Intervista ai/le compagn* del DAF (turkey)

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Da due anni a questa parte le fondamenta della rivoluzione sociale sono in fase di sviluppo in , il occidentale. Sostenendo questo, è difficile ignorare il fatto che alla base dell’attacco contro Kobanê ci sono gli interessi politici dello Stato Turco e del capitalismo globale. Abdülmelik Yalcin e Merve Dilber di Azione Anarchica Rivoluzionaria, erano nella regione di Suruc, al confine con Kobanê, sin dal primo giorno della resistenza contro i tentativi di oscurare la rivoluzione del popolo, in solidarietà con il popolo della regione. Noi li abbiamo intervistati riguardo alla Resistenza di Kobanê e alla Rivoluzione della Rojava.

 

Fin dall’inizio della Resistenza di Kobanê, avete organizzato molte proteste e fatto volantini e manifesti. Avete anche partecipato alla “catena umana di guardia del confine” che era organizzata nel villaggio di Suruc, vicino al confine con Kobanê. Con qule scopo siete andati laggiù? Potete dirci quello che avete vissuto là?
M. D.: A causa della Rivoluzione della Rojava i confini tra le parti del Kurdistan che si trovavano all’interno del territorio della Siria e della hanno iniziato a dissolversi. Lo Stato Turco ha pure provato a costruire un muro per distruggere questo effetto della rivoluzione. Nel bel mezzo della guerra e degli interessi del capitalismo globale e degli stati nella regione, il popolo curdo in Siria ha fatto un passo lungo il sentiero che porta alla rivoluzione sociale. Grazie a questo passo è emerso un fronte reale che porta alla libertà del popolo e, a Kobanê, un attacco totale contro la rivoluzione è iniziato per mano dell’ISIS, l’orda violenta prodotta dal capitalismo globale. Quando noi, come anarchici rivoluzionari, abbiamo valutato la situazione a Kobanê e nella Rojava, è stato impossible per noi non essere direttamente coinvolti in essa. Considerando che i confini tra gli stati sono stai aboliti, è vitale essere solidali con coloro che resistono a Kobanê. Noi siamo al quindicesimo mese della Rivoluzione della Rojava. In questi quindici mesi, abbiamo organizzato molte proteste unitarie ed abbiamo fatto volantinaggi e attacchinaggi. Allo stesso modo, durante l’ultima ondata di attacchi contro la rivoluzione a Kobanê, abbiamo fatto molti volantinaggi e attacchinaggi ed abbiamo anche organizzato molte proteste in strada. Dovevamo comunque andare al confine di Kobanê per salutare la lotta del popolo curdo per la libertà, contro gli attacchi dell’orda dell’ISIS. Nella notte del 24 settembre siamo partiti da Istanbul per il confine di Kobanê.Abbiamo incontrato i nostri compagni che sono arrivati un poco prima e insieme abbiamo iniziato la nostra catena umana a guardia del confine nel villaggio di Boydê, ad ovest di Kobanê. C’erano cetinaia di volontari come noi che venivano al confine da diverse parti dell’Anatolia e della Mesopotamia, formando una catena umana lungo i 25 km della linea di confine nei villaggi di Boydê, Bethê, Etmankê e Dewşan.

Uno degli obiettivi della catena umana era fermare il supporto di uomini, armi e logistica per l’ISIS da parte dello Stato Turco, il cui appoggio all’ISIS è conosciuto da tutti. Nei villaggi di confine la stessavita si è trasformata in vita comune, nonostante le condizioni di guerra. Un altro obiettivo della nostra attività di guardia del confine era intervenire in solidarietà con la popolazione di Kobanê, che era dovuta fuggire dall’attacco contro Kobanê, e che era trattenuta al confine per settimane e che veniva pure attaccata dalla polizia militare turca (jandarma). Nei primi giorni delle nostre azioni di guardia del confine, abbiamo tagliato le recinzioni e abbiamo raggiunto Kobanê insieme alle persone venute da Istanbul.

