Messico: Lettera di Carlos Lopez “Chivo” sulla sua situazione carceraria (it/es)

buena

Un saluto compagnxi!

 

Vi scrivo questa lettera perché sento un forte bisogno di comunicare con i/le compagni/e fuori. Sono convinto dell’importanza di essere informati su ogni fatto di lotta contro ciò che comunemente chiamiamo “il nemico”, cioè lo stato capitale, attraverso le loro istituzioni meschine e i loro metodi di controllo fascisti.

Anche la lotta anticarceraria è importante e da questo nasce la mia esigenza di condividere la mia situazione come prigioniero anarchico, chiarendo a priori che in nessun momento ho cercato di fare la vittima per il fatto di dover vivere questa situazione, perché come ho già detto (o scritto): Non credo e non accetto la presunta innocenza o colpevolezza dei reati con cui mi si accusa e mi rivendico anarchico con progettualità insurrezionale e rivoluzionaria sequestrato dallo Stato (e non “vittima” di sequestro, come ho letto in un comunicato) e il fatto di raccontare la mia situazione carceraria è allo scopo di denunciare pubblicamente solo una piccola parte del modus operandi di questa istituzione schifosa. “Se non si vede, non esiste” e per questo che con le mie limitate possibilità, faccio in modo che si sappia attraverso questo tipo di denuncia che forma parte della mia lotta anticarceraria.

Circa un mese fa (verso metà marzo), quando ero ancora agli inizi del mio ingresso in carcere, si è verificata la prima provocazione. Verso le 7 di sera ero con un compagno di cella, quando improvvisamente si avvicina un tipo losco – che chiaramente non conoscevo- e inizia a cercare pretesti per discutere, con aggressioni verbali e spintoni; parte delle dinamiche del carcere è quella di difendersi quando è in gioco la tua “reputazione” (dinamica che per me non vale niente) ma sarà stato per la gravità delle parole o per lo stress dell’incarceramento, sono caduto in questa dinamica. 
Dopo esserci scambiati alcuni colpi, come per magia appaiono delle guardie (è strano e non avviene di frequente che la polizia entri nei corridoi delle celle) che ci dividono. Di solito le guardie tendono a calmare gli animi con schiaffi e colpi con il pugno chiuso per sottomettere chi sta litigando, e così hanno fatto con me e con il personaggio con cuistavo facendo a botte, (è di un enorme impotenza non potersi difendere contro i fottuti poliziotti di merda, perché si rischia che ti aprano un altro processo per aver aggredito la loro fottuta autorità) e ho pensato che la cosa sarebbe finita lì; ma mi sbagliavo. Dopo averci umiliato davanti tutti i prigionieri presenti, ci hanno fatto scendere le scale a spintoni e improvvisamente non ho più visto il mio aggressore iniziale e fino ad oggi non ho sentito niente su di lui; arrivati a destinazione mi cominciano a picchiare di nuovo; dopo aver sopportato fino a quel momento, gli ho cominciato a rispondere con insulti verbali, con l’idea fissa di passare all’insulto fisico, ma non ho potuto dovuto alle loro botte, sempre più forti. Non ricordo bene per che corridoio, ma mi hanno portato in una stanza buia, e prima di lasciarmi lì, mi hanno spogliato completamente, lanciato un secchio d’acqua fredda, dato le ultime botte (come se volessero che non li dimenticassi mai) e mi hanno sbattuto nella cella. Era notte, faceva freddo, mi avevano tolto tutti i vestiti, il pavimento era bagnato, con molte ferite al corpo, la cella senza un solo raggio di luce. Potete immaginare che notte ho passato? Ho sentito paura, rabbia e impotenza. Credo che tali trattamenti possano essere considerati come tortura fisica e psicologica.

Non ho mai avuto paura del buio, fino a quella notte, in cui ho passato circa 10 ore rigirandomi (senza poter vedere) in tutte le direzioni, in attesa che accadesse qualcosa, fino all’alba quando sono venuti a tirarmi fuori. Ovviamente era un altro turno di custodi.

