Fredy Perlman
Nel corso di questo secolo la morte del nazionalismo è stata proclamata a differenti riprese:
– dopo la prima guerra mondiale, con la frantumazione in nazioni autodeterminate degli ultimi imperi europei: l’Austriaco e il Turco; e con la fine di ogni nazionalismo ad eccezione di quello dei sionisti;
– dopo il colpo di stato bolscevico, quando fu proclamato che le lotte borghesi per l’autodeterminazione erano d’ora in avanti soppiantate dalle lotte dei lavoratori, i quali non avevano patria;
– dopo la disfatta militare dell’Italia fascista e della Germania nazionalsocialista, quando i genocidi interni al nazionalismo furono esibiti alla vista di tutti, quando fu considerato che il nazionalismo, come teoria e come pratica, era discreditato per sempre. Nondimeno, quarant’anni dopo la disfatta militare dei fascisti e dei nazionalsocialisti, possiamo vedere che il nazionalismo non solo sopravvive ma conosce una rinascita. Il nazionalismo è stato rimesso in essere non solamente dalla sedicente destra, ma, anche e prima ancora, dalla sedicente sinistra. Dopo la guerra nazionalsocialista, il nazionalismo ha cessato di essere una prerogativa dei conservatori ed è divenuto la teoria e la pratica dei rivoluzionari rivelandosi come il solo credo rivoluzionario che oggi si impone.
I nazionalisti rivoluzionari, e di sinistra, insistono nell’idea che il loro nazionalismo non abbia niente a che fare con quello dei fascisti e dei nazionalsocialisti, che il loro sia un nazionalismo degli oppressi, che offre una liberazione sia culturale che personale. Le rivendicazioni dei nazionalisti rivoluzionari sono state utilizzate dalle due più antiche istituzioni gerarchiche sopravvissute fino ad oggi: lo stato cinese e, più recentemente la Chiesa cattolica. I sostenitori del nazionalismo attuale lo presentano come una strategia, una scienza e una teologia della liberazione, il compimento del precetto illuminato — la conoscenza è il potere —, una risposta notevole alla domanda: Che fare?
Per contestare queste rivendicazioni e per piazzarle nel loro contesto, debbo porre la domanda su cosa sia il nazionalismo — non solo il nuovo nazionalismo rivoluzionario, ma anche quello vecchio conservatore. Non posso iniziare con una definizione del termine “nazionalismo”, poiché questa non è una parola che possiede una definizione statica: è un termine che ricopre una successione di esperienze storiche differenti. Comincerò tracciando un breve schizzo di alcune di queste esperienze.
Secondo una erronea concezione, largamente conosciuta (e facile ad essere manipolata), l’imperialismo è relativamente recente. Esso consiste nella colonizzazione del mondo intero, ed è lo stadio supremo del capitalismo.
Questa diagnosi porta a una cura specifica: il nazionalismo proposto come rimedio all’imperialismo, le guerre di liberazione nazionale si volgono verso la distruzione dell’impero capitalista. Questa diagnosi serve una causa, ma non rende conto di alcun avvenimento o situazione. Ci avviciniamo di più alla verità ridiscutendo questa concezione e dicendo che l’imperialismo fu il primo stadio del capitalismo, che il mondo è stato ulteriormente colonizzato dagli Stati-nazione, che il nazionalismo è lo stadio dominante, contemporaneo e (speriamo) supremo del capitalismo. La realtà di questa ipotesi non è stata scoperta ieri. Essa è altrettanto familiare quanto la falsa concezione che la nega.
Fu utile, per diverse buone ragioni, dimenticare che, fino a questi ultimi secoli, i poteri dominanti dell’Eurasia non erano Stati-nazione, ma Imperi. Un Impero Celeste, diretto dalla dinastia dei Ming, un Impero Islamico, diretto dalla dinastia Ottomana e un Impero Cattolico diretto dalla dinastia degli Asburgo, hanno rivalizzato per il possesso del mondo conosciuto. Dei tre, i cattolici non furono i primi imperialisti, ma gli ultimi. L’Impero Celeste dei Ming ha dominato la più gran parte dell’Asia orientale e ha disseminato sui mari vaste flotte commerciali un secolo prima che i cattolici prendessero i mari per invadere il Messico.
Gli stranieri non sono nemmeno uomini
Coloro che celebrano i grossi fatti cattolici dimenticano che, tra il 1420 e il 1430, il burocrate imperiale Cheng Ho comandava spedizioni navali di 70.000 uomini e navigava non solo verso Malesia, Indonesia e Ceylon, ma si allontanava fino al Golfo Persico, fino al Mar Rosso e all’Africa. I cantori dei conquistatori cattolici fanno anch’essi poco caso al fatto che l’Impero Ottomano, che conquistò anche le province occidentali dell’Impero Romano, dominò l’Africa del Nord, l’Arabia, il Medio Oriente e la metà dell’Europa, controllò il Mediterraneo e arrivò alle porte di Vienna. Fu per sfuggire all’accerchiamento che i cattolici imperiali si misero in marcia verso l’ovest al di là delle frontiere del mondo conosciuto.
Comunque sia, furono essi che “scoprirono l’America”, e cambiarono gli equilibri di forza in seno agli Imperi dell’Eurasia con il saccheggio, la distruzione e il genocidio della loro “scoperta”.
Gli imperialisti turchi o cinesi sarebbero stati meno assassini se fossero stati loro a “scoprire l’America”? I tre imperi non consideravano gli stranieri esseri umani e conseguentemente li trattavano come preda legittima. I cinesi consideravano gli altri come barbari, i musulmani e i cattolici come miscredenti. Il termine “miscredente” non è tanto brutale quanto il termine “barbaro”, poiché un miscredente cessa di essere preda legittima e diviene completamente umano tramite il semplice atto della conversione alla vera fede, mentre un barbaro resta una preda fino a quando questa conversione sia stata compiuta dal civilizzatore.
Il termine miscredente, e la moralità che lo sostiene, entrano in conflitto con la pratica degli invasori cattolici. La contraddizione tra le dichiarazioni e gli atti fu ben presto messa in luce da un critico, un prete di nome Las Casas, il quale notò che le cerimonie delle conversioni erano dei pretesti per la discriminazione e lo sterminio dei non convertiti, e gli stessi convertiti non erano trattati come cattolici amici, ma come schiavi.
Le critiche di Las Casas imbarazzarono un poco la Chiesa cattolica e l’Imperatore. Vennero allora promulgate leggi e furono fatte inchieste, ma senza alcun effetto, perché i due scopi delle spedizioni cattoliche, conversione e saccheggio, erano contraddittori. La maggior parte degli uomini di chiesa si riconciliarono per salvare l’oro e dannare le anime. L’Imperatore cattolico dipese in modo crescente dalle ricchezze rubate per finanziare la casa imperiale, l’esercito e le flotte che eseguivano i saccheggi.
Il saccheggio continua ad avere la meglio sulla conversione, ma i cattolici continuavano ad essere imbarazzati. Non potevano rivestire la pratica con la loro ideologia. I cattolici effettuarono le loro principali conquiste a partire dal loro primo incontro con gli Aztechi e con gli Incas, che essi descrivevano come Imperi le cui istituzioni erano simili a quelli dell’Impero degli Asburgo, avendo pratiche religiose demoniache come quelle del loro nemico ufficiale, il detestato Impero dei Turchi Ottomani. La maggior parte delle guerre di sterminio condotte dai cattolici non furono d’altronde mai dirette contro comunità senza imperatori, né eserciti costituiti. Tali fatti, ancorché penetrati regolarmente, entravano in contraddizione con l’ideologia e non avevano niente di eroico.
La contraddizione tra le professioni di fede degli invasori e i loro atti non fu risolta dagli imperialisti cattolici ma dai precursori della nuova forma sociale, gli Stati-nazione. Questi precursori apparvero a due riprese nell’anno 1561, quando uno degli avventurieri d’oltremare dell’imperatore proclamò l’indipendenza del suo Impero, e quando molti dei banchieri e fornitori dell’Imperatore lanciarono una guerra d’indipendenza.
L’avventuriero d’oltremare, Lope de Aguirre, non ottenendo il sostegno di una mobilitazione fu giustiziato.
I banchieri e i fornitori dell’Imperatore mobilitarono gli abitanti di parecchie province imperiali e riuscirono a separarle dall’Impero (si tratta delle province che costituirono in seguito l’Olanda). Questi due avvenimenti non erano ancora lotte di liberazione nazionale. Erano segni precursori dell’avvenire. Si trattava anche di reminiscenze del passato. Nell’antico Impero Romano erano state ingaggiate delle guardie pretoriane col compito di proteggere l’Imperatore e alla fine queste avevano esercitato il potere al posto dell’Imperatore. Nell’antico Impero Islamico, il Califfo aveva ingaggiato guardie del corpo turche per proteggere la sua persona: queste, come precedentemente avevano fatto i pretoriani, si erano impadronite delle funzioni del Califfo e avevano preso possesso del Palazzo Imperiale e del potere relativo.
Lope de Aguirre e gli altri personaggi olandesi non erano guardie del corpo della monarchia degli Asburgo, ma l’avventuriero delle Ande e le case commerciali e finanziarie olandesi compivano importanti funzioni imperiali. Questi ribelli, come le antiche guardie romane e turche, volevano liberarsi dell’indegnità spirituale e della carica materiale di servire l’Imperatore. Essi, avendo già preso il potere di quest’ultimo, lo consideravano un parassita.