Potete dirci cosa è successo dopo che avete attraversato il confine verso Kobanê?
A.Y.: Nel momento in cui abbiamo passato il confine, siamo stati salutati con enorme entusiasmo. Nei villaggi di confine di Kobanê, tutti, giovani e anziani, erano nelle strade. I guerriglieri delle YPG e YPJ hanno salutato sparando in aria la nostra eliminazione dei confini. Abbiamo manifestato per le strade di Kobanê. Più tardi abbiamo avuto una conversazione con la popolazione di Kobanê e con i guerriglieri delle YPG/YPJ che difendono la rivoluzione. È molto importante che i confini che gli stati hanno eretto tra i popoli siano distrutti in questo modo. Questa azione che è avvenuta in condizioni di guerra mostra una volta di più che le sollevazioni e le rivoluzioni non possono essere fermate dai confini degli stati.

Sono circolate molte notizie riguardo ad attacchi da parte della polizia militare e di poliziotti regolari contro le persone che hanno partecipato alla “catena umana di guardia del confine” e contro la popolazione rurale vicino al confine. Cosa cerca di ottenere lo Stato Turco con queste prepotenze sul confine? Cosa pensate di questo?
A.Y.:
Sì, è vero che la politica dello Stato Turco è quella di attaccare tutti coloro che sono coinvolti nella guardia de confine e che vivono nei villaggi di confine, e tutti coloro che da Kobanê provano ad attraversare il confine. Qualche volta gli attacchi accadono frequentemente e a volte durano per giorni. È ovvio che ogni attacco ha una propria giustificazione come ha un proprio scopo. Abbiamo osservato che durante quasi tutti gli attacchi dei militari (gendarmeria), i camion traspotrano qualche cosa dall’altra parte del confine. Non siamo sicuri dell’esatto contenuto di questi trasporti verso l’ISIS. Comunque, abbiamo potuto capire dalla potenza degli attacchi che a volte si trattava di lasciar attraversare il confine a persone che volevano unirsi all’ISIS, a volte si trattava di inviare armi e altre volte ancora di fornire all’ISIS le sue necessità quotidiane.Questi trasporti spesso sono caricati su veicoli con numeri di targa riconducibili alle autorità e altre volte da bande che fanno “traffici” protetti dallo stato. Inoltre queste bande protette dallo stato hanno usurpato le proprietà delle persone di Kobanê che aspettano al confine. La polizia militare d’altra parte lascia le persone attraversare il confine con una tariffa di commissione del 30%. Le politiche dello stato contro la popolazione locale sono rimaste le stesse negli anni. A causa delle condizioni di guerra, questa politica è diventata ora molto più visibile. Gli attacchi al confine sono condotti con il proposito di intimidire le persone che prendono parte alle azioni di guardia del confine e la popolazione dei villaggi di confine.

Nonostante lo Stato Turco lo neghi, è abbastanza noto il suo supporto all’ISIS. In ogni caso voi dite che adesso, pure le persone che attraversano il confine per unirsi all’ISIS possono essere viste facilmente. Quindi in questa regione non è un segreto che lo Stato Turco supporti l’ISIS. Come funziona questo supporto al confine?

M. D.: Lo Stato Turco ha insistentemente negato il suo supporto all’ISIS. Ad ogni modo, ironicamente, ogni qual volta ha fatto una dichiarazione di smentita, un nuovo trasporto veniva organizzato al confine. Molti di questi trasporti sono abbastanza grandi da essere osservati facilmente. Per esempio: diversi veicoli portavano “pacchi di aiuti” al confine.Siamo stati testimoni del fatto che decine di “veicoli di servizio” con vetri oscurati attraversavano il confine. Nessuno si domanda seriamente cosa ci sia in questi veicoli. Noi tutti sappiamo che le necessità dell’ISIS sono soddisfatte attraverso questo canale.

Potresti per favore spiegarci quale sia, sul piano storico come su quello contemporaneo, l’importanza per gli anarchici rivoluzionari di abbracciare la Resistenza di Kobanê e la rivoluzione di Rojava, soprattutto in un periodo come questo?