Mi hanno riportato nella mia cella -non senza minacciarmi di restare zitto sull’accaduto- e arrivato in cella ho preferito non parlare con nessuno, non per la minaccia ma perché ero ancora costernato. Casualmente questo stesso giorno sono passato alla fase successiva di questo centro di sterminio, chiamato Reclusorio Oriente; la notte sono stato portato al C.O.C. (Centro di Osservazione e Classificazione) dove, da quando siamo entrati i quasi 150 detenuti, siamo stati accolti con il solito “terrore psicologico”. Proprio lì nel C.O.C. mi aspettava un’altra sorpresina. Più tardi siamo stati chiamati a svolgere la famosa “fajina”, si tratta della pulizia dell’edificio, o meglio la presunta pulizia, perché si tratta in realtà di un pretesto per un’estorsione. Una volta uniformati ci dicono: “Chi vuole pagare 2500 pesos (circa 150 euro) per non fare la fajina? Perché faremo in modo che non possiate sopportarlo e finiate per pagare lo stesso”, così che alcuni accettarono. Ma altri di noi abbiamo deciso di fare il lavoraccio. Ricordo che mi dicevano: “meglio che paghi guerito (modo in cui si chiamano quelli di pelle chiara), sicuro che soldi ne hai, non fare il cazzone, ci ripenserai”. Quel primo giorno ho fatto lafajina, che consiste nel fare “esercizio” in una maniera quasi disumanizzata, con l’intenzione che il tuo corpo si spacchi e finisci per pagare e chiaramente avevamo sempre dei gorilla dietro che esigevano maggiore velocità e se non vai a ritmo, ti picchiano. Tutto questo due volte al giorno, per circa tre ore di tortura.

Il giorno dopo mi dicono “facci vedere come ce la fai da solo” e dopo mezz’ora, in cui mi hanno fatto fare una specie di “carritos“, che consiste nel piegarti e lavare il pavimento con uno straccio bagnato, il tutto a gran velocità, sono caduto ed è stato in quel momento che mi hanno dato un calcio fra la schiena e i fianchi.

Di mio già avevo problemi alla schiena ed in quel momento non sono riuscito ad alzarmi. Il dolore era incredibile e ricordo che mi sono girato a guardare l’aggressore (un altro incarcerato bastardo che lavora con quelli della fajina) con la voglia di reagire però, ancora una volta, si trovavano da quelle parti quelli che avevano organizzato la rissa di due giorni prima e che mi aveva costretto alla cella oscura, e adesso per di più con la spalla contusa, non ho potuto dire niente. Mi sono alzato come ho potuto e sono andato dall’incaricato della fajina che mi dice: “Come vedi già non puoi proseguire e allora paga”. È stato così che ho dovuto accettare l’estorsione.

Ho dovuto chiamare una persona che mi depositasse 2000 pesos. Quando ho potuto parlare a questa persona, non ho potuto fare a meno di piangere, a causa della grande impotenza e il dolore ma non ha mai dato loro il gusto di farlo davanti quei schifosifajineros.

Apro una breve parentesi per ricordare che non ho mai fatto la vittima. Offeso, questo si, perché hanno cercato di calpestare la mia dignità.

Per “coincidenza”, per due settimane è stato negato l’accesso alla visita a mia madre, che era l’unica visita che ricevevo, argomentando che c’era un problema con il suo documento. Arrivando al C.O.C. i bastardi ti fanno una “perquisizione” e ti rubano soldi e schede telefoniche.

Non avevo soldi però avevo una scheda telefonica che hanno rubato insieme alla mia agenda di contatti telefonici. Voglio dire che durante queste due settimane sono rimasto incomunicato, misteriosamente isolato. Ho potuto solo fare la telefonata per chiedere i soldi…

Non ho mai pensato di andare a lamentarsi con le “autorità” del carcere, non c’è bisogno di dire che sono parte della stessa banda di serpenti in totale complicità. E tanto meno rivolgermi ai “diritti umani” perché i loro diritti sono per convenienza e io non ci credo.

