Verso il 17 dicembre: complici e solidali con Chiara, Nico, Mattia e Claudio.

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Ad un anno esatto dagli arresti di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò, e a poco più di una settimana dalla sentenza di primo grado contro di loro, l’accusa di terrorismo viene contestata anche a Lucio, Francesco e Graziano. In carcere da luglio, i tre finora erano accusati “solo” di detenzione e trasporto di armi da guerra, di danneggiamento a mezzo incendio e di altri reati minori cui questa mattina si sono aggiunti anche il 280 e 280bis, l’attentato con finalità di terrorismo. Questa sgradita sorpresa è stata accompagnata dalla perquisizione delle loro celle, con sequestro di vario materiale, e ha comportato anche il blocco dei colloqui. Un familiare e una amica regolarmente autorizzati questa mattina sono stati infatti rispediti indietro e avvertiti che dovranno richiedere una nuova autorizzazione. Non sappiamo ancora se, come già accaduto per i 4, i colloqui verranno bloccati per un certo tempo o se in questo caso si tratterà invece solo di una breve sospensione. Né al momento è possibile prevedere quando e dove i tre verranno trasferiti visto che l’accusa di terrorismo prevede un regime di detenzione di Alta Sorveglianza.

Uscendo infine da ciò che accade nelle aule di tribunale e negli istituti penitenziari, negli ultimi giorni molte centinaia di persone hanno percorso e bloccato le strade della Valsusa per la liberazione dei sette compagni in carcere. Nella serata di domenica un lungo e rumoroso corteo ha attraversato Susa, soffermandosi in particolare davanti all’hotel Napoleon dove con fumogeni e battiture si è disturbato il riposo delle forze dell’ordine che lì sono ospitate. Il giorno dopo, l’8 dicembre, anniversario degli scontri a Venaus del 2005, due gruppi di manifestanti hanno provato a raggiungere l’area del cantiere da due punti distinti. Un gruppo si è ritrovato a Giaglione ed è riuscito, attraverso i sentieri, ad aggirare i blocchi delle forze dell’ordine e a raggiungere le recinzioni del cantiere, dove ha dato vita a una battitura. Chi si è invece dato appuntamento alla Centrale di Chiomonte ha trovato un blocco delle forze dell’ordine sul ponte antistante il cancello della Centrale e ha deciso quindi di risalire verso la statale 24 che è stata bloccata per diverse ore. Qualcuno si è diretto invece verso la vicina stazione dove, occupando i binari, ha ritardato il passaggio di un Tgv. A fine pomeriggio, un nutrito gruppo di manifestanti è tornato verso la Centrale dove ha iniziato una rumorosa battitura che non ha incontrato l’apprezzamento delle forze dell’ordine che hanno risposto con idranti e lacrimogeni. La giornata si è conclusa così e ci si è dati tutti appuntamento al 17 dicembre, giorno della sentenza. Alle ore 9.00 in Aula Bunker per salutare Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò e nel pomeriggio, alle 17.30, nella piazza del mercato di Bussoleno per decidere il da farsi dopo il verdetto della Corte d’Assise.

Vi proponiamo ora una lettera aperta a Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò in risposta alle loro dichiarazioni, distribuita in questi giorni in Valsusa.

macerie @ Dicembre 9, 2014

LETTERA APERTA A CHIARA, NICO , MATTIA E CLAUDIO

Cari compagni,

 abbiamo ascoltato e, poi, letto le dichiarazioni che avete fatto il 24 settembre  nell’aula bunker del carcere delle Vallette.                                   Che sussulto i nostri cuori al ritmo e al suono delle vostre voci! Finalmente, dopo lunghi mesi di separazione, rigide sbarre e sorde mura. Mesi che non hanno però offuscato in alcun modo la vostra lucidità e determinazione, come del resto le lettere da voi scritte in carcere attestavano.     Un abisso d’etica e sensibilità vi separa da quegli uomini che affollano tribunali, caserme e uffici dove ci si adopera esclusivamente per decidere cosa fare delle vite altrui. Le nostre e quelle di tutti.

Abbiamo inteso le vostre parole come se fossero rivolte anche a noi. E così abbiamo deciso di rispondervi pubblicamente.                                  Prima di tutto ci siamo sentiti, una volta di più, orgogliosi di avervi come compagni. Le vostre parole, oltreché fiere, suonavano giuste, nel duplice senso di eticamente rette e ben accordate. Per loro tramite gesti, episodi e motti della Valle sono diventati un concentrato di serena ostinazione, una miscela esplosiva che vi ha proiettati fuori da quelle odiose gabbie.                                                                                                     Un compagno che non c’è più, la gola secca per le salite, le buche delle ruspe riempite con le mani, una canzone partigiana riadattata… presenze insolite in una dichiarazione fatta davanti al nemico… tanta persuasione e pochissima rettorica. E poi, senza giri di parole, con quella semplicità che ci raggiunge solo in cima ai desideri, è arrivato il vero imputato: il sabotaggio. Senza darsi  arie, come chi sa che è in buona compagnia. Ed effettivamente, quel vostro sabotaggio è stato per un bel po’ compagno di strada di altri zoccoli lanciati contro la macchina del TAV (e non solo), in Valsusa (e non solo).

