di Fabrizio Salmoni da TG Valle Susa
Come Scipione a Zama, sovente le battaglie si vincono con le seconde schiere. Non sappiamo ancora se o quanto questa battaglia potrà essere vinta ma la notizia di oggi è che l’apporto dei difensori d’ufficio si sta confermando prezioso, come abbiamo già constatato in recenti udienze. Oggi ben due avvocati d’ufficio si sono alternati alle arringhe e si sono battuti bene, con impegno, per i loro assistiti guadagnandosi i galloni sul campo.
Cosi l’avv. Concetta Gaggia, al suo primo processo politico ma con buona
esperienza in processi per associazione a delinquere nella stessa aula bunker, smonta i pezzi dell’accusa per l’imputato Del Sordo uno per uno, un po’ ridicolizzando certe dichiarazioni dei Digos – nel mirino il solito comm.Sorrentino – un po’ argomentando ulteriormente sul tema della reazione legittima dei manifestanti a atti violenti e arbitrari della polizia.
Anche l’avv. Andrea Molè da Parma, che difende l’irreperibile Schiaretti, si lancia all’attacco sui dettagli che incastrerebbero il suo assistito: un riconoscimento a posteriori sull’unica immagine filmata che lo ritrae mentre a volto scoperto si avvia tranquillamente al bus del ritorno, a mo’ di gitante domenicale; altre immagini di soggetti con casco e fazzoletti diversi ma felpa uguale (e inconfondibile per la scritta a grandi caratteri) tutte invariabilmente ricondotte all’imputato; tatuaggi che risaltano in fotogramma ma che l’imputato non ha; sincronismi di tempo e luogo che non coincidono; il lancio di una pietra che ferirebbe 140 agenti di polizia. Un agglomerato di paradossi. Per non parlare dell’irregolarità “tecnica” della citazione a giudizio. Il resto dell’arringa Molè la dedica alla questione del concorso in reato citando sentenze pregresse.
Tra Caggia e Molè si fa sentire l’artiglieria pesante dell’avv. Paolo Panini in difesa di Davide Bastioli, incriminato sulla base di un “documento”
sequestratogli in tempi successivi ai fatti del 3 Luglio che secondo le pm è “il piano di battaglia” ma che Panini definisce “un fumetto che offende l’intelligenza delle stesse pm per voler costruire una teoria su quella base”. Teoria accusatoria, quella dello scontro preordinato e premeditato che per il difensore è solo una “suggestione”, una forzatura per influenzare la Corte. Già sentito ma evidentemente giova ripeterlo.
Al contrario, le immagini e le testimonianze più chiare di tutte sono quelle in cui i poliziotti tirano pietre, fanno violenze sui fermati, si incitano a vicenda per fare male (Ammazziamoli!- Sparagli in faccia! Centralo quando mette la testa fuori!, ecc.). Prove che sono stati commessi atti arbitrari e anche probabilmente reati ma per l’accusa “non è successo niente”. Ci sono plotoni che attaccano i dimostranti con pietre e si incitano alla violenza sotto gli occhi di dirigenti che non fanno una piega. “Come entrano allora tutti quei fatti documentati nella storia del processo ? – chiede Panini – Non farli rientrare nel contesto equivale a legittimare quelle condotte perchè diventerebbero modalità legittime di comportamento in altre occasioni”. Ma la cosa più grave che appare evidente è la scelta di reprimere duramente piuttosto che di controllare e mantenere l’ordine pubblico.
Le bordate più sensibili Panini le riserva al Digos Girolami di Macerata che
invia ai colleghi di Torino la foto del Bastioli da far aderire alle immagini riprese in Valle su un soggetto travisato e poi, interrogato in aula, tenta un riconoscimento: “Lo riconosco dalla forma del viso e dall’incavo degli occhi…Sa, ci si guarda spesso negli occhi…” Come sono gli occhi dell’imputato? “Vicino al naso” Si ma di che colore? “Sono daltonico”. Un vero campione, corroborato dal collega De Maro di Torino che in un soggetto sconosciuto rileva un vago tatuaggio segnalato da Macerata tramite il quale si riconosce l’imputato. Gianni e Pinotto.
Oggi si esce dall’aula bunker rivangando ricordi di tanti processi politici analoghi, da piazza Statuto in poi, in cui elemento fisso sono testimonianze di poliziotti incongruenti, contradditorie, sovente addirittura comiche, e chiedendosi come mai gli agenti ricalchino nel tempo gli stessi copioni e i loro dirigenti non si curino di dare dritte per rendere versioni almeno omogenee se non credibili. Misteri dell’animo questurino.
F.S. 2.12.2014