FERMATI DALLA NOSTRA DEBOLEZZA

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Il potere la civilizzazione hanno privato gli individui della forza di entrare in conflittualita’ perenne con l’esistente, in un percorso di lotta che investe in ogni suo aspetto la vita di ogni singolo. Tutto nella nostra civilta’ ci educa fin dalla nascita alla reclusione, le citta’ sono mura e cemento che irregimentano e controllano il corpo e la mente. Tanto che negli anni impariamo a lasciarci addormentare le coscienze e a sopravvivere in un modo artificiale. Un animale selvático vissuto in liberta’ e catturato impazzisce o muore, come accadeva per gli appartenenti delle ultime tribu’, che in prigione finivano per moriré dopo alcuni giorni. In questo nostro stato di adattamento abbiamo perso quella dimensione di dignita’ e senso di selvatichezza, e cio’ che ci fa sopravvivere non e’ piu’ la nostra forza, ormai persa, ma la debolezza che ci fa andaré avanti ogni giorno. Siamo anche noi in parte consapevolmente responsabili a lasciarci reprimere senza contrattacare e resistere flébilmente, non e’ solo la civilizzazione che ci ha levato il coraggio e la forza di combattere, sarebbe una comoda giustificazione, siamo noi i primi responsabili.

Ci arrendiamo al continuo inquinamento físico e mentale che subiamo ogni giorno, ci arrendiamo senza nemmeno provare a contrastarlo se ci e’ entrato cosi’ nelle viscere da sembrarci una condizione normale di vita.
Schiavi della nostra debolezza non sappiamo piu’ fare sforzi, non ci impegniamo per i progetti che diciamo di voler creare, per quelli per cui dovremmo essere disposti a qualunque cosa pur di metterli in pratica…
Siamo anarchiche/i inanzitutto prima di come ci si rapporta con gli altri/e, se no snaturiamo il significato stesso delle lote pórtate avanti e svuotiamo di senso la stessa idea anarchica. Non siamo immuni dalle ciniche logiche di prevaricazione, invidia, sessiste…che regolano i rapporti tra la maggior parte delle persone, ma la differenza sta nel riconoscere, non trasformarle in atteggiamenti e comportamenti, cercando di superarle e avendo il coraggio di ammettere di avere sbagliato, senza indossare maschere di ipocrisia e falsita’.
La debolezza si ripercuote anche nei rapporti en ella vita quotidiana. Non si e’ in grado di decidere in prima persona, di prendere quanto e’ necesario una forte posizione, di assumersi le proprie responsabilita’, di reagire di fronte a cio’ che riteniamo inammissibile. Ogni cosa che sucede scivola via, nell’indifferenza o dimenticata….
La maggior parte delle compagne e dei compagni sente in maniera forte il conflitto quando partecipa ad iniziative dove c’e’ un clima di tensione supportato da un gran numero di individui. Ma quando si trata di portare questo conflitto nel quotidiano, adottano una serie di pratiche e azioni, si nota uno stato profondo: come se la rivolta fosse un capitolo a parte scisso da una quotidianita’ quasi ‘normale’ a cui non si vorrebbe rinunciare mettendo a repertaglio la propia tranquillita’. Quello che manca e’ quel salto che e’ la decisione di lottare fino in fondo anche mettendo a repertaglio la propia “liberta’” e la propia vita fino al punto di rischiare di perderle. Sta a noi decidere di riacquistare la forza e la determinazione nella lotta abbattendo la paura. Ma questa forz non nasce dal nulla, si forgia col tempo quando dentro di se’ si sente l’oppressione súbita ogni giorno da ogni essere vivente, sentendo nel profondo che l’unica cosa possibile e reagire a tutto questo e che non si potrebbe concepire di vivere in un altro modo.
Per quanto riguarda la dimensione pratica, la dimensione in cui dovrebbero manifestarsi i vari propositi di rottura con lo stato attuale delle cose, si puo’ notare una mancanza di organizzazione e struttura, nel senso di mancanza di praticita’, di coordinamento, di progettualita’ e continuita’: un dispendio di energie su tanti possibili obiettivi senza pero’ essere in grado di tessere un progetto duraturo in un specifico ámbito. La stessa critica all’organizzazione nella sua concezione classica, non ha saputo andaré oltre a questa, l’informalita’ si e’ trasformata in un amalgama dell’esperienza política debole e frammentata diventando un sistema di riferimento meno valido, disperso e schiacciato da una grande quantita’ di contraddizioni e problema.
Non si e’ piu’ in grado di scegliere i nostri obiettivi, il potere ce li illumina, si salta da un obiettivo a un altro in base alla maggiore attenzione mediatica del momento, ma non si sa andaré alla radice per colpire dove maggiormente puo’ nuocere. Rincorriamo le scadenze del potere, scadenze e momento non decisi da noi. L’enorme repressione che colpisce il movimiento anarchico ne e’ un esempio, il potere costringe le situazioni a muoversi intorno a momento repressivi con i prevedibili scarsi risultati, intendiamoci, non ci si aspetta di creare mobilitaziobi tali da riuscire a incidere totalmente sulla situazione delle compagne/i prigioniere/i sicuramente pero’ e’ bene fare un calcolo delle forze in campo prima di rispondere colpo su colpo sul terreno scelto dal potere. Bisognerebbe rispondere colpo su colpo fuori dai suoi spazi, ma continuando a seguire le proprie lote o le lote stroncate dalla repressione.
Mobilitazioni, progetti, discussione, azioni, in una crescita continua, e’ difficile creare tutto questo dopo la batosta repressiva se non era gia’ presente prima…Dobbiamo saper prendere l’iniziativa, dare noi gli impulsi e dirrigere le nostre azioni, non adeguarle ad una semplice risposta di fronte al potere.
Quando si e’ concretizzato un progetto c’e’ una dispersione di energie in una miriade di questioni, grosse parole e bei discorsi, senza pero’ muoversi veramente all’attacco di cio’ che si e’ scelto di abbattere.
Il confronto, la critica costruttiva, l’analisi hanno sempre meno spazio, la riflessione e fossilizzata attorno a qualche figura carismática e punto di riferimento intellettuale, a cui si delega la propia capacita’ critica. Questa pochezza di pensiero e’ bilanciata da una sempre maggiore chiusura del verbo anarchico.
Bisognerebbe mettere da parte la nostra superbia e il nostro disprezzo quando ci sarebbero da valutare le lote social in corso, valutarle críticamente senza vedere un Eldorado o chissa’ quali possibilita’ insurrezionali, ma saper vedere le situazioni positive e le cose da aprrendere, cercando di comprenderé la complessivita’ della situazione di mobilitazione reale ed essendo in grado di confrontarsi e generare autocritica all’interno delle situazioni. La valutazione delle lote specifiche social considérate come parziali a volte parte del pensare che il “grupo anarchico comprende gia’ tutto”, questo ha spesso un effetto tranquilizante e accomodante, fa si che nella prassi non si sviluppano e approfondiscano differenti modi di intervento, continuando a rimanere chiusi nel proprio guscio.
In un contesto di repressione sempre piu’ aspra e in una prospettiva di un dominio sempre piu’ totale, la nostra risposta debe farsi piu’ constante e dura. In quest’ottica dobbiamo scrollarci di dosso la debolezza e portare veramente fino in fondo le nostre scelte, ai ferri corti con tutto l’esistente.
Silvia
(estratto da:”Terra Selvaggia” n.19, aprile 2006)