 Vogliamo partire proprio dal vero imputato di questo processo, ospite ingrato,indesiderabile, latitante, clandestino in trent’anni di pace sociale di questo Paese. Il sabotaggio, praticato qua e là, di quando in quando, ma per lungo tempo rivendicato pubblicamente quasi solo dagli anarchici, è ciò che da sempre fa tremare padroni, questurini e pennini. L’accusa di terrorismo è stata imbastita proprio per intimidire un movimento spintosi “troppo oltre”. Aver sostenuto apertamente la pratica del sabotaggio ha impensierito non poco lorsignori. Se vogliamo, la vera novità è proprio questa. Compagni e compagne finiti in carcere con l’accusa di terrorismo ce ne sono stati molti negli ultimi  vent’anni, talvolta per azioni penalmente ben meno rilevanti di quella che vi siete rivendicati in aula voi. Quasi nessuno ci ha fatto caso, né nella cosiddetta società civile né nei cosiddetti movimenti. La novità non sta dunque nella sproporzione tra la pena richiesta e l’azione in giudizio. La novità è che processando voi lo Stato vuole processare un intero movimento di lotta.  La novità è che un intero movimento di lotta difende ciò che lo Stato vuole colpire.  La Procura voleva produrre dissociazioni, cioè spingere il movimento a prendere le distanze dalla propria potenza. Il compito di impedire al movimento di avanzare è stato affidato all’Apparato poliziesco-militare.  L’accusa di terrorismo, invece, cercando di colpire il movimento sul piano della sua tessitura etica, puntava a indebolirne la trama delle relazioni, a sfilacciarla, a far penetrare il codice morale del nemico nelle nostre file.                                                                                                                                                                   Possiamo dire, senza enfasi, che il movimento ha retto, cogliendo appieno la posta in gioco. Raramente, in Italia, negli ultimi tempi si è espressa una solidarietà così ampia e così poco innocentista di fronte alla repressione. Non solo, ma – fatto ancor più raro – la repressione è stata rovesciata in un’occasione per rilanciare e generalizzare la lotta. Dopo i vostri arresti, come  sapete, quelle “campagne” a lungo discusse ma mai davvero partite hanno infine preso il via: contro i partiti, le ditte e le banche complici del TAV. Sono state decine e decine le azioni in tutt’Italia (e non solo), per un certo tempo quasi quotidiane. Come voi, anche Graziano, Lucio e Francesco hanno ricevuto piena e calorosa solidarietà. E che la logica non fosse quella de “i ragazzi non c’entrano nulla” è testimoniato dalla reazione alle vostre dichiarazioni in aula. Ciò che si è respirato in Valle, poi espresso a chiare lettere nei comunicati, si può così riassumere: orgoglio. Durante una partecipata assemblea in Valsusa chiunque parlasse delle vostre dichiarazioni le definiva “parole meravigliose”… Francamente, nella nostra pur non brevissima esperienza di compagni, non avevamo mai sentito nulla di simile. Trattandosi di bottiglie incendiare lanciate contro dei macchinari entro un “sito di interesse strategico nazionale”, un simile sostegno preoccupa lo Stato, e non a torto.                                                                                         Le richieste della Procura son di quelle che il gergo avvocatizio chiama cerchiobottiste: dategli pure il minimo, ma condannateli per terrorismo! Lo Stato ha bisogno di un precedente che stabilisca che opporsi per davvero a un progetto democraticamente deciso è terrorismo. Un precedente da utilizzare in futuro contro altre lotte. I consiglieri del Principe osservano, con i loro occhi di spugna, le contraddizioni sociali, per cercare di capire dove andranno a parare e orientarne gli ancora incerti esiti. Si rallegrano quando la rabbia degl’impoveriti si scaglia contro gli immigrati – e per questo finanziano i gruppi neofascisti e ne proteggono le immonde gazzarre. Ma si allarmano quando un giorno vedono piovere pietre sulla polizia incaricata di eseguire uno sfratto e il dì successivo gente qualunque incendiare cassonetti per difendere due occupazioni di anarchici. Né prendono alla leggera lo spettacolo di reparti antisommossa fronteggiati da un mix di donne provenienti da tre o quattro continenti diversi e le prove canore offerte da torme di ragazzini che intonano un noto coro di Valle riadattato: “Il Corvetto paura non ne ha!” (esempio tangibile di cosa può voler dire portare la Valle in città), oppure:  “Finché vivrò, odierò la polizia, odierò la polizia” (sulle note di “Bandiera gialla”). Quanto si è vissuto a Milano, nei quartieri periferici del Corvetto e del Giambellino – tra imprevisti furgoni di laterizi sveltamente scaricati per dar man forte contro gli sbirri e famiglie intere che escono dalle case per unirsi a un corteo serale –, ricordava i giorni dei blocchi in Valle mentre Luca era in coma. E il clima che si respirava nelle colazioni antisfratto ricordava quello di tanti bei momenti vissuti durante la Libera Repubblica della Maddalena.