I grandi personaggi olandesi non erano inetti, e il loro tempo era venuto. Non rovesciarono l’Impero, lo razionalizzarono. Le case commerciali e finanziarie olandesi possedevano già la maggior parte delle ricchezze del Nuovo Mondo. Le avevano ricevute in pagamento per l’approvvigionamento delle flotte, degli eserciti e della casa dell’Imperatore. Potevano adesso consacrarsi al saccheggio delle colonie a loro proprio nome e beneficio, senza l’ostacolo di un sovrano parassita. E, poiché essi non erano cattolici, ma protestanti calvinisti, non erano imbarazzati da nessuna contraddizione tra gli atti e i principi. Non facevano professione di salvezza di anime. Il calvinismo dettava loro che un dio impenetrabile aveva salvato o dannato tutte le anime sin dall’inizio dei tempi e nessuna delle preghiere avrebbe potuto modificare il piano divino.
Gli olandesi non erano crociati. Si dedicavano ad un saccheggio senza eroismo, né humour, ad un affarismo calcolato e regolato. Le flotte preposte al saccheggio partivano e ritornavano così come previsto. Il fatto che gli stranieri saccheggiati fossero miscredenti divenne meno importante del fatto che non fossero olandesi.
I precursori del nazionalismo dell’Eurasia occidentale avevano forgiato il termine “selvaggio”. Questo termine era sinonimo di “barbaro”, termine utilizzato nell’Impero Celeste dell’Eurasia orientale. I due termini definivano gli esseri umani come preda legittima.
Nel corso dei due secoli successivi, le invasioni, gli assoggettamenti e le espropriazioni iniziati dagli Asburgo, furono imitati dalle altre case reali europee.
Visti con le lenti degli storici nazionalisti, i risultati dei primi colonizzatori, così come in seguito dei loro imitatori, hanno l’apparenza di nazioni: Spagna, Olanda, Inghilterra, Francia. Ma, piazzandosi piuttosto dal punto di vista di questa epoca, i poteri colonizzatori sono gli Asburgo, i Tudor, i Borboni, gli Orange — cioè famiglie dinastiche identiche a quelle che avevano spianato i coltelli per la ricchezza e il potere sin dalla caduta dell’Impero Romano d’occidente. Gli invasori possono essere considerati da questi due punti di vista in quanto era in corso una transizione.
Non si era più in presenza dei regimi feudali, ma si era ancora in presenza delle nazioni con tutte le loro caratteristiche. Queste entità possedevano già alcuni attributi, ma non tutti, dello Stato-nazione. Il più importante elemento mancante era l’esercito nazionale. I Tudor e i Borboni organizzavano gli elementi anglicizzati e francesizzati dei loro sudditi, particolarmente nel corso delle guerre contro i sudditi di un’altra monarchia. Ma, né gli Scozzesi né gli Irlandesi, né i Corsi, né i Provenzali, erano reclutati per combattere e morire per “amore del loro paese”. La guerra era un’onerosa carica feudale, una corvée. I soli volontari erano gli avventurieri che sognavano oro, i soli patrioti erano i patrioti dell’Eldorado.
Saccheggiare per se stessi
I principi di quello che sarebbe divenuto il credo nazionalista non dicevano niente alle dinastie regnanti che restavano abbarbicate ai loro propri principi. I nuovi principi convenivano ai più grandi servitori dell’oligarchia, i suoi prestatori di soldi, i suoi venditori di spezie, i suoi fornitori militari e saccheggiatori di colonie. Questa gente, come Lope de Aguirre e gli altri personaggi olandesi, come le antiche guardie romane e turche, esercitavano funzioni chiave pur restando dei servitori. Molti, se non la maggior parte fra loro, ardevano affrancarsi dalla indegnità e dal fardello rappresentato dal sovrano parassita al fine di sfruttare i loro compatrioti essi stessi e per il loro beneficio. Questa gente, conosciuta più tardi come borghesia (o classe media) era divenuta ricca e potente a partire dal giorno in cui le prime flotte erano partite con destinazione ovest. Una parte delle loro ricchezze era venuta fuori dalle colonie saccheggiate, come pagamento dei servigi resi all’Imperatore. Poi, questa parte di ricchezza verrà chiamata accumulazione primitiva del capitale. Un’altra porzione della loro ricchezza era venuta fuori dal saccheggio dei loro stessi compatrioti e dei loro vicini tramite un metodo conosciuto più tardi col nome di capitalismo. Questo metodo non era assolutamente nuovo, ma si allargherà di molto dopo che le classi medie avranno messo le mani sull’oro e l’argento del Nuovo Mondo.
Queste classi borghesi esercitavano importanti poteri, ma mancavano dell’esperienza nell’esercizio del potere centrale. In Inghilterra avevano rovesciato il monarca e proclamato la repubblica, ma, temendo che le energie popolari mobilitate contro le classi superiori potessero ritorcersi contro di esse, restaurarono presto un’altra monarchia della stessa casa dinastica.
Il nazionalismo vero e proprio non venne ad imporsi fino alla fine del XVIII secolo. Fu allora che due esplosioni, a tredici anni di distanza, misero fine alla relativa stabilità delle classi alte e cambiarono in maniera permanente la geografia politica del globo. Nel 1776, i commercianti e gli avventurieri coloniali compirono nuovamente l’impresa di Aguirre proclamando la loro indipendenza di fronte al sovrano d’oltremare, e la sorpassarono mobilitando i loro amici coloni, riuscendo a separarsi dall’Impero britannico degli Hannover. E nel 1789, commercianti e scribi illuminati sorpassarono i loro predecessori olandesi mobilitando non solo alcune province vicine, ma tutta una popolazione assoggettata, rovesciando e mettendo a morte il monarca Borbone, modificando le frontiere feudali in frontiere nazionali. Questi due avvenimenti segnarono la fine di un’epoca. Ormai, anche le dinastie sopravvissute erano sulla strada per divenire gradualmente o precipitosamente nazionaliste, e gli Stati monarchici restanti per acquisire sempre più gli attributi di Stati-nazione.
Le due rivoluzioni del XVIII secolo furono molto differenti, contribuirono alla teoria e alla pratica del nazionalismo attraverso elementi diversi e spesso conflittuali. Non cercherò qui di analizzare gli avvenimenti, ma solo di ricordare al lettore alcuni elementi.
Le due ribellioni arrivarono a spaccare i legami di fedeltà alla casa reale e portarono allo stabilimento degli Stati-nazione, ma il primo e l’ultimo atto ebbero poche cose in comune. I principi animatori delle rivolte avevano familiarità con le dottrine razionaliste dell’illuminismo, ma i cosiddetti americani si limitarono ai problemi politici, principalmente a quello dello stabilimento di un’organizzazione statale che potesse riempire lo spazio lasciato vacante dal re Giorgio. Molti francesi andarono più lontano, ponendo il problema di ristrutturare non solo il legame di sottomissione alla monarchia, ma anche quello dello schiavo verso il padrone, legame che per gli americani restava sacro. I due gruppi erano senza dubbio influenzati dalla nota di J.-J. Rousseau la quale afferma che l’uomo è nato libero, e che dappertutto è in catene, ma i francesi comprendevano queste catene più profondamente e facevano il massimo sforzo per romperle.
Influenzati dalle dottrine razionaliste, come lo era stato Rousseau stesso, i rivoluzionari francesi tentarono di applicare la ragione sociale all’ambiente umano, allo stesso modo in cui la ragione naturale o la scienza cominciavano ad essere applicate all’ambiente naturale. Rousseau aveva lavorato al suo compito: aveva tentato di stabilire la giustizia sociale sulla carta investendone un’entità incarnante la volontà generale dei problemi umani.
I rivoluzionari si agitavano per stabilire la giustizia sociale non solo sulla carta, ma fra gli esseri umani mobilitati e armati, molti arrabbiati, la più parte poveri.
L’entità astratta di Rousseau prese la forma concreta di un Comitato di salute pubblica, un’organizzazione per mantenere l’ordine che si considerava come l’incarnazione della volontà generale. I virtuosi membri del Comitato applicarono coscienziosamente le scoperte della ragione ai problemi umani. Si considerarono essi stessi come chirurghi della nazione. Cesellarono la società ad immagine delle loro ossessioni personali, sul filo del rasoio statale.
L’applicazione della scienza alla vita prese la forma di un terrore sistematico. La ghigliottina divenne lo strumento della Ragione e della Giustizia.
Il Terrore decapitò gli antichi dirigenti, primi di rivolgersi contro i rivoluzionari.
La paura stimolò una reazione che spazzò via sia il Terrore che la Giustizia. L’energia mobilitata dai patrioti sanguinari fu esportata, per imporre con la forza i Lumi agli stranieri, per estendere la nazione ad un Impero. Approvvigionare gli eserciti nazionali era molto più lucroso di quanto lo fosse stato per gli eserciti feudali. E così, antichi rivoluzionari divennero ricchi e potenti membri della classe media, diventata classe superiore, classe dirigente. Il terrore, esattamente come le guerre, portava un’eredità decisiva per quanto riguardava la teoria e la pratica dei nazionalismi a venire.
L’eredità della rivoluzione americana fu di un tipo completamente diverso. Gli americani erano meno interessati al problema della giustizia e più a quello della proprietà. Gli invasori-coloni delle rive orientali dell’America non avevano un bisogno urgente né di Giorgio di Hannover, né di Lope de Aguirre, né lo avevano di Filippo d’Asburgo. O, piuttosto, coloro fra i coloni che erano ricchi e potenti, domandavano all’apparato di re Giorgio di proteggere la loro ricchezza, ma non di incamerarla. Se avessero potuto organizzare un apparato repressivo da se stessi, non avrebbero voluto re Giorgio.
