Blanqui a Venaus (it/fr)

«La politica è l’arte del recupero. Il modo più efficace per scoraggiare ogni ribellione, ogni desiderio di cambiamento reale, è presentare un uomo di Stato come sovversivo, oppure – meglio ancora – trasformare un sovversivo in un uomo di Stato. Non tutti gli uomini di Stato sono pagati dal governo. Ci sono funzionari che non si trovano in parlamento e nemmeno nelle stanze adiacenti; anzi, frequentano i centri sociali e conoscono discretamente le principali tesi rivoluzionarie. Discettano sulle potenzialità liberatorie della tecnologia, teorizzano di sfere pubbliche non statali e di oltrepassamento del soggetto. La realtà – lo sanno bene – è sempre più complessa di qualsiasi azione»
Dieci pugnalate alla politica, 1996

 

C’è una voce che circola da qualche tempo fra alcuni anarchici in Europa relativa all’ultima fatica editoriale del Comitato Invisibile, autore nel 2007 del best-seller internazionale L’insurrezione che viene. Si vocifera che gli aderenti al Comitato abbiano condiviso la bozza del testo con i loro amici politici sparsi qua e là per il mondo, per saggiarne le reazioni e ricavarne utili consigli. Orbene, nella prima stesura c’era un duro attacco contro gli anarchici, rei di non essersi prostrati adeguatamente al loro cospetto (e di aver sghignazzato davanti alla farsa di Tarnac, dove i presunti autori del libro, al bussar della polizia si erano precipitati nelle braccia protettrici di quella sinistra a cui fino alla vigilia dichiaravano guerra). Ma alcuni dei loro amici corrispondenti – dal nostro Belpaese, si sussurra – avrebbero suggerito loro di eliminare le parti troppo virulente, di ammorbidire i toni, perché in fondo, a ben pensarci, sono ancora tanti i servigi che i babbei libertari possono offrire. Un suggerimento che alla fine sarebbe stato accolto. La provenienza di questa voce è di un anarchico birichino che pare abbia avuto modo di leggere la bozza originale del testo, nonché la relativa corrispondenza. Sono i rischi della Comune e della condivisione degli strumenti, non si sa mai chi può buttare l’occhio in un computer lasciato acceso e incustodito!
Vera o falsa che sia questa voce, alcuni giorni fa ci è stato fatto omaggio del nuovo libro del Comitato Invisibile, fresco fresco di stampa, pubblicato in Francia alla fine dello scorso mese. Si intitola A nos amis (politiques, ça va sans dire) e ne è prevista l’imminente pubblicazione in contemporanea in altre sette lingue, per favorirne la diffusione nei quattro continenti. Fiduciosi che l’Italia sarà tra i paesi fortunati, tanto vale aspettare di leggerne la traduzione integrale.
Ma allora, qualcuno si chiederà, perché ne parliamo qui ed ora? Perché, grazie alle lezioni del Comitato Invisibile, abbiamo finalmente capito fino a che punto la pubblicità non sia solo l’anima del commercio, ma anche quella della sovversione (del commercio della sovversione, insomma). Inoltre, davvero, se non ci affrettassimo alla condivisione di almeno qualche stralcio di questo nuovo capolavoro con i nostri lettori, rischieremmo di venir scambiati per burocrati di Stato. Un’anteprima, insomma, una specie di scoop.
Cosa scegliere è facile, fin troppo facile. I nipotini di Blanqui dedicano infatti alcune riflessioni all’Italia, e per la precisione alla lotta contro il Tav in Val Susa ed ai suoi miracolosi effetti. Ecco cosa scrivono: «Bisogna annoverare fra i miracoli della lotta in Val Susa il fatto che sia riuscita a strappare un buon numero di radicali all’identità che si erano così faticosamente costruiti. Essa li ha fatti ritornare sulla terra. Riprendendo contatto con una situazione reale, hanno saputo lasciarsi alle spalle buona parte del loro scafandro ideologico, non senza attirarsi l’inesauribile risentimento di coloro che restano confinati in questa radicalità intersiderale dove si respira così male… Alternando le manifestazioni in famiglia e gli attacchi al cantiere del Tav, facendo ricorso ora al sabotaggio ed ora ai sindaci della vallata, associando anarchici e pure cattolici, ecco una lotta che ha almeno questo di rivoluzionario, l’aver saputo fino ad ora disattivare la coppia infernale del pacifismo e del radicalismo».
Proprio così! Da bravi animali politici, i nipotini di Blanqui pensano che l’ambito più naturale e spontaneo dove vivere sia lo zoo. Chi non vi entra o se ne allontana si autocondanna all’isolamento, ovvero a respirare male l’aria stantia di uno scafandro, denotando un inesauribile risentimento nei confronti di chi respira così bene la stessa aria di magistrati e parlamentari (e magari pure di delatori e dissociati di diversa natura). È quasi commovente l’ammirazione del Comitato Invisibile per i loro garzoni libertari italioti, questi Victor Serge de noantri, i quali hanno finalmente compreso l’utilità strategica della conflittualità alternata da sempre cara agli autoritari. Peccato che, ad inquinare questa ambita aria, ci sia anche «una frazione di anarchici che si autoproclama nichilista» e che in realtà «non è che impotente». Anarchici che identificano il nemico, si procurano dei mezzi e lo attaccano… brrr, che schifo, non sono che impotenti, è ovvio. Invece, chi fa comunella con sindaci, preti e stalinisti, chi si fa eleggere consigliere comunale come gli sfegatati fan di Tarnac del Comitato Invisibile, quelli sì che…
Che? Ma sì, che hanno capito come stanno le cose! «Non esiste esperanto della rivolta. Non spetta ai ribelli imparare a parlare anarchico, ma agli anarchici diventare poliglotti». L’esperanto, questa lingua nuova che comprende elementi di tutte le lingue, le racchiude senza preferenze cercando di farle comunicare nel rispetto della loro diversità, è una stolta utopia. Il modo più pratico, immediato, strategico di comunicare, è parlare la lingua degli altri. L’inglese soprattutto, in affari. L’autoritario soltanto, in politica.
Anarchici, siate poliglotti! Smettete di miagolare soli soletti come quattro gatti, abbaiate e grugnite in compagnia di cani e porci! Il lunedì parlate umanitario, il martedì democratico, il mercoledì giornalista, il giovedì sindacalista, il venerdì leguleio, il sabato comunista, la domenica – amen – pretesco. E occasionalmente, parlate pure rivoltoso. Quanto alla lingua anarchica, meglio dimenticarla del tutto.
Tanto, siamo sinceri, a cosa vi serve?