A.Y.: La Resistenza di Kobanê e la Rivoluzione della Rojava non deve essere considerata in modo separato dalla lunga storia della lotta del popolo curdo per la libertà. Nella terra in cui viviamo, la lotta del popolo curdo per la libertà è chiamata “il problema curdo”. Per anni è stato rappresentato in modo errato come un problema causato dal popolo e non dallo stato. Noi lo diciamo ancora: questa è la lotta del popolo curdo per la libertà. L’unico problema qui è lo stato. Il popolo curdo ha combattuto una lotta di esistenza contro la politica di distruzione e di negazione della Repubblica Turca per anni, e per centinaia di anni contro altri poteri politici in queste terre. Questa lotta contro lo stato e il capitalismo è espressa dal potere organizzato del popolo. Nello slogan “il PKK è il popolo, il popolo è qui”, è chiaro chi sia questo agente politico, che si definisce in ciascuno individuo, e dunque chi sia questo potere organizzato. Da quando abbiamo fondato nella lotta la nostra analisi, in differenti contesti, la nostra relazione con individui curdi, la società e le organizzazioni del popolo curdo, è stata di solidarietà reciproca. Noi basiamo questa relazione sulla prospettiva della lotta dei popoli per la libertà. Nella lotta del popolo per la libertà, i movimenti anarchici sono sempre stati dei catalizzatori. Nell’epoca in cui il Socialismo non poteva uscire dall’Europa, quando non esistevano teorie sul “Diritto della nazioni a scegliere il proprio destino”, il movimento anarchico ha assunto forme diverse in diverse regioni del mondo, come la lotta del popolo per la libertà. Per capire questo, è sufficiente vedere l’influenza dell’anarchismo sulle lotte popolari in un’ampia gamma dall’Indonesia al Messico. Inoltre, né la rivoluzione in Rojava, né la lotta degli Zapatisti in Chiapas si adatta alla definizione della classica lotta di liberazione nazionale. La Nazione come termine politico per sua definizione chiaramente comprende lo stato. Quindi mentre si considera la lotta popolare per l’autorganizzazione senza stato, dobbiamo prendere le distanze dal concetto di nazione. D’altra parte il nostro approccio non comprende paragoni e similitudini tra la Resistenza di Kobanê ed altri esempi storici. Attualmente differenti gruppi citano differenti periodi storici e paragonano la Resistenza di Kobanê a questi esempi. Tuttavia, bisogna sapere che la Resistenza di Kobanê è la Resistenza di Kobanê stessa, che la Rivoluzione della Rojava è la Rivoluzione della Rojava stessa. Se qualcuno vuole associare a qualcosa la Rivoluzione della Rojava, che ha creato le basi per la rivoluzione sociale, può studiare la rivoluzione sociale che venne realizzata nella Penisola Iberica.