Confidando nella loro capacità di mettere in moto il proprio apparato, negrieri, speculatori, esportatori e banchieri coloniali trovarono intollerabili le tasse e gli atti del re. Il più intollerabile di questi atti fu quello che bandiva temporaneamente le incursioni non autorizzate nelle terre degli autoctoni. I consiglieri del re avevano gli occhi sulle pellicce fornite dai cacciatori indigeni, gli speculatori rivoluzionari li avevano sulle terre dei cacciatori.
Contrariamente ad Aguirre, i colonizzatori del Nord riuscirono a mettere in piedi il proprio apparato repressivo indipendente e lo fecero agitando un minimo di bisogno di giustizia. Lo scopo era quello di rovesciare il potere del re, non il proprio potere. Piuttosto che contare sugli amici colonialisti pionieri delle foreste vergini, meno fortunati, per non parlare degli schiavi, questi rivoluzionari si appoggiarono sui mercenari e sull’indispensabile aiuto del monarca Borbone che sarebbe stato rovesciato, pochi anni più tardi, da rivoluzionari più virtuosi.
I colonizzatori nordamericani ruppero i tradizionali legami di fedeltà e l’obbligo feudale, ma contrariamente ai francesi, rimpiazzarono solo molto gradualmente i legami feudali con legami nazionali e patriottici. Essi non rappresentarono affatto una nazione. La ripugnanza delle colonie a mobilitarsi non le aveva portate a funzionare come una sola entità e la base della popolazione, dalle molteplici lingue e culture, socialmente divisa, resisteva ad una tale funzione. Il nuovo apparato repressivo non era stato provato e sperimentato, e la base della popolazione, non ancora patriota, non ne era trascinata. Mancava qualcosa. I padroni di schiavi che avevano rovesciato il loro re, temevano che i propri schiavi potessero rovesciare allo stesso modo i padroni. L’insurrezione che aveva avuto luogo ad Haiti faceva di questo timore qualcosa di più di un’ipotesi. Ed anche se non temevano più di essere respinti in mare dagli autoctoni, i commercianti e gli speculatori si preoccupavano della propria capacità di addentrarsi ancora di più nel continente. Gli invasori-coloni americani avevano fatto ricorso ad uno strumento che non era, come la ghigliottina, una nuova invenzione, ma che era altrettanto mortale. Questo strumento sarebbe stato chiamato più tardi Razzismo, e faceva parte della pratica nazionalista. Il razzismo, come utile scoperta degli americani pratici, era un principio pragmatico: il suo contenuto non era importante, l’importante era che funzionasse.
Fusi in una nazione di uomini bianchi
Gli esseri umani furono mobilitati in funzione del loro più piccolo — e superficiale — comune denominatore, e obbedirono. Uomini che avevano abbandonato villaggi e famiglia, che erano sul punto di abbandonare la loro lingua e perdere la propria cultura, che erano quasi svuotati della socialità, venivano manipolati facendo considerare il colore della loro pelle come un sostituto di tutto quello che avevano perduto. Essi furono resi fieri di qualcosa che non era né una conquista personale e nemmeno, come la lingua, un’acquisizione personale. Furono amalgamati all’interno di una nazione di uomini bianchi. (Le donne e i bambini bianchi non esistevano altro che come vittime scotennate, prova della bestialità della preda cui si dava la caccia). La nullità di questa comunità è rivelata dalle pseudo-entità sulle quali essa riposava: il sangue bianco, i pensieri bianchi e la qualità di membro di una razza bianca.
Debitori, pionieri e domestici avevano tutto in comune, in quanto uomini bianchi, con i banchieri, gli speculatori fondiari e proprietari di piantagioni, e niente in comune con gli individui dalla pelle rossa, nera o gialla. Amalgamati da un tale principio, essi potevano essere mobilitati, trasformati in una popolazione bianca, linciatrice, una popolazione di “combattenti di indiani”.
All’inizio, il razzismo non era che un metodo, fra gli altri, per mobilitare eserciti coloniali, metodo che fu utilizzato in America in modo così completo come non lo era mai stato prima. Esso non soppiantò gli altri metodi, ma piuttosto li completò. Le vittime dei pionieri invasori continuarono ad essere descritte come miscredenti e pagani. Tuttavia i pionieri, come gli olandesi degli anni precedenti, erano per buona parte cristiani protestanti e guardavano il paganesimo, non come qualcosa cui bisognava portare rimedio, ma qualcosa che doveva essere punita. Le vittime continuavano così ad essere trattate da selvaggi, da cannibali e da primitivi. Inoltre, questi termini non diagnosticavano più uno stato al quale porre rimedio, ma tendevano a diventare sinonimi di non-bianchi, stato al quale non si poteva rimediare in alcun modo. Il razzismo era un’ideologia perfettamente adatta ad una pratica di schiavitù e di sterminio.
Espropriare, ridurre in schiavitù, sterminare
I raggruppamenti di linciatori, le coalizioni contro vittime definite come inferiori, erano graditi a bruti privati di umanità e di ogni nozione di lealtà. Ma non erano graditi a tutti. Gli uomini d’affari americani, metà commercianti e metà uomini di fiducia, avevano più di un interesse tra le mani. Per i numerosi San Giorgio, che possedevano qualche nozione d’onore ed erano assetati di eroismo, il nemico era dipinto in modo sensibilmente differente. Per essi esistevano, nei boschi al di là delle montagne e sulle rive dei grandi laghi, nazioni altrettanto ricche della loro.
I cantori degli eroismi spagnoli imperiali avevano “scoperto” imperi nel centro del Messico e in cima alle Ande. I cantori degli eroi nazionalisti americani “scoprirono” nazioni. Questi videro nella disperate resistenze dei contadini an-archici una cospirazione internazionale sotto la direzione spirituale di condottieri militari come il generale Pontiac e il generale Tecumseh; popolarono i boschi di formidabili leader nazionali, di efficaci stati maggiori e di innumerevoli eserciti di truppe patriottiche, progettarono strutture repressive su qualcosa di ancora sconosciuto, scoprirono una copia esatta di se stessi, con i colori rovesciati — qualcosa come un negativo fotografico. In tal modo, il nemico divenne un eguale in termini di strutture, di potere e di scopi. La guerra contro un tale nemico non era solo una questione di lealtà, ma una crudele necessità, una questione di vita o di morte. Gli altri attributi del nemico — paganesimo, ferocia, cannibalismo — rendevano più urgenti i compiti di espropriazione, di riduzione alla schiavitù e di sterminio, rendendo le imprese sempre più eroiche.
Il repertorio del programma nazionalista era adesso più o meno completo. Questa affermazione può sviare il lettore che non vede ancora in tutto questo una “nazione reale”. Gli Stati Uniti non erano ancora che un insieme di “etnie” dai linguaggi, religioni e culture multipli, mentre la nazione francese era uscita dai suoi confini trasformandosi in un Impero Napoleonico. Tutto ciò non quadra con la corrente definizione di nazione vista come territorio all’interno del quale vi sono persone che hanno uno stesso linguaggio, una stessa religione e uguali costumi, o per lo meno una delle tre cose. Una tale definizione, chiara, pronta e statica, non è una descrizione del fenomeno ma la sua apologia, una giustificazione. Il fenomeno non fu un fatto statico, ma un processo dinamico. La religione, i costumi e il linguaggio comune, come il sangue bianco dei coloni americani, furono semplici pretesti, strumenti per mobilitare gli eserciti. Il processo non culminò in una sacralizzazione delle comunità, ma in un impoverimento, in una perdita totale di linguaggio, di religione e di costumi. Gli abitanti di una nazione parlavano il linguaggio del capitale, lavoravano all’altare dello Stato e riducevano i loro costumi a quelli permessi dalla polizia nazionale.
Il nazionalismo non è l’opposto dell’imperialismo che nel regno delle definizioni. In pratica, il nazionalismo fu una metodologia per gestire l’impero del capitale. La crescita costante del capitale, spesso considerato come un progresso materiale, lo sviluppo economico o l’industrializzazione, furono la principale attività della classe media, che si chiama borghesia, perché il capitale era in suo possesso, era sua proprietà, mentre l’alta società possedeva i beni fondiari. La scoperta di nuovi mondi di ricchezza aveva enormemente arricchito queste classi medie, ma le aveva anche rese vulnerabili. I re e i nobili, che inizialmente raccoglievano le ricchezze saccheggiate nel nuovo mondo, persero controvoglia tutto a parte alcuni trofei, a profitto della classe media dei mercanti. Bisognava trovare una soluzione. La ricchezza non arrivava sotto forme utilizzabili: i mercanti fornivano ai re ciò che serviva loro in cambio dei tesori saccheggiati. Anche i re, i quali constatavano il proprio costante impoverimento e il simultaneo arricchimento dei mercanti, non disdegnavano di utilizzare gli eserciti per rubare ai ricchi mercanti. Conseguentemente le classi medie soffrivano, sotto l’antico regime, continui attentati alla proprietà. L’esercito e la polizia reali non erano, per la classe media, protettori degni di fiducia, e i mercanti più potenti, che avevano già in mano le redini degli affari dell’impero, presero misure per porre fine all’instabilità, iniziando a gestire la politica. Avrebbero potuto ingaggiare eserciti privati, e spesso lo fecero, ma, non appena strumenti di mobilitazione di eserciti nazionali e di forze di polizia si profilarono all’orizzonte, gli offesi uomini d’affari ricorsero ad essi. La principale virtù di una forza armata nazionale è la garanzia che un servitore patriota farà la guerra del suo padrone conto il servitore di un padrone nemico.
