Ecco uno tra i testi più noti e importanti della sinistra comunista tedesca. Viene scritto da Otto Ruhle nel 1920 come contributo al congresso fondativo del KAPD, ed è espressione della tendenza più radicalmente “antidirigista” in seno a quest’organizzazione. Il KAPD nasce da una scissione del KPD, il partito comunista tedesco ufficiale, sulle basi dell’antielettoralismo e dell’uscita dai sindacati. Al suo interno, accanto ad un certo feticismo organizzativo verso la forma dei consigli ben ravvisabile in questo testo, matura l’idea dell’organizzazione unitaria che deve ricomporre la divisione tra organizzazione politica ed organizzazione economica del proletariato. Queste sono le unioni, organizzate su base di fabbrica e non di mestiere, perché si crede che solo nella fabbrica, nel luogo produttivo, i proletari possano, fuori dalle pastoie della democrazia sociale, essere rivoluzionari. Su questi aspetti della sinistra tedesca, sui limiti di un’affermazione del proletariato come contenuto positivo della rivoluzione, tanto è stato detto è scritto. Ci basta far notare, con le righe che seguono, che strano partito fosse quello in questione nonché quanto pesasse al suo interno la critica del centralismo organizzativo. La contraddizione è infatti talmente forte che sfocia nella divisione tra chi vuole mantenere la forma partito (KAPD) accanto all’unione(AAU), con una funzione propagandistica e d’avanguardia teorica, e chi sviluppa conseguentemente la critica della separazione. Questi ultimi, tra cui Otto Ruhle, verranno espulsi verso la fine del 1920 stesso e fonderanno l’AAU-E. Ci ritorneremo.
I
Il parlamentarismo si afferma insieme al dominio della borghesia ed è con esso che nascono i partiti politici.
La borghesia trova nei parlamenti l’arena dei suoi primi conflitti con la corona e con la nobiltà. Essa si organizza politicamente per conferire alla legislazione una forma corrispondente alle esigenze del capitalismo. Il capitalismo, d’altronde, non possiede un carattere omogeneo: i diversi strati sociali e gruppi d’interesse, in cui si suddivide la borghesia, fanno valere ciascuno le proprie differenti rivendicazioni. E’ per farsi portavoce di tali rivendicazioni che sorgono i partiti politici, e che inviano i propri rappresentanti in parlamento. Quest’ultimo diventa quindi il luogo di tutte le lotte per il potere politico ed economico (in un primo momento solo sul piano legislativo, ma in seguito, sempre nel quadro del sistema parlamentare, anche su quello del controllo del potere esecutivo). D’altra parte le lotte parlamentari, così come quelle tra i partiti, non sono che schermaglie verbali: programmi, polemiche giornalistiche, manifesti, relazioni per le riunioni, risoluzioni, discorsi parlamentari, decisioni – nient’altro che parole. L’attività parlamentare, sempre di più col passare del tempo, degenera in chiacchiera da salotto. Ma fin dall’inizio i partiti non sono che banali macchine preposte alla gestione delle elezioni. Non è un caso se, originariamente, essi venivano chiamati “unioni elettorali”.
Borghesia, parlamento e partiti politici si condizionano e si implicano reciprocamente in modo necessario. Nessuno di questi elementi è concepibile senza gli altri. Essi definiscono la fisionomia politica dell’epoca borghese-capitalista.
II
La rivoluzione del 1848 fu soppressa sul nascere. Ma la repubblica democratica, ideale dell’epoca borghese, venne comunque eretta. La borghesia, impotente e molle per natura, non fornì alcun contributo significativo e non mostrò alcuna volontà di realizzare il suo ideale attraverso la lotta. Essa ammainò la propria bandiera dinnanzi alla corona e alla nobiltà, si accontentò del diritto di sfruttare economicamente le masse e ridusse il parlamentarismo a una parodia. Ne discese dunque, per la classe operaia, il dovere di inviare i propri rappresentanti in parlamento. Questi ripresero le rivendicazioni democratiche dalle mani perfide della borghesia, le propagandarono con energia e cercarono di inscriverle nella legislazione dello stato.