Toccando il tema delle estorsioni, voglio chiarire: Quando parlo di estorsione, parlo di una pressione che qualcuno ti fa per ottenere certi risultati in beneficio di qualcuno, anche se contro la tua volontà, perché per “x” motivi è fuori dal tuo controllo; quindi non intendo per “estorsione” quando qualcuno ti chiede dei soldi e tu, per paura di essere picchiato glieli dai.

Una persona a me molto cara mi ha detto una volta: “non dargli più soldi”, come se io avessi optato per la seconda definizione di estorsione. So che non era sua intenzione ma capisco che molte persone possono avere questa impressione.

Per quanto riguarda l’estorsione come argomento della lotta anticarceraria, vi dirò che qui ti fanno pagare tutto, veramente tutto e questo mi sembra ridicolo e allo stesso tempo mi preoccupa perché nessuno dice niente. E so che quello che dico qui non cambia nulla ma io non voglio cadere in questa omertà collettiva.

Fanno pagare per usare i bagni (quello che sta nella cella non è sufficiente per tutti i detenuti), per usare l’acqua del rubinetto, perché il servizio nelle celle va via molto spesso, per appuntarsi alla lista (ci puoi credere? Per metterti nella lista) per andare in tribunale, per ricevere il tuo avvocato, per ricevere la tua visita e, a parte, l’uso della sedia che si sta utilizzando, per scendere le scale il giorno della visita, per potere uscire dalla tua cella, ti fanno pagare i lucchetti, vale a dire che per uscire da dove sei o dal posto dove dormi, fanno pagare in ciascuno dei tre istituti (Ingreso, C.O.C yPoblación) materiali come scope, sapone, bidoni, ecc, ecc. Che business questo!
E attenti! Quando ti rifiuti di pagare, viene la mano pesante.

Non posso non menzionare gli insetti, certi pidocchi bianchi, cimici e scarafaggi che sono parte del carcere! Pizzicano duro.

Un altro aspetto che non mi piace, e non solo a me, è il sovraffollamento. In Ingreso yPoblación le celle sono molto piccole, perlomeno nella mia esperienza in Ingresovivevamo 23 prigionieri in una celletta di circa 3 x 2,5 metri e in Población vivevamo in 17. Ê molto scomodo ed anche pericoloso per il fisico per la posizione in cui si dorme, se riesci a dormire, soprattutto gli ultimi arrivati che dormono di fianco la tazza del bagno, anche seduti. Il sovraffollamento nelle carceri messicane è preoccupante e perlomeno qui nell’Oriente è molto dura.

Nonostante siamo molti non succede niente. Qui dentro i metodi di domesticazione sono abbastanza notevoli, come per la religione, è impressionante la quantità di persone che ti dicono: “Forse è per volontà di Dio che siamo qui, lui ha un proposito per noi e qui dobbiamo assecondare la sua volontà” e si mettono a cantare e piagnucolare sperando che li tiri fuori presto di qui. E quando scoprono che sono ateo e che mi sembra nà stronzata che si lascino accecare da questo dogma, subito si allontanano o mi cominciano a fare strane domande ma questo è un altro tema.

Un altro modo di mantenere i prigionieri passivi è con la droga e, rispetto questo tema, ho sempre pensato che ognuno è libero di scegliere come vivere la propria vita, utilizzando droga o meno però ho sostenuto molte volte che il suo consumo molto spesso è una barriera che frena l’individuo e la sua ansia rivoluzionaria e finisce per sviare i suoi obbiettivi verso un felice letargo artificiale; soprattutto con le cosiddette droghe pesanti. Questo fra le altre cose.

Il carcere denigra il prigioniero, lo umilia, lo calpesta e prova a farla finita con la sua dignità per farne un essere sfruttato, senza volontà, servile e obbediente, premiandolo con il posto di “borrega o chivato” (forme di chiamare i canterini, gli spioni per intenderci) a chi mostra fedeltà e lealtà al sistema e castigando e isolando chi non si piega alle loro stupide norme o risponda e disobbedisca alle loro pratiche di terrore.