La stabilità assicurata da un apparato repressivo nazionale fornì ai possidenti l’equivalente di una serra, all’interno della quale il loro capitale avrebbe potuto germogliare e moltiplicarsi. Il termine “germogliare” e i suoi sinonimi vengono dal vocabolario dei capitalisti. Questa gente percepisce una unità di capitale come un grano o come un seme da investire in un terreno fertile. In primavera, essi vedono una pianta germogliare da ogni seme. In estate, mietono tanto grano per ogni pianta per cui, dopo aver pagato per il terreno, i raggi di sole e la pioggia, hanno ancora più grano di quanto ne avevano in partenza. L’anno dopo ingrandiscono il proprio campo e gradualmente tutta la campagna si trova bonificata. In realtà i “semi iniziali” sono i soldi; i raggi del sole e la pioggia sono l’energia fornita dai lavoratori; le piante sono le fabbriche, le industrie e le miniere; i frutti raccolti sono le merci, frammenti di un mondo programmato; i grani in eccesso, o addizionali, i profitti, sono il guadagno che il capitalista conserva per sé invece di dividerlo fra i lavoratori.
Il processo globale consisteva nel trasformare una materia prima naturale in articoli vendibili, o merci, e nell’incarcerazione dei lavoratori salariati dentro le industrie di trasformazione.
Il matrimonio tra il Capitale e la Scienza fu responsabile del gran salto in avanti in direzione della società in cui viviamo oggi. Scienziati fondamentalisti hanno scoperto gli elementi nei quali l’ambiente umano poteva essere scisso. I ricchi hanno messo su i vari metodi che conducevano a questa scissione. Gli specialisti delle scienze applicate, i manager, si sono organizzati perché i lavoratori salariati portassero a buon fine il loro progetto. Gli specialisti di scienze sociali finirono per scoprire le vie che permettono di rendere i lavoratori più efficienti e meno umani, simili alle macchine. Grazie alla scienza, i capitalisti furono capaci di trasformare la più gran parte dell’ambiente naturale in un mondo programmato, in un artificio, e ridurre la maggior parte degli esseri umani allo stato di efficienti servitori dell’artificio.
Il processo della produzione capitalista fu analizzato e criticato da numerosi filosofi e poeti, e più in particolare da Karl Marx, le cui critiche hanno animato e continuano ad animare i movimenti sociali militanti. Marx mancava di chiaroveggenza su un punto significativo: la maggioranza dei suoi discepoli, e molti militanti che non erano suoi discepoli, costruirono le loro piattaforme su questo punto. Marx era un sostenitore entusiasta della lotta della borghesia per liberarsi dai legami feudali (e chi non lo sarebbe stato, all’epoca?). Egli, che aveva osservato come le idee dominanti di un’epoca fossero quelle di una classe dominante, prese per sé parecchie idee della classe media poiché non ancora detentrice di molto potere. Fu entusiasmato dai Lumi, dal razionalismo, dal progresso materiale. Mentre da un lato Marx sottolineava con perspicacia il fatto che un lavoratore, riproducendo la sua forza lavoro, consacrandosi al compito che gli è stato affidato, contribuisce alla vita dell’apparato materiale e sociale che lo disumanizza; dall’altro era poi entusiasta per ogni applicazione della scienza alla produzione.
Accumulazione primitiva. Saccheggio incessante
Marx ha fatto un’analisi approfondita del processo di produzione in quanto sfruttamento della forza lavoro, ma non ha fatto che alcuni commenti grossolani sulle condizioni preliminari necessarie alla produzione capitalista, sul capitale iniziale che rende possibile il processo (la cosiddetta “accumulazione primitiva”). Senza capitale iniziale non vi sarebbero stati né investimenti, né produzione, né grossi salti in avanti. Queste previsioni preliminari furono successivamente analizzate dal marxista sovietico Preobrajhensky, il quale prese molto da Rosa Luxemburg per ciò che riguarda questo problema. (In un libro, uscito a Mosca nel 1926, Preobrajhensky enuncia la fatidica “legge dell’accumulazione primitiva socialista”). Per primitiva questo autore intendeva la base dell’edificio capitalista, le fondamenta, le condizioni preliminari. Queste condizioni non possono emergere dal modo di produzione capitalista se questo processo non è ancora iniziato. Esse devono venire e vengono dall’esterno del processo produttivo stesso. Nascosto dal saccheggio delle colonie, dalle espropriazioni e dallo sterminio di popoli. All’inizio, quando non c’erano colonie lontane, il primissimo capitale, condizione necessaria alla produzione capitalista, era stato estorto alle colonie interne, ai contadini sfruttati le cui terre venivano confiscate, i raccolti requisiti, oppure agli ebrei espulsi e ai musulmani espropriati dei loro possedimenti.
L’accumulazione primitiva del capitale non si produsse una volta per tutte in un lontano passato. Fu qualcosa di continuo che accompagnò il processo di produzione capitalista e fu di questo parte integrante.
Il processo descritto da Preobrajhensky è responsabile degli incrementi, degli arricchimenti e dei balzi in avanti. I profitti regolari sono distrutti periodicamente da crisi endemiche del sistema. Nuove iniezioni di capitale primitivo si rendono necessarie. Senza il flusso ininterrotto dell’accumulazione primitiva del capitale, il processo di produzione cesserebbe e ogni crisi tenderebbe a diventare permanente.
Il genocidio, lo sterminio razionalmente calcolato di popolazioni umane considerate prede legittime, non è l’aberrazione di un sistema che altrimenti marcerebbe pacificamente verso il progresso. I genocidi facevano parte delle condizioni preliminari necessarie a questo progresso. È per questo motivo che le forze armate erano necessarie a coloro che detenevano il capitale. Queste forze proteggevano non solo i proprietari dalla collera insurrezionale dei salariati sfruttati, ma procuravano anche il santo Graal, la lanterna magica, il capitale primitivo con l’annientamento della resistenza degli stranieri, col saccheggio di regioni intere, con la deportazione e l’assassinio.
I segni lasciati dagli eserciti nazionali sono le tracce della marcia verso il progresso. Questi eserciti patriottici erano, e lo sono ancora, la settima meraviglia del mondo. Nel loro seno, il lupo si affianca all’agnello, il ragno alla mosca, gli sfruttati sono compagni degli sfruttatori, i contadini indebitati compagni degli speculatori, i minchioni compagni degli imbroglioni. Si tratta di un accompagnarsi stimolato non dall’amore ma dall’odio — odio delle sorgenti potenziali del capitale primitivo, di popolazioni classificate come senza fede, selvagge o di razza inferiore.
Le comunità umane, così varie nei loro modi come nelle piume degli uccelli, furono invase, spogliate e finalmente sterminate al di là di ogni immaginazione. I vestiti e le opere delle comunità furono accatastati come trofei e distribuiti ai musei come tracce supplementari della marcia verso il progresso. Le credenze ed i costumi annientati divennero oggetto di curiosità per una nuova scienza dell’invasore. Espropriati i poderi, le foreste e gli animali vennero accumulati come vere e proprie miniere d’oro, come capitale primitivo, come condizioni necessarie al processo di produzione che doveva servirsi dei campi per creare fattorie, servirsi del bosco per lo sfruttamento forestale, servirsi degli animali per fare cappelli, trasformare i minerali in munizioni, gli uomini sopravvissuti in manodopera a basso costo. Il genocidio era e resta la condizione necessaria, la chiave di volta, il terreno di manovra dei complessi militari-industriali, delle periferie piene di fabbriche, dell’universo dei burocrati e dei parking.
Il nazionalismo era così ben tagliato su misura da assolvere al doppio compito dell’addomesticamento dei lavoratori e della spoliazione degli stranieri. In questo senso esso attirava tutti coloro che maneggiavano una parte del capitale o che aspiravano a maneggiarla.
Nel XIX secolo, soprattutto nella seconda metà, ogni proprietario di capitale pronto per essere investito scoprì che vi era, fra i contadini utilizzabili, una base che parlava la lingua materna e adorava il Dio dei propri padri. Il fervore di un tale nazionalista era cinico, in modo trasparente, poiché era campagnolo senza più radici, sia da parte di padre che di madre. Egli trovava la sua forza nel risparmio, pregava per i suoi investimenti e parlava il linguaggio della contabilità. Ma aveva appreso, dagli americani e dai francesi, che, benché non potesse mobilitare i suoi consimili come leali servitori, clienti o consumatori, poteva mobilitarli in quanto compagni italiani, greci o tedeschi, come leali consimili cattolici, ortodossi o protestanti. Le lingue, le religioni ed i costumi divennero materiali di sutura per la costruzione di Stati-nazione.
I materiali di sutura erano mezzi, non fini. Lo scopo delle entità nazionali non era di sviluppare le lingue, le religioni o i costumi, ma di sviluppare l’economia nazionale, di trasformare la gente della campagna in operai e soldati, la terra da cui si era ricavato il nutrimento in miniere e fabbriche, gli Stati dinastici in imprese capitaliste. Senza capitale, non si potevano avere né munizioni, né approvvigionamenti, né esercito nazionale, né nazione. Il risparmio e gli investimenti, gli studi di mercato dei costi e dei ricavi, ossessione delle classi medie razionaliste precedenti, divennero ossessioni dominanti. Gli individui che dichiaravano di avere altre ossessioni, irrazionali, furono rinchiusi nei manicomi.