La socialdemocrazia si dà, in funzione di questo obiettivo, un programma democratico minimo: un insieme di rivendicazioni pratiche, adeguate alle condizioni dell’epoca borghese. La sua azione parlamentare è interamente dominata da questo programma, cioè dalla preoccupazione di ottenere, anche per la classe operaia e per la sua azione politica, i vantaggi di uno spazio di manovra legale, costruendo e portando a compimento la democrazia formale borghese-liberale.
Allorché Wilhelm Liebknecht propose una tattica astensionista, egli dimostrava di non comprendere la situazione storica. Se la socialdemocrazia intendeva essere efficace in quanto partito politico, essa non poteva rimanere fuori dal parlamento. Non vi erano altre possibilità di agire e di farsi valere politicamente. Quando i sindacalisti si svincolarono dal parlamentarismo e iniziarono a predicare l’antiparlamentarismo, facevano onore al proprio giudizio sulla vanità e la corruzione crescente della pratica parlamentare. Ma, nella pratica, esigevano dalla socialdemocrazia qualche cosa di impossibile, che andava contro la necessità storica e implicava che la socialdemocrazia rinunciasse alla propria stessa essenza. Essa, ovviamente, non poteva fare proprio questo punto di vista. Essendo un partito politico non poteva che scegliere di stare in parlamento.
III
Il KPD, a sua volta, è diventato un partito politico. Un partito in senso storico, esattamente come i partiti borghesi, l’SPD e l’USPD. Sono soltanto i capi ad avere diritto di parola. Essi parlano, promettono, seducono, comandano. Le masse, quando ci sono, si trovano davanti al fatto compiuto. Devono serrare i ranghi e marciare al passo. Devono credere, tacere, pagare. Devono obbedire agli ordini. E soprattutto devono votare! I loro capi vogliono entrare in parlamento e quindi devono essere eletti. Dopodiché, mentre le masse si mantengono in uno stato di sottomissione muta e di passività devota, i capi si occupano di “alta politica” in parlamento.
La dirigenza del KPD mente, quando afferma di volere entrare in parlamento soltanto per distruggerlo. Mente, quando afferma che non vuole svolgere, all’interno del parlamento, alcun lavoro positivo. Non distruggerà il parlamento, perché non vuole e non può. Svolgerà un “lavoro positivo”, lo vuole e vi è costretta: è di questo che vive! Il KPD è diventato un partito parlamentare come gli altri. Un partito del compromesso, dell’opportunismo, della critica costruttiva e della giusta oratoria. Un partito che non è più rivoluzionario.
IV
Guardateli! Entrano in parlamento, riconoscono i sindacati, si inchinano davanti alla costituzione democratica, si riconciliano col potere dominante. Si collocano sul terreno dei rapporti di forza reali e prendono parte all’opera di restaurazione nazionale e capitalista. Quale sarebbe la differenza rispetto all’USPD?
Il KPD critica anziché negare, fa opposizione anziché fare la rivoluzione, contratta invece di agire. Insomma, chiacchiera piuttosto che lottare. Esso cessa di essere un’organizzazione rivoluzionaria e diventa un partito socialdemocratico. Non si distingue dagli Scheidemann e dai Däumig che per una questione di sfumature. Non rappresenta che una evoluzione dell’USPD. Come quest’ultimo, diventerà ben presto un partito di governo, e questo segnerà la sua fine!
V
Alle masse resta una consolazione: un’opposizione esiste ancora! Questa opposizione non si candida per un posto nel campo della controrivoluzione. Essa si è raccolta in una organizzazione politica.
Questo passaggio era necessario?
Gli elementi politicamente più maturi, più determinati e più attivi da un punto di vista rivoluzionario, hanno il dovere di formare la falange della rivoluzione. Essi non potevano compiere questo dovere se non in quanto falange, ovvero in quanto formazione chiusa. Essi sono l’élite del proletariato rivoluzionario. In virtù del loro carattere chiuso, essi acquistano maggiore forza e profondità di giudizio. Essi si manifestano come avanguardia del proletariato, come volontà d’azione di fronte a individui esitanti e confusi. Nel momento decisivo essi costituiscono il centro di gravità di ogni attività.