[22/11/14]

[Fonte : Finimondo.]

 

 

Blanqui à Venaus

« La politique est l’art de la récupération. La manière la plus efficace pour décourager toute rébellion, tout désir de changement réel, est de présenter un homme d’État comme un subversif, ou bien – mieux encore – transformer un subversif en homme d’État. Tous les hommes d’État ne sont pas payés par le gouvernement. Il existe des fonctionnaires qui ne siègent pas au Parlement et encore moins dans ses pièces adjacentes ; au contraire, ils fréquentent les centres sociaux et connaissent discrètement les principales thèses révolutionnaires. Ils dissertent sur les potentialités libératoires de la technologie, ils théorisent des sphères publiques non étatiques et le dépassement du sujet. La réalité – ils le savent bien – est toujours plus complexe que n’importe quelle action »
Dix coups de poignard à la politique
, 1996

 

Une rumeur circule depuis quelques temps parmi certains anarchistes d’Europe par rapport au dernier effort éditorial du Comité Invisible, auteur en 2007 du best-seller international L’insurrection qui vient. On raconte que les adhérents au Comité auraient partagé le brouillon du texte avec leurs amis politiques éparpillés ça et là dans le monde, pour en sonder les réactions et en tirer d’utiles conseils. Or, la première version contenait une dure attaque contre les anarchistes, coupables de ne pas être prosternés comme il faut face à eux (et d’avoir ricané devant la farce de Tarnac, où les présumés auteurs du livre, quand la police avait frappé à leur porte, s’étaient précipités dans les bras protecteurs de cette gauche à laquelle il faisaient la guerre jusqu’à la veille). Mais certains de leurs correspondants amis – depuis notre Beau Pays, dit-on – leur auraient suggéré d’éliminer les parties trop virulentes, d’adoucir le ton, parce qu’au fond, à bien y réfléchir, il y a encore beaucoup de services que ces idiots libertaires peuvent rendre. L’origine de cette rumeur est un anarchiste espiègle qui aurait apparemment pu lire l’ébauche originale du texte ainsi que la correspondance à son sujet. Ce sont les risques de la Commune et du partage des instruments, on ne sait jamais qui peut jeter un œil sur un ordinateur laissé allumé et sans surveillance !