Nonostante la resitenza a Kobanê stia avvenendo al di fuori dei confini dello Stato Turco, manifestazioni di solidarietà hanno luogo in ogni angolo del mondo. Qual’è la vosta valutazione degli effetti della Resistenza di Kobanê – pure della Rivoluzione della Rojava – in particolare nell’Anatolia ma anche nel Medio Oriente e anche a livello globale? Quali sono le vostre previsioni in relazione a questi effetti?
M. D.: Gli appelli alla serhildan (parola curda che significa rivolta) hanno trovato risposta in Anatolia, in particolare in città del Kurdistan. Sin dalla prima notte (di manifestazioni) tutti nelle strade hanno salutato la Resistenza di Kobanê e la rivoluzione della Rojava contro le bande dell’ISIS e lo Stato Turco che le sostiene. Specialmente nelle città del Kurdistan, lo stato ha attaccato la serhildan del popolo con la sue forze di polizia e con sicari paramilitari. Lo stato ha terrorizzato il Kurdistan uccidendo 43 dei nostri fratelli attraverso i sicari di Hizbulkontra (un gioco di parole che unisce i termini Hizbullah, organizzazione paramilitare turca sunnita, e Contra, in riferimento alle tattiche di contro-insorgenza. Quindi se Hizbullah significa “partito di dio” Hizbulkontra significa “partito del contra”). Questi massacri stanno indicando quanto lo Stato Turco tema la rivoluzione della Rojava e la possibilità che tale rivoluzione possa anche generalizzarsi nel suo territorio. Attaccando con la disperazione generata dalla paura, lo Stato Turco e il capitalismo globale hanno un’altra paura, che è ovviamente legata alla regione del Medio Oriente. Nel Medio Oriente, nonostante tutti i piani, il saccheggio e la violenza prodotta: la rivoluzione riesce ancora ad emergere. Questo ha fatto saltare tutti i piani del capitalismo globale e degli stati della regione. Questo è un cambiamento radicale tale che, nonostante tutte le efferatezze, la rivoluzione sociale potrebbe emergere nella Rojava. Questa rivoluzione è la risposta a tutti i dubbi riguardo alla possibilità di una rivoluzione in questa regione e su scala globale. Ha rafforzato la fiducia nella rivoluzione, in particolare per le persone di questa regione ma anche a livello globale. Il proposito di tutte le rivoluzioni sociali nella storia è stato quello di raggiungere una rivoluzione socializzata su scala globale.

In questa prospettiva noi facciamo appello ai gruppi anarchici a livello internazionale ad agire in solidarietà con la Resistenza di Kobanê e la Rivoluzione della Rojava. Con il nostro appello alla solidarietà, anarchici da diverse parti del mondo in Germania, come ad Atente, a Bruxelles, a Amsterdam, a Parigi e a New York hanno tenuto manifestazioni. Noi salutiamo ancora una volta ogni organizzazione anarchica che ha recepito il nostro appello, che ha organizzato manifestazioni a partire dal nostro appello, e coloro che sono stati qui con noi nella catena umana di guardia del confine.

Fin dai primi giorni dell’attacco dell’ISIS, i media sostenuti dallo Stato Turco hanno prodotto un sacco di notizie che affermavano che Kobanê stava per cadere. Comunque, dopo più di un mese hanno capito questo: Kobanê non cadrà! Sì, Kobanê non è caduta e non cadrà. Noi, come giornale Meydan, salutiamo la vostra solidarietà con Kobanê. C’è qualcos’altro che volete aggiungere?

M. D.: Noi, come anarchici rivoluzionari, abbiamo visto, abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo l’invincibilità della fiducia nella rivoluzione, pure nelle circostanze di guerra nella nostra regione. Quello che sta accadendo nella Rojava è una rivoluzione sociale! Questa rivoluzione sociale, dove i confini sono aboliti, gli stati vengono resi impotenti, i piani del capitalismo globale sono stati messi in difficoltà, si generalizzerà anche nella nostra regione. Noi invitiamo ogni individuo oppresso a vedere le cose dal punto di vista degli oppressi. Con questa coscienza noi li invitiamo anche a sostenere la lotta organizzata per la rivoluzione sociale. Questa è la sola strada per rendere fertili i semi che sono stati piantati nella Rojava e per far vivere la rivoluzione sociale in più ampie regioni. Viva la Resistenza di Kobanê! Viva la Rivoluzione della Rojava!

Questo articolo è stato pubblicato nel numero 22 del giornale Meydan
Fonte: http://meydangazetesi.org/gundem/2014/10/devrimci-anarsist-faaliyet-ile-kobane-uzerine-roportaj-dehaklara-karsi-kawayiz/

Traduzione a cura della Commissione Relazioni Internazionali della F.A.I. (CRInt-FAI)

 

La lotta per la libertà fra i monti del Kurdistan

«Quella dei curdi è forse la più grande nazione senza stato. Prima pensavamo che fosse un grosso problema. Oggi non ne siamo più tanto convinti»

«Anche noi, vicini al , secondo la realtà dei curdi, siamo un po’ “anarchici”, perché abbiamo sempre voluto rompere quelle forme dello stato o questa vita che non abbiamo scelto»

Martedì 14 Ottobre, un nutrito pubblico di quasi ottanta persone ha partecipato con interesse e attenzione al dibattito, organizzato dai locali comitati No Muos, su un tema di stringente attualità: “La lotta per la libertà tra i monti del ”.