Le nazioni erano principalmente monoteiste, ma ciò non era indispensabile: Dio o gli dèi avevano perduto la loro importanza, salve che come materiali di sutura. Le nazioni avevano una sola ed unica ossessione, se i monoteisti servivano l’ossessione regnante anch’essi dovevano essere mobilitati.
La prima guerra mondiale segnò la fine di una delle fasi del processo di nazionalizzazione, fase che aveva debuttato con le rivoluzioni americana e francese, annunciate esse stesse molto prima della dichiarazione di Aguirre e della rivolta dei Grandi olandesi. Le rivendicazioni conflittuali tra le vecchie nazioni e quelle costituite più recentemente, furono infatti la causa di questa guerra. La Germania, l’Italia, il Giappone, come la Grecia, la Serbia e l’America latina coloniale avevano già la maggior parte degli attributi dei loro predecessori nazionalisti, erano divenuti imperi nazionali, monarchie e repubbliche, e le più potenti aspiravano ad ornarsi del principale attributo mancante: un impero coloniale. Nel corso di questa guerra, tutte le frazioni mobilitabili dei due ultimi imperi dinastici, l’Impero Ottomano e l’Impero degli Asburgo, si trasformarono in nazioni. Quando le borghesie di lingua diversa e di diversa religione, come quella turca e quella armena, rivendicarono lo stesso territorio, le più deboli vennero trattate come gli indiani “americani”: furono cioè sterminate. La sovranità nazionale e il genocidio derivarono, e derivano ancora, l’uno dall’altra.
Il fatto di avere una religione e una lingua comuni apparve come il corollario dell’appartenenza ad una nazione, ma solo a causa di un’illusione ottica. In quanto materiale di sutura, le lingue e le religioni furono utilizzate quel tanto che potevano servire ad uno scopo, altrimenti vennero ignorate.
Né la Svizzera plurilingue, né la Jugoslavia dalle molteplici religioni, vennero bandite dalla famiglia delle nazioni. La forma del naso o il colore dei capelli potevano allo stesso modo essere utilizzati per mobilitare i patrioti, e lo furono. Le eredità, le radici, tutto ciò che venne considerato comune doveva soddisfare un solo criterio, quello della ragione pragmatica all’americana: serve? Tutto quello che poteva servire venne utilizzato. Le caratteristiche vennero considerate importanti, non in ragione del loro contenuto culturale, storico o filosofico, ma perché utili allo scopo di organizzare una polizia che proteggesse la proprietà nazionale e di mobilitare un esercito che saccheggiasse le colonie.
Una volta costituita la nazione, gli esseri umani che vivevano sul territorio nazionale, ma che non possedevano i dati caratteristici della nazione, potevano essere trasformati in colonie interne, cioè in fonte di accumulazione primitiva del capitale. Senza questo capitale primitivo, nessuna nazione poteva diventare una grande nazione e quelle che aspiravano alla grandezza, senza avere colonie adeguate all’estero, potevano ricorrere al saccheggio, allo sterminio e all’espropriazione di quella parte dei propri concittadini che non possedeva i caratteri nazionali.
L’instaurazione degli Stati-nazione fu salutata dall’entusiasmo euforico sia dei poeti che dei contadini, i quali pensarono che le loro Muse o i loro dèi fossero infine discesi sulla terra. I principali guastafeste, in mezzo alle bandiere fluttuanti e ai coriandoli, erano i vecchi governanti e i discepoli di Marx.
Coloro che erano stati rovesciati e coloro che erano stati colonizzati facevano il muso lungo per evidenti ragioni.
I discepoli di Marx facevano il muso lungo perché avevano imparato dal maestro che la liberazione nazionale significava sfruttamento nazionale, che il governo nazionale era il comitato esecutivo della classe capitalista nazionale, che la nazione poteva offrire ai lavoratori solo catene. Questi strateghi della classe operaia, che non erano essi stessi lavoratori ma borghesi, come i capitalisti al potere, proclamarono che i lavoratori non avevano patria e si organizzarono in seno ad un’Internazionale. Questa si divise in tre e ogni Internazionale si avvicinò sempre più alla posizione sulla quale Marx aveva mancato di chiaroveggenza. La Prima Internazionale fu presa in mano dal russo Bakunin, ribelle inveterato e che era stato esso stesso nazionalista nei suoi anni giovanili. Bakunin e i suoi compagni ribelli ad ogni autorità, si rivoltarono così contro quella di Marx, sospettando che volesse trasformare l’Internazionale in uno Stato altrettanto repressivo di quello che potevano essere gli Stati feudali e nazionali messi insieme. Bakunin e i suoi discepoli non erano per niente ambigui riguardo il loro rifiuto di ogni forma di Stato, ma lo erano nel riguardo dell’impresa capitalista. Essi glorificavano, forse ancora più di Marx, la scienza, celebravano il progresso materiale e l’industrializzazione. Essendo ribelli, consideravano ogni battaglia una buona battaglia, ma la migliore fra tutte era la lotta contro gli antichi nemici della borghesia, la lotta contro i proprietari terrieri feudali e la Chiesa cattolica. Fu per questo che l’Internazionale bakuninista fiorì in luoghi come la Spagna dove la borghesia non aveva compiuto la sua lotta per l’indipendenza, ma si era, al contrario, alleata ai baroni feudali e alla Chiesa al fine di proteggersi dagli operai e dai contadini insorti. I bakuninisti si batterono per la riuscita della rivoluzione borghese senza la borghesia e contro di essa. Si dissero anarchici e disprezzarono tutti gli Stati, ma non ci spiegarono come avrebbero potuto ottenere l’industria di base, lo sviluppo industriale, il progresso e la scienza, in altre parole, il capitale, senza esercito e senza polizia. Essi non ebbero mai l’occasione di risolvere le loro contraddizioni con la pratica, contraddizioni che ancora oggi restano intatte, non si resero neppure conto della contraddizione che esiste tra anarchia e industria.
La Seconda Internazionale, meno ribelle della Prima, patteggiò molto presto sia col capitale che con lo Stato. Restando fra le pieghe dei punti oscuri di Marx, i professori di questa organizzazione non si imbarazzarono di fronte alle contraddizioni bakuniniste. Per essi era evidente che sfruttamento e saccheggio erano condizioni necessarie per il progresso materiale e, realisti, si riconciliarono con l’inevitabile. Tutto quello che domandavano era una migliore distribuzione dei benefici in favore dei lavoratori e una migliore distribuzione delle funzioni della struttura politica in favore di se stessi, in quanto rappresentanti degli operai. Come i buoni sindacalisti che li precedettero e che poi li seguirono, i professori del socialismo furono imbarazzati dalla “questione coloniale”, ma questo imbarazzo, come quello di Filippo d’Asburgo, non faceva altro che dar loro una cattiva coscienza. In fin dei conti, i socialisti tedeschi, imperialisti; i socialisti danesi, realisti; e i socialisti francesi, repubblicani, cessarono semplicemente di essere internazionalisti.
Lenin o l’opportunismo monumentale
La Terza Internazionale non si accontentò di patteggiare con il capitale e con lo Stato, ne fece scopi da raggiungere. Questa Internazionale non era costituita da intellettuali ribelli o dissidenti: essa era stata creata da uno Stato, lo Stato russo, dopo che il Partito bolscevico ne ebbe preso il comando. L’attività principale di questa Internazionale era di pubblicizzare le prodezze dello Stato russo riaccomodato, del partito al potere e del suo fondatore, un uomo che si faceva chiamare Lenin. Le prodezze di questo partito e del suo fondatore erano, è vero, monumentali, ma i loro pubblicitari facevano del loro meglio per nascondere ciò che vi era in essi di più monumentale.
La prima guerra mondiale aveva lasciato due vasti imperi di fronte ad un grande dilemma. L’Impero Celeste della Cina, il più vecchio Stato del mondo, rimasto immutato e l’Impero degli Zar, una realizzazione ben più recente, vacillavano tra la prospettiva di trasformarsi in Stati-nazione e quella di suddividersi in più piccole unità, come l’Impero Ottomano e quello degli Asburgo.
Lenin risolvette questo dilemma in Russia. Possibile? Marx aveva osservato che un individuo solo non poteva trasformare una situazione, non poteva che approfittarne. Aveva probabilmente ragione. La prodezza di Lenin non è stata quella di modificare la situazione ma di approfittarne in maniera straordinaria. Questa prodezza era monumentale per il suo opportunismo.
Lenin era un borghese russo che odiava la debolezza e l’incapacità della borghesia russa. Entusiasmato dallo sviluppo capitalista, fervente ammiratore del progresso all’americana, egli non fece causa comune con coloro che odiava ma piuttosto con i loro nemici, i discepoli anticapitalisti di Marx. Approfittò delle lacune che si trovavano nella teoria di Marx per trasformare la critica del sistema di produzione capitalista in un manuale a favore dello sviluppo del capitale, in una guida pratica, il Che fare? Gli studi di Marx sullo sfruttamento e sull’impoverimento divennero pane per gli affamati, un sistema di possibile abbondanza. Gli uomini d’affari americani avevano già venduto urina per acqua di sorgente, ma nessun truffatore americano aveva fatto una virata di tale ampiezza.