Essi sono un’organizzazione politica. Ma non un partito politico! Non un partito nel senso tradizionale. La sigla KAPD rappresenta l’ultima vestigia esteriore – che presto diventerà superflua – di una tradizione, che sfortunatamente un colpo di spugna non può cancellare da un’ideologia di massa, ieri ancora vivente ma oggi ormai sorpassata. Ma anche quest’ultima traccia sarà cancellata. L’organizzazione delle prime linee della rivoluzione non può essere un partito tradizionale, pena la morte; pena la sorte in cui si è andato ad arenare il KPD.
Non è più tempo di fondare partiti, perché non è più tempo di partiti politici in generale. Il KPD è stato l’ultimo partito. La sua bancarotta è stata la più sprovvista di dignità e di gloria…
VI
La rivoluzione non è affare di partito. I tre partiti socialdemocratici hanno la presunzione di considerare la rivoluzione come un loro proprio dominio esclusivo e di proclamare che la vittoria rivoluzionaria è il loro fine in quanto partiti.
La rivoluzione è questione – politica ed economica – che riguarda la totalità della classe proletaria. Soltanto il proletariato in quanto classe può condurre la rivoluzione alla vittoria. Tutto il resto è superstizione, demagogia, ciarlataneria politica.
Si tratta di concepire il proletariato in quanto classe e di innescare la sua attività in funzione della lotta rivoluzionaria. Sulla base e dentro al quadro più ampi. Perciò tutti i proletari pronti alla lotta rivoluzionaria, senza riguardo alla loro provenienza o alla base sulla quale sono stati reclutati, devono riunirsi nei luoghi di lavoro in organizzazioni rivoluzionarie di impresa, a loro volta riunite nel quadro dell’Unione Generale dei Lavoratori.
L’AAU non è un miscuglio indistinto, né una formazione fortuita. Essa è il raggruppamento di tutti gli elementi proletari pronti a un’attività rivoluzionaria, che si schierano a favore della lotta di classe, del sistema dei consigli e della dittatura del proletariato. E’ l’armata rivoluzionaria del proletariato.
L’AAU affonda le proprie radici nelle singole imprese, si articola secondo i diversi rami d’industria, dal basso verso l’alto, in forma federata alla base e organizzata secondo il sistema degli uomini di fiducia rivoluzionari al vertice. La sua spinta procede dal basso verso l’alto, a partire dalle masse operaie. Si eleva in conformità con esse. Essa è la carne e il sangue del proletariato. La forza che la spinge è l’azione delle masse; la sua anima è il soffio ardente della rivoluzione.
Essa non è una creazione di capi, non è una costruzione sottilmente congegnata. Non è un partito politico fatto di bonzi stipendiati e dedito alla chiacchiera parlamentare. E non è nemmeno un sindacato. Essa è il proletariato rivoluzionario.
VII
Cosa intende dunque fare il KAPD? Creare delle organizzazioni rivoluzionarie d’impresa, estendere l’Unione Generale dei Lavoratori. In ogni impresa, in ogni ramo d’industria, esso formerà i quadri delle masse rivoluzionarie: li preparerà per l’assalto, li consoliderà e fornirà loro la forza per lo scontro decisivo, fino a quando ogni resistenza da parte del capitalismo in via di disfacimento non sarà stata vinta. Esso instillerà nelle masse in lotta la fiducia in sé stesse e nelle proprie forze, sola garanzia della vittoria (nella misura in cui questa fiducia le libererà dei capi ambiziosi e traditori).
E a partire dall’Unione Generale dei Lavoratori, prendendo avvio dalle imprese, per estendersi alle regioni economiche ed infine ad ogni paese, si cristallizzerà il movimento comunista: il nuovo “partito” comunista… che non è più un partito; ma che è – per la prima volta – comunista! Cuore e testa della rivoluzione!