Per questo mi rivendico prigioniero anarchico in lotta anticarceraria. Confrontarsi al potere dall’interno del carcere è un istinto per conservare la nostra identità come persone che sentiamo amore per la libertà, per la nostra dignità e per difendere quello che siamo, liberando i nostri impulsi più selvaggi se è necessario, e di fronte tanta umiliazione si fa necessario fino al punto più distruttivo del nostro essere. Mi considero una persona libera, anche se in prigione, e rimarrà così fin quando non riusciranno a distruggere la mia individualità, fin quando i loro metodi di controllo e repressione non riusciranno a trapassare il mio cuore nero, fin quando continui a riconoscere la solidarietà dei compagni e compagne da fuori verso i/le prigioniere che siamo imprigionatx in qualsiasi carcere, qualsiasi centro di sterminio, qualsiasi istituto di subordinazione.

Le tattiche di terrore e paura del carcere non possono, non potranno fermare questo uragano di passione creatrice, di passione distruttiva, di passione costruttiva, questa progettualità liberatrice; e nonostante confrontarsi con l’autorità porti con sé l’imminente conseguenza della repressione, qui nessuno claudica, nessunx fa un passo indietro contro il nemico.

Il sistema carcerario cerca di farci vedere la sua violenza come qualcosa di normale a cui dobbiamo abituarci, che capiamo che così si vive in carcere; personalmente non penso lasciarmi addomesticare, non temo le loro rappresaglie, non sono di quelli che si dichiarano nemici dello stato ma cercano condurre una vita “normale” e senza mettersi in problemi, questo non mi suona come convinzione. Non voglio essere come quelli che ricevono un colpo e porgono l’altra guancia, né come quelli che “aspettano che ci siano le condizioni per agire”, no! Invece credo che un aggressione vada ricambiata al doppio, occhio per occhio, alla loro violenza contrapporre la nostra violenza antagonista, agire senza aspettare che i tempi siano maturi che chissà sia troppo tardi, ad un falò rispondere con un incendio.

Non ho finito di scrivere tutto ma mi fermo…

Giù i muri delle galere!

Fuoco alle carceri!

Per l’anarchia!!

Carlos “chivo” reclusorio Oriente.

http://reporter.indivia.net/messico-lettera-di-carlos-lopez-chivo-sulla-sua-situazione-carceraria/

México: Carta del compa Carlos López “Chivo” sobre su situación carcelaria

Escribo esta carta impulsado por la fuerte necesidad que siento de comunicarme con lxs compas del exterior. Estoy convencido de la importancia de estar enteradxs de cualquier acontecimiento de lucha frente a lo que comúnmente llamas “el enemigo”, osea, el estado capital; pasando por sus mezquinas instituciones y sus fascistas métodos de control.

La lucha anticarcelaria también es importante y he aquí mi nececidad de compartir mi situación como preso anarquista, aclarando a priori que en ningún momento he intentado victimizarme por lo que en este momento me toca vivir, pues como ya he dicho (o escrito) antes: no creo ni acepto en la presunta inocencia o culpabilidad de los delitos que se me achacan (acusan), que me reclamo como anarquista de proyectualidad insurreccionalista y revolucionaria secuestrado por el estado (y no “victima” de secuestro, como lei en un comunicado) y que el hecho de externar mi situación carcelaria es para denunciar públicamente tan solo una pequeña parte de la forma de actuar de esta asquerosa institución. “Si no se ve no existe” y dentro de mis escasas posibilidades, hacerlo que se vea por medio de este tipo de denuncia, es parte de mi lucha anticarcelaria.