La situazione non era modificata. Ogni tappa di questo processo di inversione tenne conto delle circostanze esistenti, appoggiandosi su metodi saggiati e provati. Il popolo russo non poteva essere mobilitato sulla base della sua nazionalità russa, della sua religione ortodossa o della sua pelle bianca, ma poteva esserlo, e lo fu, sulla base dello sfruttamento e dell’oppressione, dei secoli di sofferenza sopportata sotto il dispotismo degli Zar. L’oppressione e lo sfruttamento divennero materiali di sutura. Le lunghe sofferenze subite sotto il regime degli Zar giocarono qui lo stesso ruolo, e per lo stesso scopo, delle storie di donne e bambini bianchi scotennati dagli indiani di cui si erano serviti gli americani: organizzare il popolo in unità di combattimento, in embrioni di esercito e polizia nazionale.
Presentare il dittatore e il Comitato centrale del Partito come la dittatura del proletariato liberato, sembrava essere qualcosa di nuovo, ma anche in questo solo le parole erano nuove. IL procedimento risaliva ai faraoni dell’antico Egitto e ai re della Mesopotamia che pretendevano di essere stati scelti da Dio per condurre il popolo e per incarnarlo nei loro dialoghi con Dio. Era una ricetta da governanti saggiata e provata. Anche se gli antichi precedenti erano temporaneamente dimenticati, il Comitato francese di Salute pubblica ne forniva un esempio più recente. Non si era forse presentato come l’incarnazione della volontà generale della nazione?
Il comunismo: organizzazione e controllo poliziesco
Lo scopo, la messa al bando del capitalismo e il suo rimpiazzamento con il comunismo, sembrava così qualcosa di nuovo che doveva cambiare la situazione. Ma solo il nome era nuovo. Lo scopo del dittatore del proletariato era sempre il progresso all’americana, lo sviluppo capitalista, l’elettrificazione, i trasporti rapidi delle masse, la scienza, la trasformazione industriale dell’ambiente naturale.
Lo scopo era il capitalismo che la borghesia russa, debole e incapace, non era riuscita a sviluppare. Con Il Capitale di Marx come lume e guida, il dittatore e il suo partito svilupparono il capitalismo in Russia. Funsero da sostituti della borghesia e usarono il potere dello Stato, non solo per mettere in ordine il processo, ma per metterlo in opera e nello stesso tempo gestirlo.
Lenin non visse abbastanza per dare prova del suo virtuosismo di Direttore generale del Capitale russo, ma il suo successore Stalin ha ampiamente fornito la prova della potenza della macchina del fondatore. La prima tappa è stata l’accumulazione primitiva del capitale. Se Marx non era stato chiaro su questo, Preobrajhensky lo fu. Egli venne incarcerato, ma la sua descrizione dei metodi provati e documentati per procurarsi il capitale primitivo fu messa in opera nella vasta Russia. Il capitale primitivo degli inglesi, degli americani, dei belgi e degli altri capitalisti aveva avuto origine dalle colonie; la Russia non aveva territori colonizzati, ma questo non fu un ostacolo: il territorio russo per intero venne trasformato in una colonia.
Le prime fonti dell’accumulazione primitiva del capitale furono i contadini kulachi che vennero saccheggiati. Questa linea di condotta fu così proficua che venne estesa al resto dei contadini, con l’idea razionale che il moltiplicarsi di piccoli saccheggi avrebbe permesso di estorcere un considerevole tesoro.
I contadini non furono i soli ad essere colonizzati. L’ex classe dirigente era già stata completamente espropriata delle sue proprietà e delle sue ricchezze. Tuttavia, si trovarono ancora altre fonti di capitale primitivo. Avendo la totalità del potere dello Stato concentrata nelle loro mani, i dittatori scoprirono molto presto che potevano essi stessi creare le fonti dell’accumulazione primitiva. Imprenditori che avevano avuto fortuna, contadini insoddisfatti, militanti di organizzazioni concorrenti ed anche membri disillusi del partito, potevano essere designati come controrivoluzionari, arrestati, espropriati e spediti verso i campi di lavoro. Tutte le deportazioni, le esecuzioni e le espropriazioni in massa furono rimesse in vigore in Russia.
I primi coloni erano pionieri che procedevano a tentoni. I dittatori russi non avevano bisogno di far ricorso ad esperimenti.
Nella loro epoca tutti i metodi di accumulazione del capitale erano stati rodati e potevano essere scientificamente applicati.
Il capitale russo si sviluppava in un ambiente completamente controllato, in una serra. Ogni meccanismo, ogni variabile erano stati controllati dalla polizia nazionale. Funzioni che fino a quel momento erano state lasciate al caso o ad altri corpi (in un ambiente meno controllato) nella serra russa divennero compiti della polizia. Poiché i colonizzati non si situavano all’estero ma all’interno del paese e poiché si trattava meno di questione di conquista che di arresto, il ruolo e l’importanza della polizia si accentuò sempre di più. Col tempo, la polizia onnipotente e onnipresente divenne l’emanazione visibile, l’incarnazione del proletariato e il comunismo divenne sinonimo dell’organizzazione e del controllo poliziesco spinti all’estremo.
Tuttavia, le attese di Lenin non furono completamente soddisfatte dalla serra russa. La polizia, capitalista, faceva meraviglie per estorcere ai controrivoluzionari espropriati il capitale primitivo ma, per quanto riguardava il modo di produzione capitalista, questo non marciava altrettanto bene. Forse è ancora troppo presto per affermarlo, ma fino ad oggi sembra che questa burocrazia sia stata almeno altrettanto incapace, in questo ruolo, della borghesia che Lenin screditava. La sola cosa che l’ha mantenuta a galla è stata la sua capacità di scoprire fonti sempre nuove di accumulazione primitiva del capitale.
Quanto all’attrattiva di questo apparato, non era considerata scontata nemmeno da Lenin. L’apparato poliziesco leninista non ha attirato uomini d’affari e uomini politici riconosciuti, non ha convinto come metodo superiore di gestione del processo di produzione. Si rivelò attraente per una classe sociale un po’ diversa, una classe che cercherò di descrivere brevemente. Fu questa classe che si convinse che il metodo in questione le avrebbe permesso come prima cosa di guadagnare potere e, in seguito, di realizzare l’accumulazione primitiva del capitale.
Gli eredi di Lenin e di Stalin non erano veramente una nuova Guardia pretoriana, che esercitava realmente il potere politico ed economico in nome e a favore di un monarca superfluo. Erano solo pallide copie, apprendisti del potere economico e politico i quali disperavano di poter raggiungere uno stadio intermedio di potere. Il potere leninista offriva loro la prospettiva di saltare al di sopra degli stadi intermedi per arrivare direttamente al palazzo centrale.
Gli eredi di Lenin erano impiegati, piccoli burocrati, gente come Mussolini, Mao e Hitler. Gente che, come Lenin stesso, criticava la debolezza e l’incapacità della borghesia incapace di instaurare la grandezza delle rispettive nazioni.
(Fra gli eredi di Lenin non includo i sionisti in quanto questi appartengono ad una generazione precedente. Erano contemporanei di Lenin e avevano scoperto, probabilmente in maniera indipendente, il potere della persecuzione e della sofferenza come materiale di sutura per mobilitare una polizia e un esercito nazionali. I sionisti hanno portato contributi loro propri: il trattamento di una popolazione religiosa dispersa in termini di nazione, l’imposizione dello stato-nazione capitalista come mezzo e obiettivo supremo di questa popolazione, e la riduzione dell’eredità religiosa ad eredità razziale. In questo modo hanno contribuito in modo significativo alla metodologia nazionalista. Tutto questo ebbe conseguenze gravi quando una popolazione suturata da legami di “razza tedesca” mise in pratica simili idee su una popolazione di ebrei, non tutti sionisti).
Mussolini, Mao e Hitler hanno strappato il velo agli slogan e hanno preso le prodezze di Lenin e Stalin per quello che erano: metodi coronati da successo diretti ad impadronirsi del potere dello Stato e conservarlo. Tutti e tre hanno ridotto la metodologia per conservarne solo l’essenziale. La prima tappa consisteva nel cooptare tutti coloro che, in una stessa comunità di spirito, aspiravano al potere e a formare il nucleo dell’organizzazione poliziesca chiamato apparato e, secondo i termini di Lenin, Partito. Seconda tappa: Reclutare la base di massa, le truppe disponibili e i fornitori di queste truppe. Terza tappa: impadronirsi dell’apparato dello Stato, installare il teorico con lo statuto di Duce, Presidente o Führer, ripartire le funzioni di polizia e la direzione fra le élite o i quadri e mettere mano al lavoro. Quarta tappa: accaparrare il capitale necessario per riparare o lanciare un complesso militare-industriale capace di sostenere i leader nazionali ed i quadri, la polizia e l’esercito, gli industriali. Senza questo capitale non potevano esserci né armi, né potere, né nazioni.
La liberazione nazionale
Gli eredi di Lenin e di Stalin ridussero ancora di più la loro metodologia per raccogliere gli uomini, minimizzando lo sfruttamento capitalista e concentrandosi sull’oppressione nazionale. I discorsi sullo sfruttamento non servivano più a niente e diventavano imbarazzanti poiché era evidente per tutti, soprattutto per i salariati, che i rivoluzionari al potere non avevano abolito il salario ma, al contrario, lo avevano esteso.
Tanto pragmatici quanto gli uomini d’affari americani, i nuovi rivoluzionari non parlavano di liberazione dal salario ma di liberazione nazionale. Questa liberazione non aveva niente a che vedere con il sogno degli utopisti romantici. Era qualcosa che il mondo attuale rendeva possibile. Per arrivarci bisognava solo approfittare di una situazione già esistente. Liberare la nazione era liberare dalle catene dell’impotenza il Presidente nazionale e la polizia nazionale: l’investitura di un presidente e lo stabilimento di una polizia non erano sogni di fumo, ma componenti di una strategia provata, una vera scienza.