Un’iniziativa molto importante che si è fregiata del contributo di due dirette protagoniste della lotta e della controinformazione sulla questione curda: Havin Guneser, delle Edizioni Iniziativa Internazionale per la libertà di Ocalan, e Nilgun Bugur (UIKI-Onlus Ufficio informazione del Kurdistan in Italia).

L’iniziativa palermitana è stata fortemente voluta con il chiaro obiettivo di squarciare il velo della disinformazione e dell’indifferenza su quello che sta succedendo in queste settimane nel nord della Siria, ovvero l’eroica resistenza della città di Kobane e delle milizie che la difendono dagli attacchi dello Stato islamico. I fatti di Kobane hanno avuto anche il merito di far conoscere l’esperienza del , la regione della Siria settentrionale nella quale i curdi (insieme anche ad altre etnie) stanno mettendo in pratica già da diverso tempo un esperimento di autonomia amministrativa basato sui principi del “confederalismo democratico”, una teoria elaborata molti anni fa da Abdullah Ocalan e dal Pkk, e che trae ispirazione dagli scritti di Murray Bookchin – l’ideatore del “municipalismo libertario” – e di altri intellettuali. In un’area devastata dal terrorismo di stato e dall’oscurantismo totalitario e religioso, il popolo curdo sperimenta nuove forme di autogoverno e democrazia dal basso in cui sono stati introdotti valori dirompenti come l’assemblearismo, la laicità, la parità di genere, la solidarietà, la giustizia sociale. Insomma, una “terza via” – quella curda – certamente insopportabile per tutti i signori della guerra.

Quella che segue è una sintetica trascrizione delle relazioni di Havin e Nilgun.

«Questo è un momento critico non solo per i curdi, ma per tutto il mondo. Quella dei curdi è forse la più grande nazione senza stato. Prima pensavamo che questo fosse un grosso problema. Oggi non ne siamo più tanto convinti. Dopo la Prima Guerra Mondiale, il Kurdistan è stato diviso in quattro stati diversi: Iran, Iraq, Siria, e Turchia. Il governo turco ci ha sempre chiamato “Turchi delle montagne”, e abbiamo subito sempre una forte discriminazione da parte dell’establishment.
In Siria e in Iraq, anche se non ci sono stati gli stessi meccanismi di rimozione, le discriminazioni nei confronti dei curdi sono sempre state fortissime. In Iran i curdi erano considerati come dei lontani parenti, una “sub-etnia” del popolo persiano. Negli anni ’50 i curdi perdono la speranza, e l’assimilazione diventa pesante.

Il ’68 ha avuto un effetto dirompente nell’est sovietico. Il Pkk nasce nel 1973, ed è stato molto influenzato dai movimenti del ’68, inserendosi nella dialettica tra vecchia e nuova sinistra. Il Pkk non fu fondato solo da curdi. C’erano donne e uomini di differente etnia o religione. Nel 1978, quando il Pkk si è strutturato come partito, tra i fondatori c’erano due donne anche se nessuno lo sa. È sempre stato un partito internazionalista, mai degenerato nel nazionalismo o nel patriarcato. Ci sono stati quarant’anni di dialettica interna al partito, anche dura.

Ocalan criticò l’Urss sin dai primi anni ’80. In questi 40 anni il Pkk ha visto la caduta dell’Urss, la nascita e la fine del femminismo, e la creazione di stati da movimenti nazionalisti. Ocalan e i suoi amici, cercarono quindi delle strade alternative. Dal ’93 si possono riscontrare molti sforzi per trovare soluzioni reali alle problematiche. Ocalan analizzò i problemi connessi ai movimenti di liberazione nazionale, al socialismo, alla democrazia.

