atte a combattere ogni forma di opposizione alle regole da essi emanate.
Tutto ciò verrà presentato come necessario per l’abbattimento, con mezzi sempre più duri, della criminalità organizzata, per cui ogni oppositore radicale al dominio sarà indicato non come oppositore politico, ma come criminale e in quanto tale con ogni mezzo perseguibile, compreso il più bieco, quello del ricorso alla costruzione di pentiti e l’uso di testimoni compiacenti col PM.
All’elogio dell’infamia e al pensare poliziesco l’opinione pubblica si è ormai abituata fino a considerare ogni problema risolvibile ricorrendo all’autorità giudiziaria.
La fine del “garantismo”, anche come ideologia, è ormai cosa certa. Non esiste più un “diritto penale”, non è il reato attribuito a sancire la detenzione dell’imputato ma unicamente la messa in atto di questo o quel progetto emergenziale perseguito dai corpi giudiziari e polizieschi dello Stato.
Non esistendo alcuna reale divisione dei ruoli nel funzionamento della macchina statale, ma un “tuttocompatto” dato dalla informatizzazione intervenuta, appellarsi al garantismo in un qualsiasi processo fa ridere o piangere a seconda dei casi presi in questione, poichè le uniche “garanzie” di cui gode l’imputato non dipendono tanto dalla formale procedura giudiziaria seguita, quanto dalla “benevolenza” del PM e dei giudici. E’ quanto accade nei processi penali di una certa portata, dove le sentenze emesse sono espressione di giudizi pilotati da questa o quella emergenza sociale agitata sulla piazza tramite i media. I magistrati giudicanti, zelanti nei confronti di tali esigenze e in vena di far carriera, non fanno altro che applicare quanto formalizzato dai PM. Non esiste,nella pratica, alcuna separazione fra magistratura inquirente e quella giudicante; entrambi rappresentano l’interesse generale contro quello particolare dell’imputato,per cui non esiste alcuna “pari possibilità” tra le due parti, alcuna dialettica a tutela della difesa dell’imputato.
L’imputato è succube dell’onnipotenza della magistratura, essere imputato è già un crimine, in quanto si ritiene l’accusato capace o propenso a fare quanto gli viene contestato dall’accusa. Essere imputati per questo o quel reato è già un “indizio” di colpevolezza. E poiché tutto si regola sulle rivelazioni di “pentiti”, di “testimoni” compiacenti, e sull’indiscussa attendibilità delle forze dell’ordine anch’esse rappresentanti l’interesse generale, traete voi la conclusione di quali armi di difesa goda l’imputato.
Le accuse in un qualsiasi procedimento penale o civile sono sempre pubbliche,ma le indagini segrete. L’avvocato difensore è di fatto un complice prima del PM, quindi del G.I.P e poi nel processo, della Corte giudicante, in quanto è chiamato non tanto a difendere o tutelare gli interessi particolari del suo assistito ma a fare da notaio, con la sua presenza, alla procedura penale seguita.
Per capire lo sviluppo dell’attuale situazione, più che guardare alle consultazioni tra i due poli (centro destra e centro sinistra) sarebbe opportuno guardare a quel che avviene nei palazzi di giustizia, perchè è qui che ormai si fa la politica e si decidono, in buona parte, le sorti del paese.
Il garantismo era la strada seguita dai riformisti di ogni coloritura politica in quanto volevano costruire uno “Stato di giustizia sociale”; i rivoluzionari, specie gli anarchici hanno sempre indicato la strada della violenza insurrezionale per liberarsi da ogni dominio. Lo Stato si abbatte e abbattendolo si distrugge anche la macchina della “giustizia” unitamente al sistema ad esso strettamente connesso:il capitalismo.
La giustizia, a qualsiasi titolo presentata, va attaccata senza perdere tempo e con tutti i mezzi a nostra disposizione.
Il resto?
Il resto sono chiacchiere di chi vorrebbe sempre qualcosa di nuovo, ma non ha il coraggio di prenderselo, qui e ora.

PierLeone M. Porcu