I partiti fascisti e nazionalisti furono i primi a provare che questa strategia funzionava, che le prodezze del Partito bolscevico potevano effettivamente essere rieditate. Il presidente nazionale ed il loro personale si stabilirono al potere e si misero all’opera per procurarsi il capitale primitivo necessario all’edificazione della grandezza nazionale. I fascisti si tuffarono in una delle ultime regioni africane che non era ancora stata invasa e la saccheggiarono come i primi industriali avevano fatto con i loro imperi coloniali. I nazionalsocialisti presero per bersaglio gli ebrei — una popolazione interna che era stata membro della “Germania unificata” allo stesso titolo di altri tedeschi — e ne fecero la loro prima fonte di accumulazione primitiva, in quanto molti ebrei, come molti kulachi di Stalin, avevano qualcosa da farsi saccheggiare.
I sionisti avevano già preceduto i nazionalsocialisti riducendo una religione ad una razza, e i nazionalsocialisti potevano trovare, presso i pionieri americani, lezioni riguardo l’impiego dello strumento razzista.
L’élite di Hitler non dovette far altro che trascrivere e razionalizzare il corpus della ricerca razzista americana, per dotare i suoi istituti scientifici di importanti archivi.
I nazionalsocialisti trattarono gli ebrei in modo simile a quello impiegato dagli americani nei confronti della popolazione indigena dell’America del Nord, solo che utilizzarono una tecnica più avanzata e più potere per deportare, espropriare e sterminare gli esseri umani. Ma in tutto ciò questi ultimi non erano innovatori, si servivano semplicemente della situazione e dei mezzi disponibili allora.
I fascisti e i nazionalsocialisti furono raggiunti dai costruttori dell’Impero giapponese, i quali temevano che la decomposizione dell’Impero Celeste divenisse una fonte di accumulazione primitiva per i russi o per gli industrializzatori rivoluzionari cinesi. Formando un’Asse, i tre partner si misero a trasformare i continenti del mondo in fonti di accumulazione primitiva del capitale. Le altre nazioni li lasciarono fare fino al giorno in cui misero gli occhi sulle colonie e sulle terre delle stesse potenze capitaliste.
Ridurre dei capitalisti già affermati a vittime colonizzate poteva essere una pratica interna, e in ogni modo legale poiché sono i dirigenti della nazione che redigono le proprie leggi — è d’altronde ciò che leninisti e stalinisti avevano fatto —. Ma una tale politica, trapiantata all’estero, poteva modificare l’ordine delle cose e non poteva che provocare una guerra mondiale. Le potenze dell’Asse avevano preteso troppo dalle loro forze e vennero battute.
Dopo la guerra, molta gente affermò che gli scopi dell’Asse erano irrazionali e che Hitler era un pazzo. Tuttavia, le stesse persone ragionevoli trovarono uomini come Washington e Jefferson sani di spirito e razionali, anche se avevano concepito e messo in opera la conquista di un vasto continente, lo sterminio e la deportazione della popolazione di questo stesso continente, in un’epoca in cui un simile progetto era molto meno realizzabile del progetto dell’Asse. Washington scriveva nel 1783: “…la graduale estensione del nostro popolamento causerà senza dubbio il ripiegamento del selvaggio, come del lupo, essendo tutte e due bestie da preda nonostante le loro forme differenti”. Allo stesso modo Jefferson scriveva nel 1813: “…nel caso in cui saremo costretti a dissotterrare l’ascia di guerra contro una tribù qualunque essa sia, non la riporremo prima che questa tribù sia stata sterminata o cacciata”. (Cfr. R. Drinnon, Facing West, New York 1980, pp.65 e sgg.).
È vero che le tecnologie, come le scienze fisiche, chimiche, biologiche e sociali impiegate da Washington e Jefferson erano sensibilmente differenti da quelle utilizzate dai nazionalsocialisti, ma se il sapere è potere, se era razionale che i primi pionieri mutilassero e uccidessero con la polvere da cannone nell’epoca della carrozza a cavalli, perché avrebbe dovuto essere irrazionale che i nazionalsocialisti mutilassero e uccidessero con esplosivo, agenti chimici e gas nell’epoca dei motori, dei sottomarini e delle autostrade?
I nazisti erano, per quanto ciò sia possibile, ancora più scientifici degli americani. Nella loro epoca, per la maggior parte del mondo, essi erano sinonimo di efficacia scientifica. Tenevano archivi su tutto, classificavano e riclassificavano le loro scoperte, le pubblicavano su riviste scientifiche. In questo contesto, anche il razzismo non era proprietà di alcuni agitatori marginali, ma di istituti largamente sovvenzionati.
Sembra che per molta gente ragionevole, sconfitta e follia siano la stessa cosa. Non sarebbe la prima volta. Numerosi sono coloro che trattarono Napoleone da folle quando era in prigione o in esilio. Ma una volta che ridivenne imperatore queste stesse persone ne parlarono con rispetto ed anche con deferenza. L’incarcerazione e l’esilio sono considerati non solo come rimedio all’alienazione mentale, ma anche come sintomi: la sconfitta è per gli idioti.
Mao, il terzo pioniere nazionalsocialista (o nazionalcomunista, il secondo termine non ha più importanza in quanto altro non è che una reliquia della storia; l’espressione “fascista di sinistra” potrebbe anche servire, ma essa è ancor meno piena di senso di quanto lo siano le altre espressioni nazionaliste), è riuscito a fare con l’Impero Celeste l’equivalente di ciò che Lenin aveva fatto con l’Impero degli zar. Il più vecchio apparato burocratico del mondo non si è decomposto in unità più piccole né in colonie per altri industrializzatori, è riapparso, pomposamente trasformato in Repubblica del Popolo, faro delle “nazioni oppresse”.
Il Presidente e i suoi quadri hanno seguito le tracce di una lunga serie di predecessori e hanno trasformato l’Impero Celeste in una vasta fonte di capitale primitivo, il tutto accompagnato da purghe e persecuzioni, che andavano di pari passo con i grandi balzi in avanti.
La tappa successiva, la messa in opera di un modo di produzione capitalista, è stata realizzata sul modello russo, cioè portata a compimento dalla polizia nazionale. Questo non funzionò meglio in Cina di quanto avesse funzionato in Russia. A prima vista, le funzioni di imprenditore dovettero essere affidate a uomini di fiducia o sbrigafaccende, capaci di mettersi in tasca la gente. Ora, i poliziotti, generalmente, non ispirano la fiducia richiesta. Ma, per i maoisti, era meno importante che per i leninisti. Il processo di produzione capitalista resta importante, almeno tanto importante quanto lo sono le campagne normative per l’accumulazione primitiva, poiché senza capitale non vi è potere né nazione. Ma i maoisti rivendicano poco, e sempre meno, il merito del loro modello in quanto metodo superiore di industrializzazione. In questo sono più modesti dei russi e meno disillusi dai risultati della loro polizia industriale.
Il modello maoista si offre ai guardiani della sicurezza e agli studenti di tutto il mondo come una metodologia del potere provata, come una strategia scientifica di liberazione nazionale. Questa scienza, conosciuta sotto il nome di pensiero di Mao, offre agli aspiranti presidenti e ai quadri la prospettiva di un potere senza precedenti sugli esseri viventi, sulle attività umane ed anche sul pensiero. Il Papa e i preti della Chiesa cattolica, con tutte le inquisizioni e confessioni, non hanno mai avuto un tale potere, non che l’avrebbero rigettato ma, per ottenerlo, mancavano loro gli strumenti che la scienza e la tecnologia moderne rendono disponibili.
La liberazione della nazione è l’ultima tappa nel processo di eliminazione dei parassiti. Precedentemente, il capitalismo aveva già sbarazzato la natura dai parassiti e ridotto una buona parte di questa allo stato di materia bruta per le industrie di trasformazione. Il socialismo nazionale moderno ha come progetto di eliminare anche i parassiti della società umana. I parassiti umani sono generalmente fonte di accumulazione primitiva, ma il capitale non è sempre “materiale”, può anche essere culturale o “spirituale”. Naturalmente gli usi, i miti, la poesia e la musica e i costumi di questo antico “folklore” riappaiono completamente trasformati, condizionati, come elementi di uno spettacolo nazionale, come decorazioni per la ricerca nazionale dell’accumulazione primitiva. Gli usi e i miti diventano materie brute trasformabili da una o più “scienze umane”. Anche il risentimento inutile dei lavoratori per il loro lavoro alienato è liquidato. Quando la nazione è liberata, il salario cessa di essere una costrizione che costa e diviene un obbligo nazionale che si deve perseguire nella gioia. Gli abitanti di una nazione totalmente liberata leggono 1984 di Orwell come uno studio antropologico, la descrizione di un’epoca finita.
Non è più possibile ironizzare su questo stato di cose. Ogni satira rischia di diventare la bibbia di un nuovo fronte di liberazione nazionale. Qualunque umorista satirico rischia di diventare il fondatore di una nuova religione, un Buddha, Zarathustra, Gesù, Maometto o Marx. Ogni denuncia delle rovine causate dal sistema dominante, ogni critica del funzionamento di questo sistema sono date in pasto ai cavalli dei liberatori e servono da materiale di sutura per i costruttori di eserciti. Il pensiero di Mao, nelle sue innumerevoli versioni e revisioni, è una scienza totale, una teologia totale: allo stesso tempo fisica sociale e metafisica cosmica. Il Comitato francese di Salute pubblica pretendeva incarnare la volontà generale della sola nazione francese. Il pensiero riveduto di Mao pretende incarnare la volontà generale di tutti gli oppressi del mondo.