Tre i punti fondamentali: la libertà delle donne, l’approccio alla violenza rivoluzionaria, l’approccio al meccanismo statale. Iniziò così una autocritica verso se stesso e verso il Pkk.

Per Ocalan la modernità capitalistica si regge su tre pilastri: il capitalismo, l’industrializzazione e lo stato-nazione. La modernità democratica si fonda su differenti pilastri: la nazione democratica, l’industria ecologica, l’economia sociale basata sui bisogni.

Il marxismo-leninismo analizza la storia umana in termini di classe, così come d’altronde ha fatto il Pkk per molto tempo. Il capitalismo si basa sugli imperi, sugli stati-nazione. Ocalan pone alla base della sua analisi la schiavitù della donna. La storia dell’umanità va vista nei suoi ultimi 5000 anni. Ocalan dice che la donna è la prima classe sociale, la prima nazione, la prima colonia. Da questo modello nascono tutte le altre schiavitù. Ocalan parla anche di come “uccidere l’uomo dominante”: non in senso fisico, ovviamente, ma nel senso dell’eliminazione del patriarcato. Noi curdi abbiamo sempre sofferto la mancanza di uno stato tutto nostro. Ma, forse, la cosa peggiore che può capitare all’umanità è l’instaurazione del capitalismo come maggiore strumento dello stato-nazione. In tutto il mondo lo stato-nazione è diventata la tomba di molte culture e di molte persone.

Per creare le varie nazioni, bisogna sempre sopprimere o assimilare le minoranze.

Il Pkk e Ocalan hanno capito i rischi connessi alla creazione dello stato-nazione, ponendo come tema fondamentale la solidarietà internazionalista. La conclusione è che stato e democrazia sono cose diverse. Se ci pensiamo bene, il fascismo è ontologico rispetto allo stato. Lo stato diventa solo un po’ più morbido quando ci sono delle lotte importanti ma, quando non ci sono ostacoli, gli stati gettano la maschera.

Ocalan suggerisce un metodo duale, spinge affinché gli stati esistenti diventino più democratici, e allo stesso tempo – essendo rappresentate in questi stati – Ocalan chiede più autonomia democratica per le popolazioni curde dentro i quattro stati esistenti. Ocalan è stato influenzato da Gramsci, da Foucault, da Bookchin, da Wallerstein, da Braudel. Ha tratto l’idea del municipalismo libertario proprio da Bookchin. Quando si parla di “autonomia democratica” non si parla di un’autonomia come quella catalana, o cose del genere. Noi parliamo anche delle nostre unità di difesa. Non è una autonomia che si fonda sull’etnia, ma si intende la democrazia partecipata. C’è un approccio duale: se da un lato ci sono le municipalità libertarie, dall’altro abbiamo comunità, assemblee, dalla strada al villaggio fino a livelli organizzativi superiori. È sempre fondamentale il parallelismo con la condizione della donna e dei giovani, perché proprio i giovani sono una categoria a rischio di oppressione e assimilazione. La visione che abbiamo è che queste assemblee prevedano livelli di autorganizzazione anche delle professioni, dal basso verso l’alto.

Questo è quello che succede in Rojava, nonostante la repressione della Turchia.

Il capitalismo sta portando una crisi sistemica da circa vent’anni, e stanno cercando di fare una transizione verso qualcos’altro ridisegnando il Medioriente. Prima hanno cominciato a occupare l’Afghanistan e l’Iraq. Quando hanno visto che questi interventi non portavano a niente, Bush e Blair hanno dichiarato l’Islam il pericolo pubblico numero uno. Poi si sono accorti che nemmeno questo funzionava, e hanno voluto creare partiti politici islamisti che fossero in armonia con il capitalismo (come, ad esempio, il partito politico di Erdogan in Turchia o i Fratelli Musulmani). Hanno promesso alla Turchia di ripristinare i confini dell’Impero, risvegliando il vecchio sogno della potenza ottomana.