Que cette rumeur soit vraie ou fausse, il y a quelques jours on nous a fait cadeau du nouveau livre du Comité Invisible, tout frais sorti de l’impression, publié en France à la fin du mois dernier. Il s’intitule À nos amis (politiques, ça va sans dire) et sa publication imminente et simultanée en sept autres langues est prévue, pour en favoriser la diffusion sur les quatre continents. Certains que l’Italie fera partie des pays chanceux, autant attendre d’en lire la traduction intégrale.

Mais alors, se demandera-t-on, pourquoi nous en parlons ici et maintenant ? Parce que grâce aux leçons du Comité Invisible, nous avons finalement compris à quel point la publicité n’était pas seulement l’âme du commerce, mais aussi celle de la subversion (enfin, du commerce de la subversion). De plus, si nous ne nous dépêchions pas de partager au moins quelques extraits de ce nouveau chef d’œuvre avec nos lecteurs, nous risquerions d’être confondus avec des bureaucrates d’Etat. Bref, voilà une avant-première, une sorte de scoop.

Savoir que choisir est facile, même trop facile. Les petits-enfants de Blanqui consacrent en effet quelques réflexions à l’Italie, et, plus précisément, à la lutte contre le TAV en Val Susa et à ses miraculeux effets. Voici ce qu’ils écrivent : « Il faut compter au nombre des miracles de la lutte dans le Val de Suse qu’elle ait réussi à arracher bon nombre de radicaux à l’identité qu’ils s’étaient si péniblement forgée. Elle les a fait revenir sur terre. Reprenant contact avec une situation réelle, ils ont su laisser derrière eux une bonne part de leur scaphandre idéologique, non sans s’attirer l’inépuisable ressentiment de ceux qui restaient confinés dans cette radicalité intersidérale où l’on respire si mal. […] En alternant les manifestations en famille et les attaques au chantier du TAV, en ayant recours tantôt au sabotage tantôt aux maires de la vallée, en associant des anarchistes et des mémés catholiques, voilà une lutte qui a au moins ceci de révolutionnaire qu’elle a su jusqu’ici désactiver le couple infernal du pacifisme et du radicalisme. »

Absolument ! En gentils animaux politiques, les petits-enfants de Blanqui pensent que le milieu le plus naturel et spontané où vivre serait le zoo. Qui n’y entre pas ou s’en éloigne s’auto-condamne à l’isolement, c’est-à-dire à mal respirer l’air vicié d’un scaphandre, dénotant d’un inépuisable ressentiment contre ceux qui respirent si bien le même air que les magistrats et parlementaires (et peut-être même que les délateurs et divers dissociés). L’admiration du Comité Invisible pour leurs apprentis libertaires ritals est presque émouvante, ces Victor Serge de chez nous qui ont enfin compris l’utilité stratégique de la conflictualité en courant alternatif chère depuis toujours aux autoritaires. Quel dommage qu’à polluer cet air convoité il y ait aussi « une fraction d’anarchistes qui s’autoproclame nihiliste » et qui en réalité « n’est qu’impuissante ». Des anarchistes qui identifient l’ennemi, se donnent des moyens et l’attaquent… brrr, quelle horreur, ce ne sont que des impuissants, c’est évident. Par contre, ceux qui s’acoquinent avec des maires, prêtres et stalinistes, ceux qui se font élire au conseil municipal comme les super fan de Tarnac du Comité Invisible, ceux-là bien sûr que…
Que quoi ? Mais oui, qu’ils ont compris comment vont les choses ! « Il n’y a pas d’espéranto de la révolte. Ce n’est pas aux rebelles d’apprendre à parler l’anarchiste, mais aux anarchistes de devenir polyglottes ». L’espéranto, cette nouvelle langue qui contient des éléments de toutes les langues, les englobe sans préférence en cherchant à les faire communiquer dans le respect de leur diversité, est une sotte utopie. Le moyen le plus pratique, immédiat, stratégique pour communiquer est de parler la langue des autres. L’anglais surtout, en affaires. L’autoritaire seulement, en politique.

Anarchistes, soyez polyglottes ! Arrêtez de miauler tous seuls à trois pelés et un tondu, aboyez et grognez en compagnie des chiens et des porcs ! Le lundi parlez l’humanitaire, le mardi le démocratique, le mercredi le journaliste, le jeudi le syndicaliste, le vendredi le juridique, le samedi le communiste, le dimanche – amen – le liturgique. Et à l’occasion, parlez le rebelle si vous voulez. Quant à la langue anarchiste, mieux vaut l’oublier entièrement.
De toute façon, soyons sincères, à quoi vous sert-elle ?

[22/11/14]

[Traduit de l’italien par nos soins de Finimondo.]

 

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