Le revisioni costanti di questo pensiero sono necessarie in quanto le sue formulazioni iniziali non erano applicabili a tutti, nei fatti non erano applicabili a nessuna popolazione del mondo colonizzato. Nessuna parte del mondo colonizzato condivideva l’eredità cinese: un apparato statale vecchio di duemila anni. Poche regioni del mondo avevano posseduto, in un passato prossimo o lontano, una sola delle caratteristiche di una nazione.
Il pensiero doveva essere adattato a popoli i cui antenati erano vissuti senza eserciti, polizia o presidenti nazionali, senza processo capitalista di produzione e dunque senza la necessità dell’accumulazione primitiva.
Il vincolo razziale generatore d’identità
Queste revisioni furono compiute tramite l’arricchimento del pensiero iniziale attingendo a Mussolini, a Hitler a allo Stato sionista di Israele. La teoria mussoliniana dello sbocciare della nazione all’interno dello Stato era un dogma centrale. Ogni gruppo di persone, piccolo o grande, che lavorasse o meno nell’industria, concentrato o disperso, era considerato nazione, non in funzione di un passato, ma in rapporto alla sua “aria”, alle sue potenzialità, queste ultime ancorate al fronte di liberazione nazionale. La maniera che ebbe Hitler (e i sionisti) di considerare la nazione come un’entità razziale era un altro dogma fondamentale. I quadri erano reclutati fra la gente spoliata da legami con i propri antenati e i propri costumi. Di conseguenza, non si distinguevano i liberatori dagli oppressi in funzione della lingua, delle credenze, delle tradizioni e delle armi. Ciò che li legava era lo stesso legame che univa i servitori bianchi ai padroni bianchi in America. Il “legame razziale” dava un’identità a coloro che non ne avevano, un legame di parentela a coloro che erano senza famiglia, una comunità a coloro che avevano perso la loro. Era l’ultimo legame per chi non aveva più cultura.
Il pensiero revisionista poteva essere allo stesso modo applicato agli africani, ai navajos, agli apaches, allo stesso modo che ai palestinesi. I riferimenti a Mussolini, a Hitler, ai sionisti vengono giudiziosamente mascherati poiché Mussolini e Hitler non erano riusciti a restare al potere e i sionisti, che vi erano riusciti, avevano fatto del loro Stato il gendarme del mondo contro tutti gli altri fronti di liberazione nazionale. Bisogna riconoscere che l’influenza di Lenin, Mao e Stalin si è estesa ben al di là del loro merito.
I modelli revisionisti e universali funzionano più o meno come gli originali ma con meno urti. La liberazione nazionale è divenuta una scienza applicata. L’apparato è stato frequentemente messo alla prova, i numerosi punti deboli dei modelli originali sono stati rettificati. Le sole cose necessarie per farli funzionare oggi sono: un conduttore, una cinghia di trasmissione e del combustibile.
Il conduttore, ovviamente, è il teorico stesso o il suo più vicino discepolo. La cinghia di trasmissione è lo stato maggiore, l’organizzazione, lo si chiami anche partito o Partito comunista. Il Partito comunista, con la “c” piccola, corrisponde esattamente all’idea che se ne è fatta la coscienza popolare. È il nucleo dell’organizzazione poliziesca che effettua le purghe e che sarà a sua volta purgato una volta che un capo sarà diventato leader nazionale e sentirà il bisogno di revisionare il Pensiero invariante fin quando questo si adatterà alla famiglia delle nazioni o almeno ai fornitori di munizioni, ai banchieri e ai finanziatori di questa famiglia. Infine, un combustibile: la nazione oppressa, le masse che soffrono, il popolo da liberare, sono e continueranno ad essere il combustibile.
Il capo e il suo stato maggiore non sono spinti dall’esterno. Essi non sono agitatori stranieri. Sono i prodotti integrali del modo di produzione capitalista. Questo modo di produzione è stato sempre accompagnato dal razzismo. Il Razzismo non è una componente necessaria alla produzione , ma (in certe manifestazioni) è stato una componente necessaria al processo di accumulazione primitiva del capitale ed ha quasi sempre avuto la sua parte in seno al processo di produzione. Le nazioni industrializzate si sono procurate il loro capitale primitivo con l’espropriazione, la deportazione, la persecuzione e la segregazione, senza parlare dello sterminio di gente designata come preda legittima. I legami di parentela spezzati, la zona distrutta, i costumi e le tendenze culturali estirpati.
I discendenti dei sopravvissuti a tali assalti hanno fortuna se riescono a conservare la minima reliquia, la più piccola ombra evanescente della cultura dei loro antenati. Un buon numero di discendenti non ne detengono nemmeno l’ombra. Essi sono completamente spossessati. Vanno al lavoro, rinforzano l’apparato che ha distrutto la cultura dei loro antenati. E nel mondo del lavoro sono relegati ai margini, negli impieghi più sgradevoli e mal pagati. Questo li rende folli. Un imballatore, per esempio, può saperne sui depositi e sulle commissioni più del direttore, e può sapere che il razzismo è la ragione per cui egli non è direttore e il direttore non è imballatore. Un agente di polizia può sapere che a causa del razzismo egli non è capo di polizia. I fronti di liberazione nazionale affondano le loro radici fra persone che hanno perduto le loro, che sognano di essere direttori di grandi magazzini e capi di polizia. È così che si formano i capi e gli stati maggiori.
Il nazionalismo continua ad attirare gli sprovveduti perché le altre prospettive sembrano loro chiuse. La cultura degli antenati è stata distrutta, quindi, a livello pragmatico, essa è fallita. I soli antenati sopravvissuti sono quelli che si sono adattati al sistema dell’invasore, e le numerose “mitologie del proletariato” sono anch’esse fallite, non si sono rivelate giuste nella pratica, erano solo stupidaggini, sogni andati in fumo, castelli in aria. Il vero proletariato è stato tanto razzista quanto i padroni e la polizia.
L’imballatore e l’agente di polizia hanno perduto ogni contatto con l’antica cultura. I castelli in aria e le utopie non li interessano, essi li ritengono con lo spirito meschino degli uomini d’affari che disprezzano i poeti, i sogni e la gente creativa. Il nazionalismo offre loro qualcosa di concreto, qualcosa che è stato provato e che funziona. Per i discendenti delle popolazioni perseguitate, non esiste ragione al mondo per restare perseguitati quando il nazionalismo offre prospettive per diventare persecutori. I parenti vicini e lontani delle vittime possono formare uno Stato-nazione razzista, possono raggruppare quanta gente vogliono, perpetrare una guerra genocida, estorcere il capitale primitivo. E se i “parenti di razza” delle vittime di Hitler possono fare questo, lo possono fare anche i parenti vicini e lontani delle vittime di Washington, Jackson, Reagan e Begin.
La persistente attrattiva del nazionalismo
Ogni popolazione oppressa può diventare una nazione, il negativo fotografico della nazione che opprime, un luogo dove l’ex imballatore diventa direttore di supermercato e l’ex agente diventa capo della polizia.
Applicando la corretta strategia, ogni agente di polizia può seguire l’esempio della guardia pretoriana dell’antica Roma. Gli agenti di sicurezza di un trust minerario straniero possono proclamare la repubblica, liberare il popolo e continuare a liberarlo fino a quando a questo ultimo non resti altro da fare che pregare perché questa liberazione abbia fine. Anche prima della presa del potere una gang può chiamarsi Fronte e offrire ai poveri, subissati di tasse e costantemente controllati dalla polizia, qualcosa che ancora manca loro: un’organizzazione che raccolga il bottino e una truppa d’assalto, cioè più esattori e poliziotti, ma “propri” questa volta. In tal modo, la gente può essere liberata dalle ultime tracce dei loro antenati perseguitati. Tutte le reliquie che ancora sopravvivono, risultato dell’epoca pre-industriale e delle culture non capitaliste, possono infine essere completamente estirpate.
L’idea che la conoscenza dei genocidi, che il ricordo degli olocausti conduca necessariamente la gente a voler smantellare il sistema, è erronea. L’attrattiva persistente del nazionalismo suggerisce che è l’inverso, cioè che la conoscenza dei genocidi ha condotto la gente a mobilitare eserciti, generando altri genocidi.
Mi sembra che almeno una delle osservazioni di Marx sia vera: ogni istante dato a favore della produzione capitalista, ogni pensiero che contribuisce a fare andare avanti il sistema industriale, rafforza sempre di più un potere che è nemico della natura, della cultura, della vita. La scienza applicata non è estranea a tutto ciò. Essa fa parte integrante del processo di produzione capitalista. Il nazionalismo non viene da altro, esso è il prodotto del processo di produzione capitalista, come gli agenti chimici che inquinano i laghi, l’atmosfera, gli animali e la gente; come le centrali nucleari che contaminano i micro-ambienti prima di contaminare i macro-ambienti.
Per ultimo, mi piacerebbe rispondere ad una domanda prima che mi venga posta:
Non credi che il discendente di un popolo oppresso possa dire di avere ottenuto di più se diventa direttore di un grande magazzino o commissario di polizia?
A guisa di risposta, porrò un altra domanda:
Qual è il direttore di campo di concentramento, boia o torturatore che non discenda da un popolo oppresso?
[da Anarchismo, anno III, n. 58, ottobre 1987]