La dinamica delle primavere arabe è esemplare. Forse gli arabi non volevano più libertà e democrazia? Certo che le volevano. Ma non erano organizzati, e non avevano una visione e una organizzazione della vita futura. L’imperialismo ha cavalcato questo bisogno, e i nuovi regimi sono diventati peggio dei vecchi. In Siria i curdi hanno impedito che questo potesse accadere, perché erano organizzati e avevano l’autonomia democratica e il confederalismo democratico come modo di vita. La Turchia ha accusato i curdi di sostenere Bashar al Assad, ma non è affatto così, perché pur riconoscendo che Assad era un dittatore, l’Esercito siriano libero era comunque eterodiretto da francesi e americani, e il popolo non aveva scelta. Il potere stava passando di mano, e non certo in favore del popolo. I curdi hanno scelto una terza via. Hanno messo in atto tutto quello di cui abbiamo parlato finora insieme a quelli che vivevano in Rojava: siriani, arabi, ceceni, e altre persone di altre regioni. L’Isis è stata sostenuta dagli Usa e dalla Germania che ha riconosciuto l’Isis come movimento terroristico appena quattro settimane fa. A sostenere l’Isis ci sono Arabia saudita, Qatar, Turchia, Usa, Regno unito che forniscono soldi e armi all’Isis e all’Esercito siriano libero. La Turchia sostiene l’Isis perché continua a seguire il sogno di un nuovo Impero ottomano e non vuole che il movimento di liberazione curdo metta in atto l’autonomia democratica mostrando che in quelle regioni può funzionare qualcosa di diverso dal modello di stato-nazione.

Noi non auspichiamo interventi militari esterni. Non chiediamo altro che la creazione di un corridoio. Per il resto, ce la sbrighiamo da soli.

Tutto il mondo guarda a Kobane. E molti la paragonano alla Guernica del 1937. Allora ci fu un movimento di solidarietà internazionale contro i fascisti, ma fu debole. Oggi dobbiamo cambiare la storia, la storia non deve ripetersi. Perché se questo esperimento fallisce, tutto il mondo si sposterà su posizioni più a destra. Quindi ecco perché oggi le donne e gli uomini curde lottano per il popolo curdo ma anche per tutta l’umanità, perché siamo consci del momento critico nel quale ci troviamo. Perciò faccio appello affinché facciate sentire la vostra voce per noi anche qui in Italia».

