FERMATI DALLA NOSTRA DEBOLEZZA (2006)

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Il potere, la civilizzazione hanno private gli individui della forza di entrare in conflittualita’ perenne con l’esistente, in un percorso di lotta che investe in ogni suo aspetto la vita di ogni singolo. Tutto nella nostra civilta’ ci educa fin dalla nascita alla reclusione, le citta’ sono mura di cemento che irreggimentano e controllano il corpo e la mente. Tanto che negli anni impariamo a lasciarci addormentare le coscienze e a sopravvivere in un mondo artificiale.

Un anumale selvatico vissuto in liberta’ e catturato impazzisce e muore, come accadeva per gli appartamenti delle ultime tribu’, che in prigione finivano per morire dopo alcuni giorni.
In questo nostro stato di adattamento abbiamo perso quella dimensione di dignita’ e senso di selvatichezza, e cio’ che ci fa sopravvivere non e’ piu’ la nostra forza, ormai persa, ma la debolezza che ci fa andare avanti ogni giorno. Siamo anche noi in parte consapevolmente responsabili a lasciarci reprimere senza contrattacare o a resistere flebilmente, non e’ solo la civilizzazione che ci ha levato il coraggio e la forza di combattere, sarebbe una comoda giustificazione, siamo noi i primi responsabili di noi stessi.

Ci arrendiamo al continuo inquinamento fisico e mentale che subiamo ogni giorno, ci arrendiamo senza nemmeno provare a contrastarlo se ci e’ entrato cosi’ nelle viscere da sembrarci una condizione normale di vita.

Schiavi della nostra debolezza non sappiamo piu’ fare sforzi, non ci impegniamo per i progetti che diciamo voler creare, per quelli che dovremmo essere disposti a qualunque cosa pur di metterli in pratica…..

Siamo anarchiche/i inanzitutto prima in come ci si rapporta con gli altri/e, se non snaturiamo il significato stesso delle lotte portate avanti e svuotiamo di senso la stssa idea anarchica. Non siamo immuni dalle ciniche logiche di prevaricazione, invidia, sessiste….che regolano i rapporti tra la maggior parte delle persone, ma la differenza sta nel riconoscerle, non trasformarle in atteggiamenti e comportamenti, cercando di superarle e avendo il coraggio di ammettere di avere sbagliato, senza indossare maschere di ipocrisia e falsita’.

La debolezza si ripercuote anche nei rapporti e nella vita uotidiana. Non si e’ in grado di decidere in prima persona, di prendere quando e’ necessario una forte posizione, di assumersi le proprie responsabilita’, di reagire di fronte a cio’ che riteniamo inammissibile. Ogni cosa che succede scivola via, nell’indifferenza o dimenticata….

La maggior parte delle compagne e dei compagni sente in maniera forte il conflitto quando partecipa ad iniziative dove c’e’ un clima di tensione supportato da un gran numero di individui. Ma quando si tratta di portare questo conflitto nel quotidiano, adottando una serie di pratiche e azioni, si nota uno stacco profondo: come se la rivolta fosse un capitolo a parte scisso da una quotidianita’ quasi “normale” a cui non si vorrebbe rinunciare mettendo a repentaglio la propria tranquillita’. Quello che manca e’ quel salto che e’ la decisione di lottare fino in fondo anche mettendo a repentaglio la propria “liberta’” e la propria vita fino al punto di rischiare di perderle. Sta a noi decidere di riacquistare la forza e la determinazione nella lotta abbattendo la paura. Ma questa forza non nasce dal nulla, si forgia col tempo quando dentro di se’ si sente l’oppressione subita ogni giorno da ogni essere vivente, sentendo nel profondo che l’unica cosa possibile e’ reagire a tutto questo e che non si potrebbe concepire di vivere in un altro modo:

Per quanto riguarda la dimensione pratica, la dimensione in cui dovrebbero manifestarsi i vari propositi di rottura con lo stato attuale di cose, si puo’ notare una mancanza di organizzazione e struttura, nel senso di mancanza di praticita’, di coordinamento, di progettualita’ e continuita’; un dispendio di energie su tanti possibili obiettivi senza pero’ essere in grado di tessere un progetto duraturo in uno specifico ambito. La stessa critica all’organizzazione nella sua concezzione classica, non ha saputo andare oltre a questa, l’informalita’ si e’ trasformata in un amalgama dell’esperienza politica debole e frammentata, diventando un sistema di riferimento meno valido, disperso e schacciato da una grande quantita’ di contraddizioni e problemi.

Non si e’ piu’ in grado di scegliere i nostri obiettivi, il potere ce li illumina, si salta da un obiettivo a un altro in base alla maggiore attenzione mediatica del movimento, ma non si sa andare alla radice per colpire dove maggiormente puo’ nuocere. Rincorriamo le scadenza del potere, scadenze e momenti non decisi da noi. L’enorme repressione che colpisce il movimento anarchico ne e’ un esempio, il potere costringe le situazioni a muoversi intorno a momenti repressivi con i prevedibili scarsi risultati, intendiamoci, non ci si aspetta di creare mibilitazioni tali da riuscire a incidere totalmente sulla situazione delle compagne/i prigioniere/i, sicuramente pero’ e’ bene fare un calcolo delle forze in campo prima di rispondere colpo su colpo fuori dai suoi spazi, ma continuando a seguire le proprie lotte o le lotte stroncate dalla repressione.

Mobilitazioni, progetti, discussione, azione, in una crescita continua, e’ difficile creare tutto questo dopo la batosta repressiva se non era gia’ presente prima….Dobbiamo saper prendere l’iniziativa, dare noi gli impulsi e dirigere le nostre azioni, non adeguarle ad una semplice risposta di fronte al potere.

Quando si e’ concretizzato un progetto c’e’ una dispersione di energie in una miriade di questioni, grosse parole e bei discorsi, senza pero’ muoversi veramente all’attacco di cio’ che si e’ scelto di abbattere.

Il confronto, la critica costruttiva, l’analisi hanno sempre meno spazio, la riflessione e’ fissilizzata attorno a qualche figura carismatica e punto di riferimento intellettuale, a cui si delega la propria capacita’ critica. Questa pochezza di pensiero e’ bilanciata da una sempre maggiore chiusura nei propri schemi a arroccamenti, sentendosi portatori del verbo anarchico.

Bisognerebbe mettere da parte la nostra superbia e il nostro disprezzo quando ci sarebbero da valutare le lotte sociali in corso, valutarle criticamente senza vedere un eldorado o chissa’ quali possibilita’ insurrezionali, ma saper vedere le situazioni positive e le cose da apprendere, cercando di comprendere la complessita’ della situazione di mobilitazione reale ed essendo in grado di confrontarsi e generare autocritica all’interno delle situazioni. La valutazione delle lotte specifiche sociali considerate come parziali a volte parte dal pensare che il “gruppo anarchico comprende gia’ tutto” questo ha spesso un effetto tranquillizante e accomodante, fa si che nella prassi non si sviluppano e approfondiscono differenti modi di intervento, continuando a rimanere chiusi nel proprio guscio.

In un contesto di repressione e’ sempre piu’ aspra e in una prospettiva di un dominio sempre piu’ totale, la nostra risposta deve farsi piu’ costante e dura. In quest’ottica dobbiamo scrollarci di dosso la debolezza e portare veramente fino in fondo le nostre scelte, ai ferri corti con tutto l’esistente.

Silvia

(estratto da: Terra Selvaggia” n.19, aprile 2006)