VIII
Rappresentiamoci questo processo in forma concreta. Poniamo di avere 200 uomini in un’impresa. Parte di questi appartengono all’AAU e fanno propaganda per questa organizzazione, inizialmente senza successo. Ma la prima lotta, in occasione della quale i sindacati naturalmente cederanno, romperà i vecchi legami. Presto 100 lavoratori saranno passati all’Unione. Ci saranno tra essi, poniamo, 20 comunisti, mentre la parte restante sarà composta da militanti dell’USPD, sindacalisti e non-organizzati. Inizialmente l’USPD ispirerà la massima fiducia ai lavoratori. La sua politica dominerà la tattica delle lotte condotte all’interno dell’azienda. Tuttavia, lentamente ma inevitabilmente, la politica dell’USPD si rivelerà falsa, non rivoluzionaria. La fiducia che i lavoratori avevano riposto in questa organizzazione si attenuerà. Si affermerà invece la politica dei comunisti. I 20 comunisti diventeranno 50, poi 100 e più, e ben preso il gruppo comunista dominerà politicamente la totalità dell’impresa, determinerà la tattica dell’Unione, volgerà le lotte al fine rivoluzionario, nel micro come nel macro. La politica comunista si radicherà di impresa in impresa, di regione economica in regione economica. Essa si realizzerà, guadagnerà terreno, diventando il corpo, la testa e l’idea direttrice del movimento.
E’ quindi a partire da cellule di lavoratori comunisti all’interno delle imprese, a partire da frazioni comuniste della massa nelle regioni economiche, che si costituisce – attraverso l’edificazione del sistema dei Consigli – il nuovo movimento comunista.
Dunque, un “rivoluzionarizzazione” dei sindacati, una loro “ristrutturazione”? E quanto tempo durerà questo processo? Anni? Decine d’anni? Fino al 1926, per caso?
Niente di tutto questo. L’obiettivo non è quello di demolire, di annientare il colosso d’argilla delle centrali sindacali, con i suoi sette milioni di iscritti, per ricostruirlo successivamente sotto altra forma. L’obiettivo è quello di impadronirsi delle leve del comando all’interno delle imprese chiave dell’industria e del processo della produzione sociale, in quanto tali decisive per l’esito della lotta rivoluzionaria. Di impadronirsi della leva che può mandare all’aria il capitalismo in interi rami industriali e in intere regioni economiche. La risolutezza e la disponibilità all’azione di una sola organizzazione può, all’occorrenza, avere più efficacia di uno sciopero generale. E’ così che il David della fabbrica abbatte il Golia della burocrazia sindacale!
IX
Il KPD ha cessato di essere l’incarnazione del movimento comunista in Germania. Ha un bel richiamarsi rumorosamente a Marx, a Lenin, a Radek! Il KPD non forma che l’ultimo anello del fronte della controrivoluzione. Presto si collocherà, in perfetto accordo con la SPD e la USPD, nel quadro di un fronte unico volto alla formazione di un governo operaio “puramente socialista”. Le sue rassicurazioni in merito a un’”opposizione leale” verso i partiti assassini che hanno tradito gli operai, non è che una tappa. Rinunciare a combattere in termini rivoluzionari gli Ebert e i Kautsky (cfr. Die Rote Fahne del 21 marzo 1920), significa già allearsi tacitamente con loro. Ebert-Kautsky-Levi rappresentano l’ultimo stadio del capitalismo morente, l’ultima “stampella politica” della borghesia tedesca. La fine. La fine degli stessi partiti, della politica, degli imbrogli, del tradimento dei capi. E un nuovo inizio per il movimento comunista: il Partito Comunista Operaio; le organizzazioni di fabbrica rivoluzionarie, raggruppate nell’Unione Generale dei Lavoratori; i consigli rivoluzionari; il congresso dei consigli rivoluzionari; il governo dei consigli rivoluzionari; la dittatura comunista dei consigli.