Hace aproximadamente un mes (mediados de marzo) cuando aun estaba en la parte inicial de ingreso de este reclusorio, ocurrió el primer golpe. Al rededor de las 7 de la noche me encontraba con un compa de celda, cuando de repente se acerca un tipo de tosca figura-que por cierto no conocía yo- y me empezó a buscar pleito con agresión verbal y empujones; parte de la dinámica de la cárcel consiste en pelear cuando esta en juego tu “reputación” (cosa que a mi me vale un cacahuate)pero al calor de las palabras y el estrés del encierro, caí en esta dinámica.

Después de unos cuantos golpes y como por arte de magia, apareció un par de custodios (es raro o no tan frecuente que los policías entren a los pasillos de las celdas) y nos “cacho” en plena pelea. Ellos suelen bajar los ánimos con unas cuantas cachetadas y golpes con puño cerrado al cuerpo para someter a los que pelean, y así lo hicieron conmigo y el pesado sujeto con quien peleaba,(es una tremenda impotencia no poder defenderte frente a los pinches putos policías de mierda, porque hasta otro proceso te abren por agresión a su puta autoridad) y pensé que hasta ahí llegaría la cosa; pero no. Después de humillarnos frente a todos los presos presentes, nos bajaron por las escaleras a empujones, de repente ya no vi a mi inicial agresor y solo me llevaban a mi, hasta hoy no he vuelto a saber de el, y al llegar a la caseta me vuelven a dar golpes; fue hasta ahí que pude soportar y les empecé a responder con insultos verbales con la firme idea de pasar al insulto físico, pero no me dieron oportunidad debido a sus, cada vez mas, fuertes golpes. No recuerdo bien el caminopero me llevaron a un cuarto oscuro, y antes de meterme ahí, me desnudan en totalidad y me avientan un bote de agua adentro del cuarto, entonces me dan unos últimos golpes (como para que nunca me olvidara de ellos) y me avientan al cuarto. Era de noche, hacia frio, me quitaron toda mi ropa, el piso mojado, con muchos golpes en el cuerpo, el cuarto sin un solo rayito de luz, ¿te imaginas que noche pase? Sentí miedo, rabia e impotencia. Yo me atrevo a calificarlo como tortura física y psicológica.

Nunca he temido a la oscuridad, hasta esa noche, fueron alrededor de 10 horas volteando (sin ver) a todos lados esperando que algo más pasara, hasta que amaneció y fueron a sacarme de ahí. Obviamente era ya otro turno de custodios.

Me llevaron a mi celda- no sin lanzarme una breve amenaza de no decir nada de lo ocurrido- y al llegar a mi celda preferí no hablar con nadie, no por la amenaza si no por que aun me encontraba consternado. Coincidentemente ese mismo día me llevaron a la siguiente fase de ese centro de extermino llamado Reclusorio Oriente, por la noche ingrese a C.O.C (Centro de observación y Clasificación) donde desde que ingresamos los casi 150 internos, nos recibieron con su habitual “terror psicológico”. Allí en c.o.c me esperaba otra sorpresita. Muy temprano nos llamaron para hacer la famosa “fajina”, que es la limpieza del edificio, o mejor dicho, la supuesta limpieza, pues en realidad es un pretexto para realizar una jugosa extorsión. Al formarnos a todos nos dijeron: “al chile (expresión muy utilizada por acá) ¿Quién se va a ponchar y pagar $2500 pesos para no hacer fajina? Porque nosotros nos encargaremos de que no aguanten y de todos modos paguen” algunos accedieron a su petición. Pero otros decidimos enfrentarnos a esa fajina. Recuerdo que me decían “mejor paga güerito, tu debes de tener dinero, no te hagas wey, nosotros vamos a hacer que te ponches”. Ese primer día hice la fajina, la cual consiste en hacer “ejercicio” de una manera casi deshumanizada con la firme intención de que tu cuerpo reviente y accedas a pagar y claro esta, siempre con unos gorilas detrás de ti exigiendo mayor rapidez y si no vas al ritmo, vienen los golpes. Esto es 2 veces al día, alrededor de 3 horas de tortura.