Certo, si tratta di segnali, ancora lontani dal trasformare il clima generale, ma si intuisce che più le pratiche di resistenza e le azioni di attacco andranno a intrecciarsi e più la paura comincerà a cambiare di campo. Persino nel ben pacificato Trentino, il blocco per tre giorni e tre notti di una trivella del TAV ha fatto incontrare persone mai viste prima. E ancora, più di settecento persone coinvolte nell’acquisto collettivo di un terreno su cui allestire il primo presidio permanente No Tav e una serie prolungata di veglie all’alba per impedire gli annunciati carotaggi. Primi passi dal piano della “controinformazione” sul progetto dell’Alta Velocità, piano che ha caratterizzato per quasi un decennio le iniziative locali, a quello della resistenza concreta.                                                                                                                                                                                    Ma torniamo alla Valle. Il movimento ha retto, dicevamo, esprimendo un ampio sostegno morale alle pratiche di sabotaggio. Il che non è certo poco. Tuttavia non ci nascondiamo il fatto che la miglior forma di solidarietà sarebbe quella di generalizzare i sabotaggi. Ma su questo non crediamo che qualcuno abbia da insegnare qualcosa ad altri. L’orizzonte è libero, e mancare di dar seguito alle chiare indicazioni del movimento è, per i compagni non meno che per i valligiani, nient’altro che un alibi per l’inazione, quale che sia il pretesto accampato.               C’è chi ha storto il naso per le varie dichiarazioni di nonviolenza giunte di recente dalla Valle. Noi la vediamo un po’ diversamente. Non siamo nonviolenti, perché pensiamo che non possa esistere rivoluzione sociale senza scontro violento con il potere e i suoi servitori. Se dei sovversivi facessero professione di nonviolenza saremmo in disaccordo. Se, viceversa, dei nonviolenti (che peraltro vogliono fermare il TAV, non fare la rivoluzione) difendono la pratica del sabotaggio ci sembra un fatto positivo.                                                                                             Perché? Perché vuol dire che l’esperienza diretta della lotta ha fatto oltrepassare ostacoli che esistevano in passato e perché vuol dire che è l’etica e non la legge a orientare le scelte e il dibattito. E poi siamo persuasi che nelle lotte ognuno debba fare il suo.                                           Siccome scriviamo a voi, che la vostra parte l’avete fatta, sarà anche il caso che vi parliamo di quanto è successo e non è successo qui fuori. A questo servono le corrispondenze tra compagni di lotta: a provare a dirsi le cose come stanno.

 Ripensando alle tante lodi del sabotaggio e ai ben pochi granelli di sabbia gettati ultimamente tra gli ingranaggi della devastazione, non si può certo stare allegri. Anche perché, oltre al sabotaggio, abbiamo trascurato anche altri compagni di lotta che abbiamo avuto modo di conoscere e apprezzare in questi anni, come il blocco, con cui abbiamo creato non pochi problemi in Valle e un po’ in tutt’Italia, quando un nostro amico stava per essere ammazzato dai servi del Tav. Non possiamo quindi certo dirci soddisfatti di quanto noi stessi stiamo facendo. Ci rendiamo perfettamente conto che potrebbero sembrare parole un po’ troppo forti, le nostre. Che non tengono in giusto conto le avversità, la stanchezza e i momenti di bassa, inevitabili in una lotta così lunga e complicata. Per non parlare delle innumerevoli denunce e dei tanti processi con cui stanno cercando di stroncarci. Ma alle volte le difficoltà possono trasformarsi in motivi di giustificazione, in primis verso se stessi. E a furia di richiamarle ci si intristisce, finendo col non provare più, veramente, a dare concretezza a quel No, attorno al quale abbiamo potuto conoscerci un po’ tutti e in particolare con voi. Attorno al quale abbiamo vissuto alcuni tra i momenti più belli delle nostre vite. Se la mobilitazione in vista della sentenza contro di voi (e contro i 53 imputati del “Processone”) saprà oltrepassare il piano del consenso morale e farsi, concretamente, occasione di blocco, di sabotaggio, di ingovernabilità, avremo corrisposto alle vostre fiere parole. Di più: avremo fatto del motto “Si parte e si torna insieme” la più minacciosa delle promesse e la più promettente delle minacce.

In fondo, la campagna di sondaggi che i signori del TAV hanno cominciato anni orsono non è mai finita. Se prima volevano verificare la consistenza di rocce e terreni, da tempo ormai ciò che vogliono tastare è un’altra consistenza: la nostra. Per voi, per noi e per tutte le lotte cui parteciperemo insieme dobbiamo dimostrare che la nostra consistenza è dura. Anzi, düra.

È ora di rimettersi in cammino.                                                                                                                                                                                                   Pianeta Terra, fine novembre 2014