«C’è una comunità che non vuole stare zitta di fronte a queste atrocità, ed è per questo che è stato lanciato un appello per il primo Novembre. I curdi chiedono un intervento umanitario, non militare. Da mesi i curdi si difendono da soli. L’Isis è sempre più forte. I curdi hanno il dovere di combattere per se stessi e per l’umanità, ma anche con il sostegno dell’umanità perché la responsabilità è di tutti noi che viviamo in questo mondo, dovremmo sentirla come una responsabilità naturale. Vorrei che si alzasse la voce dei giovani. Noi non possiamo chiedere agli stati che ci aiutino, perché gli stati fanno quello hanno sempre fatto. Noi abbiamo sempre fatto da soli, con il popolo, donne e giovani, e ringrazio i compagni anarchici che ci hanno invitate qua. Anche noi, vicini al Pkk, secondo la realtà dei curdi, siamo un po’ “anarchici”, perché abbiamo sempre voluto rompere quelle forme dello stato o questa vita che non abbiamo scelto, però noi non abbiamo fatto male a nessuno, nel senso che non abbiamo usato la violenza o il potere che viene usato dallo stato. Siamo contro il capitalismo: per noi, dire che un altro mondo è possibile non è solo teoria. Bisogna praticarlo, bisogna iniziare da noi stessi ad avere una vita diversa dal capitalismo. Non vuol dire che si deve vivere senza norme. Anche una vita democratica deve avere disciplina, regole e leggi, dove però possono partecipare tutti quelli che vogliono vivere così. In Rojava adesso c’è questo sistema di autonomia, c’è una “Carta” redatta da curdi, siriani, e altri. Ci siamo organizzati in “cantoni” con la partecipazione del 40% delle donne, dei giovani, e hanno tutti diritto a decidere. E’ un modello per il Medioriente, per risolvere i conflitti, ma è anche un modello per tutto il mondo secondo me. Anche noi abbiamo iniziato con la critica, ma con la critica pratica. Bisogna allontanarsi dalla vita del capitalismo, abbiamo cambiato la vita secondo la nostra ideologia, secondo la nostra identità. È difficile, perché il capitalismo impedisce il cambiamento e giustifica ideologicamente l’immutabilità delle cose. Ma nella storia sappiamo che c’è sempre stato il conflitto tra potere e movimenti, tra cambiamento e conservazione. Neanche oggi si ferma questo conflitto. È quello che succede a Kobane. Se riusciamo a non far ripetere la storia, possiamo far sì che i governi e gli stati non abbiano più voce in capitolo, ma ci vuole molto lavoro. Si deve iniziare dal basso, dalle autonomie, dalle scuole, da tutti i bisogni che ha un popolo. Se ci si aspetta sempre l’intervento dello stato, non succederà mai. Criticando nella pratica, bisogna fare in modo che non ci sia più bisogno dello stato. Quando la teoria non si mette in pratica, le cose si ripeteranno sempre allo stesso modo. Tra i curdi organizzati si cerca di mettere in pratica tutto questo. È un’esperienza che abbiamo imparato dalla nostra lotta, un esempio che può essere preso anche da altri. Bisogna seguire più da vicino l’andamento dei fatti. Se non sentiamo la responsabilità di quello che succede intorno a noi, non abbiamo capito nulla del socialismo, del comunismo o dell’anarchismo. Ognuno di noi si può mobilitare e deve alzare di più la voce, però insieme. Ci sono i curdi dell’Iraq del sud che sostengono l’Isis contro altri curdi. Ci sono partiti della sinistra in Turchia che sostengono l’Isis. Essere di sinistra, una comunista, una democratica, non vuol dire niente di per sé, se non si è coerenti nella pratica. La resistenza dell’YPG è esemplare. Sentono il dovere di costruire un’altra vita, e non hanno paura. Quelli dell’Isis hanno il terrore di essere ammazzati dalle donne guerrigliere perché pensano di non andare in paradiso. I curdi e altri popoli del Medioriente sono abituati alle guerre, ma quello che sta succedendo adesso ha spiazzato tutti. L’Isis ha spiazzato anche gli Usa. Se noi non combattiamo contro l’Isis, perdiamo tutti. E’ un dovere fare qualcosa. Ci sono tante cose da fare. C’è una campagna iniziata in tutta Europa, vogliamo creare una “coalizione dei popoli” con la quale manderemo un po’ di gente al confine di Kobane per fermare il governo turco che sta aiutando l’Isis. Invitiamo tutti ad andare a vedere e conoscere il sistema delle autonomie nel Rojava. Ci sono moltissimi profughi che hanno bisogno di aiuti umanitari. Se in Turchia, in Iraq, in Siria la gente non si sente aiutata, allora cercherà di scappare. E così aumentano i profughi. Bisogna anche pensare al futuro. Gli attacchi dell’Isis continueranno. Gli USA vogliono usare l’Isis fino a quando gli stati nazionali non ne potranno più. Forse l’Iraq o la Siria verranno smembrati, magari per essere controllati meglio. I curdi hanno il diritto di difendersi, ovunque. Il popolo curdo non ha voluto tutto questo, non c’è motivo di vivere così. Ci sono molti più motivi per costruire una vita migliore, e cerchiamo di farlo. Questo sistema di autonomia del Rojava sicuramente non è perfetto, sicuramente facciamo degli errori, perché tutto ciò che dalla teoria diventa pratica spesso può essere diverso, e si può sbagliare. E allora ci vuole il contributo anche di chi non è curdo, degli altri popoli. Noi abbiamo bisogno di più attenzione».

A cura del Gruppo Anarchico “Failla” – FAI