Al día siguiente me repitieron “mejor pónchate tu solo” y a la media hora de fajina, al estar haciendo una especie de “carritos” que consiste en inclinarte y limpiar el suelo con un trapo mojado, esto a gran velocidad, me caí y fue entonces que me levantaron de un patadon en la espalda-cadera.

Yo de por si tenia un poco de problemas con mi espalda, pues allí ya no me pude parar de inmediato. El dolor fue demasiado y recuerdo que volte a ver al agresor (un preso borrega que trabaja con los de la fajina) y me dieron ganas de responderle, pero una vez mas, no pude, aun iba con los estragos de la paliza de hacia apenas dos días en la pelea y cuarto oscuro, y ahora con la espalda lastimada, ni hablar. Como pude me pare y fui con el encargado de la fajina, el solo me dijo: “pues si ya no puedes, entonces paga”. Fue así como caí en esa extorsión.

Tuve que llamar a una persona para que me depositaran $2000 pesos. Al hablar con esta persona que menciono no pude evitar llorar, a causa de la gran impotencia y dolor, pero nunca les di el gusto de hacerlo frente a esos asquerosos fajineros.

Hago un breve paréntesis para recordar que en ningún momento me hice la victima. Ofendido si, pues intentaban pisotear mi dignidad.

Como “coincidencia”, en dos semanas le negaron el acceso de visita a mi madre, que era la única visita que recibía yo, argumentando que había un problema con su identificación al llegar a c.oc. los borregas te hacen una “inspección” y te roban dinero y tarjetas de teléfono. Yo no llevaba dinero pero si tarjeta, la cual robaron junto con mi agenda de números telefónicos. Osea, que esas dos semanas estuve incomunicado, misteriosamente incomunicado. Solo pude hacer la llamada para pedir el dinero…

Nunca pensé en ir a quejarme ante las “autoridades” de la institución, pues de sobra se que es parte de la misma pandilla de culebras de total complicidad. Menos ante los “derechos humanos” pues sus derechos son a conveniencia y yo no les creo nada.

Tocando el tema de las extorsiones, quiero aclarar lo siguiente: Cuando me refiero a extorsión, hablo de una presión que alguien te ejerce para conseguir ciertos resultados favorables para alguien, aun en contra de tu voluntad, pues por “x” causa queda fuera de tu control; no a la “extorsión” de que alguien te pida dinero y tu, por miedo a que no te golpean les des cierta cantidad.

Y es que una persona muy querida para mi, en una ocasión me dijo “cya no les des dinero”, como si yo hubiera optado por la segunda definición de extorsión, se que no fue su intención pero comprendo que varias personas se pudieron haber ido con esa impresión.

En relación a las extorsiones con el tema en cuestión, la cárcel y la lucha anticarcelaria, diré que aquí, pues cobran por todo, en realidad, por todo y eso a mi me suena ridículo pero también me preocupa mucho que nadie dice nada. Y se que el hecho de que yo lo diga por aquí no cambia nada, pero no pretendo caer en este borreguismo colectivo.

Te cobran por usar los baños (el que esta en la celda no basta por tantos internos en una celdita) por usar agua de la llave, pues se va el servicio en las celdas muy seguido, por tomarte lista, (puedes creer? Por pasarte lista) por ir a juzgados, por recibir a tu abogado, por recibir a tu visita y aparte por el uso de la mesa que usas, por bajar la escalera en el día de visita, por poder salir de tu celda (le llaman desapando), en población te cobran los candados, es decir, para poder salir de tu anexo o dormitorio, te cobran en cada una de las 3 facetas (ingreso, c.o.c y población) material como escobas, jabón, botes, jalador y no se que mas, etc., etc. Un negociazo este!

Y cuidado! Donde te niegues a pagar, viene la mano dura.

No puedo dejar de mencionar los laicos, que son como unos piojos blancos y las chinches y las cucarachas, son parte de la cárcel!!! Pican duro.

Otro aspecto que no me gusta, de hecho a nadie le gusta, es el hacinamiento. En ingreso y población las celdas son muy pequeñas, al menos en mi experiencia en ingreso en una celdita de aprox. 3 metros por 2 y medio vivíamos unos 23 presos y en población en un cuarto maso menos similar vivíamos unos 17. Es muy incomodo y hasta peligroso para el físico la manera en que duermes, si es que duermes, sobre todo los nuevos que duermen hasta sentados en una orilla de la taza del baño cada quien. El hacinamiento en las cárceles mexicanas es de preocuparse, al menos en el oriente a mi me consta.

Y a pesar de que somos muchos, no pasa nada. Aquí los métodos de domesticación son bastante notables, como el caso de la religión, es impresionante la cantidad de personas que te dicen :”quizá por voluntad de Dios estamos aquí, el tiene un propósito para nosotrxs aquí y debemos atender su voluntad” y se ponen a cantarle y a lloriquearle esperando los saque de aquí pronto. Cuando saben que soy ateo y me parece una tontada que se cieguen por ese dogma, en seguida se alejan de mí o me empiezan a hacer preguntas medias raras, pero ese es otro tema.

Otro caso de tener a los presos pasivos es el de droga y respecto al tema, siempre he pensado que cada quien es libre de elegir como vivir su vida, sin meterse droga o no y que tipo de droga, pero también he sostenido que su uso, muchas veces es una barrera que frena al individuo en sus ansias revolucionarias y terminan desviando sus objetivos a un letargo de artificial felicidad; sobre todo con las llamadas drogas duras. Esto entre otras cosas.

La cárcel denigra al preso, lo humilla, lo pisotea y busca acabar con su dignidad y formar de el un despojo humano sin voluntad, servil y obediente, premiando con el puesto de “borrega o chivato” a quien muestre fidelidad y lealtad al sistema, y castigando y aislando a quien no acate sus tontas normas o cuestione y desobedezca sus prácticas de terror.

Por eso me declaro preso anarquista en lucha anticarcelaria. Plantar cara al poder desde dentro de prisión es impulsado por conservar nuestra identidad como personas que sentimos amor por la libertad, por nuestra dignidad y por defender lo que somos, liberando nuestros impulsos mas salvajes si es necesario, y ante tanta humillación se vuelve necesario y ante tanta humillación se vuelve necesario hasta lo mas destructivo de nuestro ser. Me considero una persona libre aun dentro de prisión y esto será mientras no logren destruir mi individualidad, mientras sus modos de control y dominación no logren traspasar mi negro corazón, mientras siga reconociendo la solidaridad de lxs compañerxs de afuera hacia lxs presxs que nos encontramos en garras de cualquier cárcel, de cualquier centro de exterminio, de cualquier instituto de subordinación.

Las tácticas de terror y miedo de la cárcel no pueden, ni podrán parar ese huracán de pasión creadora, de pasión destructiva y de pasión constructiva, esta proyectualidad liberadora; y aunque enfrentar a su autoridad traiga consigo la eminente consecuencia de la represión, aquí nadie claudica, nadie da un paso atrás contra el odiado enemigo.

El sistema carcelario busca que veamos su violencia hacia nosotrxs como algo normal, que nos acostumbremos, que comprendamos que así se debe llevarse la cárcel; en lo personal no pienso dejarme domesticar, no temo a sus represalias, no soy de los que se declaran enemigos del estado y buscan llevar su vida “normal” y sin buscarme problemas, eso no me suena a convicción. No pretendo ser como el que recibe un golpe y pone la otra mejilla, ni como el que espera a que “las condiciones se den para poder actuar” ¡no! Mas bien creo que una agresión debe devolverse al doble, ojo por ojo, a su violencia nuestra violencia antagonista, accionar sin esperar a que los tiempos estén maduros pues tal vez estos se lleguen tarde, a una fogata responder con un incendio.

Ya no termine de escribir todo, pero con eso…

Abajo los muros de las prisiones!

Fuego a las cárceles!

Por la anarquía!!

Carlos “chivo” reclusorio Oriente.